Note:
Personaggi maggiorenni. Per evitare problemi con il sito e con la
sensibilità
dei lettori, Eren ha 24 anni e Levi ha 34 anni.
La
vita non è un film, ma la nostra ha i suoi cliché
15 Giugno 2015
«Uhm…Ehm…L-Levi…Io…»
Eren
si
bloccò ancora una volta, incapace di andare avanti e dire
quello che avevo in
mente. Era sempre stato così difficile parlare con Levi e
chiedergli qualcosa:
era il suo superiore e questo rendeva quasi impossibile la
possibilità di
parlare apertamente con lui. No, non era giusto dire così:
il fatto che fosse
il suo capo era un motivo secondario. L’espressione di Levi
era fredda,
distaccata e chiaramente intimidatoria; era quello sguardo a generare
un’ondata
d’ansia e di paura fra i dipendenti del corvino.
«Cosa?»
domandò
con tono irritato Levi, guardandolo negli occhi con chiaro fastidio.
«Stai balbettando
da dieci minuti. Cosa devi chiedermi?»
Lo
sguardo
che gli puntò addosso lo fece rabbrividire; era chiaramente
infastidito e pronto
a tagliargli la testa se avesse fatto una sola mossa falsa.
Perché doveva
essere maledettamente minaccioso in ogni istante della giornata? O era
solamente colpa di quel lunedì mattina, grigio ed uggioso.
«Fra
due
settimane, il mio migliore amico si sposa.» cercò
di dire con calma, nonostante
la voce tremasse. Non doveva essere così intimorito quando
ancora non aveva
detto nulla. Nel profondo, però, percepiva già la
risposta che avrebbe ricevuto
da Levi.
Eren
osservò
per un solo istante il suo responsabile, notando un sopracciglio
inarcato.
Quando faceva così, in rari casi, significava che era
interessato a quello che
gli veniva detto. Quindi Eren poteva ancora sperare, anche se avrebbe
preferito
non illudersi tanto. «Sarò il suo testimone e mi
ha obbligato a portare
qualcuno con me.» mormorò l’ultima parte
della frase come se non volesse
proprio dirla. Non era intenzionato a sapere la risposta, in
realtà.
Per
qualche
istante regno il silenzio nell’ufficio di Levi, creando
ancora più tensione di
quanta non ce ne fosse già. Probabilmente Levi stava
pensando al perché Eren
gli dicesse quelle cose visto che, stupidamente, non gli aveva espresso
il
desiderio che recitasse per lui la
parte del fidanzato.
«Se
vuoi
qualche giorno libero, Eren, sai benissimo che devi chiedere ad
Hanji.» replicò
con un sospiro, obbligando il castano ad alzare lo sguardo verso di lui
ed
osservare la sua espressione disinteressata e rilassata. Quando aveva
abbassato
lo sguardo?
«Ah!»
imprecò a bassa voce, scuotendo la testa velocemente. Con
quel gesto improvviso
scatenò davvero l’attenzione di Levi, che si
protese in avanti appoggiando i
gomiti sulla scrivania. «Volevo… che fossi tu ad
accompagnarmi.»
La
quiete
calò sullo studio, preannunciando tante cose nefaste. Eren
lo sapeva che aveva
decretato la sua condanna a morte; come poteva essere stato
così stupido da
credere che Levi prendesse in considerazione la sua proposta!
«Non
hai già
una fidanzata?» domandò con voce stanca il
maggiore, chiudendo gli occhi.
Sembrava quasi esasperato, o spossato, ma Eren non riusciva bene a
comprendere
la verità celata dal suo viso distaccato. Levi era un libro
chiuso per lui e
per tante altre persone.
«Io
e Mikasa
ci siamo lasciati.» negò prontamente
l’esistenza di una fidanzata. Lui e Mikasa
avevano scoperto di avere priorità diverse, che avrebbero
portato a separare le
loro strade. Non che fosse triste per quello. Stava bene, si sentiva
più
leggero, ma ogni tanto si sentiva solo ed infelice come se mancasse
davvero
qualcosa.
«Eren!»
Il
suo nome
uscì come un avvertimento. “Non andare avanti o te
ne pentirai” diceva il suo
tono di voce. Anche il suo sguardo sembrava esprimere lo stesso
pensiero, se
non fosse stato per quella punta di curiosità che si poteva
intravedere
attraverso il fastidio.
«Ti
prego! È
solo per una giornata.» andò avanti il
più giovane, stringendo le mani l’una
nell’altra in un gesto di preghiera. Eren non pregava mai
nessuno, ma in quel
momento ne aveva assoluta necessità.
«Farò tutto quello che mi chiederai!»
«Oh!
Davvero
tutto?»
La
domanda
arrivò praticamente subito, come se Levi non avesse
aspettato altro che sentire
le sue suppliche. Questa cosa fece storce le labbra ad Eren, che
aspettò con
finta calma la decisione finale del maggiore.
«Potrei
anche pensarci, Jaegar.» ammise con tono controllato, mentre
tornava ad
appoggiarsi allo schienale della sedia. «Cosa dovrei
fare?» chiese calmo,
mentre un sorrisetto divertito iniziava a tirare le labbra sottili.
«Fare
finta
di essere il mio fidanzato.» borbottò con voce
appena udibile, spostando lo
sguardo dal suo capo. «Comportandoci davvero
da fidanzati.» aggiunse dopo pochi secondi. Eren
iniziò a pensare che non era
stata proprio un’idea fantastica coinvolgere Levi in tutto
quello.
«Vuoi
dire
cose come tenersi per mano, stare a braccetto, baciarsi?»
domandò il corvino calcando per bene sull’ultima
parola
detta con un po’ di disgusto. Eren arrossì al solo
pensiero di dover baciare
Levi, il suo superiore, chiedendosi
se mai fosse stato in grado di farlo davvero se glielo avessero
chiesto.
«Prendo
il
tuo improvviso mutismo per un sì, Eren.»
sospirò Levi, scuotendo brevemente la
testa. «Ognuna di queste cose avrà un prezzo.
Straordinari.»
«Cosa?»
domandò in fretta il giovane. Forse aveva sentito male e
Levi non aveva parlato
di pagamento in straordinari.
«Hai
capito
bene.» proclamò senza togliergli gli occhi di
dosso, mentre Eren continuava ad
aprire e chiudere la bocca come se non riuscisse a trovare parole
adatte alla
situazione. «Ogni cosa da fidanzati che faremo si
trasformerà automaticamente
in straordinari. Come e quando farli starà a me deciderlo.
Affare fatto?»
Per
un breve
istante, ma molto allettante, Eren soppesò l’idea
di mandare al diavolo tutto
quello e di presentarsi da solo, subendo le frecciatine di Jean che,
sicuramente, si sarebbe divertito a fargli notare che lui era sposato
con tanto
di sventolamento della fede sotto al suo naso. Perché avesse
accettato di
essere il suo testimone proprio non lo capiva.
Per
un altro
fugace momento, forse meno allettante del primo, si ritrovò
a pensare di
chiedere a qualche suo amico stretto. Le possibilità di
fregare Jean, però,
erano nulle: nessuno dei papabili erano abili attori per la totale
incapacità
di mantenere un segreto.
Con
un
sospiro lento e tremante, come se gli costasse tanto dolore,
iniziò a parlare.
«D’accordo. Affare fatto.»
Il
sorriso
che ricevette da Levi, di assoluta vittoria, non gli piacque per
niente.
Com’era possibile che quell’uomo traesse
così tanto piacere dal sobbarcare i
suoi dipendenti con tante ore di lavoro straordinario?
28 Giugno 2015
Normalmente
due settimane sarebbero passate in fretta. Fra lavoro, straordinario o
meno, e
uscite con gli amici era facile perdere la cognizione del tempo.
Per
Eren,
invece, quelle periodo di tempo era stato estremamente lungo e
faticoso. Non
solo era stato costretto a lavorare sempre con Levi, ma aveva dovuto
passare
ogni pausa pranzo di quelle due settimane a parlare di cosa potevano, o
non
potevano, fare durante il giorno del matrimonio. Per rendere la loro
farsa
credibile agli occhi di amici e parenti, avevano convenuto che tenersi
per mano
o a braccetto era d’obbligo. Levi aveva anche concesso altri
gesti romantici e
affettuosi, ovviamente dietro pagamento con gli straordinari: per ogni
carezza
avrebbe lavorato per un quarto d’ora in più,
mentre per qualcosa di più intimo
come un bacio si passava da mezz’ora a due ore di
straordinari. Inutile dire
che la tentazione di gettare la spugna fosse irresistibile. Alla fine,
con tanta
fatica e più di una discussione sulle ore di straordinari
che Eren avrebbe
accumulato, entrambi erano giunti ad un accordo soddisfacente.
“Per Levi, ovviamente” si
trovò a
pensare Eren con amarezza, mentre aspettava davanti alla porta di casa
il suo
datore di lavoro. Questo punto era l’unico in cui si erano
trovati d’accordo:
Levi sarebbe andato a prenderlo e lo avrebbe riportato a casa, per
rendere
quella recita ancora più reale. Poi, ad Eren, non dispiaceva
affatto questa
scelta; almeno avrebbe potuto lasciare il prima possibile il
ricevimento, nella
speranza che Levi si stancasse in fretta.
Il
giovane
tirò su la manica della camicia quel tanto che bastava per
guardare l’orologio.
Il suo capo gli aveva detto che si sarebbe presentato intorno alle
dieci e
mezza per perfezionare la scaletta della giornata e poi andare
direttamente
all’ufficio comunale dove si sarebbe tenuta la cerimonia,
come programmato da
Jean. Eren era stato scelto come suo testimone di nozze, essendo stato
considerato l’amico più importante nel loro
gruppo, nonostante lui e Jean
passassero la maggior parte del tempo a litigare o a lanciarsi
frecciatine.
Tutto sommato, Eren si era commosso quando l’amico aveva
preso questa decisione,
facendolo arrossire anche a causa della solennità con cui
gli aveva chiesto
questo favore.
Il
suo
orologio segnò le 10:35, quando il clacson di una macchina
lo obbligò ad alzare
il volto sulla strada. Per un attimo rimase ammutolito, gli occhi
spalancati e
fissi su quell’auto rossa fiammante che dava l’idea
di essere appena uscita dal
concessionario: una Porche 911 Carrera in tutto il suo splendore faceva
mostra
di sé davanti a lui. Non credendo ancora a quello che
vedeva, Eren spostò lo
sguardo verso la strada per vedere se ci fossero altre macchine e
constatare,
con un lieve disappunto, che quella macchina fosse solo di passaggio.
La
carreggiata era completamente vuota come ogni domenica mattina.
«Ehi.»
La
voce di
Levi lo fece sussultare, obbligandolo a voltarsi di nuovo verso
quell’auto
fantastica. Il finestrino del passeggiero era stato abbassato e da esso
poteva
vedere Levi con un’espressione annoiata ad aspettarlo.
«Non
sono
arrivato in anticipo per aspettarti, Jaeger.» disse con un
sospiro, mentre
faceva scattare il blocco automatico delle portiere. Il rumore lo fece
risvegliare dallo stupore e rendere conto che si era fissato
più sulla macchina
che sul proprietario. Mentre lo sguardo tornava a puntarsi interamente
su di
lui, Eren si trovò a pensare che sarebbe stato meglio
continuare ad osservare
l’automobile.
«Arrivo.»
mormorò imbarazzato, avvicinandosi al lato del passeggero.
Quando fu salito,
poté studiare attentamente l’uomo che sarebbe
stato, a caro prezzo, il suo
compagno per quella giornata: Levi aveva tirato indietro i capelli,
cambiando
così la sua solita pettinatura con la riga centrale.
L’acconciatura lo rendeva
più regale e raffinato. Indossava anche uno smoking
elegante, nero come la
notte, e la cravatta abbinata. Da quella posizione non poteva vedere le
scarpe,
ma era sicuro che fossero in vernice, tirate a lucido per
l’occasione. Il suo
sguardo vagò con attenzione sul corpo del suo capo, come se
si accorgesse solo
in quel momento di chi aveva realmente davanti e che, nel complesso,
tutto
quello gli toglieva il fiato.
«Oh
bene!»
arrivò la voce sarcastica di Levi che lo obbligò
ad alzare lo sguardo verso gli
occhi che lo guardavano con tale intensità da farlo bloccare
sul sedile del
passeggero. «Noti prima l’auto che il tuo
fidanzato? Mi sento ignorato!»
Eren
lo
guardò per un istante senza parole, la bocca aperta nel
tentativo di fare
uscire qualche parola, prima di assottigliare lo sguardo mentre
osservava le
labbra di Levi tendersi in un ghigno divertito dalla sua reazione.
«Non
è colpa
mia se ho un fidanzato che non pensa nemmeno a salutarmi come si deve,
preferendo attirare la mia attenzione in malo modo.» disse
scuotendo la testa e
sistemandosi con calma sul sedile. Pensava di aver vinto quello scambio
di
battute da fidanzatini, ma non sapeva che Levi aveva preso quella
recita più a
cuore di quello che si potesse immaginare. Un paio di labbra si
posarono leggere
all’angolo della bocca, facendo improvvisamente impazzire il
suo cuore, prima che
si staccassero lentamente.
«Questo
conta come un’ora di straordinari, perché sei un
moccioso esigente» mormorò
piano, prima di sistemarsi nuovamente al suo posto e partire con la
macchina. L’abitacolo
scese nel silenzio
più totale, mentre l’espressione di Eren si
trasformava in quella di un piccolo
cucciolo che era appena stato sgridato per qualcosa che non aveva fatto.
«È
ovvio che
io sia esigente…» mormorò piano, mentre
guardava fuori dal finestrino per non osservare
Levi. Ce la poteva fare! Poteva tranquillamente superare quella
giornata e
pagare per ogni cosa che il suo capo gli avrebbe concesso. Non doveva
sentirsi
così in soggezione o niente sarebbe sembrato naturale agli
occhi dei suoi
conoscenti ed amici.
«Perché
dovrebbe essere ovvio, amore?»
domandò
distrattamente, senza togliere gli occhi dalla strada.
Eren
si
lasciò andare ad una smorfia infastidita, cercando comunque
un contegno.
«Perché, al lavoro, mi tratti più come
un animale da soma.» disse con calma,
sorridendo angelicamente, mentre la macchina si fermava di colpo ad uno
“Stop”
anche se non si vedeva l’ombra di nessun veicolo.
«Sembro più uno schiavo, che
il tuo fidanzato.»
«Eren…»
sibilò Levi, in segno di avviso, voltandosi verso di lui
lentamente.
«Cosa,
amore?» domandò
con innocenza il
castano, guardando gli occhi di Levi che lanciavano un chiaro
avvertimento. «Mi
sto immedesimando nel ruolo del fidanzato.»
Prima
ancora
che l’altro potesse ribattere, Eren si tese verso di lui
fermandosi ad un passo
dalle sue labbra. «Lo so che non siamo ancora arrivati, ma se
non cerchiamo di
essere naturali verremo scoperti.»
«Verresti
scoperto tu, Eren.» puntualizzò il corvino,
guardandolo con un sopracciglio
inarcato.
«Non
ho
sbagliato a dirlo. Siamo sulla stessa barca; se scoprono me, scoprono
anche
te.»
«Touché.»
Era
strano
che Levi arretrasse in una discussione, sapendo che poteva benissimo
avere
ragione con la scelta delle argomentazioni che poteva usare contro di
lui. Per
la sua idea distorta su quella recita, probabilmente Levi si
considerava la
povera vittima trascinata in tutto quel casino da lui. Non lo
biasimava. Ma
Eren sapeva benissimo che avrebbe semplicemente potuto rifiutare la sua
proposta; invece no, perché Levi provava una malsana gioia
nel tormentarlo in
ogni modo e, con molta probabilità, gli avrebbe fatto
ricordare nei minimi
dettagli quella giornata per i prossimi dieci anni.
«D’accordo.»
iniziò il maggiore, mentre ripartiva velocemente.
«Però vedi di…»
«…non
starti
appiccicato esageratamente, lo so. Ma dobbiamo anche stare abbastanza
vicini
per non destare sospetti.»
«Logico!»
rispose
disinteressato l’altro, mentre si concentrava più
sulla strada davanti a sé che
su Eren. Il più giovane, però, non poteva fare a
meno di guardarlo con
attenzione, come se i suoi occhi fossero automaticamente calamitati su
di lui.
Al lavoro, gli era sempre capitato di notare in quale modo gli sguardi
della
gente si puntassero su Levi, come se fosse naturale osservarlo mentre
passava.
Quella sicurezza, quell’espressione sempre seria e distante,
quel portamento
elegante che lo facevano quasi sembrare di stirpe reale; tutte quelle
cose
attiravano le occhiate della gente ed, inevitabilmente, anche i suoi
occhi. Più
di una volta aveva abbassato lo sguardo per paura di essere scoperto a
contemplare qualcosa che non poteva mai essere suo. Suo?
Che strano pensiero. Non aveva intenzione di considerare Levi
come di sua proprietà, ma non gli sarebbe di certo
dispiaciuto di avere un
rapporto migliore con lui al di fuori del lavoro.
Quando
la
macchina si fermò nel parcheggio del Comune, dove si sarebbe
tenuta la
cerimonia, Levi si voltò a guardarlo con attenzione,
incatenando i loro occhi
gli uni agli altri come se non potessero più lasciarsi. Eren
non fece fatto
molto, questa volta, per evitare di essere scoperto ad osservarlo. Per
una
volta si sentiva abbastanza coraggioso da poter farsi scoprire e non
pagarne le
conseguenze.
«Sei
pronto?» domandò Levi, osservandolo attentamente
per non perdere nemmeno un
istante delle sue azioni e delle sue espressioni.
«Sì,
ce la
possiamo fare.» affermò con un sospiro profondo,
chiudendo momentaneamente gli
occhi per richiamare a sé tutto l’auto-controllo
di cui disponeva, insieme a tutto
quello che Levi gli aveva detto nei giorni passati.
«Bene.»
concluse
semplicemente il suo capo, uscendo dall’abitacolo senza dire
una sola parola.
Eren capì cosa voleva fare solo quando Levi gli
aprì la portiera come un vero
cavaliere. Non c’era bisogno di fare nulla del genere, visto
che nessuno poteva
guardarli davvero già da lì, non rendendosi conto
che sottovalutava davvero il
potere di quell’auto e dell’aspetto di Levi: era
impossibile non notarli.
«Muoviti.
Ci
stanno guardando tutti.» sibilò l’uomo,
scuotendo leggermente la testa, mentre
Eren scattava velocemente e si posizionava al suo fianco. Si morse il
labbro
con forza, aspettando che Levi chiudesse l’auto e gli
porgesse il braccio. «Fai
un bel respiro e andrà tutto bene.»
«Semplice
per te…» mormorò appena, mentre si
stringeva a lui prima di avviarsi verso l’edificio
con tutta calma e sotto gli sguardi scrutatori ed interessati di tutti
i
presenti. L’agitazione iniziava a dominare il suo essere,
facendogli tremare
leggermente il braccio avvinghiato a quello di Levi. L’uomo,
come se stesse
presagendo una sua imminente fuga, strinse con forza la sua mano e
quasi lo
trascinò verso quello che sembrava lo sposo a cui avrebbe
dovuto fare da
testimone. L’espressione di stupore, mista a
felicità, doveva essere un indizio
chiaro.
«Uh…Jean.»
lo salutò Eren, con voce roca come se non bevesse da secoli.
Per
qualche
secondo l’interpellato rimase completamente in silenzio,
osservando la coppia
davanti a lui come se non credesse ai suoi occhi.
«Jean,
capisco che il mio fidanzato ti abbia tolto le parole di bocca da
quanto è bello.»
iniziò Eren leggermente indispettito, inarcando un
sopracciglio mentre
osservava l’amico negli occhi. «Ti ho salutato,
Jean. Esisto anch’io.»
«Eren,
cos’hai fatto per trovare un ragazzo del genere?»
domandò all’improvviso, come
se riemergesse da un intenso minuto di riflessione su come fosse
possibile che
Levi ed Eren fossero davvero insieme e dimostrassero con pochi gesti di
essere
maledettamente perfetti. «Cioè… Siete
perfetti assieme, non lo nego. Ma dopo
Mikasa…»
«Non
nominarla.»
Chiaro,
conciso, diretto. Così era Levi con ogni persona che parlava
troppo ed iniziava
a navigare in acque che era meglio non esplorare. Jean, senza saperlo,
stava
facendo proprio quello. Nemmeno Eren pensava che quello fosse un
territorio da
non esplorare, ma forse Levi voleva interpretare il fidanzato geloso
degli ex.
«Scusa,
amico.» si discolpò subito lo sposo, facendo un
passo indietro ed alzando le
mani in segno di resa. Si ritrovò a sospirare lentamente,
quasi per evitare di
dire qualche cavolata da far arrabbiare il fidanzato geloso.
«Solo che Eren
sembrava molto restio a venire con un fidanzato.»
«Jean!»
lo
riprese subito Eren, ma la sua voce passò in sottofondo
quando Levi si mise a
parlargli sopra.
«Lo
so.
Stiamo insieme da poco. Ed è passato ancora decisamente
troppo poco tempo dopo
Mikasa, per lui. Puoi benissimo immaginare la sua reticenza
nell’ufficializzare
qualcosa.»
Eren
rimase
in silenzio, stupito dalle premure di Levi. Non pensava che…
No, cos’aveva
pensato? Non ci dovevano essere premure, perché non erano
mai stati davvero
assieme se non per quella giornata. E poi, anche se Eren non gli aveva
detto
niente della sua ritrosità, non voleva dire che Levi lo
sapesse davvero. Il
castano voltò per un attimo il viso lontano, celando il
rossore che adornava le
sue guance. Levi gli stava facendo un brutto, bruttissimo, effetto.
«Sono
contento che Eren abbia incontrato qualcuno come te, allora.
Però non
azzardarti a farlo soffrire.» disse con una velata minaccia
lo sposo, guardando
Levi negli occhi prima di prendere il braccio di Eren e trascinarlo
all’interno
della sala dove si sarebbe tenuta la cerimonia. «Vieni,
testimone. Non dobbiamo
perdere più tempo.»
Il
ragazzo
si lasciò trascinare via, voltandosi per un attimo a
guardare Levi e il suo
cenno breve di saluto prima che la porta si chiuse fra di loro
escludendo l’uno
alla vista dell’altro.
«Siete
dannatamente
perfetti. Quando vi sposate?»
«Jean!»
***
La
cerimonia
era stata veloce e semplice, come richiesta da Marco e Jean, per
celebrare la
loro unione con pochi amici e famigliari. I due innamorati erano giunti
allo
scambio delle fedi, consegnate da Eren al momento giusto. Mentre Marco
e Jean
recitavano i loro giuramenti, personalizzati rispetto alle celebrazioni
a cui
aveva partecipato in passato, il suo sguardo si andò a
posare sulla platea e sugli
occhi commossi di amici e parenti. I suoi occhi non fecero molta strada
perché
si fermarono subito su Levi e il suo sguardo magnetico che volgeva
verso di lui.
Fu come ricevere una scossa elettrica lungo la schiena, mentre in
sottofondo
arrivavano ovattate le ultime parole dell’ufficiale comunale
che dichiarava
sposati i suoi più cari amici.
Per
lui non
esisteva altro che Levi e i suoi occhi. In un breve momento tutto
sembrò
annullarsi mentre rimanevano incatenati l’uno
all’altro anche da quella
distanza. Non esistevano gli sposi, i famigliari, gli amici. Sembrava
che non
esistesse nemmeno il luogo in cui si trovavano, come se fossero stati
catapultati in una realtà priva di tempo e di spazio solo
per potersi
osservare.
«Bene!»
Il
colpo
alla spalla lo fece sussultare e per poco non si mise urlare dallo
spavento,
prima di rendersi conto che Jean lo richiamava alla realtà
con un sorriso che
occupava tutto il suo viso. «Muoviamoci a firmare e poi
possiamo andare al
ristorante e festeggiare davvero.»
Le
parole
dell’amico lo riportarono alla realtà,
obbligandolo a distogliere tutta la sua
attenzione da Levi. Il suo capo gli fece appena un cenno, prima di
avviarsi
verso l’uscita dell’edificio.
Eren
seguì,
invece, Jean e Marco insieme a Mina, la sua testimone per quella
giornata. Si
voltò ancora una volta verso l’ingresso, cercando
con lo sguardo Levi senza
trovarlo. Un sospiro lento e quasi sconsolato sfuggì alle
sue labbra, mentre si
malediceva mentalmente. Non si stava preoccupando della lontananza con
Levi,
per niente. Stava solo controllando che tutto andasse bene.
«Wow.»
L’esclamazione di Jean fece sorridere i presenti, mentre gli
sguardi dei tre
amici si puntavano nello stesso momento su Eren. «Quando vi
sposate, Eren?»
domandò velocemente, scatenando le risatine di Marco e Mina
e il rossore sul
volto dell’interpellato.
«C-Cosa?»
balbettò il ragazzo, facendo un passo indietro mentre
cercava aiuto negli occhi
di Marco per fare stare zitto il suo neo-marito. Speranza vana.
«Siete
perfetti, Eren.» disse Marco con un sorriso. «E non
è solo un “Wow, quei due
fanno proprio una bella coppia”. Sembrate fatti
l’uno per l’altro. E quando vi
guardate, i vostri occhi si illuminano.»
Le
guance di
Eren si colorarono di rosso, intenso ed evidente; era chiaro che fosse
imbarazzato da quelle parole. Era ancora più imbarazzato dal
fatto che tutti
erano convinti che facessero davvero una bella coppia, quando loro non
lo erano
nemmeno.
«No…»
balbettò scuotendo la testa più volte, come se
volesse negare più a sé stesso
che agli altri tutto quello. «Stiamo solo bene
assieme.»
Jean
alzò
gli occhi al cielo, prima di guardarlo negli occhi. «Eren,
davvero, hai le
fette di salame sugli occhi se pensi che “stiate solo bene
insieme”» disse lo
sposo, mimando il segno delle virgolette come per sottolineare il
sarcasmo che
non aveva messo nelle sue parole.
«Eren,
ho
visto come ti ha guardato durante il matrimonio.» intervenne
Mina con un
sorriso calmo e pieno di dolcezza. «Sembrava veramente
innamorato, come uno dei
protagonisti di quei film romantici…»
«…e
scontati
e pieni di cliché e di cose melense che ti
disgustano…» iniziò ad elencare
Eren, facendo finta di non aver sentito che, secondo Mina, Levi fosse
davvero
innamorato di lui. «Sbrighiamoci a firmare e poi
andiamo.» aggiunse alla fine,
avvicinandosi al registro per mettere la sua firma che attestava la sua
presenza. Meno pensava a questa possibilità, meno avrebbe
sentito il suo cuore
perdere un battito alla sola idea che Levi potesse davvero amarlo.
«E poi
smettetela di parlare di matrimonio; siete ripetitivi.»
***
Quando
erano
arrivati al ristorante, Eren aveva avuto ogni possibilità di
evitare Jean,
Marco e Mina e sfuggire quindi al tema che sembrava interessare
così tanto i
suoi amici. Mentre uscivano dal comune, erano arrivati direttamente
alla conclusione
che, entro la fine dell’anno, avrebbero dovuto sposarsi anche
loro. A nulla
erano valse le sue lamentele e i suoi tentativi di cambiare discorso.
«Sei
silenzioso.»
Eren
e Levi
erano seduti al tavolo degli amici di Jean, un po’ in
disparte rispetto agli
altri così da poter parlare tranquillamente senza essere
disturbati troppo
spesso. Il castano alzò gli occhi sul finto fidanzato,
pensieroso e distante
come non lo era mai stato prima d’ora.
«Ti
dà
fastidio?» domandò con calma e distratto.
«È
un piacevole
cambiamento, rispetto a quando non smetti mai di parlare.»
ammise con un’alzata
di spalle, guardandolo comunque negli occhi per capire cosa aveva.
«Questo non
vuol dire che io non voglia sapere perché tu sia
così taciturno.»
Eren
lo
guardò per un istante negli occhi, cercando di carpire la
sincerità di quelle
parole. Il suo sguardo, però, si infuocò alla
sola idea che Levi si comportasse
davvero come fidanzato amorevole che aveva a cuore i suoi interessi.
Non era
obbligato ad arrivare così in fondo con quella storia,
arrivando ad illuderlo
che potesse esserci davvero dell’interesse da parte sua.
«E
perché
dovrebbe interessarti? Non siamo niente. Non sono niente per
te.» disse in un
sibilo basso, ma rabbioso, cercando di controllare comunque la voce.
«Devo già
fare gli straordinari solo per questa farsa. Se ti metti a fare pure da
psicologo, sicuramente troveresti il modo di farmi pagare anche
questo.»
«Eren…»
iniziò Levi, con tono sicuro e con una lieve minaccia in
esso.
«Eren
niente, Levi. Perché ti interesseresti tanto, se non per
trarne qualche
vantaggio?» domandò retoricamente, eliminando
subito dalla mente tutto quello
che gli avevano detto i suoi amici. Era praticamente impossibile che
Levi lo
amasse. «Probabilmente, entro la fine della giornata,
accumulerò così tanti
straordinari che, fra un anno, non li avrò ancora fatti
tutti. Non peggiorare
la mia situazione con questo.»
Levi
si
zittì di colpo, lo sguardo pieno di fastidio per essere
stato interrotto e le
labbra tirate in una linea stretta. Non gli piaceva
quell’espressione; lo
preferiva quando era più disteso e tranquillo, ma Eren non
poteva sopportare
che approfittasse dei suoi cattivi pensieri per guadagnare qualcosa di
personale. Si morse il labbro, tornando a chiudersi nel suo silenzio
pensieroso.
Pensandoci bene, poi, Levi non aveva alcun diritto di essere
infastidito dalle
sue parole; aveva tutte le ragione per dubitare delle sue azioni.
Le
prime
portate iniziarono ad essere servite in quel momento, dando la
possibilità ad
Eren di non essere obbligato a parlare con Levi e non far notare a
nessuno il
loro piccolo litigio.
***
«I
tuoi
amici stanno notando che qualcosa non va.»
Poche
e
semplici parole che, secondo Eren, Levi avrebbe anche potuto evitare.
Non c’era
bisogno che gli facesse notare che Marco e Jean mandavano diverse
occhiate
preoccupate nella loro direzione da quando avevano dato il via alle
danze con
il loro primo ballo. Loro due non si erano alzati nemmeno una volta,
per la scelta
di Eren di ignorare le richieste di Levi. Gli stava tenendo il broncio
come se
fosse un bambino offeso per qualcosa di inutile e di poco conto. Non
aveva
senso arrabbiarsi seriamente, quando tutta quella storia era costruita
su una
menzogna.
«Se
non fai
qualcosa, probabilmente inizieranno a sentirsi in colpa.»
continuò Levi,
lanciandogli un’occhiata di sbieco. Eren incrociò
i suoi occhi, inarcando un
sopracciglio. «Non potrebbero pensare che abbiano forzato un
po’ qualcosa obbligandoti
a portare qui un
presunto fidanzato e presentarlo quasi ufficialmente?»
«Jean
non si
farebbe mai venire i sensi di colpa.» rispose alla fine con
un sospiro lento e
profondo. «Ma Marco sì. Si chiederebbe se
l’imposizione di Jean non sia stata
una forzatura per me e che, magari, ci abbia portato a
litigare…» continuò
distrattamente, guardando per un attimo i suoi amici che erano
ritornati a
ballare al centro della sala.
«Allora
perché non impedisci a Marco di nutrire sensi di colpa?
Invitami a ballare.»
«Sono
arrabbiato
con te.» ribatté subito, arrossendo un
po’ per la richiesta di Levi così
diretta e senza vergogna.
«Ah?»
«Sì,
sono
arrabbiato con te.» ribadì ancora, guardandolo
negli occhi nonostante
l’imbarazzo. «Non so cosa vuoi fare, non capisco
cosa vuoi da me. In questo
momento, sembra che ogni cosa che faccia possa aumentare il
“prezzo” di questa
giornata. Io non…»
Eren
non lo
aveva visto muoversi, preso com’era dalle sue stesse parole,
sorprendendosi nel
sentire le labbra di Levi sulle sue in un bacio leggero ed effimero.
«Smettila
di
pensare.» fu il suo sussurro sulle labbra, mentre lo sguardo
serio ed intenso
si fissava nei suoi occhi senza mai abbandonarli. «Non
pensare alle conseguenze
delle tue azioni e nemmeno ai rimpianti che potrai provare alla fine di
questa
giornata. Goditi semplicemente ciò che ti viene
donato.»
«E
che cosa
sarebbe? La tua presenza, un bacio o un ballo con te?»
«Potevi
fermarti anche al “la tua presenza”, Eren. Nessuno
si può vantare di avermi
portato al matrimonio del suo migliore amico come fidanzato
ufficiale.»
«Oh,
ne sono
lusingato!» replicò con sarcasmo, cercando di
allontanarsi dal volto di Levi
ancora maledettamente vicino a lui. Troppa era la tentazione di
baciarlo ancora
ed era una sensazione ingestibile per il suo cuore che batteva ancora
con
velocità.
«Eren,
avrei
potuto anche dirti di no. Vorrà pur dire qualcosa per
te!» continuò con tono
esasperato il suo superiore alzando anche gli occhi al cielo.
«Ma
cosa?
Dannazione!» sbottò nuovamente e, in risposta,
Levi tornò a baciarlo. Questa
volta il gesto fu più intenso e più lungo,
prolungato anche dalle mani del
maggiore posate sulle guance di Eren per non farlo allontanare.
«Questa
è
una risposta che puoi trovare solo tu. Se vuoi, ne parleremo alla fine
della
serata.» mormorò contro alla sua bocca. Un pollice
gli accarezzava lo zigomo in
un movimento semicircolare, nel tentativo di farlo tranquillizzare
ancora una
volta e non fargli pensare a niente.
«Promesso?»
domandò alla fine, rassegnato, mentre posava le loro fronti
l’una contro
l’altra.
«Promesso.
Ora portami a ballare.» pretese alla fine, sfiorandogli un
ultima volta le
labbra.
«Che
fidanzato esigente.» ribatté con una risatina un
po’ nervosa, mentre si alzava
in piedi e si tirava dietro Levi.
Mentre
si
avvicinavano alla pista da ballo, il deejay cambiò canzone e
mise un valzer.
Eren riconobbe subito la canzone: Lightweight di Demi Lovato. Gli era
capitato
diverse volte di ascoltare quella canzone, sognando un amore che gli
avrebbe
tolto il fiato o fatto sentire senza peso come diceva la canzone.
Sembrava
strano da parte sua, ma era davvero una persona romantica che, il
più delle
volte, non lo dimostrava. In quella farsa, in cui avrebbe dovuto
dimostrarsi
davvero romantico, non riusciva proprio a mostrare quel lato di
sé,
probabilmente per i suoi dubbi o per la presenza intimidatoria di Levi
al suo
fianco.
«Calmati,
Eren. Ci siamo solo io e te!» gli sussurrò piano
Levi, avvolgendogli la vita in
una presa salda ma delicata. La sua mano libera andò a
cercare quella di Eren,
facendo intrecciare le loro dita in una stretta ferrea e sicura.
When
you pull me close
Feelings
I’ve never known
They
mean everything
And
leave me no choice
Il
suo cuore
prese a battere all’impazzata mentre si rendeva conto di
quanto vicini erano i
loro corpi. Il suo volto divenne anche incandescente, mentre cercava di
non
guardarlo direttamente negli occhi. Non aveva molte alternative,
però: o
guardava i suoi occhi o si spostava più in basso, lungo la
linea del naso fino
ad arrivare alle labbra fini e morbide che desiderava baciare ancora
una volta.
Non aveva nemmeno la possibilità di alzare lo sguardo ed
osservare la sala
intorno a loro, rischiando di sembrare innaturale e poco reale.
Guardarlo negli
occhi, però, significava sentirsi nudo davanti a lui e
ancora più scoperto di
quanto già non fosse; Levi doveva aver sospettato qualcosa
dei suoi pensieri e
su cosa potesse averli causati. Non avrebbe avuto senso fargli notare
che,
forse, i suoi amici avrebbero potuto avere dei sensi di colpa per aver
causato
un eventuale litigio fra di loro.
Light
on my heart, light on my feet
Light
in your eyes I can’t even speak
Do
you even know how you make me weak
I’m
a lightweight
Better
be careful what you say
With
every word I’m blown away
You’re
in control of my heart
I’m
a lightweight
Easy
to fall, easy to break
With
every move my whole world shakes
Keep me from falling apart
Il
braccio
intorno alla sua vita lo strinse ancora di più al corpo di
Levi mentre,
automaticamente, andava ad appoggiare la mano libera sulla sua spalla.
Il suo
capo doveva proprio aver intuito che qualcosa non stava rigando dritto
nella
sua mente per arrivare a rafforzare la presa intorno a lui. Che cosa
stava
pensando Levi, in quel momento? Perché era disposto ad
arrivare fino a quel
punto per farlo star calmo e sembrare naturale? Forse, disse una parte
fastidiosa dentro di lui, stava già contando le ore di
straordinario che
avrebbe fatto dal giorno dopo. Probabilmente, senza cuore
com’era, non aveva
davvero intenzione di farlo stare davvero bene nel vero senso del
termine, ma
solo farlo tranquillizzare quel che bastava per fargli abbassare la
guardia.
«Eren,
stai
ancora pensando al fatto degli straordinari?»
domandò piano Levi, che si tese
un po’ per dargli un bacio sulla mascella. Un gesto leggero
che continuò finché
le labbra non furono vicine al suo orecchio. Il contatto tra i loro
corpi
sembrò farsi ancora più intenso, causando un
acceleramento del suo cuore già
messo a dura prova dalle emozioni di quell’ultimo istante.
«Pensa a
qualcos’altro. Va bene tutto, purché non ti
trasformi in un bastone di legno
fra le mie braccia.»
«Te
ne sei
accorto per questo? Perché sono un bastone di
legno?» domandò con un piccolo
sorriso, guardandolo negli occhi con attenzione.
«E
perché i
tuoi occhi sono persi chissà dove. Non mi stai guardando
come prima.» mormorò
con dolcezza, lasciando che gli angoli delle labbra si piegassero
all’insù in
un sorriso appena accennato.
«Oh.»
fu la
sola risposta di Eren, mentre appoggiava la testa contro la sua fronte.
Chissà
cosa c’era nei suoi occhi ogni volta che guardava Levi. Non
volle chiederlo,
preferendo rimanere all’oscuro dei suoi stessi sentimenti.
Quali
altri
pensieri poteva seguire, però, senza far pensare a Levi di
star navigando in
acque pericolose? Non ne aveva molti, in realtà; forse
poteva pensare alla
promessa che lui e Jean si erano fatti in passato. “Peccato che Jean sia spostato ora. E lo ha fatto
prima dei trent’anni.
Sono l’unico dei due che è ancora da solo e lo
sarà molto a lungo”, pensò
quasi con amarezza, decidendo che quel pensiero non era adatto. Come
non era
adatto pensare a quello che Jean vedeva in quel momento, mentre
ballavano al
centro della sala. Sicuramente, notava la somiglianza fra Mikasa e
Levi:
capelli scuri, viso bianco e dai lineamenti esotici. Anche gli occhi,
se non
osservati con attenzione, sembravano uguali. E Jean non li avrebbe
guardati con
la stessa attenzione che utilizzava lui per bearsi di Levi e della sua
presenza. Gli occhi di Levi erano grigi, quasi metallici, la cui
intensità
variava a seconda delle emozioni che dominavano il suo sguardo. In quei
due
anni di lavoro a stretto contatto con lui, aveva notato che variavano
dal
grigio ghiaccio, quando era furioso, al metallo fuso e bollente, come
stava
succedendo in quel momento. Per tutta la giornata, quando gli occhi di
Levi si
puntavano su di lui rispecchiavano l’argento che si fondeva
lentamente. Il suo
cuore fece una capriola nel petto mentre veniva catturato da quello
sguardo che
lo stava incantando abilmente. E l’incantesimo
finì nello stesso istante in cui
la musica si interrompeva e veniva annunciato il taglio della torta.
Mentre il
loro sguardi si allontanavano l’uno dall’altro,
Eren trattenne a stento una
maledizione che avrebbe fatto scandalizzare tutti i presenti. Si stava
innamorando di Levi, forse? Non aveva spiegazioni più
logiche di quelle per
essersi soffermato a descrivere il colore dei suoi occhi come se non
avesse
fatto altro che studiarlo con minuzia. E se la soluzione era quella,
poteva
considerarsi spacciato.
***
«È
stata una
bella giornata.»
«Sì,
piacevole.»
Eren
e Levi
erano fermi davanti alla porta di casa del più piccolo,
guardandosi negli occhi
con un velo di imbarazzo più o meno celato. La festa si era
protratta a lungo,
raggiungendo orari che stavano diventando improponibili. Verso
mezzanotte,
quindi, si erano congedati appellandosi agli impegni lavorativi del
giorno dopo
e il desiderio di dormire un po’ prima della full immersion
settimanale.
Rimasero
in
silenzio per qualche istante, prima di lasciarsi andare ad una piccola
risata
nervosa. Eren stringeva anche il bouquet dello sposo fra le mani,
rischiando
anche di rovinarlo; quando gli era finito fra le mani, quella sera, era
rimasto
pietrificato al punto da limitarsi ad osservarlo spaesato e senza
parole,
finché Jean non gli aveva detto che sarebbe stato felice di
fare da testimone
al loro matrimonio. Il suo migliore amico era andato avanti per una
buona
mezz’ora a lanciare frecciatine sul loro possibile
matrimonio, fino al momento in cui Levi non lo aveva
minacciato di smarrire
erroneamente la sua partecipazione
se
non fosse stato zitto.
«Cosa
ne
farai?» domandò Levi, indicando il mazzo di rose
rosse e velo da sposa.
Nonostante il suo significato, la composizione era davvero bella ed era
un
peccato buttarla via.
«Mia
madre
sarà contenta di tenerlo. Soprattutto se iniziasse a pensare
che potrei davvero
sposarmi.» rispose con una breve risata, sospirando piano.
Tornò a guardarlo
negli occhi con attenzione, facendogli un piccolo sorriso.
«Allora ci vediamo
domani.»
«Sì.
Dovremo
sistemare un po’ di cose.» replicò Levi,
guardandolo negli occhi con intensità.
Un brivido percorse la sua schiena, mentre la gola si seccava e il
respiro
diventava più affannoso. Non capiva perché si
sentiva così solo per uno sguardo
intenso ed un paio di labbra fini e morbide che sembravano dargli
più emozioni
di qualsiasi altra cosa. «Levi…» lo
chiamò in un sussurro nello stesso momento
in cui il più basso si avvicinava di nuovo a lui.
«Shh.»
lo
zittì velocemente con un gesto, prima che le sue labbra si
posassero nuovamente
sulle sue. Il bacio che gli donò, però, era molto
più intenso e passionale di
tutti quelli che si erano scambiati durante la giornata, che erano
stati più
leggeri ed effimeri. Quel gesto gli tolse il fiato nonostante stesse
impegnando
tutte le sue energie per ricambiarlo completamente.
Non
seppe
quanto rimasero così, stretti l’uno fra le braccia
dell’altro, a scambiarsi
quel bacio che sembrava significare tante cose che portavano a tante
domande
senza risposta.
«Avevi
promesso che ne avremmo parlato dopo la festa.»
mormorò Eren contro alle sue
labbra, mentre scioglievano lentamente l’abbraccio in cui si
erano stretti l’un
l’altro senza nemmeno rendersene conto.
«Lo
so. Ti
chiedo di pazientare ancora un po’, Eren. Abbiamo bisogno di
pensare entrambi»
rispose seriamente il superiore, accarezzandogli il volto con un gesto
leggero prima
di mettere distanza fra di loro. Sospiro piano, guardandosi intorno.
«Domani
avrai tutte le risposte vuoi, se le vorrai ancora avere.» gli
disse con
espressione seria, voltandosi verso la sua auto ed iniziando a fare
qualche
passo verso di essa. «Buonanotte, Eren.»
Una settimana dopo, circa.
Quel
bacio
sulla porta di casa sua stava ancora tormentando Eren e il suo povero
cuore.
Per quanto ci pensasse e cercasse una spiegazione logica al gesto di
Levi, non
riusciva ancora a trovare una risposta. Perché lo aveva
baciato? Perché lo
aveva fatto davanti a casa sua, dove nessuno poteva vederli?
C’era,
però,
una domanda che danzava nella sua mente più delle altre,
facendolo svegliare la
notte e togliendogli il fiato al solo pensiero: perché aveva
ricambiato il
bacio? Non lo aveva fatto con titubanza, ma con il terrore di non poter
più
baciare Levi dopo quella giornata insieme. Lo aveva ricambiato con la
consapevolezza di una persona innamorata.
Non
aveva
mai trovato una risposta a quella domande perché, vigliacco
com’era, aveva
iniziato ad evitare Levi per questioni che non riguardavano il lavoro.
A nulla
erano valsi i commenti di Petra e di Armin su quello che era successa
quella
domenica; li aveva ignorati come aveva ignorato le occhiate di Levi
dirette a lui
anche quando non aveva bisogno del suo aiuto. Eren aveva liquidato ogni
suo
tentativo di creare qualcosa o di dare una spiegazione o fare qualsiasi
cosa
volesse fare dopo quella sera.
***
«Eren.
Perché stai lì impalato?»
Armin
scosse
la spalla di Eren, fermo in mezzo al corridoio dell’ufficio.
Aveva notato che
lo studio di Levi, che aveva le porte spalancate ogni mattina, era
chiuso come
se non ci fosse nessuno al suo interno.
«Lev---umh,
il capo non c’è?» domandò
piano, voltandosi a guardare l’amico negli occhi.
Cercò di mantenere un’espressione neutra, come se
non gli importasse veramente
dell’assenza di Levi. Nel profondo, però, si
sentiva quasi messo da parte e
abbandonato nonostante avesse causato tutto quanto lui. Sicuramente sul
suo
volto era apparso qualcosa a mostrare il suo reale stato
d’animo.
«Te
l’ho
detto ieri. Sarebbe partito oggi per un viaggio di lavoro. Andava a
Roma.» gli
disse Armin guardandolo con un sopracciglio inarcato perché,
nonostante tutti i
suoi tentativi, la sorpresa e la delusione superarono la maschera di
indifferenza che cercava di indossare. «Starà via
per una settimana, Eren. Non
è tanto.» cercò di tranquillizzarlo
subito, sorridendogli anche con dolcezza.
«Quando
parte?» domandò in fretta, mordendosi nervosamente
il labbro inferiore prima di
portarsi la mano alle labbra. Si morse la punta del pollice, come
succedeva
ogni volta che era molto nervoso o preoccupato.
«Alle
10. Ma
Eren… Dove stai andando?» lo chiamò in
fretta Armin, vedendolo correre
velocemente verso la sua scrivania per prendere il cellulare e le
chiavi dalla
macchina. Per qualche secondo ignorò il suo migliore amico,
prima di fermarsi
davanti a lui e guardarlo negli occhi.
«Devo
andare
da lui. Lo so che è stupido, avventato e senza senso, visto
che ritornerà fra
qualche giorno.» disse con calma, facendogli un sorriso
tranquillo. «Ma ho
rovinato tutto e devo assolutamente farmi perdonare. Avrei dovuto darvi
retta
fin da subito e parlargli, invece di evitarlo in questo modo.»
«Ma,
Eren,
cosa cambierà se vai adesso?» domandò
l’amico seguendolo fino all’ascensore.
«Forse
niente o forse tutto. Devo solo provare.»
Mentre
le
porte dell’ascensore si chiudevano a separarli, si rendeva
conto che, con ogni
probabilità, Levi gli avrebbe fatto pagare ogni singolo
giorno in cui lo aveva
ignorato stupidamente. Forse non lo avrebbe nemmeno perdonato subito,
tenendolo
sulle spine fino alla fine del suo viaggio.
«Perché siete così
maledettamente stupidi?»
Petra
era la
stata prima ad accorgersi di quello che era appena fiorito fra di loro.
Nel
momento in cui aveva saputo quello che era successo, dopo aver
ascoltato con
attenzione il resoconto dettagliato della giornata, era arrivata alla
conclusione che Levi non lo avrebbe mai baciato, nemmeno con la
possibilità di
un pagamento in straordinari, se non esistesse qualche sentimento
profondo.
«Lo sappiamo tutti che Levi è
un maniaco
dell’igiene. Evita quanto può ogni contatto
fisico. Se potesse, farebbe lavare
le mani a chiunque debba incontrare per lavoro. Deve provare qualcosa
per te,
se ti ha baciato di sua iniziativa.»
Mentre
accendeva la sua auto, pronto a partire per l’aeroporto, si
rese conto che
Petra aveva capito tutto fin da subito. Ogni dipendente di Levi sapeva
della
sua attenzione per l’igiene e come faticava a sopportare il
contatto fisico con
qualcosa di sporco. Era ovvio che ci fosse qualcosa di profondo. Che
idiota!
«Come ti sei sentito con lui?»
«Perché hai ricambiato i suoi
baci?»
«Perché hai chiesto proprio a
lui di
accompagnarti?»
«Avresti potuto chiedere a qualsiasi
persona, eppure hai scelto lui.»
Poteva
continuare a darsi dello stupido, vero? Aveva passato i giorni prima
del
matrimonio a chiedersi perché avesse scelto proprio lui e
quelli successivi a
domandarsi per quale motivo avesse accolto con gioia ogni bacio ed ogni
gesto
di Levi. La risposta era stata così ovvia fin
dall’inizio, ma lui era stato
talmente cieco da non vederla.
«Jean mi ha raccontato che Levi ha
implicitamente detto che ti sposerà. So che, molte volte,
Jean capisce ben poco
della situazione reale, ma anche Marco era convinto di
questo.»
«Dai, Eren. Rispondi alla zia Petra e al
fratellino Armin. Siamo dei vecchi pettegoli che vogliono sapere come
sei stato
con Levi.»
«Come ti fa sentire?»
«Senti le farfalle nello
stomaco?»
«Tocchi il cielo con un dito?»
Benedetti
Armin e Petra, che per un paio di giorni non gli avevano dato tempo di
pensare
a qualcosa che non fosse Levi e a quello che provava per lui.
“Sono un idiota”
pensò con rabbia,
mentre schiacciava l’acceleratore in prossimità di
un semaforo che stava per
diventare rosso. Non si sarebbe stupito se, entro qualche settimana,
avrebbe
ricevuto una multa per aver superato i limiti di velocità ed
essere passato ad
un paio di semafori rossi. Quello era un effetto collaterale che poteva
anche
sopportare se significava arrivare in tempo da Levi e dirgli tutto
quello che
provava.
Mentre
lottava contro il tempo e contro le strade trafficate, ammise che Levi
era
tutto per lui. Levi era una casa, era un porto sicuro. Levi era
qualcuno che lo
faceva sentire bene con pochi gesti, nonostante le battute squallide e
le
risposte dirette e, talvolta, fredde. In quei due anni di
collaborazione
insieme, aveva avuto modo di osservare con attenzione ogni singolo
cambiamento
nel loro rapporto senza nemmeno rendersi conto di farlo. Il
caffè caldo che
trovava sulla sua scrivania quando arrivava in ufficio; ogni volta che
Levi
chiedeva di lui per aiutarlo con qualche lavoro incombente; i gesti
disinteressati, le carezze sulla nuca quando era stanco, i complimenti
velati
di sarcasmo; i regali per il suo compleanno, donati come
“ringraziamento
dell’azienda per essere ancora qui”; e poi
occhiate, mezzi sorrisi, domande
casuali sulle vacanze o sulla famiglia; gli sguardi di rispetto,
frammentati
dal distacco dedicato al resto dell’ufficio; i suoi inviti a
passare con lui la
pausa. Aveva notato tutto, ma non aveva mai dato peso a nessuna di
quelle
azioni.
Eren
scartò
di colpo un’auto che andava troppo lenta, suonando il clacson
come un pazzo, imboccando
subito dopo la rampa d’uscita che portava alla sua meta. Non
poteva ritardare
un minuto di più o si sarebbe pentito amaramente della sua
stupidità. Non si
preoccupò nemmeno per un istante dove e come parcheggiava la
macchina,
dimenticandosi quasi di chiuderla, mentre scattava verso
l’edificio davanti a
lui.
“Attenzione, i passeggeri del volo EY5648
diretto a Roma sono pregati di avvicinarsi al gate di imbarco indicato
sul
tabellone.”
La
voce del
personale di terra stava chiamando il volo per Roma, quello di Levi, ed
Eren
aumentò la sua corsa ancora di più, dopo aver
scorto il gate da raggiungere per
poter intercettare Levi. Sperava di poterlo vedere prima che partisse.
Eren
andò a sbattere contro le persone che incontrava, cercando
di schivarne altre
nello stesso momento. Ricevette insulti e occhiate omicide, ma
continuò a
correre finché non lo intravide fra la folla.
«LEVI!»
urlò
con tutta la sua voce per attirare la sua attenzione. Forse il vociare
dei
viaggiatori era troppo alto o forse Levi stava cercando di ignorarlo.
Non
sapeva per quale motivo, ma non si girò al primo richiamo.
«LEVI!»
gridò ancora, cercando di alzare ancora di più la
voce al punto di farsi male
alla gola. Tossì nel tentativo di far passare quella
sensazione pungente che sentiva
alla trachea. Questa volta, però, Levi si girò a
guardarlo. I loro occhi si
incrociarono e, per un istante, niente sembrò esistere oltre
a loro finché Eren
non lo vide scuotere la testa e mormorare qualcosa. Che fosse arrivato
tardi e
Levi avesse perso ogni speranza? Si fece largo fra l’ultimo
gruppo di gente,
fermandosi alla fine davanti a lui.
«Sono
in
ritardo.» disse a mo’ di saluto, azzardandosi a
fare un sorriso nonostante la
faccia di Levi fosse impassibile all’estremo
dell’apatia.
«Non
ci
avevo fatto caso.» ribatté con sarcasmo il
corvino, inarcando anche un
sopracciglio come se lo sfidasse a dire qualsiasi cosa per discolparsi
dal suo
comportamento idiota.
«Scusa.
Mi
sono comportato come un idiota e…»
«Potresti
evitare di constatare l’ovvio, Eren?» lo interruppe
subito, fulminandolo con lo
sguardo. Sembrava volergli dire tante cose, da quanto lo detestava per
averlo
evitato a quanto era stato male nell’averlo aspettato fino
all’ultimo. «Perché
sei venuto qui?»
«Volevo
parlarti.» rispose semplicemente Eren, con una vocina bassa e
titubante. Tutto
il suo coraggio e la risolutezza erano spariti sotto
all’occhiata fredda di
Levi. Non lo aveva mai guardato in quel modo, come se fosse stato
tradito nel
peggiore dei modi.
«Parla,
allora. Ma vedi di fare in fretta: ho un aereo che sta per
partire.» si lasciò
andare con voce insofferente e tono spiccio, mentre guardava
l’orologio che
aveva al polso come se volesse mettergli ancora fretta. Il gesto lo
mandò in
panico al punto da dimenticarsi quello che voleva dire; non poteva
finire in
quel modo, senza nemmeno avere la possibilità di dire niente
di quello che
aveva pensato. Gli occhi pizzicarono pericolosamente per colpa delle
lacrime
che, traditrici, volevano rigare le sue guance.
«Ti
amo,
Levi.» confessò improvvisamente, mosso dal
semplice istinto che lo aveva
guidato fino a quel punto. «E sono stato cieco a non
accorgermi di esserlo
stato dal primo momento. Avrei dovuto capire subito cosa provavo per te
e che
anche tu provassi qualcosa per me. Non avrei dovuto evitarti, non avrei
dovuto
fare tante cose in questi giorni. E le uniche cose che
dovevo…»
«Cosa
speri
di ottenere dicendo ora queste cose?» lo interruppe
nuovamente, lo sguardo
distante e disinteressato a quello che stava succedendo davanti lui.
Il
suo cuore
si spezzò alle sue parole e al suo tono di voce,
disinteressato quanto la sua
espressione. «Non lo so.» rispose sinceramente,
facendo un debole sorriso come
se fosse contento solo con quello. «Forse voglio solo
mettermi il cuore in
pace, qualsiasi cosa ne venga fuori. E…
E…»
Questa
volta
non c’era nessuno a bloccarlo se non il suo stesso corpo e le
sue stesse
emozioni. Si morse il labbro inferiore con forza, mentre le lacrime
iniziavano
a scorrere lungo le sue guance una dopo l’altra, in una
pietosa discesa che
mostrava la sua debolezza. «Io…Scusa, non
guardarmi!» singhiozzò appena,
nascondendo il volto fra le mani mentre cercava di frenare quel pianto
incontrollato. Con quell’azione, non vide
l’espressione sconvolta di Levi.
«Eren!»
lo
chiamò subito, avvicinandosi di colpo a lui per togliere le
mani dal suo volto.
«Scusa.
Scusa. Scusa.» ripetè senza sosta, come se stesse
recitando un mantra per
bloccare il pianto. Si accovacciò a terra, nascondendo il
volto fra le
ginocchia, mentre Levi lo abbraccia con forza e cercava di farlo
smettere.
«Non
devi
chiedere scusa.» mormorò piano, obbligando Eren ad
alzare lo sguardo per
guardarlo negli occhi verdi pieni di lacrime. «Non volevo che
piangessi. Ho
esagerato.» ammise a fatica, mentre gli dava un bacio leggero
sulla fronte
simile ai tanti che gli aveva dato il giorno del matrimonio.
«Non avrei dovuto
fare tante cose oggi; per esempio, fare finta che non mi importasse
più niente
di te… di noi. O metterti fretta dicendo che non ho tempo.
In verità, ho tutto
il tempo di questo mondo se significa stare con te.»
Eren
prese
coraggio, alla fine, nonostante le lacrime continuassero a bagnare
ancora il
suo volto per osservare Levi mentre parlava. Quello che si
trovò davanti gli
tolse il fiato perché l’uomo gli stava dedicando
il sorriso più bello che
poteva apparire sulle sue labbra. Il suo cuore saltò di
gioia nel petto,
togliendogli il fiato com’era successo la sera di quel bacio.
«Quindi…?»
domandò piano, con voce tremante e roca, implorandolo di
dargli una risposta
sincera.
«Volevo
farti penare un po’. Non pensavo che la situazione sarebbe
sfuggita così di
mano. Non sono così bravo con le parole da impedire alla
situazione di
degenerare.» ammise con un sospiro, mentre gli accarezzava il
labbro inferiore con
il pollice per liberarlo dalla presa dei denti. «Eren, penso
che ormai lo avrai
già capito, ma ti amo anch’io.»
Il
ragazzo
rischiò di andare in iperventilazione, mentre il cuore
esplodeva davvero nel
suo petto per la gioia e le farfalle volavano nello stomaco ed in ogni
parte
del suo corpo. Rimane in silenzio, cercando di assorbire appieno le sue
parole,
prima di afferrare il collo della camicia e tirarlo verso di
sé con un gesto
secco.
«Guai
a te,
se mi fai stare ancora così.» sibilò
contro alle sue labbra, avvicinandosi
piano per prendere l’iniziativa.
«E
tu non
essere così maledettamente cieco, la prossima
volta.» ribatté Levi, poco prima
che le loro bocche si incontrassero in un bacio lento ed inteso,
ignorando la
gente intorno a loro che lanciava sguardi infastiditi perché
si trovavano in
mezzo al cammino. Quello che contava per loro, in quel momento, era
rimanere
l’uno fra le braccia dell’altro.
“Attenzione: ultima chiamata per il volo
EY5648
diretto a Roma. I signori passeggeri sono pregati di avvicinarsi al
gate di
imbarco.”
15 Giugno 2016
Il
caldo
afoso era insopportabile in quel momento. La maglietta che indossava
era
completamente appiccicata alla schiena e il sudore che colava dalla
fronte
arrivava negli occhi, facendoli bruciare.
«Levi,
non
resisto più.» si lamentò Eren, la
schiena piegata in avanti e le mani
appoggiate sul bordo del materasso per sorreggersi.
«Oh?
Eppure
prima eri così felice di farlo, amore.»
ribatté Levi, dandogli uno schiaffo sul sedere che lo fece
sussultare dalla
sorpresa.
«Ma
non
pensavo che mi avresti sfruttato come un mulo. Non dovevi aiutarmi
anche tu, a
fare la valigia?» si lamentò come un bambino,
lasciandosi cadere sul letto
prima di gattonare verso Levi, che si era seduto comodamente a leggere
un libro
e a dargli, nuovamente, degli ordini.
«Mi
pare di
avertelo detto, invece.» rispose con calma, appoggiando il
libro sul letto per
tendersi verso di lui e asciugargli, con un fazzoletto, la fronte
bagnata di
sudore. Gli sorrise con calma, dandogli semplicemente un leggero bacio
sulle
labbra ancora tese in una smorfia offesa.
«E
perché
non funziona il condizionatore?» domandò subito
dopo, mettendosi comodo al suo
fianco. Non gli importava molto di essere fradicio di sudore; si mise
lo stesso
con la testa appoggiata alla sua spalla ed andò ad
intrecciare le dita con le
sue.
Forse
dire
che era fradicio era un po’ esagerato; si sentiva appiccicoso
per l’afa, ma
niente di così fastidioso da tenerlo lontano da Levi.
«Perché
ci
siamo trasferiti qui da due giorni e la compagnia che si occupata di
tutto
verrà a sistemarlo mentre saremo in vacanza.»
disse con calma, anche se Eren
aveva chiesto la stessa cosa almeno due volte quel giorno.
«Quando torneremo,
non soffrirai più il caldo.»
Questa
risposta, la stessa delle altre due volte, sembrò farlo
calmare almeno per un
po’. Continuava a fare caldo, avevano ancora le valige da
fare e la casa era
ancora spoglia perché non tutte le loro cose erano arrivate,
ma erano insieme e
felici e contava solo quello al momento. Oltre al fatto che erano
sposati da
meno da una settimana.
«È
passato
un anno, lo sai?» domandò improvvisamente il
castano, spostando un po’ la testa
per potergli lasciare un bacio sul collo bianco.
«Un
anno?»
ripetè dubbioso, senza capire a cosa si riferisse suo
marito. Gli accarezzò
piano il dorso della mano mentre si abbassava a guadarlo negli occhi.
«Sì,
un anno
da quando ti ho chiesto di fingere di essere il mio
fidanzato.» rivelò con uno
sguardo talmente serio che sembrava chiedergli come potesse non
ricordarsi
quella data. «E undici mesi e mezzo dal matrimonio di Jean e
Marco. Il bouquet
che ho preso ha portato fortuna.»
Levi
si
lasciò andare un sospiro quasi esasperato, prima di
lasciarsi andare ad una
risata tranquilla. «Abbiamo già scoperto chi si
ricorderà le date fra noi due.»
lo prese in giro, scusandosi subito con un bacio sulla guancia ed uno
sulle
labbra morbide.
«Sei
cattivo!» mormora contro alla sua bocca, ricambiando subito
il bacio con la
stessa dolcezza. Levi si limitò a ridacchiare continuando a
baciarlo fino a farlo
sdraiare sul letto sotto di lui. Nei movimenti che fecero,
però, non sciolsero
la stretta delle loro mani, rafforzandola ancora di più
quando il corvino portò
la mano sinistra di Eren alle labbra per poter baciare
l’anulare e, di
conseguenza, la fede che splendeva su di esso. Il giovane si
trovò ad arrossire
come sempre, imbarazzato dalla devozione che Levi impiegava in quel
gesto così
dolce e pieno d’amore.
«Mi
piace
vedere come reagisci ogni volta.» mormorò con voce
bassa e dolce, chiaramente
innamorato dell’uomo che stava guardando negli occhi in quel
momento. «I tuoi
occhi sono come un libro aperto: non mi nascondono niente, mostrandomi
sempre
cosa provi.»
«Perché
devi
sempre dirmi queste cose così imbarazzanti?»
domandò con un broncio, facendo
ridere Levi che gli diede un altro bacio sulle labbra.
«Perché
mi
piace vedere come diventi rosso. In questo modo i tuoi occhi
risplendono ancora
di più.»
«Levi!»
lo
richiamò con un lamento, facendo ridere ancora il suo sposo.
«Scusa.»
disse con calma, anche se non si scusava proprio di quello che faceva.
Eren lo
sapeva bene che sarebbe andato avanti a farlo imbarazzare visto che, in
quell’anno insieme, non aveva fatto altro.
I neo
sposini rimasero in silenzio, scambiandosi dolci baci e carezze
leggere. Erano
entrambi stanchi e il caldo non aiutava a dar loro la forza di fare
qualsiasi
cosa se non passare tutto il tempo nel loro letto. Quello era
l’inizio di una
nuova vita insieme, lunga e costellata di eventi di ogni genere. Eren
sapeva
che, nonostante tutto, avrebbero litigato per cose stupide e non si
sarebbero
parlati per giorni. Era sicuro, però, che si sarebbero
riconciliati sempre,
trovando sempre nuovi motivi per non arrendersi alle prime
difficoltà. Dopo
tutto se erano arrivati fino al matrimonio, potevano arrivare anche
oltre ad
ogni cosa.
Lentamente
prese la mano di Levi, quella della fede, e la avvicinò al
viso per imitare il
gesto che Levi faceva sempre. Premette le labbra al lungo, socchiudendo
gli
occhi prima di alzare il viso per guardarlo negli occhi con amore e
felicità.
«Ti
amo,
Eren.»
«Finché
morte non ci separi.» mormorò in risposta.
«No,
anche
oltre la morte.»
Fine
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