Ciao
a tutti!
Siamo
Melly e Franny e stiamo scrivendo questa storia a quattro mani da un
po' di tempo, esattamente da quando abbiamo scoperto Maze Runner.
Dopo
aver visto il film e letto i libri ci siamo totalmente innamorate di
Newt e Minho, perciò abbiamo iniziato a covare l'idea di
riscrivere
la saga con la nostra gentile partecipazione muahahah
Il titolo
è "Never stop running" per il semplice fatto che non ce n'è
venuto in mente uno migliore xD accettiamo quindi suggerimenti :)
Per quanto riguarda
la storia, sebbene rispecchi abbastanza i libri – e sia
ancora in
lavorazione, anche se abbiamo scritto già una sessantina di
pagine- ,
abbiamo voluto aggiungervi vari teatrini che dovrebbero far
ridere, che vedono come protagonisti la nana malefica -Melly- e
sopratutto Gally detto semplicemente il Gallo.
La
principale madre delle idee più pazze e contorte
è ovviamente
Melly, mentre io -Franny- sono la beta e colei che cerca di rendere
presentabile questa accozzaglia di pazzie quali sono le nostre
fantasie.
Speriamo
che la storia vi piaccia e vi diverta tanto quanto a noi.
Melly-pive
& Fra-pive banana
P.S. Cerchiamo
qualcuno che possa farci un bel banner xD
Prologue
Quando
Minho si svegliò quel mattino, capì all'istante
che qualcosa quel
giorno sarebbe cambiato.
Non
aveva idea di cosa si trattasse -la Radura, da quando erano arrivati,
era sempre stata pervasa da uno strano senso di quiete e ordine- ma
le viscere gli dicevano che c'era qualcosa di strano nell'aria.
Il
suo istinto gli diceva che qualcosa
stava per accadere.
E
la vera incognita stava nel fatto di se si trattasse di qualcosa di
bello o di brutto.
Non
appena le porte del Labirinto si furono aperte bloccandosi con un
colpo secco, tanto da fargli tremare le ossa, Minho si
scambiò un
cenno con gli altri velocisti, per poi partire a tutta birra verso i
lunghi corridoi che sembravano estendersi all'infinito.
Ormai
il ragazzo aveva memorizzato a memoria i passaggi e gli angoli da
svoltare della sua Sezione, indipendentemente dai cambi dei muri.
Avrebbe
potuto disegnare tutte le varie piante dei cambiamenti ad occhi
chiusi.
Minho
e gli altri, il primo gruppo arrivato nella Radura, vivevano dentro
quel Labirinto da più di un anno e non avevano ancora capito
quale
fosse il modo per uscire di lì.
Sebbene
fossero già stati in molti a perdere le speranze, non c'era
giorno
che nel cuore del velocista non nascesse la speranza di trovare una
soluzione a quell'enigma indecifrabile.
Anche
se a volte gli capitava davvero di chiedersi se non fosse tutto
inutile, se non fosse meglio rinunciare a quell'impresa impossibile e
vivere felicemente nella Radura.
Sempre
che la Radura si potesse considerare un posto felice dove vivere.
Certo,
gli altri ragazzi non erano malaccio, a parte Gally e la sua cricca
di sploff.
E
poi, da quando Minho era diventato Intendente dei velocisti, nemmeno
Alby aveva più osato alzare troppo la voce con lui.
Quindi,
ringraziando i suoi polmoni e le sue gambe lunghe, poteva ancora
considerarsi fortunato nella disgrazia.
Godeva
di un bel posto nel Casolare e quando Frypan era di buon umore, gli
riservava la salsiccia più grande.
Poteva
decisamente andargli peggio.
*
* *
Quel
giorno il sole – o quella cosa che avrebbe dovuto essere il
sole,
sempre che potesse considerarsi tale- splendeva più del
solito,
tanto che Minho dovette fermarsi a riprendere fiato prima del
previsto.
Il
cuore gli batteva a mille nel petto, mentre il sudore gli colava sui
vestiti e sulla fronte, bruciandogli gli occhi.
Si
sedette per un momento nell'angolo del lungo corridoio che aveva
appena percorso, le orecchie ben aperte a eventuali segnali di
Dolenti.
Mangiò
velocemente il proprio panino e dopo aver bevuto un ultimo e lungo
sorso d'acqua, si accasciò ancora un istante sulla parete,
per
assaporare quel momento di pace e silenzio.
I
suoi occhi scuri, dal taglio orientale, erano chiusi, quasi il
ragazzo stesse meditando.
Nella
propria mente, stava ripassando per l'ennesima volta la mappa della
Sezione, confrontandola con ciò che aveva visto fino ad
allora.
Niente,
almeno fino a quel momento, era cambiato.
Era
tutto dannatamente
uguale.
Stanco.
ricacciò in una tasca laterale il blocco per appunti in cui
puntualmente annotava ogni conformazione della Sezione, a dispetto
della triste verità.
In
seguito, sospirò e si rimise lo zaino in spalla, per
proseguire nel
lavoro.
Il
suo pomeriggio trascorse quindi così, alla ricerca disperata
di
qualcosa che Minho sentiva dentro di sé non avrebbe trovato.
Quando
la luce del giorno cominciò ad affievolirsi, il Velocista
sentì
nuovamente la strana sensazione di quel mattino.
Un
brivido gli attraversò la schiena, una scarica di
eccitazione e
adrenalina, tanto che si chiese se per caso non avesse un Dolente
dietro il culo e non l'avesse ancora notato.
Minho
si voltò appena e il suo cuore perse un battito vedendo che,
effettivamente, qualcuno
che lo stava inseguendo c'era.
Il
velocista fulminò con lo sguardo il ragazzo biondo che,
correva
nell'intento di raggiungerlo più in fretta possibile, a
dispetto del
suo zoppicare.
«Che
diavolo ci fai qui, razza di pive? Spero tu abbia un buon motivo per
essertela data a gambe, Newt!»
Il
giovane, rosso in viso e col fiatone, si piegò sulle
ginocchia quel
tanto da riprendere il fiato necessario a parlare.
«Mi
spiace, amico... ma cacchio... alla Scarpata c'è qualcosa
che devi
assolutamente vedere!»
I
suoi occhi avevano una luce diversa dal solito.
Sembravano
dannatamente eccitati, pensò confuso Minho.
Di
certo, c'era qualcosa che non quadrava in quella situazione.
Raramente
Newt perdeva la sua calma.
«Spero
per te che ne valga la pena, pive.»
L'Intendente
gli diede una pacca d'avvertimento, prima di seguire il biondo
attraverso la ragnatela di corridoi e vicoli ciechi del Labirinto,
fino ad arrivare alla sua fine.
Lì,
dove la loro prigione finiva, dove l'unica via di fuga possibile era
il vuoto.
Lì,
al confine del loro piccolo mondo, c'era qualcosa che fece restare a
bocca aperta Minho.
Sul
ciglio del precipizio, sdraiate e prive di sensi, c'erano due
ragazze.
*
* *
«Ma
che caspio... »
«Credimi,
amico... ho pensato la stessa cosa.»
Minho
e Newt continuarono a fissare le due giovani con tanto d'occhi, prima
di decidere di avvicinarsi e controllare che fossero vive.
L'Intendente
dei velocisti si avvicinò alla ragazza che, inconsciamente,
faceva
penzolare un braccio nel baratro della Scarpata.
Delicatamente,
lo ritrasse e spostò la giovane di un paio di centimetri, al
riparo
dall'inquietante vuoto.
Minho
si abbassò leggermente verso il suo petto.
Tum
tum. Tum tum.
Il
cuore batteva.
Era
viva.
Quasi
impercettibilmente, sentì un gran sollievo invaderlo, anche
se non
ne capì la ragione.
Newt
nel frattempo si era avvicinato alla ragazza che stava appoggiata,
quasi in posizione fetale, dall'altro lato del corridoio della
scarpata.
Aveva
le labbra semichiuse, forse per respirare meglio.
Tuttavia
a Newt non dispiacque affatto abbassarsi ad ascoltarle il battito,
approfittando dell'occasione per sbirciare il suo seno.
Probabilmente
anche Minho l'avrebbe fatto, se fosse stato solo.
Ma
preferiva di gran lunga che in quel momento la figura del pervertito
la facesse l'amico, visto che la ragazza tra le sue braccia si era
appena svegliata.
Due
enormi occhi castani lo fissavano spalancati, mentre le guance della
giovane, prima lievemente rosate, si accendevano di un rosso accesso.
Prima
ancora che Newt potesse tapparsi le orecchie, la giovane stava
già
gridando abbastanza forte da richiamare tutti i Dolenti delle
vicinanze.
Ma
Minho, per niente scalfito dalla sua aria spaventata, le
tappò le
bocca prima che potesse davvero cacciarli nei guai.
«Sh!
Non c'è bisogno di gridare, non vogliamo farti del
male!»
La
ragazza si ritrasse dalla presa di Minho, lo sguardo fisso sul
ragazzo, le mani tremanti.
Solo
dopo essersi allontanata a sufficienza da lui, ebbe il coraggio di
guardarsi intorno.
I
suoi occhi si riempirono di panico misto a paura, con una punta di
diffidenza rispetto i due velocisti.
«Dove
siamo? Cosa mi avete fatto?» balbettò, il respiro
che le diventava
affannoso.
Newt
cercò di sorriderle e calmarla, alzando le mani in segno di
resa.
«Va
tutto bene... non vogliamo farti del male... »
La
giovane si guardò ancora intorno terrorizzata, puntando il
suo
sguardo su Minho, a poca distanza da lei.
«Chi...
si può sapere chi diavolo siete?»
Il
velocista la esaminò a lungo, gli occhi che vagavano su
quella
giovane che avrebbe potuto costituire una trappola per la Radura.
«Avete
idea di dove vi trovate?» domandò allora
gentilmente Newt, cercando
di avvicinarsi e di spezzare quel silenzio imbarazzante.
La
ragazza sembrò notare solo in quel momento la presenza
dell'altra
giovane che, ignara di tutto ciò che stava accadendo,
giaceva al
fianco del velocista biondo priva di sensi.
«Che
le è successo?» domandò,
avvicinandosele.
I
lunghi capelli neri le ricaddero sul viso mentre esaminava l'altra.
Minho
strinse gli occhi, domandando:
«Vi
conoscete?»
Visto
già l'assurdità di quella situazione, i due
velocisti non si
sarebbero affatto stupiti di una risposta affermativa.
Ma
la ragazza negò con un cenno del capo, per poi mordicchiarsi
un
labbro indecisa:
«Veramente...
non mi pare di ricordare... niente.»
Minho
sospirò, quasi sollevato.
Almeno
un cenno di normalità in quel casino c'era.
«Bene
così.»
Newt
sorrise alla giovane, mentre spostava lentamente l'altra ragazza e la
prendeva in braccio.
I
corti ricci ramati gli sfiorarono la spalla, facendoli il solletico.
«Perchè
va bene? Secondo voi è normale non ricordarsi nemmeno il
proprio
nome?»
Un
lampo di rabbia accese gli occhi della ragazza.
Si
alzò in piedi incespicando, prima di mettersi a braccia
conserte.
«Non
ricordarsi nulla è nella norma quando vieni spedito
qui.»
Minho
fece roteare gli occhi verso gli immensi muri che li circondavano,
che si estendevano a perdita d'occhio dietro di loro.
«Spe...
spedito qui? Ma di cosa... »
«Benvenuta
nel Labirinto, dolcezza. E no, non abbiamo idea di chi siano i
fottuti pive che hanno voluto farci lo scherzetto di sbatterci qui. E
no, non abbiamo nemmeno idea di come voi ci siate spuntate,
qui.»
Minho
assottigliò gli occhi, fissando la ragazzina.
Era
più bassa di lui di almeno venti centimetri e almeno
all'apparenza,
sembrava una ragazza qualsiasi spaventata e rincaspiata per essersi
risvegliata in un cacchio di labirinto con una fottuta amnesia.
Ma
il fatto che lei e l'altra fossero state trovate proprio lì,
alla
Scarpata, dove si supponeva che ci fosse l'unica via d'uscita dal
Labirinto, sempre che si fosse ben disposti per il suicidio, lo
insospettiva non poco.
«Dovremmo
portarle alla Radura.» lo anticipò Newt,
caricandosi meglio la
ragazza dai riccioli scuri che sembrava ancora ignara di tutto
ciò
che le stava accadendo intorno.
Il
biondo dovette interpretare il silenzio di Minho come indecisione,
perchè si affrettò a dire:
«È
quasi ora... dobbiamo tornare e... non possiamo lasciarle
qui.»
L'Intendente
acconsentì con un cenno del capo.
Non
era ancora così malvagio da voler abbandonare due ingenue
ragazzine
alle grinfie dei Dolenti, sebbene quell'affare gli puzzasse.
«Portiamole
alla Radura.» sentenziò alla fine.
I
due ragazzi si incamminarono quindi verso la Porta.
Minho
aveva appena accelerato il passo per seguire Newt verso gli infiniti
corridoi che gli avrebbero riportati indietro, quando si accorse che
la ragazza dai capelli neri non li stava seguendo.
Più
che scocciato, Minho si voltò verso di lei, continuando
però nel
frattempo a correre:
«Si
può sapere che ti prende? Hai intenzione di restare qui, per
caso?»
L'altra
lo fissò rabbiosa, le mani sui fianchi:
«Si
dia il caso che non ho intenzione di seguire nessuno, senza avere
almeno uno straccio di spiegazione su dove diavolo mi trovo o
perchè... »
Digrignando
i denti, il velocista controllò di scatto l'orologio, per
poi
ritornare di fronte alla giovane:
«Ti
ho già detto dove ti trovi. Questo è il
Labirinto. Nessuno sa per
quale fottuta ragione ci abbiano sbattuti qui dentro o chi siano i
responsabili... ma ne parleremo più tardi, ora non
c'è tempo.
Dobbiamo raggiungere la Radura prima che le porte si
chiudano.»
La
ragazza non sembrò soddisfatta da quella risposta, tanto da
iniziare
a replicare aspramente alla sua spiegazione sbrigativa.
Ma
prima che una sola parola potesse uscire dalla sua bocca, la mano di
Minho aveva afferrato la sua e la stava trascinando di corsa
attraverso gli imponenti e sterminati muri del Labirinto.
*
* *
«Cacchio...
questa qui sembrava tanto leggera... ma adesso sta davvero
cominciando a pesarmi!»
Newt
aveva perso un paio di metri rispetto a Minho, che procedeva veloce e
spedito in cima a quella strana fila, il cui ultimo occupante era la
ragazza dai capelli neri.
Decisamente,
Minho valutò che non fosse affatto abituata a correre come
loro, o
almeno non ai loro ritmi quasi disumani.
Aveva
il viso rosso fuoco e grondava sudore da ogni parte; Minho immaginava
anche che i suoi muscoli poco allenati le stessero implorando
silenziosamente di fermarsi, visto il suo rallentare sempre
più
evidente.
Ma
l'Intendente non poteva permettere che quella tipa morisse o restasse
chiusa fuori a fare le nanne coi Dolenti.
Magari
il giorno dopo lo avrebbe fatto, ma prima doveva essere vista da Alby
e gli altri insieme alla sua compagna.
Perciò,
Minho si voltò nella sua direzione, spronandola a muoversi.
La
Porta occidentale si stagliava in fondo al lungo corridoio.
E
mancavano meno di tre minuti alla sua chiusura.
«Ehi
tu! Muoviti! Le porte stanno per chiudersi!»
La
ragazza lo fissò infuriata, prima di cercare di fare leva
sulla poca
forza restatole per raggiungere i due velocisti.
Nel
frattempo, Minho oltrepassò la porta frenando a pochi
centimetri
dalla soglia e alzando una nuvola di polvere.
Pochi
secondi dopo Newt lo raggiunse, la ragazza riccia stretta al petto
ansante.
Mancava
solo l'altra all'appello.
«Maledizione...
»
Minho
sentì il famigliare stridore delle porte che cominciavano a
muoversi, a strisciare sulla fredda pietra per chiudersi sui pericoli
notturni del Labirinto che altrimenti li avrebbero sterminati.
Il
velocista guardò di nuovo lungo il corridoio e
ciò che vide gli
fece accapponare la pelle.
La
ragazza era ferma, inginocchiata, incapace di muoversi e di
riprendere il fiato necessario.
Era
a cento metri.
Solo
cento fottuti metri eppure, il suo corpo aveva smesso di rispondere.
Non
ce l'avrebbe mai fatta.
In
quell'istante, senza alcuna ragione razionale, Minho decise che non
poteva davvero
permettere che ciò accadesse.
Per
quanto inizialmente si fosse imposto che la mocciosa andasse portata
alla Radura per essere vista dagli altri Intendenti e da Alby, ora si
rendeva conto con sempre maggiore chiarezza che quella ragazza poteva
essere un indizio, un qualcosa per trovare un'uscita dal Labirinto.
Tanto
quanto, forse, una trappola.
Ma
non poteva
lasciarla morire.
Lei...
Minho
si accorse che stava correndo verso la ragazzina solo quando
udì le
grida di Newt e Alby, accorso lì insieme a Gally e agli
altri
Radurai.
«Minho,
è troppo tardi! Torna indietro!»
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo, mentre un sorriso
sarcastico gli
si disegnava sul volto stravolto dalla fatica e con scatto felino
raccoglieva la ragazza accasciata.
Ripartì
così velocemente che non gli sembrò di essersi
nemmeno fermato.
Il
cuore sembrava sul punto di esplodergli dal petto.
Venti
metri...
Il
tempo passava, lo spazio si restringeva.
Minho
incitò ogni minuscolo centimetro del suo corpo a farsi
forza, a
reggere quell'ultimo stacco, a portarlo alla salvezza.
Dieci
metri...
Quando
si lanciò con un grido tra le due pareti a pochi centimetri
di
distanza, atterrando sul pavimento di pietra, la ragazza
rotolò di
fianco a lui, sbattendo senza volerlo un ginocchio nel suo
punto debole.
Gridando
ingiurie contro di lei, i Dolenti e i Creatori, Minho si accorse con
velata soddisfazione che le porte erano sigillate, ma loro erano
dentro.
*
* *
«Mi
stai dicendo che queste ragazzine sono spuntate come funghi dalla
Scarpata?»
Alby
se ne stava seduto al centro della Sala usata per richiamare a
consiglio l'Adunanza, mentre i vari intendenti ai suoi lati
borbottavano sottovoce, commentando quell'eccezionale avvenimento.
«Non
sappiamo esattamente come siano arrivate lì, ma dicono di
non
ricordare nulla... »
Newt
ascoltava la riunione a braccia conserte sulla soglia della porta, in
allerta, in caso i Medicali l'avessero avvertito del risveglio
dell'altra ragazza.
«Se
fossero saltate fuori dalla scatola avrebbero avuto un punto in
più... »
Minho
capì all'istante, nei freddi occhi di Alby, che non credeva
a una
parola di ciò che l'estranea aveva dichiarato.
«Non
ho intenzione di correre inutili rischi. Potrebbe trattarsi di una
trappola dei Creatori... »
La
sua bocca si strinse in una linea dura:
«Sbattetela
nella Gattabuia. Lei e anche quell'altra, almeno finché non
sapremo
cosa farne.»
Minho
si voltò verso di lui sbigottito.
Stava
dicendo sul serio?
Non
era del tutto convinto nemmeno lui di quella storia, ma non credeva
neanche che due simili nanerottole potessero fare molto contro un
gruppo di ragazzi grandi e grossi, anche se avessero voluto.
Da
quando Alby era diventato così prudente da richiudere in
Gattabuia
due ragazzine inermi?
«Posso
capire che tutta questa sploff
puzzi di guai,
ma credo che chiuderle al fresco sia un po' troppo.»
Minho
incrociò le braccia, fissando poi ognuno degli Intendenti.
«Beh...
»
Frypan
si grattò il mento con fare pensoso:
«Perchè
non le facciamo stare semplicemente al Casolare finché
quell'altra
si sveglia? I Medicali possono dare loro un occhio e avvertirci se
fanno qualcosa di strano.»
Alby
strinse i pugni lungo i fianchi, mentre i restanti Intendenti
annuivano soddisfatti.
Alla
fine, l'unica cosa che disse fu:
«Terrò
io d'occhio quelle due.»
Nei
suoi occhi scuri si poteva intravedere una scintilla di minaccia.
«Non
serve che ti disturbi tanto, pive.»
Newt
entrò nella stanza quel tanto da fulminarlo con gli occhi,
prima di
sparire in corridoio.
Minho
gli gettò un'occhiata d'avvertimento, che il raduraio
contraccambiò
con altrettanta severità.
Il
velocista gli si avvicinò proprio mentre nella stanza Alby
usciva
sbattendo la porta, troppo infuriato per dire altro.
«Toccale
con un dito, razza di pive, e sarai un sacco di sploff in men che non
si dica. Un sacco di sploff morto.»
*
* *
«Quando
pensate che si sveglierà?»
La
ragazza dai capelli neri se ne stava seduta su una sedia accanto al
letto dell'altra, sorseggiando un bicchiere di succo di mela.
Sebbene
fossero passate quasi tre ore dal loro arrivo nella Radura e la notte
fosse ormai lentamente calata su quella strana prigione, la giovane
non aveva lasciato per un attimo il capezzale della compagna.
E
in fondo, anche se avesse voluto, gli altri radurai non
gliel'avrebbero mai permesso.
«Non
lo sappiamo. Ma magari quando lo farà si
ricorderà qualcosa... »
Minho
fissò Newt con il sopracciglio alzato, con aria scettica:
«Ovvio,
e sicuramente si risveglierà e come per magia
saprà dirci qual'è
il modo per uscire da questo sacco di sploff.»
Il
biondo lo ignorò, per poi fissare la propria attenzione
sulla
ragazzina davanti a sé:
«Dovresti
andare a mangiare qualcosa.»
Lei
incrociò ancora le braccia con fare infastidito:
«Non
mi muovo di qui finché non mi raccontate tutto. E comunque
non ho
intenzione di lasciarla da sola con un pervertito come te!»
Newt
arrossì all'istante, ricordandosi del suo passo falso nel
Labirinto,
quando aveva sentito
il battito del
cuore alla ragazza.
Minho
si lasciò sfuggire una risata, prima di avviarsi fuori dalla
stanza.
«Ti
giuro sul mio onore di pive che non la toccherà, ma ora
andiamo a
mettere qualcosa nello stomaco. Salvare il tuo bel culo mi ha
stancato, perciò se vuoi sentire tutta questa sploff,
seguimi.»
*
* *
Con
grande sollievo di entrambi, quando Minho e la ragazza raggiunsero la
cucina, Frypan stava finendo di riporre del cibo avanzato nel
frigorifero, solo.
Quando
l'Intendente li vide, un sorriso gli apparve sulle labbra:
«Ma
guarda chi abbiamo qui. Il L'eroe del giorno e miss
Campanellino.»
A
quel soprannome, la giovane si accigliò.
Per
qualche strana ragione, il suo debole e ancora intontito cervello le
diceva che Campanellino era un personaggio di fantasia, forse di un
libro.
Magari
di un libro che aveva letto.
Tuttavia,
come del resto anche gli altri radurai, era incapace di
contestualizzare quel ricordo.
«Certo
pive, e chi se no? Comunque, quel branco di teste puzzone ha avanzato
qualcosa per me e la nanerottola?»
La
ragazza gli rifilò un pugno sul braccio, che il Velocista
sentì
appena.
Frypan
sogghignò allo spettacolo, prima di indicare la credenza e
il frigo.
«Ci
dovrebbero essere ancora un paio di sandwich e un po' di frutta.
Forse anche un po' di carne, se siete fortunati.»
Detto
questo, si congedò con un cenno del capo, uscendo per andare
a
prepararsi per la notte.
Appena
la giovane fu sicura che la porta dietro di lei fosse chiusa e il
silenzio fosse il loro unico compagno, fissò i suoi occhi
castani
sul velocista di fronte a lei:
«Ok,
ho aspettato fin troppo. Raccontami tutto.»
Quasi
per farla stare più sulle spine, Minho aprì il
frigorifero
ignorandola con nonchalance, fingendosi concentrato nel scegliere la
cena tra le confezioni di plastica accatastate nei vari ripiani.
Alla
fine optò per dei sandwich prosciutto e maionese, un pezzo
di
salsiccia e delle carote crude.
«Allora?»
lo spronò nuovamente lei, le braccia nuovamente incrociate
in quella
posa che ormai per Minho era diventata quasi famigliare.
Dopo
aver ingurgitato in un sol boccone praticamente buona metà
del
sandwich, masticando lentamente, Minho finalmente si decise a
risponderle:
«Viviamo
qui nella Radura da quasi un anno e mezzo. Non abbiamo idea di come
ci siamo arrivati o per quale ragione ci abbiano sbattuti qui.
L'unica cosa che ricordiamo sono i nostri nomi... »
La
ragazza si sedette di fronte a lui al malandato tavolo della cucina,
gli occhi specchi di una curiosità senza limite.
«Quindi...
»
«Quindi
a quanto pare siamo sulla stessa barca.»
Minho
incrociò il suo sguardo, nero come la notte.
«Alby
potrà anche dire che tu e quell'altra siate una trappola dei
Creatori, ma qualcosa mi dice che non è
così.»
Lei
strinse le labbra, abbassando la testa, un poco triste.
«Da
quando siamo arrivate qui, gli altri ragazzi non hanno fatto altro
che guardarci sospettosi e bisbigliare tra loro. Come se fossimo...
»
Le
parole le si bloccarono in gola.
Minho
comprese che avesse paura ma che cercasse di nasconderla dietro un
sorriso tirato.
Gli
fece quasi tenerezza.
«Tieni,
mangia qualcosa.»
Le
porse il piatto dei sandwich e un paio di carote.
Lei
ne assaggiò un pezzettino, quasi temesse che quel cibo fosse
avvelenato.
La
verità era che stava facendo del suo meglio per non
trangugiarlo
tutto in un colpo e fare la figura della morta di fame.
Il
velocista sembrò capirlo, ma preferì continuare
ad osservarla in
silenzio, sorseggiando poi un bicchiere d'acqua fresca.
«Quindi...
non ti viene in mente niente?»
La
ragazza smise di masticare e dopo aver buttato giù il
proprio
boccone, gli chiese:
«Cosa?»
Minho
alzò un sopracciglio:
«Non ti
ricordi proprio...
niente? Il tuo nome, dove sei stata prima di arrivare qui...
qualsiasi cosa?»
Lei
sembrò pensarci un
attimo, socchiudendo gli occhi come se stesse facendo un grandissimo
forzo mentale.
Una goccia di
sudore le
scivolò lungo la tempia, prima che dicesse:
«Io...
credo che il mio
nome fosse... Melissa.»
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