Io sono Dio qui

di Asgard458
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Ho paura. Mi sta ancora inseguendo? Non lo so, meglio continuare a correre. Oddio, si è presa tutti. Karen, Lilia, persino Daniel. Non so per quanto ancora posso continuare a correre. Questa casa è troppo grande. Mi sento morire. Sento l’ansia che mi divora il petto. La stanchezza che mi azzanna i piedi. Sta salendo verso la gamba. Non riesco più ad andare avanti. Non voglio morire. Mamma, papà, perdonatemi! No, non ora, non cosi. Voglio andare avanti.
 
“Dove pensi di andare?”
 
È dietro di me. No, è attaccata alla mia gamba. Con quelle braccia bianche così docili come faceva a tenermi fermo? Staccati, brutta bastarda. Voglio vivere! Non voglio fare la fine degli altri! Prenditi questi calci pieni di dolore e stanchezza. Questo è per Karen, dannata lei quando ci ha fatto venire qui dentro. Questo è per Daniel, maledetto lui quando ha detto che era sicura come cosa da fare. Questo è per Lilia, l’unica persona che ha detto che non era una buona idea. Questo è per me. Maledetto me quando ho accettato di venire. E staccati dalla mia gamba, essere infimo!
 
“Ci tieni così tanto alla tua gamba?”
 
Devo riprendere a correre. Dove vado? Destra? Sinistra? Non ci sono già stato qui? Sono cosi tanti corridoi, non so dove andare. Forse potrei nascondermi. Quella mi troverebbe. Ha trovato Lilia. Si era nascosta in un armadio. Però l’ha trovata. E l’ha guardata con quei suoi occhi neri. Occhi pieni di oscurità. Con pupille rosse. Rosse come il sangue di quelli che sono entrati in questo luogo. L’ha guardata. L’ha guardata, finché non è impazzita e le interiora le sono uscite fuori da ogni orifizio. Ero nascosto sotto al tavolo nella stessa stanza. C’erano anche Karen e Daniel. Hanno assistito tutti. Siamo scappati insieme. Poi li ha presi. Uno dopo l’altro. Prima Daniel. L’ha afferrato per il braccio. Daniel oppose resistenza, ma lei glielo staccò. Karen si fermò a prestargli soccorso. Io continuai ad andare. Sentii un urlo. Mi girai, ma vidi solamente Karen e il corpo di Daniel divorati dai suoi capelli argentei. Li aveva avvolti, fino a schiacciarli.
 
“Non hai tempo per pensare ai tuoi amici. Continua a scappare”
 
Correvo da cosi tanto tempo. Stava giocando con me. Mi teneva come giocattolo. Volevo andarmene. Tanto ormai non c’era più niente da fare. Meglio nascondermi. Forse sarò fortunato. Forse riuscirò ad andarmene.
 
“Non puoi andartene da qui”
 
Aprii l’armadio. Vestiti, perfetto. Me li butto addosso. Potrei guadagnare un po’ di tempo prima della mia fine.
 
“Ti verrò a cercare”
 
Mamma…
 
“So dove ti trovi. Sto venendo a prenderti”
 
Papà…
 
“Ti ho trovato”
 
Mi ha preso. Mi sta guardando. Negli occhi. Cosa faccio? Muoio?
 
“Sei un topino divertente. Voglio divertirmi di più”
 
Sta continuando a guardarmi. Sento freddo.
 
“Forse potrei usarti per qualche altro gioco”
 
Che freddo. Mi servirebbe un piatto di zuppa calda. Come quelli che fa la mamma.
 
“Cosa? Uffa, sei diventato noioso”
 
Ah, la mamma. Vorrei abbracciarla. Cosi potrei dirle quanto la odio. Oh no, sto iniziando a perdere lucidità.
 
“Forse dovrei ammazzarti. Chissà cosa farò?”
 
Quanto la odio. Mi serve un coltello. Voglio ucciderla. Voglio ucciderla. Voglio ucciderla.
 
“Ho deciso! Ti ammazzo. Perché…”
 
Mamma. Sto venendo a cercarti. Per ucciderti.
 
“Perché io sono Dio qui”
 
Sto venendo a prenderti.
 




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