La Fenice di Ghiaccio

di SpiritIsForever
(/viewuser.php?uid=544957)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Solo cose belle.

Solo cose belle.

Solo cose belle...

Ripeté fra sé e sé queste esatte parole per l'ennesima volta, richiamando alla mente anche la voce che per prima le aveva pronunciate.
Erano trascorse settimane dalla notte del temporale, ma il ricordo era ancora vivido: la sua camera buia illuminata a giorno dal bagliore improvviso di raffiche di lampi; il fragore che inevitabilmente li seguiva, facendola sobbalzare ad ogni nuovo colpo; le imposte della finestra scosse da un vento fortissimo, che lei, raggomitolata nel bozzolo delle coperte, immaginava cercasse di farsi strada attraverso qualsiasi spiraglio all'interno della stanza per poi arrivare al suo letto e congelarla fino alla morte.
Il terrore aveva raggiunto l'apice nel momento in cui si era resa conto di tremare, a conferma della previsione; un battito di ciglia, e stava già correndo a perdifiato verso gli appartamenti reali. Non si era sorpresa di trovare la mamma sulla soglia della porta, ad aspettarla, e poco dopo, avvolta nel riparo del suo abbraccio, le era sembrato che ogni cosa intorno a lei svanisse lentamente, diventasse sempre più sfocata, distante, in un viaggio che la portava sempre più lontana dal mondo... La tempesta non la turbava più, non esisteva nient'altro che una dolcissima sensazione di calore e la voce ovattata della madre, lieve ma chiaro sussurro:
<< Ti svelo un segreto....Quando hai paura, pensa a cose belle...Tutto quello che ami di più, qualunque cosa sia. Fai così, e vedrai che le nuvole spariranno, e tornerà il sole...>>

Gerda non poteva averle mentito, senza dubbio. Ma allora perché non funzionava?... Vero, non c'erano tuoni, lampi, o vento a spaventarla adesso, né mostri nascosti nell'ombra. Questa volta tutto appariva tranquillo all'esterno: il cielo notturno era sereno e la luna vi brillava alta e radiosa, senza alcun presagio di peggioramento. Eppure, la piccola non si sentiva affatto protetta, pur essendo ben raccolta nel suo lettino; il buio la circondava sempre più, come a soffocarla, mentre i freddi raggi lunari si stendevano sulle lenzuola sotto forma di adunche dita argentee, pronte a ghermirla non appena avesse chiuso gli occhi. Perciò li teneva spalancati, senza alcun sforzo d'altronde, visto che era ben lungi dall'addormentarsi.

Ci riprovò. Cose belle, cose belle...
Saltare sulla corda.
La cioccolata.
Gli abbracci.
Mamma e papà, Jack e Anna.
La neve.

Niente. La paura non passava. Era inutile.

Poteva sempre tornare dalla mamma. Forse sarebbe bastato un suo abbraccio, per sistemare le cose...O forse no?

Dopotutto, Gerda si era comportata in modo a dir poco strano quel giorno; non si trattava di niente di particolarmente allarmante, e probabilmente nessuno che non la conoscesse a fondo avrebbe notato le piccole, fondamentali differenze nell'aspetto e nell'atteggiamento della sovrana: come i suoi sorrisi, solitamente luminosi e allegri, rimpiazzati da brutte copie spente e prive di vera emozione; gli angoli della bocca perennemente rivolti verso il basso; l'inusuale pallore del viso, che le conferiva un aspetto malato e trascurato; lo sguardo cristallino oscurato da nubi piene di pioggia che di tanto in tanto minacciava di rovesciarsi sul suo viso.

E poi il senso di distacco che la bambina aveva avvertito standole accanto, la freddezza delle poche, frettolose carezze che le aveva dato.

Per Anna non era stato così, lei aveva ricevuto baci, e abbracci; la madre aveva l'aveva coccolata, abbracciata; Anna, ma non lei.
Quasi senza rendersene conto, iniziò a portarsi lentamente una mano sopra la fronte, fermandosi però di scatto a mezz'aria. Passarono alcuni secondi prima che cautamente arrivasse a toccarsi la testa. Bastò il semplice contatto con una ciocca di capelli: un gesto comune, senza importanza, il quale però suscitò in lei una fortissima voglia di piangere.

Non era colpa sua, lei non aveva fatto niente. Alle domande dei genitori aveva risposto solo con la pura verità quella mattina, anche se questo aveva comportato l'ammissione della sua disubbidienza: l'uscita clandestina nel cortile la sera prima, l'incontro con Hans, l'apparizione della fata, ed infine il sogno che le era seguito; le loro reazioni erano state opposte – Kai l'aveva tempestata di domande precise, interrompendola con rabbia ad ogni parola, per poi andarsene frettolosamente e febbrilmente in un moto di angoscia; Gerda si era limitata ad ascoltarla in silenzio, trasformandosi in un blocco di ghiaccio ogni secondo di più, lasciando la figlia confusa e spaventata.

…In realtà, era colpa sua, ed il motivo le fu improvvisamente chiaro: li aveva delusi. Era venuta meno al volere del re e della regina, suo padre e sua madre. Aveva dato prova di essere irresponsabile e immatura, tratti che mal si addicono ad una principessa reale, e perdipiù futura sovrana. Gerda, al suo posto, non si sarebbe mai comportata così. Scusami mamma. Non succederà più, promesso. Però ti prego, scusami...Forse era l'unico modo per far svanire la paura, raccogliere coraggio e offrire scuse sincere ad entrambi, di persona. Ma certo! Doveva farlo al più presto, adesso.

Con ritrovata determinazione, scosse vigorosamente le coperte che l'avvolgevano spezzando la protezione del suo rifugio. Scivolando fuori dal letto, si sentì già meglio. Tuttavia fu sempre con riluttanza che si incamminò a piccoli passi in direzione della porta della camera, e ne uscì in tutta fretta – non prima di aver controllato l'orologio a pendolo alla parete di fronte: mancava poco all'ora dell'appuntamento con Jack, solo pochi minuti; sarebbe arrivata in ritardo, ma proprio non poteva andare da lui senza aver chiarito le cose coi genitori. Glielo avrebbe spiegato una volta là.
Adesso davanti a lei si stendeva tetro il corridoio, fiocamente illuminato soltanto da qualche coppia di candele disposte lungo tutto il suo percorso, e dalla flebile luce della luna che penetrava attraverso una grande vetrata; la stanza di Kai e Gerda si trovava in fondo a quello stesso corridoio, e la consapevolezza della breve distanza aumentò la sua sicurezza. Ancora pochi passi, e tutto sarebbe tornato come prima. L'avrebbero abbracciata forte, e lei li avrebbe abbracciati ancora più forte, e avrebbero riso insieme della sua sciocca e infondata paura.

Eccola finalmente. La piccola afferrò con mano salda la maniglia, abbassandola lentamente.

La porta si aprì cigolando: non entrò subito, rimase sulla soglia qualche secondo, per abituare gli occhi al buio circostante; non le ci volle molto per individuare i profili di Kai e Gerda davanti a lei. Le voltavano le spalle, l'attenzione rivolta altrove mentre fissavano un punto imprecisato fuori dall'imponente finestra che dominava l'ambiente. Non dovevano averla sentita.
Era pronta. Spinse più indietro la porta e fece per andare verso di loro:

<< Mam- >> Il lieve sussurro le morì in gola.

Negli anni a venire, il ricordo di quella sera si sarebbe cementato nella sua memoria come uno dei peggiori che avesse mai vissuto. Milioni di volte avrebbe desiderato di poterlo cancellare, fingere che non fosse mai esistito, eliminarlo, insieme alle conseguenze che aveva portato con sé.
Ma allora non poteva saperlo, e non riuscì a prevedere la gravità del peso che stava per schiacciarla; iniziò sotto forma di un inaspettato rantolio sommesso, trattenuto, che la fece immobilizzare all'istante; poi il lamento si intensificò, trasformandosi in una serie di singhiozzi convulsi prima di scoppiare in un mare di lacrime.
Non aveva mai visto sua madre piangere. Le spalle curve, si era fatta improvvisamente piccolissima, tanto da scomparire fra le braccia del marito subito venutole in soccorso: le accarezzava i capelli dolcemente, sussurrandole al contempo parole di conforto, come ad una bambina; la principessa, nel frattempo, si ritrasse, rifugiandosi nel buio e l'invisibilità. Cosa era successo?

Mantenne lo sguardo fisso sui genitori in cerca di una risposta al suo smarrimento; passarono così quelli che sembrarono lunghissimi minuti, prima che la voce del padre rompesse il silenzio:

<< Ce la faremo. Abbiamo vinto una volta e vinceremo ancora. >>
<< Hai visto anche tu com'è diventata, io, io... >> Una pausa, altre scosse di pianto. << ...Cosa faremo? Che ne sarà di lei? >>
<< E' ancora qui con noi, Gerda. Ha cercato di portarcela via, ma ha fallito; abbiamo già vinto. Ora dobbiamo solo continuare a proteggere la bambina esattamente come abbiamo sempre fatto, sostenendoci a vicenda sempre, darle amore e affetto. >>
<< Tu non capisci...Non è più mia figlia. Non so cosa le abbia fatto, ma non è lei. Quello è un, un... Mostro, proprio come la strega che l'ha creata! >>
All'affermazione seguì un silenzio saturo di tensione, in cui la diretta interessata rimase pietrificata, il cuore che batteva impazzito nell'esile corpicino: aveva l'impressione che ogni goccia di sangue le fosse stata prosciugata dalle vene. E infine, il colpo di grazia, dritto al petto, inferto da Kai:
<< Anch'io ho paura di lei. >>

 

*


I ticchettii dell'orologio echeggiavano nel silenzio circostante, uno dopo l'altro. Tanti. Troppi, da quando era arrivato. Sembrava che fossero passate ore dal ridondante scocco della mezzanotte in tutto il palazzo; e non serviva a niente continuare a ripetersi che probabilmente non si trattava che di pochi minuti, se non a rendere più ovvio il fatto che era ancora da solo.

Aveva preso a girare in tondo, su e giù lungo il salone dei ricevimenti, in cerca di una qualsiasi distrazione. Tuttavia, quasi per sfregio, le tenebre avvolgevano interamente la stanza, celando ogni particolare che potesse catturare la sua attenzione – tranne per la porta; la luna rifletteva su di essa un brillante bagliore argenteo, esaltandone il pallido biancore; impossibile, quindi, non concentrarsi sulla maniglia dorata, sospesa in alto, ferma, in attesa anche lei di essere abbassata per lasciare entrare la piccola principessa. Che però, comunque tardava.

Doveva esserle successo qualcosa, più i minuti passavano più se ne convinceva. Le parole di sua Maestà si susseguivano nella sua testa come onde inarrestabili di un mare in tempesta: forse il Re aveva scoperto dell'appuntamento, e le proibiva di vederlo... Sapeva che non poteva essere l'unica spiegazione, né quella più plausibile, stando a quanto gli aveva comunicato il sovrano stesso, ma non voleva credere che le sue condizioni di salute fossero così gravi da impedirle persino di lasciare la sua stanza. Dopotutto era stata lei ad invitarlo lì, giusto?

Giusto. Perché allora ci metteva tanto?

Si sentiva sull'orlo di un precipizio, e sarebbe certamente sprofondato nel baratro dei sensi di colpa se ad un tratto, l'atteso richiamo della sua ospite non lo avesse riportato alla realtà:

<< Jack...>>

Si voltò all'istante verso l'estremità opposta del salone, in direzione di quella vocina flebile, appena udibile, accogliendola con il più grato e sollevato dei sorrisi. << Finalmente! >>
Il buio nella stanza fu parzialmente rischiarato dalla candela che lei aveva portato con sé, su cui fissò immediatamente lo sguardo. Osservò i tremolii della fiamma: il fuoco si faceva strada verso di lui a tratti con sicurezza, per poi fermarsi improvvisamente in mezzo al nulla.

Pareva incerta, esitante. << Tranquilla, sono solo. Puoi venire avanti. >>

Nonostante questa rassicurazione lo strano percorso proseguì nello stesso modo; quando alla fine la bambina lo raggiunse si mantenne comunque a distanza, avvicinandosi solo quel tanto che bastava per permettergli di vederla chiaramente.
<< Cos'è quello ? >>

Elsa indietreggiò, stringendo più forte l'indumento a sé. << Shhh! Per favore, non urlare... >>
<< Perché ti sei messa un lenzuolo in testa? Di solito non si usa così. >>
<< Bé... Ne avevo bisogno. HEY! Lascialo stare! >> Si ritrasse di scatto per sfuggirgli, mentre Jack cercava di afferrarlo. << Non devi toccarlo per nessun motivo! >>
<< Stavo solo...Pensavo fosse divertente. >>

Finora era sempre stato così tra loro: scherzi, giochi, marachelle, un'amicizia all'insegna del semplice e puro intrattenimento; niente responsabilità, preoccupazioni o aspettative, né regole o limitazioni. Quando erano insieme, riuscivano a dimenticare ogni differenza di rango e posizione sociale, proprio in virtù di quella parola chiave che era il divertimento: non più la principessa e lo sguattero, bensì “soltanto” Jack e Elsa, due bambini ugualmente uniti dalla stessa esuberanza e vivacità.
Eppure adesso, di fronte a quella piccoletta che lo fissava seria e autorevole, di fronte al distacco che stavolta – per la prima volta – lei aveva espresso nei suoi confronti, adesso Jack avvertì inconsciamente un grande cambiamento in atto; l'Elsa che conosceva da sempre, spensierata e allegra, si stava dissolvendo, sostituita da una persona completamente diversa, posata e razionale, una completa sconosciuta: stava crescendo lì, davanti a lui, e sentiva di potere impedirlo. Ma cosa la stava portando a mutare così in fretta, tutto a un tratto? Qual era la causa della tristezza disarmante che le offuscava gli occhi? E il lenzuolo? << Scusami. E' che sono contento di vedere che stai bene, ecco. Tuo padre mi ha fatto prendere un bel colpo in effetti. >>
<< Mio padre? >>
<< Mi ha convocato nel suo studio dopo cena, avresti dovuto vederlo! Mi ha urlato contro che sapeva che sono stato io a farti uscire in cortile ieri sera... >><< Io non ho detto niente, davvero! >>
<< Lo so, lo so. Voleva scoprire cosa è successo là fuori, ho risposto che non ero con te e si è infuriato. Ha sbraitato che avresti potuto morire in qualsiasi momento per causa mia, che visto quanto poco conti per me non ti avrebbe più permesso di vedermi... Avevo tanta paura. >>
Elsa trasalì, pallida in viso. << Paura? >>
<< Certo, paura per te! Ma è tutto a posto ora, quindi... >>
Lo guardava spaventata, come fosse un estraneo. << E' tutto a posto, vero? >>
<< No. No Jack, io...Papà ha ragione, è meglio se non ci vediamo più. Sono venuta solo per dirti questo. >>
<< Cosa?! Come sarebbe, non...perché no? Senti, so che ho sbagliato a lasciarti sola, è stata tutta colpa mia, l'ho capito; ma ti assicuro che non ripeterò lo stesso sbaglio, ti starò vicino dovunque andrai, non m'importa del divieto di tuo padre. Te lo prometto. >>
<< Non hai fatto niente di male, e non devi promettermi niente. Mi abbandonerai comunque... >>
<< Che stai dicendo?! Perché dovrei fare una cosa del genere? >>
<< Perché... >> La principessa abbassò lo sguardo, la voce frammentata da frenetici singhiozzi, le prime lacrime che iniziavano a solcarle il viso. << Come si può voler bene a un mostro? >>
Jack le si avvicinò cauto, per evitare che si allontanasse. << Io non vedo nessun mostro. La mia migliore amica con un lenzuolo in testa, questo sì. Ma mostri? Neanche una traccia. Per caso ne hai trovato uno lì sotto? >>
Sorridendo allungò lentamente la mano verso la coperta, studiando la reazione di Elsa: con sua grande sorpresa lei lo lasciò fare, senza ribellarsi, quasi rassegnata. Strinse delicatamente il tessuto fra le dita e d'impulso, lo sollevò.

Nell'istante in cui il velo improvvisato cadde ai suoi piedi, un caleidoscopio di immagini gli affiorarono alla mente in uno scorrere continuo, unica protagonista la piccola principessa: Elsa che rideva, correva e giocava insieme a lui, lo abbracciava, gli parlava; ricordi apparentemente chiari, che tuttavia cominciarono a distorcersi improvvisamente in contrasto con la figura che gli stava di fronte, tanto che Jack arrivò a mettere in dubbio la propria capacità visiva: possibile che non avesse mai fatto caso ad un particolare tanto evidente? No, non poteva sbagliarsi: la completa somiglianza fisica con la regina era stata evidenziata da chiunque nel regno e riscontrata in ogni aspetto esteriore, dalla testa ai piedi, a partire dalla chioma castana alla piega delle labbra...
Tuttavia, ogni tentativo di auto-convincimento usciva sconfitto dal confronto con la realtà; una realtà nuova, inaspettata ed inspiegabile: i capelli di Elsa, di un biondo purissimo, parevano brillare di luce propria nell'oscurità, risultando in un effetto incantevole, dall'aurea magica.

<< Whoa. Elsa, sei... >>
<< No! Non dirlo! Non dirlo! >> Tremava e piangeva senza ritegno, le mani a coprire il volto; si era fatta minuscola sotto il peso dell'angoscia. Il ragazzo si inginocchiò: << Sei diversa, non c'è dubbio. Come è successo? >>
<< E' tutta colpa mia, se non avessi disubbidito a mamma e papà quella donna non mi avrebbe mai visto! >>
<< Quale donna? >>
<< Una bellissima fata tutta vestita di bianco, con una corona di perle e una pelliccia magnifica; è apparsa dal nulla nel cortile, voleva che andassi da lei, c'era anche Hans, e pensavo che mi chiamassero per giocare tutti insieme. Li stavo raggiungendo, ero un po' spaventata... >>
<< Frena frena, una fata e un bambino sbucati fuori dal nulla? Sei sicura? >>
<< Certo! Nemmeno tu mi credi, non è vero? >> Altri singhiozzi, altre lacrime. << E' la verità! >>
Jack la trattene delicatamente dal voltargli le spalle e scappare via. << No, non è così – calmati adesso, non piangere più. Io ti credo, sul serio, ma questo non spiega la trasformazione. >>
Elsa proseguì con maggiore calma: era esausta, lo sfogo appena superato aveva prosciugato quasi completamente le sue energie. << L' ho rivista in un sogno, quella stessa notte. Era nella mia camera, e mi ha fatto una carezza, senza dire niente; poi se n'è andata. Quando mi sono svegliata ho scoperto di essere così, avevo molto freddo... E' stata lei! >>
L'altro la guardò stordito dalla valanga di informazioni. << ...Okay. Non so perché questa donna misteriosa ti abbia preso di mira; però, in fin dei conti avrebbe potuto andare molto peggio. >>
<< Davvero? >>
<< Sono solo capelli! E sinceramente, sei molto carina. Ti stanno bene. >>
<< Non stai dicendo una bugia? >>
<< Ho la faccia di uno che dice le bugie? >>
<< Veramente... Sì! >> Finalmente l'arcobaleno dopo la tempesta, nella forma di una risata allegra da parte della bambina.
<< Quello che intendevo è: ne ho mai dette a te? >>
Scosse la testa con convinzione. << Allora non hai paura di me? >>
<< Neanche un po. E ora altezza, mi dica, è riuscita a costruire il pupazzo di neve che avevo richiesto? >>
<< Missione compiuta. E' venuto benissimo, sai, molto più bello di quelli che fai tu! >> Un sorrisetto furbo sulle labbra, ad indicare lo sbocciare della serenità ritrovata, Elsa iniziò a descrivere nei minimi particolari – non senza esagerare - la sua creazione; parlava senza sosta, animandosi ad ogni segno di assenso che riceveva da Jack. Continuarono così per molto, molto tempo, parlando di tutto e di niente, felici semplicemente per il fatto di essere insieme senza più minacce di pericoli imminenti: per ben due volte nel palazzo risuonarono i rintocchi degli orologi prima che il sonno prendesse il sopravvento su di loro.
<< Sono stanca... >> All'affermazione della principessa, che già si stropicciava gli occhi, seguì un sonoro sbadiglio. << Posso andare a letto? >>
<< Anch'io non ce la faccio più... Vieni, usciamo di qui. >> Afferrò la candela e la prese per mano, pronto a guidarla verso l'uscita.
Ma non fece in tempo a toccarla che subito si ritrasse, fulminato dall'impressione di avere appena stretto l'arto di un morto: la mano era gelida. Fredda come il ghiaccio. Troppo per qualunque essere umano.

Voltandosi seduta stante a guardarla, e vide il riflesso di sé stesso: perfettamente immobile, lo sguardo di Elsa fisso sulle proprie mani – o meglio su ciò che contenevano - al contempo terrorizzato ed ipnotizzato; da cosa, difficile stabilirlo con certezza. Assomigliava ad una qualche stella, ma era... Viva. Continuava a crescere e svilupparsi, emanando una sorta di tremolante alone azzurrognolo. << Elsa?!... >>
<< Cosa devo fare, che devo fare Jack! Aiutami! >>
<< Come hai fatto a... >>
<< NON LO SO! Per favore aiutami! >>
Frastornato, gridò un rimedio confuso: << Lancialo in aria! >>
La bambina eseguì l'ordine urlando di spavento: un attimo dopo gli occhi di entrambi si puntarono al soffitto, seguendo la traiettoria di quella strana fonte di luce. Volò sopra le loro teste, lasciando una scia d'argento dietro di sé, fino a raggiungere la cima; lassù esplose liberando migliaia di bagliori tutt'intorno, come un fuoco d'artificio.
<< Wow... >>
<< Puoi dirlo forte! E' stupendo! Però che freddo... >> Il ragazzo si strinse nelle spalle, frizionandosi le braccia. I cristalli di luce lo circondavano: dimentico della stanchezza, li osservò mentre tornavano verso terra leggeri e delicati. Stese il palmo, lasciando che uno di loro vi si posasse: << Sembra neve, guarda! >> In effetti ne avevano tutte le qualità, la consistenza, il colore; in effetti....
Arrivarono alla stessa conclusione nello stesso momento: << E' neve! >>
Si fissarono, l'uno estasiato, l'altra incredula. << Ti sei dimenticata di dirmi che puoi fare la neve? >>
<< Io non ne avevo idea. Vuol dire che la fata... >> Ed eccola, ancora lei, la paura, farsi strada nel suo cuore. << Per favore Jack, vattene! >>
<< Neanche per sogno, hai visto che roba? Ed è tutto merito tuo! >>
<< Non capisci? Potrei farti del male! >> Le parole di Kai e Gerda tornarono a tormentarla, più acute e taglienti in quanto la prova della loro veridicità le stava davanti, innegabile. << Hanno ragione, sono... >>
<< ...Incredibile. >> Jack, inginocchiato di fronte a lei, le sorrideva, perfettamente sereno. C'era comprensione nel suo sguardo, ed una sincerità tanto disarmante da stordirla. << Come? >>
<< Sei incredibile. Nessuno al mondo può fare una cosa simile, tranne te. Pensaci, Elsa: sei unica! >>
<< Ed è un male? >>
<< Bé...Non so, ma forse non esiste una risposta universale. Possiamo scoprirlo insieme, se ti va. Ho promesso di non abbandonarti, no? >>
Si asciugò le lacrime. Grazie. << E cosa faremo nel frattempo? >>
<< L'ora del coprifuoco è passata da un pezzo e dovremmo decisamente andare a dormire; però... >> Una luce maliziosa a illuminargli gli occhi, Jack sussurrò: << Dimmi, per caso vuoi fare un pupazzo di neve? >>

 

… Uff! Eccolo qua, un altro piccolo pezzo di storia si aggiunge al puzzle. Sono passati mesi dall'ultima volta, e ho sentito il dovere (e il bisogno, lo ammetto) di compensare con un capitolo piuttosto lungo: forse ho esagerato, ma mi sono lasciata trasportare e ad essere sincera descrivere questo passaggio mi ha fatto emozionare non poco... Diciamo che ho toccato un tema che sento molto mio. Spero di riuscire a trasmettere questo coinvolgimento, e che comunque il tutto non sia troppo pesante da leggere – nel caso, fatemelo sapere nei commenti, qualsiasi critica è accettata, purché fatta con costruttiva e civile! Chiunque volesse lasciarmi opinioni e consigli sarà il benvenuto, e come sempre, spero vi piaccia. Buona lettura!





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3115907