Scritta per il contest
indetto da Rory ed Akami, che non si è più svolto: “Naruto in: aforismi di Oscar
Wilde”
Nick Autore:
Eleanor89
Titolo della fic: Storia di una fanciulla che voleva solo portare
un cestino di cibo, e del lupo che decise di mangiarla.
Personaggi &
coppie: Kiba/Hinata. Accenni ShikaIno, NejiTen, SasuSaku seminascosto.
Personaggi: un po’ tutti.
Genere: fantasy, romantico, comico.
Avvertimenti: AU,
longfic.
Citazione usata: “Mi fido di te” “Vorrei potermi fidare anche io di
me”.
Storia di una
fanciulla che voleva solo portare un cestino di cibo, e del lupo che decise di
mangiarla.
Era una fresca
mattina di novembre, l'erba era bagnata dalla pioggia notturna e il sole faceva
capolino da dietro le nuvole a riscaldare tiepidamente il bosco. Una leggera
brezza faceva scuotere le chiome degli alberi, che sembravano volersi liberare
delle gocce tra le loro fronde scrollandosi come animali, e piegava con
leggerezza i fiori colorati ai lati del sentiero, che l'inaspettato prolungarsi
dell'estate ormai morente aveva permesso di continuare a vivere.
La bella giovane che
passava accanto ad essi sorrise, chinandosi poi ad annusare un fiore
particolarmente appariscente che sembrava non smettesse mai di essere illuminato
dal sole, come tutte le mattine. Si alzò con grazia e riprese il proprio
cammino, mentre la leggera mantellina rossa svolazzava alle sue spalle, e
dovette infilare il cappuccio, anch'esso rosso, poiché la brezza lo spingeva
fastidiosamente contro la sua nuca.
Svoltò a destra,
verso la salita, tenendo stretto a sé il cestino e canticchiando una nenia tra
sé e sé, scrollando la testa quando qualche ciuffo della chioma corvina le
scivolava sul viso. Un gruppo di farfalle catturò la sua attenzione e le seguì
con lo sguardo, finché queste non sparirono oltre i cespugli disegnando una
danza nell'aria.
Fu allora che notò
qualcosa di diverso.
Ignorando il proprio
senso del pericolo uscì dal sentiero di qualche metro, arrivando sino ad un
cespuglio di fragole, e lì poté vedere meglio: c'era davvero qualcosa tra gli alberi, per
terra.
Subito gli
ammonimenti del padre le tornarono alla mente: era pericoloso girare nel bosco
da sola, per una ragazzina della sua età. Quando andava a trovare il cugino, in
cima alla collina, doveva sempre andare dritta per la propria strada.
Stava per tornare
indietro, quando udì un gemito. Dimenticò ancora ogni prudenza e corse verso
quel qualcosa, che altri non era che
un paio di gambe. Si affacciò con cautela da dietro il tronco, e infine lo
vide.
Un bel ragazzo moro,
con due strani segni rossi sulle guance, dormiva supino, con una mano poggiata
sull'addome e le labbra dischiuse. Indossava soltanto un paio di pantaloni di
pelle stracciati sulle ginocchia, e la ragazza arrossì guardandolo. Notò poi due
orecchie da lupo sulla sua testa, e comprese che doveva essere un demone o un
lupo, nonostante le apparenze. Un lupo di aspetto quasi umano, dall'aria
innocente, almeno mentre teneva gli occhi chiusi.
Lo sconosciuto le
sembrò annusare per un momento l'aria, poi aprì di scatto gli occhi, rivelando
due iridi nere come la pece, profonde e ostili. In meno di un secondo si era già
alzato, tenendo la schiena piegata in avanti e le braccia a distanza, pronto ad
attaccare come un normale animale, ed emise un ringhio sommesso che la fece
indietreggiare sconvolta. Altrettanto sconvolto era lui, dopo una più attenta
occhiata. Era scattato prevedendo l'arrivo di un nemico, non certo pensando di
trovarsi davanti una ragazza dall'aspetto gracile.
“E bella. Molto
bella.”
Così, con gli occhi
chiarissimi, che inizialmente gli erano parsi bianchi ma sfioravano il lilla,
sgranati, con la bocca leggermente aperta per lo stupore ed il viso incorniciato
da bellissimi capelli scuri seminascosti da un cappuccio rosso, la trovava
splendida.
Si mise
sull'attenti, ancora sospettoso, fiutando l'aria e ascoltando il profumo della
ragazzina, constatando che era mischiato a quello dei suoi nemici. Eppure lei
non sembrava volerlo attaccare.
“Però ho troppa fame per aspettare che mi
attacchi per prima, quindi la mangerò”. pensò, preparandosi ad
assalirla.
«Sei ferito.»
La voce di lei era
dolce e preoccupata, ed il lupo si trovò sconvolto per la seconda volta. “Certo che sono ferito, quelli col tuo
stesso odore... Come puoi non saperlo? Che sia solo un caso lo stesso odore?
Impossibile...”
«Aspetta. No-Non
voglio fa-farti del male... Non so se mi capisci, ma non so-sono tua nemica.»
cominciò a dire lei balbettando e aprendo il cestino. Un ottimo odore di torta
arrivò anche a lui, ed il suo stomaco gorgogliò. La ragazzina fremette,
immaginando che la causa delle sue strane occhiate fosse proprio la fame, eppure
non riuscì a pensare che lui fosse malvagio, non con quell'aria da… cane bastonato mentre la
fissava.
Dal cestino tolse un
fazzoletto a quadri, in cui avrebbe dovuto poggiare la torta. Si avvicinò di un
passo ed il lupo quasi saltò indietro, scoprendo i denti. La ragazza lanciò un
gridolino e poi si morse le labbra, pentita. Anche lui sembrò pentito, e tornò a
fare un passo avanti, inclinando la testa e osservandola con
diffidenza.
«Per favore...
siediti.» riuscì a dire, cercando di balbettare meno e arrossendo. Senza
smettere di tenerla d'occhio fece come gli aveva chiesto, e lei si poté chinare
per potergli stringere il fazzoletto sopra la ferita. Badò soltanto allora alle
cicatrici seminascoste su tutto il suo corpo.
«Forse posso passare
a casa a prendere qualche medicinale...» rimuginò pensando ad alta
voce.
«Chi sei?» chiese
improvvisamente il lupo, con voce profonda e roca. La ragazza sussultò,
sbalordita. Poi inspirò facendosi coraggio.
«Hinata. M-Mi chiamo
Hinata. E... e lei?»
«Kiba...»
«Ha
fame?»
Kiba stavolta non le
rispose neppure, e lei si rese conto da sola di quanto fosse pericolosa quella
domanda. Prese immediatamente il cestino e tirò fuori la torta.
«Posso darle
questa.» offrì, tornando ad arrossire.
Kiba seguì con un
interesse che non aveva nulla a che fare con la fame il sangue colorirle le
guance in modo delizioso. Aveva notato che era arrossita almeno cinque volte,
doveva essere una ragazza molto timida, oltre che anormalmente poco impaurita.
«Sarebbe per m-mia
zia. Mio padre mi manda sempre a portarle... regali.» si impegnò a dire Hinata
intanto, per non lasciare cadere il silenzio. Una nota diversa nella voce di lei attirò
l'attenzione del lupo ancora una volta, distraendolo dal suo piano di portarla con sè nel bosco e mangiarla. O magari utilizzarla come serva, visto che aveva del buon cibo e non si lagnava come facevano gli umani solitamente.
«Tuo padre ha
qualcosa che non va?» domandò, e seppe di aver fatto centro vedendo il colore
sparire dalle sue guance rapidamente com’era venuto.
«No, no...» si
affrettò a rispondere, porgendogli ancora una volta il dolce.
Kiba l'ho prese tra
le mani indeciso e lo annusò due volte per essere certo che non vi fosse veleno,
poi cominciò a mangiarla a grandi morsi. Alla fine riuscì persino a sorridere
appena.
«Era veramente
buona.» commentò, leccandosi le labbra.
«Grazie.» rispose
Hinata abbassando lo sguardo.
«L'hai fatta tu?» domandò, e cominciò a pensare che era decisamente meglio non fare male ad una ragazza
che cucinava tanto bene. Lei annuì imbarazzata e qualche altra ciocca di capelli
le cadde davanti alle spalle. Il lupo la fissò ipnotizzato e poi portò di scatto
una mano avanti, prendendola e spostandola di nuovo indietro. Non badò al fatto
che lei fosse arrossita di nuovo, ma osservò il risultato e provò a spostarla
ancora davanti, insieme ad un'altra. “Meglio”.
Notò l'aria stupita
di lei.
«Ti stanno meglio
così.» bofonchiò, seccato dal dover dare spiegazioni.
«Ora devo andare...»
accennò lei, ancor più in imbarazzo.
Un moto di
ribellione si impossessò della mente del lupo. “Non devo farla andare via... Dove posso
tenerla perché nessuno la senta chiamare aiuto? Non credo che riuscirei a convincerla a stare con noi anche se non la mordessi”
«Resta.» ordinò e
riprese a riflettere:“Forse basta tapparle la bocca o
obbliga...”
«Mi scusi...» la
voce educata della fanciulla lo interruppe nel bel mezzo della sua
pianificazione.
«Scusa! Smettila di darmi del lei!»
proruppe esasperato lasciando stare per un attimo il piano.“Ma è sana di mente? Perché dà del lei ad
uno come me? Lei dovrebbe urlare o piangere o chiamare aiuto, persino
cacciarmi!”
Incredibilmente, al
vederlo così simile ad un ragazzino imbronciato, Hinata sorrise.
«Scusa, Kiba-kun. Devo davvero andare. Ma
tornerò con delle medicine al più presto.» assicurò con dolcezza.
E quando pronunciò
il suo nome con la sua voce gentile, ed il suo sorriso dolce, Kiba sentì una
scossa elettrica al cuore, che cominciò a battere più veloce.
“Farle del male?
Come mi è venuto in mente... Ha un’aria così dolce... Non potrei mai rapirla.
Stavo per fare uno sbaglio orribile.”
«Ti aspetterò,
Cappuccetto.» promise con un ghigno stampato in viso. Forse non l'avrebbe vista
più, ma anche ora che l'impeto “protezione e possessività” si era
placato dopo il momento iniziale, sapeva che era la cosa migliore per lei
lasciarla andare senza storie.
E poi, aveva parlato
in modo così convincente che una parte di lui sperava che davvero
tornasse.
Hinata sorrise
nuovamente, e andò verso il sentiero da cui era venuta. Kiba la seguì con lo
sguardo, poi si rialzò e si spostò tra le piante, scortandola
silenziosamente.
Era ricominciato il
dilemma: farne la sua femmina con la forza o dimenticarsela? Mangiarla ormai era
fuori discussione, ma quando un animale trovava l'altra metà sapeva che era di
norma prendersela, con le buone o le cattive, e quella ragazza aveva anche un
bell’aspetto che non lo aiutava a desistere.
Assottigliò lo
sguardo per metterla meglio a fuoco: si, aveva forme generose e un'aria dolce,
come piaceva a lui.
Anche dimenticarsela
in effetti non era possibile, quindi farla sua oppure cercare di
trattenersi?
Una fitta alla gamba
lo fece fermare, ricordandogli che era ferito. Abbassò per un momento lo sguardo
e catturò l'immagine del fazzoletto. Aveva ancora il profumo della fanciulla,
solo il suo, non mischiato con quello dei suoi sporchi simili, ed era veramente
buono. E quel profumo gli fece decidere che non ci sarebbe stato nessun “prenderla con la
forza”.
Perché quando un
lupo decide di aver trovato la sua compagna, la protegge a costo della
vita.
Ti mangio, non ti mangio, ti mangio, non ti
mangio…
Ma
adesso perché sto facendo il
cane?
Kiba era appena
stato a caccia e aveva preso un coniglio, ma una volta mangiato si era
riscoperto affamato. Ora era infastidito perché troppo iperattivo per stare
fermo a riposare, impossibilitato a fermarsi non solo perché attendeva l'arrivo
di qualcuno che molto probabilmente non sarebbe passato, ma anche per carattere.
A dargli sui nervi poi c’era anche un altro fattore non indifferente.
«Me la fai vedere?»
domandò una voce divertita, e Kiba ringhiò.
«No!»
Due orecchie da
volpe sbucarono da dietro un cespuglio, e tra le foglie comparvero due brillanti
occhi azzurri.[1]
«Dai! Se sei ancora
qui deve essere una bella femmina!» insistette la causa principale della sua
insofferenza.
Da quando l'amico
aveva annusato l'odore della ragazza non aveva più smesso di assillarlo, ed in
più, davanti al fazzoletto colorato sulla sua gamba anche quel tasso bastardo
aveva fatto una smorfia scettica. Tutti gli altri avevano cominciato a ridere
dall'inizio alla fine, semplicemente. Al ricordo digrignò i denti.
«Vattene.»
La volpe sbuffò, ma
persino attraverso il cespuglio era visibile il gran sorriso divertito. «Non ti
ci sei ancora accoppiato, per questo sei così nervoso?»
«VATTENE!»
La risata della
volpe, mentre fuggiva via in un bagliore dorato come i suoi capelli, fu udibile
persino ad Hinata che solcava le orme del giorno prima.
«Ki... Kiba-kun?»
chiamò incerta. Non era affatto sicura di trovarlo lì.
Ed invece, dopo
qualche secondo, sentì un fruscio vicinissimo e infine lui comparve, sbucando da
dietro la vegetazione con aria soddisfatta, o almeno così pareva dalla sua coda
festosa.
«Sei tornata,
Cappuccetto.» la salutò, e fu felice di averla fatta sorridere di
nuovo.
«Si... ho portato le
me-medicine.»
Mentre lei lo
invitava ancora a sedersi e si portava accanto a lui, diverse domande
assillarono la mente del lupo, peggio del modo in cui lo tormentava la volpe.
Come mai quella ragazza non sentiva la naturale paura umana di fronte a lui? E
anche se non si fosse resa conto del pericolo, perché lo stava aiutando? Non
riusciva a trovare risposta, non gli era mai capitato prima. Aveva provato a
chiedere anche ai suoi amici, appunto, che lo avevano raggiunto solo la sera
prima avvertendo l'odore del suo sangue, ma nessuno di loro aveva mai interagito
con ragazze umane e riusciva capire. Gli era stato consigliato di rivolgersi ad
un principe loro amico, lui aveva la sua bella principessa bionda, ma era troppo
lontano per i suoi gusti.
Sobbalzò e si
ritrovò a ringhiare piano quando il disinfettante gli sfiorò la ferita, così
Hinata ritrasse la mano. Studiandone il viso non riuscì a decifrarne
l'espressione, comprendendo solo che non era spaventata perché non percepiva
adrenalina in circolo.
«Mi dispiace, non
sono un dottore...» si scusò la ragazza.
Dispiacere, ecco cos'era. Le era
dispiaciuto fargli male.
«Non importa...» le
rispose dubbioso. «Ma perché fai questo?»
«Perché ti serve
aiuto.» rispose, come se fosse scontato.
«Non hai paura di
me?» indagò, e lei lo guardò negli occhi per permettergli di vederne la
sincerità.
«No.»
«Ah... E perché no?»
non poté fare a meno di chiedere.
Hinata parve
pensarci su. «Non lo so... Non mi sembri cattivo. Sei ferito e poi... Se avessi
voluto farmi del male, me ne avresti già fatto...»
“Ma io volevo...
Se tu non avessi tirato fuori il fazzoletto, la torta, e il sorriso al momento
giusto... e non è ancora detto, dipende da cosa chiami farti male, bella.”
rispose mentalmente, senza
tuttavia aprire bocca.
«Sei.. sei qui tutto
solo?» azzardò lei, dopo qualche minuto di silenzio.
“Magari...” pensò, sapendo che la volpe non era
lontana.
«Ho qualche amico
nel bosco... E tu?» non riuscì a reprimere la curiosità, poiché quella ragazza
dalle reazioni assurde lo intrigava.
Hinata neanche ci
pensò, incoraggiata dalla tranquillità del bosco, e le parole fluirono senza
balbettii.
«Nella casa sulla
collina abita mio cugino, ma non gli piaccio. E anche i miei zii... ci sarebbero
i miei genitori, ma io non sono alla loro altezza... ho una sorella più piccola,
e lei ha già un promesso sposo, ed è anche molto disinvolta, io invece mi blocco
davanti alle persone e sono soltanto brava in casa, così no... Non credo di
avere amici.» confessò, concentrata sulla ferita.
Kiba spalancò gli
occhi, esterrefatto. «All'altezza di cosa?» domandò per prima cosa, anche se il
fatto che lei fosse sola lo lasciava incredulo. Quando aveva chiesto “e tu?” si riferiva soltanto al chiederle
perché passava spesso per il bosco da sola, non immaginava un tale sfogo e una
simile verità.
«Oh, ehm...»
tentennò. «Non ha importanza.»
«Ne ha!» esclamò
agitandosi, poi riprese a lamentarsi sottovoce per la ferita.
«Aspetta, non devi
muoverti! All'altezza della mia famiglia!... Loro non mi vorrebbero come
figlia...» concluse tristemente, abbassando lo sguardo.
«Non puoi
saperlo...» le disse Kiba, suo malgrado dolcemente. “Tutto, ma non quello sguardo
triste...”
«Mi è stato proprio
detto.» ribatté lei, inconsapevole della reazione istintiva di lui a quelle
parole.
“Tutto tranne questo, anzi.” si
corresse, sentendo infatti la rabbia cieca montare.
«Chi?» si costrinse
a chiedere con falsa calma.
«Mio padre.» rispose
stupita, poi notò il tremore ad una sua mano. «Kiba-kun?» squittì.
«Io posso ucciderlo
se vuoi.» offrì subito il lupo, sfoderando la sua inquietante dentatura in un
ghigno.
Hinata si ritrasse,
e lui pensò che era la volta buona, e che sarebbe fuggita per non
tornare.
«Voglio bene a mio
padre.» sussurrò, scuotendo la testa. «Non fare del male alle persone, per
favore.»
Kiba considerò che
tutto questo aveva dell'assurdo, non soltanto le sue reazioni.
Una preda che
chiedeva non solo di essere risparmiata, ma anche di risparmiare tutta la
popolazione dei dintorni, ad un lupo a cui non importava nulla di lei o di
loro.
Ma se lo chiedeva
così, cosa poteva rispondere se non un abbattuto: «Va bene.»
Hinata sorrise.
«Finito.» annunciò, tornando a rimettere i medicinali nel cestino. Sembrava
molto soddisfatta, e lui lo notò.
«Sei buona...»
mormorò, e sentì qualcosa solleticargli nello stomaco. Non capì, poiché non era
affamato.
«Come?»
«Niente. E quelli?
Oh! Buon profumo!» si eccitò, vedendola prendere dei biscotti. La coda si agitò
frenetica alle sue spalle e Kiba poggiò le mani a terra, puntandoli con gli
occhi accesi.
«Questi sono al
cioccolato.» disse lei, aprendo la busta e poggiandola a terra, «Li
vuoi?»
Neanche aveva finito
di chiedere che lui si era lanciato all'assalto, rischiando di mandar giù anche
la plastica. Hinata si portò una mano alle labbra per soffocare le risate,
mentre il lupo faceva piazza pulita.
Al suono della
risata, le orecchie del lupo si rizzarono sulla sua testa e un mugolio gli partì
dalla gola. Polverizzò i biscotti rimasti e si rivoltò a terra con un tonfo,
abbandonando la testa su una gamba della ragazza, semicoperta dalla gonna
rossa.
«Cappuccetto, posso
stare così, vero?» chiese malizioso. La tonalità di rosso sul suo viso raggiunse
quella delle vesti, mentre annuiva poco convinta.
Kiba chiuse gli
occhi sorridendo, e poggiò una mano sul petto ed una sull'addome, per poter
riposare senza la tentazione di poggiare le mani da ben altre parti. Strusciò
per un momento la testa sulla gamba della ragazza, cercando una posizione più
comoda, e lei ridacchiò ancora per il solletico. A quel suono Kiba riaprì di
scatto gli occhi, con visibile perplessità.
«Mi hai fa-fatto il
sol-solletico, scusa.» si imbarazzò lei, e si vergognò ancora di più di fronte
al sorriso vero e proprio, il primo che le faceva, del lupo.
«Sei comoda,
Cappuccetto.» si complimentò. «Ed ecco che diventi rossa, perché?»
«Mi ve-vergogno.»
rispose lei, in piena crisi.
«Si vergogna. Ha
addosso un lupo, potenzialmente mortale, e si vergogna quando lui ti dice che è
comoda. Non paura o almeno preoccupazione...» si lamentò, passando una mano tra
i capelli.
Hinata ripensò
all'espressione dei suoi occhi, quando poco prima aveva parlato della sua
famiglia. In qualche modo poteva dire che, invece che un lupo, quello che aveva
poggiato addosso era un amico o qualcosa di simile. Il primo.
«Non ho paura.»
ripeté convinta.
Le orecchie animali
di Kiba fremettero. Normalmente si sarebbe sentito offeso, invece ora percepiva
di nuovo la propria l'adrenalina, come durante la caccia. «Neanche un po'?» la
stuzzicò eccitato.
«Neanche un po'. Mi
fido di te.» dichiarò semplicemente lei.
Vi aveva messo il
cuore, ed anche il rossore che era tornato a tingerle le guance.
Kiba sentì l'impulso
di spingere anche lei a terra con sé, solo per tenerla stretta; ormai era
convinto che un essere così puro non potesse che purificare anche gli altri
accanto a sé e questo lo provava.
E d'altra parte,
pura o meno, aveva una perfetta visuale del suo corpo, ne sentiva anche il
calore ed il profumo dolce, e avrebbe voluta farla stendere a terra per motivi
molto meno nobili.
“Vorrei fidarmi anche io di me.” pensò,
rendendosi conto di questa seconda alternativa.
«Non farlo troppo.»
la ammonì invece, chiudendo gli occhi e cercando di non pensare da animale,
impresa difficile finché fossero rimasti così vicini.
[1]Naruto
ha in sé la volpe a nove code. Qui è la volpe de “il gatto e la
volpe”.
Salve a
tutti!
Sarà una short fic,
che come vedete è divisa in capitoletti molto corti Immagino avrete già compreso
a quale fiaba mi ispiro, eh? Inutile dire che altri personaggi, come
Naruto-volpe, compariranno già nel prossimo capitolo.
Per quanto riguarda
i titoletti, sono pensati da Kiba, ovviamente. Il nostro lupacchiotto
XD
Questi due stanno
facendo più o meno amicizia lentamente, ma considerate che Kiba sta andando
contro la sua natura.
Oh, inutile dire che
per la descrizione iniziale del capitolo Recchan è morta, mentre si chiedeva se
DAVVERO l’avevo scritta io, così caruccia XD Beh, mi sono vendicata nel
penultimo capitolo. [capirete poi.]
Grazie per aver
letto, ai prossimi capitoli!