Arkivet av Berättelser [L'Archivio delle Storie]

di FeatherJoshua
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.1st Story – Masquerade.
 
«Una Maschera pregiata, un valzer infinito fra amore e passione.
La prima Storia: un amore oltre i limiti dettati dal denaro.»
 
 
Catherine non si sentiva affatto a suo agio in quell’abito.
Era bellissimo, è vero, e le calzava come se le fosse stato cucito su misura… però non era quello il suo posto.
Essendo una povera sarta di periferia, il suo compito si limitava al creare vestiti di quel tipo, e anche solo pensare di poterne, un giorno, indossare uno non era che la più infantile delle fantasie.
Una pelle come la sua, consumata dal lavoro, che non era mai stata coperta da qualcosa che non fosse uno straccio consunto, non era degna del delicato abbraccio della seta.
«Sei bellissima, tesoro.»
La flebile voce della madre interruppe i suoi pensieri, riportandola nel mondo reale.
La ragazza la guardò negli occhi.
Stava piangendo.
In diciannove anni di vita passati fianco a fianco con quella donna, Catherine non l’aveva mai vista versare una lacrima. Nemmeno nei momenti più difficili, quando riuscivano a stento a permettersi del pane, nemmeno alla morte del marito, che la lasciò sola con una bambina di appena sei anni.
Aveva sempre trovato la forza di sopportare, di portare il peso della propria esistenza sulle spalle, senza mai tentennare… ma ora, per la prima volta, stava piangendo.
Non era un pianto dovuto alla tristezza, o al dolore; era il pianto pieno di gioia ed orgoglio di una madre che vede di fronte a sé la propria figlia finalmente cresciuta, divenuta una donna.
Istintivamente, Catherine l’abbracciò.
Avrebbe voluto dire che no, lei non era bella e non lo sarebbe mai stata, che non era che una normalissima ragazza dai tratti rozzi e anonimi, che la bellezza era un’altra cosa e non l’avrebbe mai toccata… ma non avrebbe mai potuto dirlo a sua madre, soprattutto in quel momento, dopo che per lei aveva deciso di chiudere temporaneamente la bottega per dedicarsi notte e giorno alle modifiche da apportare a quell’abito, un tempo ripudiato da una cliente forse troppo pretenziosa. Non poteva.
«Grazie.»
La vecchia si asciugò rapidamente gli occhi arrossati, e continuò.
«Però, manca ancora qualcosa. Stai andando al Gran Ballo in Maschera, e non hai ancora un elemento fondamentale per la partecipazione.»
Catherine la guardò con aria interrogativa, come se non si aspettasse una frase del genere.
Lentamente, la madre le porse un piccolo cofanetto di legno.
La ragazza era ancor più confusa ed interdetta di prima.
Si trattava di un cofanetto in mogano intarsiato, probabilmente parecchio costoso – più costoso di quanto potessero permettersi – e pensare che si trattasse solo di un contenitore la metteva un po’ a disagio.
Con mani tremanti, lo afferrò, e lo aprì.
All’interno, adagiata su una fodera di velluto, giaceva una maschera da ballo.
Anzi, probabilmente era la più bella Maschera da ballo che avesse mai visto.
Su di una base dalle tinte autunnali, si districavano arabeschi dorati che formavano decorazioni floreali eleganti e raffinate.
Catherine sbiancò. Si era già posta il problema della maschera, e si era presto resa conto che i prezzi erano ben oltre la loro portata.
Ma forse è solo un’imitazione. Non può essere un’originale, una maschera del genere verrebbe a costare… troppo, decisamente troppo.
Deglutì.
La voltò lentamente, nella speranza di trovare conferma alla sua constatazione… e, quando lo vide, sbiancò.
Quel timbro sul retro della maschera ne sanciva l’originalità, e per di più ne affermava chiaramente la sua provenienza: Venezia.
Si sentì svenire.
La madre la guardava, gli occhi di nuovo lucidi.
«Allora, ti piace?»
Il volto era piegato in un sorriso che emanava tristezza.
Aveva chiaramente dato fondo ad ogni suo risparmio per comprarla. Anzi, forse si era persino indebitata per farlo.
«M-Madre… Perché?!»
Il grido riecheggiò nella stanza, ma la vecchia rimase immobile, lo sguardo basso.
«Non dovevi spendere una cifra del genere. Non dovevi usare i risparmi di una vita per… per un’inutile maschera!»
Delle lacrime iniziarono ad uscire dagli occhi della giovane, mentre afferrava con rabbia il prezioso regalo.
«Tutti i tuoi sforzi, tutta la fatica di questi anni… Perché hai voluto buttarli così? E per cosa poi--»
La vista di Catherine iniziava ad annebbiarsi per il pianto, ma riuscì a distinguere il volto della madre alzarsi e guardarla negli occhi, decisa.
«Per la tua felicità, ecco per cosa. Tutti gli sforzi di cui parli… li ho fatti solo per questo. Per poter vedere la mia bambina felice»
La giovane non rispose.
Si limitò a lasciarsi cadere lentamente al suolo, piangendo, la maschera stretta fra le mani.
«…Ti voglio bene, mamma»
La vecchia si chinò per abbracciare nuovamente la figlia.
«Anch’io, vita della mia vita»
 
 
La notte calò presto.
I goffi passi della giovane calpestavano l’erba già umida della prima rugiada.
A giudicare dalla luce e dalla musica proveniente dalla grande villa del Marchese, il Gran Ballo aveva già avuto inizio.
Tutto stava procedendo alla perfezione: il leggero ritardo le avrebbe consentito di approfittare del momento di massima affluenza di nobili per infiltrarsi all’interno senza farsi notare dalle guardie.
Prima di procedere, si prese un momento per fare ordine fra i suoi pensieri.
Davanti a lei, una breve scalinata conduceva all’ingresso di quella villa sfarzosa… la stessa villa in cui viveva il suo amato.

Erano passati esattamente quattro mesi dal loro incontro, da quando la sua vita fu cambiata irrevocabilmente.
Prima, lei non era che un’anonima artigiana, destinata alla più umile delle vite, priva di qualsivoglia obiettivo, senza alcuna ragione per la quale vivere.
Ma, dopo aver incontrato quel giovane, aveva finalmente trovato ciò che non aveva nemmeno mai pensato di cercare; ora amava qualcuno, e quell’amore era diventato il suo sangue, il suo corpo, la sua anima.
Improvvisamente, per uno scherzo della sorte, aveva ritrovato sé stessa in lui, e lui aveva ritrovato sé stesso in lei; assieme raggiungevano la completezza, la perfezione, l’estasi.
Tuttavia, lui non era un semplice paesano… o almeno, non lo era più.
Arricchitosi in seguito ad affari particolarmente prosperi con la capitale, il padre del giovane aveva infatti recentemente acquistato la carica di Marchese, elevando così l’intera famiglia a rango nobiliare… ponendo quindi i due giovani su due piani differenti, completamente distaccati l’uno dall’altri prima ancora che i loro destini si intrecciassero.
Il Gran Ballo era la loro unica possibilità.
Con l’identità di Catherine celata da quella maschera preziosa, quella notte nulla avrebbe potuto ostacolare il loro amore.
Magari avrebbero finalmente ottenuto il loro lieto fine, proprio come nelle fiabe che tanto amava da bambina.
 
Rassicurata da quest’ultimo pensiero, la giovane si decise ad entrare.
Abbandonato ogni timore, varcò il grande portone a testa alta, pronta ad entrare in scena sul palcoscenico del suo destino.
Dinnanzi a lei si estendeva un’immensa sala da ballo in cui, irradiati dalla luce dei lampadari e allietati dalla musica dell’orchestra, innumerevoli invitati ballavano, parlavano, bevevano…
Stava forse sognando? In quel mondo nel quale non aveva mai visto altro che la cruda miseria in cui aveva sempre vissuto, poteva davvero esistere qualcosa di così simile al paradiso?
Non appena Catherine rinvenne da quei pensieri, guidata dai leggiadri gesti del conduttore, l’orchestra iniziò a suonare un valzer elaborato, dal ritmo incalzante, quasi ipnotico.
La ragazza tentennò un istante, per poi immergersi rapidamente nella folla per cercare l’amato.
Una maschera dorata ed un mantello con animali ricamati in filo d’oro.
Questo era tutto ciò che sapeva, l’unico indizio per trovarlo.
Correndo fra maschere sconosciute, la ragazza seguiva il filo rosso che l’avrebbe condotta al suo principe.
La musica si faceva più veloce, più veloce…
Con l’acconciatura che iniziava a disfarsi, la ragazza continuava a correre seguendo il suo filo d’Arianna…
Le note suonate dall’orchestra erano così rapide, così confuse…
La ragazza continuava a correre per la sala, incurante persino di se stessa…
La melodia comandata da quel conduttore continuava a rimbombare nella sua testa, ancora e ancora…
Spinta dall’amore, la fanciulla mascherata correva, correva, correva…
Comandata dalla bacchetta, la musica si faceva sempre più incalzante, più incalzante, più incalzante…
La vista s’annebbiava, la testa iniziava a pulsare, il respiro si faceva sempre più pesante…
Avesse dovuto trovarne l’estremità in punto di morte, la ragazza avrebbe continuato a seguire il filo del suo amore fino alla fine…
Ed eccolo, il capolinea del suo destino!
La maschera, il mantello ricamato…
La fanciulla si gettò verso di lui, ansimando:
 
«Christopher»
 
L’uomo si voltò, e con un languido sorriso porse la mano all’amata.
Si toccarono.
Catherine si alzò.
I loro corpi si fecero sempre più vicini, il tepore sempre più intenso.
Avvinghiati fra loro, pronti a dare inizio ad un valzer appassionato, l’uno sentiva il respiro dell’altro inebriare la propria pelle.
«Mi concedi questo ballo, Catherine?»
La voce dell’amato risuonò distorta nella testa della ragazza, confusa da quell’attanagliante cacofonia di suoni ed emozioni.
Senza alcuna esitazione, la fanciulla cedette il suo corpo alle mani esperte dell’uomo che amava.
Come un guscio vuoto ormai animato solo da un amore divampante, iniziò a volteggiare sul palco, avvolta dal caldo abbraccio dell’amante.
Al pari di due variopinte farfalle che, spiegando le ali all’unisono, si accompagnano nel volo cullate dalla leggera brezza primaverile, così i due si facevano strada sulla pista, ignorando gli sguardi degli altri invitati.
Senza alcuna preoccupazione, senza alcun pensiero, i due continuavano a danzare, a danzare, a danzare, le note dell’orchestra che sembravano essere un tutt’uno con i loro passi, le loro vesti, i loro volti…
 
Ah, se solo questo momento potesse durare in eterno…
 
Fu solo quando le campane rintoccarono la mezzanotte che i due si accorsero di essere rimasti soli.
Ma a Catherine non importava: finché era assieme a lui, il mondo sarebbe anche potuto finire senza che la cosa li tangesse.
Insieme, i due diventavano uno.
Insieme, i due raggiungevano l’infinito.
 
Nel silenzio della pista ormai vuota, l’uomo dischiuse le labbra, e un flebile sussurro risuonò nella testa della fanciulla.
«Seguimi, Catherine. Ritiriamoci nelle mie stanze»
 
 
Non ci fu esitazione.
Subito, senza parlare, quasi senza nemmeno guardarsi, i due si misero a correre, incuranti della fatica che, dopo una notte di danze impetuose ed ininterrotte, aveva portato i loro corpi al limite dello sfinimento.
Finché erano assieme, non esisteva stanchezza.
Finché erano assieme, ogni loro movimento, ogni loro azione era dettata dall’amore che legava quelle due anime, separate solo da quei corpi mortali.
Così, continuando a correre incuranti degli affanni del fisico, si districavano in quel labirinto dorato, fra stanze, corridoi, saloni… finché non raggiunsero la porta dell’eliseo.
Ovviamente, non si trattava del passaggio per il luogo della beatitudine eterna, ma poco importava. Per i due amanti, quella porta era l’unica cosa che li separava dal loro personale paradiso, in cui il loro amore avrebbe potuto finalmente risplendere nella sua interezza, concretizzandosi.
 
Sorridendo, l’amato aprì la porta.
 
Catherine non fece nemmeno caso allo sfarzo di quella camera da letto. In quel momento esisteva solo il loro amore, che travolgente li spingeva, con impeto, su quel letto che li attendeva.
In pochi istanti, la ragazza sciolse i lacci che stringevano le sue forme in quel vestito ormai privo di senso, presentandosi nella sua forma più pura di fronte all’amante.
L’acconciatura era ormai disfatta, e i capelli le ricadevano sulle spalle ossute.
Adagiandosi sull’amato, iniziò a sussurrargli deliri d’amore mano a mano che sbottonava, velocemente, le vesti.
E finalmente erano lì.
Loro due, soli nell’universo.
L’uomo e la donna.
Separati solo dalla fragile barriera di una maschera.
Dischiudendo le sue labbra su quelle di lui, la fanciulla rimosse quell’ultima barriera.
 
«Ti amo, Christopher.»
 
Lui sorrise, macchiandosi di quel peccato.
 
 
«Ah, il tempo dedicato alla [Maschera] sta per esaurirsi:
è ora giunta l’ora del lieto fine tanto atteso.
Dimmi, mia piccola ascoltatrice:
questa Storia ha infine trovato la via per il tuo cuore?»
 
«Ti amo anch’io, Catherine.»
E si baciarono, si baciarono, si baciarono.
E il tempo giaceva immobile, mentre quei due corpi dimentichi di ogni stanchezza, di ogni tristezza, di ogni preoccupazione si riunivano in una cosa sola, nell’ombra della stanza, illuminati solamente dal pallido bagliore di una sottile falce di luna nel cielo stellato.
 
Quando, il mattino dopo, come in un racconto incantato un singolo raggio di sole inondò i loro visi immersi nel mare del sonno, svegliandoli, lentamente, con il suo tenue calore, i due si guardarono negli occhi.
Non avevano più paura.
Velocemente, Christopher porse alla giovane un nuovo abito da indossare: una veste leggera e sobria, impreziosita da ricami floreali in filo d’oro che ricordavano quelli della maschera che ora giaceva sul comodino.
Vi si avvicinò e ne accarezzò la superficie con la mano candida.
Doveva molto a quella maschera, doveva molto a sua madre. Se non fosse stato per lei, non sarebbe mai arrivata a quel punto, non si sarebbe mai unita con Christopher… Non fosse stato per lei, il Destino le avrebbe riservato ben altra vita.
«Pronta?»
Il giovane, vestitosi anch’egli, la aspettava sulla soglia della stanza, la mano adagiata sulla maniglia dorata.
«Pronta.»
Insieme, i due amati si diressero nella sala da pranzo, dove i genitori di lui lo aspettavano per la colazione.
L’odore del caffè e dei croissant appena sfornati si stava diffondendo in tutto il maniero.
Dopo pochi minuti, la grande porta intarsiata si aprì sull’ampio salotto in cui sedevano, in totale serenità, il marchese e la marchesa.
Come alzarono gli occhi, videro i due giovani l’uno vicino all’altra, l’uno che completava l’altra.
Sorrisero.
Non ci vollero parole: certi amori sono semplicemente troppo grandi, troppo evidenti e prorompenti perché si possa anche solo pensare di fermarli, tanto meno per motivazioni vane come il denaro, o la classe sociale.
Conclusi i primi festeggiamenti, il marchese annunciò pubblicamente che, di lì a tre mesi, avrebbe sposato una giovane, povera apprendista sarta di cui si era follemente innamorato.
 
 
Fine della Prima Storia - Masquerade
 


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 «Un finale sospetto, dettagli discordanti che tradiscono una realtà distorta…
ma in fondo, perché il [Cantastorie] dovrebbe mentire?»
 


«È davvero un peccato.»
Catherine sentì una fitta al ventre.
Il dolore lancinante la riportò alla lucidità dei sensi.
Avvolta dall’oscurità di quel ripostiglio angusto in cui era stata condotta, aguzzò la vista che già iniziava ad annebbiarsi per osservare la figura che le stava dinnanzi.
Quando, per un istante, i suoi contorni si fecero chiari, Catherine si lasciò cadere a terra.
Estratto il vecchio pugnale dal corpo della giovane, il sangue iniziò a tingere l’abito su cui  la povera madre della ragazza aveva tanto lavorato.
Quell’odore pungente le stava lentamente penetrando nel cervello – poco male, perché di lì a poco avrebbe comunque lasciato questo mondo.
Non aveva più la forza di gridare, non aveva più la forza di piangere, non aveva più la forza di chiedere aiuto.
Un uomo di mezz’età, con tutta probabilità assoldato dal Marchese per ucciderla in modo da impedire sul nascere risvolti non voluti con il giovane, ingenuo figlio, vestito con quegli stessi abiti che Christopher le aveva indicato- o forse non era stato nemmeno Christopher, ma bensì il Marchese stesso, intercettando le loro lettere segrete… e ora il suo amato la stava forse aspettando, in vesti sconosciute, in quella sala da ballo così piena di gente tutta uguale ai suoi occhi… e nascosto da quella maschera sconosciuta, pure l’amore della sua vita non era che uno fra molti, indistingibuile tra gli altri, impossibile da scovare…
E lei, come una mosca attratta da un odore zuccherino, non aveva fatto altro che finire dritta nelle fauci di quella pianta carnivora, senza possibilità di fuga.
Il sicario se ne stava immobile, in piedi davanti a lei che giaceva ai suoi piedi, sorridendo nel vedere il lago di sangue che si espandeva sotto i suoi piedi.
Nei suoi ultimi secondi, riuscì a sentire quel farabutto che, senza alcuna cura, le sfilava la maschera dal volto.
Rigirandosela fra le mani, sembrava ripetersi
 
«Davvero una bella Maschera… Veramente adatta ad una graziosa fanciulla come lei… Maschera che ora si farà, suo malgrado, messaggera di una tragedia d’amore e morte… Già, senza dubbio è un oggetto di ottima fattura… Trovando la persona giusta, potrei ricavarci un gruzzoletto non indifferente…»
 
«Addio, Christopher. Scusami tanto, Madre mia.»
 
Fine della Prima Storia – Masquerade




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