Noia

di Reira Zealot
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La noia mi attanaglia. Riesco quasi a sentirla, assume quasi una consistenza propria, cosa assurda da pensare visto che la noia in se' è qualcosa che proviamo, che non si può toccare. Eppure dopo ore seduta ad un banco, su una sedia che di sicuro ha visto tempi migliori ma che, sono pronta a scommetterci la vita, neanche allora sarebbe stata comoda, con l'afa che impregna i vestiti, la voce monotona e continua (no non sto parlando di una funzione...) del professore che cerca di inculcarci un po' di cultura, la finestra che lascia passare solo un rivolo di vento ma ci fa intravedere il tanto anelato esterno....ecco è in momenti come questi che la noia per me prende forma e inizia a vivere. Riesco quasi a intravederla, dal lato opposto del banco, le braccia incrociate che sostengono la testa piegata di lato. Mi guarda e anche se distolgo lo sguardo, io so che lei continua a fissarmi. È opprimente, ti prosciuga da tutte le forze e anche la penna con cui stai scrivendo diventa improvvisamente pesante come un dizionario di greco. Cerco di parlarle mentalmente. "vattene". Non reagisce, non accenna alcun movimento e continua a fissarmi. In verità non ha un vero e proprio corpo, e io non vedo due occhi che possa descrivere come tali. Sento l'idea degli occhi che mi fissano, ma so che sono immateriali e che se allungassi una mano afferrerei il nulla, insaporito da qualche granello di polvere che svolazzava per caso nelle vicinanze. Eppurre io non riesco a liberarmi di lei, è onnipresente e so che appena usciro' dall'aula essa mi seguirà ovunque, in attesa. La campanella suona, tiro un sospiro di sollievo. Mi dirigo verso l'uscita e quando sono in strada, con i miei amici, guardo verso l'alto, verso quella finestra che per ben 5 anni è stata parte dello sfondo del mio studio. Lei è lì. Immobile. Le braccia lungo il corpo. E mi fissa. E ci fissa.




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