Premessa. Questa storia è stata scritta in
occasione del Drabble SunDay indetto dal gruppo facebook We are out
for prompt. La one-shot è si basa sul prompt “Gale/Johanna,
condividere gli spazi vivendo sotto lo stesso tetto e dividersi le faccende
domestiche (con qualche difficoltà)” proposto da Macy Maclaughlin. È ambientata
a circa sette anni di distanza dalla rivolta; Gale e Johanna vivono assieme nel
Distretto 2 e Gale ha un figlio di un anno, Joel, frutto di una precedente
relazione di Gale con una donna di nome Sapheen. La storia fa parte della serie
sulla coppia Gale/Johanna intitolata “Io non ho paura”.
Economia
Domestica
Gale si lasciò cadere esausto sul
letto, ancora con le scarpe ai piedi. Socchiuse pigramente gli occhi,
rimuginando sugli ultimi schemi di volo che aveva provato quel pomeriggio
assieme al resto della pattuglia acrobatica aerea. Nel corso
delle ultime settimane aveva trovato di rado il tempo per riposare un po’ fra
il lavoro e gli allenamenti con la pattuglia o per stare con suo figlio.
Johanna, di certo, non gli rendeva le cose più semplici. Era
trascorso quasi un anno dalla sera in cui, Gale ubriaco fradicio, aveva
osservato una furibonda Mason entrare di gran carriera nel R!ot per gridargli
contro e trascinarlo a casa, dove l’attendeva suo figlio di pochi mesi. Da
quella sera, non aveva più abbandonato Joel con la baby-sitter per andare ad
ubriacarsi al pub. Da quella sera non aveva nemmeno mai più bevuto così tanto. La
scenata imbarazzante di Johanna aveva dato a lui una bella scossa e aveva
spinto lei a prendere una decisione che probabilmente continuava a maledire
ogni volta che sentiva il piccolo Joel piangere: aveva scelto di restare e, per
quanto non passasse giorno senza che lei e Gale litigassero, ancora non si era
decisa a lasciare il Distretto 12.
La loro convivenza era insolita e il più delle volte a
stento gestibile, ma funzionava; il giovane non era ancora riuscito a
capacitarsi di come due individui solitari e malconci dentro come loro,
potessero vivere assieme a quel modo. Non combaciavano alla perfezione, ma c’erano
parti di loro che aderivano quanto bastava perché riuscissero a restare unite.
Erano come schegge; frammenti di vetro venuti via da due
lastre diverse. Schegge fragili, ma taglienti: rotte, ma che sapevano ferire a
loro volta. Frammenti irregolari che un tempo non coincidevano, ma che a forza
di stringersi l’uno all’altro, avevano concluso per aderire fra loro seppur
facendosi male e sanguinando, ogni tanto. Eppure, a forza di premere, i lati
delle schegge avevano incominciato a smussarsi. E se prima sanguinavano spesso,
con il passare del tempo facevano sempre meno male.
Tuttavia, c’erano parecchie cose di quell’unione insolita
fra lui, suo figlio e Johanna, che ancora non funzionavano. Erano un esempio i
piatti sporchi che il giovane trovava a coprire ogni superficie libera in
cucina quando tornava a casa, o i cumuli di vestiti che Johanna lasciava
ovunque in camera da letto. O ancora il fatto che, non lavorando, si fosse
offerta di badare a Joel mentre lui era al lavoro, ma che non osasse nemmeno
toccare il bambino con un dito, quando andava cambiato.
I primi tempi la pigrizia della sua coinquilina l’aveva
perfino fatto sorridere – in fondo, Johanna era al Distretto 2 per lui – ma da
quando aveva incominciato gli allenamenti con i compagni di pattuglia per l’anniversario
della fine della Rivolta, anche le piccole cose incominciavano a innervosirlo.
Non riusciva a stare dietro a tutto e la notte dormiva sempre meno a causa
degli incubi, così usciva di casa di malumore e tornava dal lavoro stremato.
Quel pomeriggio, in particolare, Gale aveva dovuto buttare a
terra un intero repertorio di biancheria intima – per la maggior parte sua,
poiché Johanna non si era mai fatta problemi a rubargli i boxer - , qualche
maglietta e una rivista del Distretto 7 prima di poter trovare un po’ di posto
per sdraiarsi sul letto.
“Johanna” chiamò, spazientito, socchiudendo gli occhi.
In risposta, udì solo il farfugliare incomprensibile di suo
figlio. Istintivamente, sorrise.
Pochi minuti più tardi, la voce di Joel si fece più vicina,
mescolata all’immancabile borbottio irritato dell’ ex Mentore del Distretto 7.
“Ma guarda chi c’è” commentò Johanna con un ghigno,
spostandosi il bambino sull’altro braccio. Joel sorrise al padre e agitò
entusiasta le mani, per farsi mettere a terra.
“Tieni” borbottò a quel punto la donna, adagiandolo sul
petto di Gale. “È tutto tuo.”
“Non è un pacco postale, Johanna” le ricordò l’altro,
ricambiando il sorriso del figlio. Il nervosismo nel suo sguardo svanì, quando
il piccolo appoggiò una mano sulla sua guancia e incominciò ad analizzargli con
attenzione il volto.
“Ciao, ometto” mormorò, accarezzando una gamba del bimbo.
“Mi sei mancato.”
Joel si mise la mano libera in bocca, continuando con
l’altra l’esplorazione del volto del padre.
“Jo” esclamò dopo un po’, sorridendo allegro. Il padre lo
sollevò per aria, facendolo ridere.
Johanna roteò gli occhi.
“Jo… Jo… Non sa dire altro” commentò, mettendosi a braccia
conserte. “Secondo me è un po’ tocco.”
“Sa dire anche aereo” le ricordò l’uomo, tornando a far
sedere il piccolo sul suo petto. “Vero, Joey?”
“Reo” ripeté il bambino, ancora con la mano in bocca.
“E chi è che guida l’aereo?”
“Pà” rispose fiero Joel, indicandolo con il dito umido di
saliva. Fu con quello stesso dito che riprese a studiare i capelli e l’uniforme
del papà, facendo inorridire Johanna.
“Quella roba più tardi te la togli, vero?” chiese, inarcando
un sopracciglio. “Io non ti tocco se sei sommerso dalla bava.”
“Jo!” esclamò di nuovo Joel, tirandosi un calzino. Il padre
sorrise.
“Sì, sono d’accordo” mormorò, fingendo di conversare con
lui. “Johanna dovrebbe dare una mano con le faccende di casa, ogni tanto.”
Johanna fulminò entrambi con un’occhiataccia.
“Guardo già il mostro” replicò, buttando giù i pochi vestiti
rimasti sul letto per potersi sedere a sua volta. “Gratis, oserei aggiungere.”
“Si chiama Joel” la corresse il giovane, mentre aiutava il
bimbo a rimettersi il calzino. “E non penso che il tuo baby-sitteraggio si
possa definire ‘guardare’, visto che pago una persona perché venga qui a
cambiargli i pannolini.”
“Ma sono io che me lo devo sorbire quando frigna. Vero,
moccioso?” chiese conferma Johanna, fissando il piccolo.
Joel la osservò con fare attento, stropicciandosi i capelli
con le manine.
“E adesso che hai?” gli chiese a quel punto la giovane, incuriosita
dalla sua espressione pensosa; era la perfetta copia del padre in miniatura,
attimi improvvisi di silenzio inclusi.
“Sta pensando che il bucato, almeno una volta ogni due
settimane, dovrebbe spettare a te” rispose Gale per lui, abbozzando un mezzo
sorriso.
Johanna gli diede un pugnetto poco convinto sul fianco.
“Ritenta e sarai più fortunato” ironizzò, sdraiandosi con la
testa contro il suo petto. “E comunque mi pareva di avertelo già detto,
Hawthorne: io le mutande non te le lavo.”
“Nemmeno quelle del bambino?” azzardò Gale, indicando il
figlio con un cenno del capo. Joel aveva ripreso a farfugliare nella sua lingua
speciale, ciucciandosi allegramente l’orecchio del suo pupazzo preferito.
Johanna sbuffò.
“Quelle del bambino magari sì…” si arrese, socchiudendo gli
occhi quando Gale incominciò ad accarezzarle i capelli. Improvvisamente, un
sorriso furbo corse ad arricciarle gli angoli delle labbra. “… Tanto non ce le
ha, mette ancora i pannolini.”