Long way to happy(prima parte)
I’ll keep on running
down this road
But I’ve got a bad,
bad feeling
It’s gonna take a long
time to love
It’s gonna take a lot
to hold on
It’s gonna be a long
way to happy
Left in the pieces
that you broke me into
Torn apart but now
I’ve got to
Keep on rolling like a
stone
‘cause it’s gonna be a
long long way to happy.
(“Long way to happy” –
Pink)
Bucky non si era dato alla
macchia dopo essersi allontanato di nascosto dall’appartamento che condivideva
con Steve nell’edificio di proprietà di Tony Stark. Non era certo sua
intenzione fuggire chissà dove e cadere di nuovo nelle mani dell’Hydra.
Era rimasto ferito dalla reazione
di Steve alla rivelazione del suo vecchio legame con Natasha Romanoff, si era
sentito giudicato dalla persona a cui teneva di più al mondo e, soprattutto,
aveva compreso qualcosa che lo aveva lacerato nel profondo. Steve,
probabilmente, non se ne era nemmeno reso conto, ma il grande turbamento che
aveva mostrato nel venire a sapere di quella relazione ormai morta e sepolta
aveva chiarito a Bucky che cosa provasse per lui in realtà.
Certo, Steve lo amava ed era
anche comprensibile che potesse essere geloso; magari temeva che lui non gli
avesse detto tutta la verità e che, in fondo al cuore, provasse ancora qualcosa
per la ragazza. Ma non era quello il vero problema.
Steve non aveva accettato
qualcosa che Bucky aveva fatto negli anni in cui era il Soldato d’Inverno.
Steve tendeva a dimenticare che
lui non era, e non sarebbe mai più potuto essere, il Bucky di Brooklyn, il
ragazzo gentile e scanzonato che lo proteggeva e che era sempre al suo fianco.
Steve, in fondo al cuore, non
voleva accettare il Soldato d’Inverno.
Steve voleva illudersi che
entrambi fossero stati inghiottiti da una bolla spazio-temporale che li aveva
trasportati dal 1944 al 2014, lasciandoli però esattamente com’erano allora.
Invece non era così e nessuno
meglio di Bucky poteva saperlo.
Bucky doveva fare i conti tutti i
giorni con ciò che era stato e che aveva fatto, con i ricordi atroci che lo
straziavano, con i rimorsi e i sensi di colpa. In lui c’era molto del vecchio
Bucky Barnes, certo, ma gli anni terribili trascorsi come Soldato d’Inverno lo avevano, com’era naturale, portato a crescere e ad evolversi
in modo molto diverso da come sarebbe stato senza quell’esperienza devastante.
James Buchanan Barnes era un giovane che aveva conosciuto la solitudine più
spaventosa, le torture più strazianti e le violenze più abiette che si possano
immaginare; era riuscito a ribellarsi a tutto questo e a rinascere dalle
proprie ceneri, ma il passato restava impresso in lui e non si poteva
cancellare, non più di quanto si potesse nascondere il suo arto di vibranio o
le cicatrici sul suo corpo.
La sua storia con Natasha era
stata appunto frutto di quelle tremende esperienze, in lei aveva ricercato un
appiglio per non perdere completamente la ragione, un po’di calore e umanità in
una realtà fatta solo di orrore e violenza.
Il Barnes attuale era una persona
nuova, non il naturale proseguimento del Bucky degli anni Quaranta.
Era questo che Steve non pareva
né capire né accettare.
Ed era questo il motivo per cui
Bucky se n’era andato.
Aveva camminato per tutto il
resto della notte per giungere a Brooklyn, ricercando i quartieri nei quali
aveva vissuto la sua infanzia e adolescenza felici accanto a Steve. Non sapeva
ancora cosa avrebbe fatto, dove avrebbe dormito, come sarebbe sopravvissuto…
sapeva soltanto che aveva bisogno di tornare nei luoghi che avevano visto il
Bucky spensierato e allegro. Desiderava vivere di nuovo da quelle parti e
imparare a conoscere il giovane uomo che era diventato, senza nessuno che lo
giudicasse o lo confrontasse con quello che era prima.
Erano le sette di mattina quando
Bucky si trovò a passare davanti a un piccolo negozio di frutta e verdura. Il
proprietario era un uomo corpulento di mezza età e stava faticosamente
riordinando le cassette di frutti e ortaggi che il fornitore gli aveva portato
poco prima. Lo sforzo era evidentemente eccessivo per l’uomo, che continuava a
sbuffare e ad asciugarsi il sudore con un grosso fazzoletto; alla fine,
desolato, si lasciò cadere su un mucchio di cassette di legno vuote.
“Ha bisogno di una mano?” chiese
Bucky, avvicinandosi a lui.
“Magari” ansimò l’uomo, senza
nemmeno alzare il capo. “Stamattina Sam, il fornitore, aveva fretta e non mi ha
aiutato a sistemare le cassette… ma io da solo non ce la faccio!”
“Ci penso io, lei resti pure
seduto e si limiti a spiegarmi dove devo mettere le cassette” fece sbrigativo
il giovane.
Il fruttivendolo non si fece pregare,
lieto di poter usufruire di un aiuto giunto così insperato. In pochi minuti le
cassette furono tutte disposte per la vendita e l’uomo rimase a fissare Bucky
con un certo stupore: la forza del giovane, la sua velocità nello sbrigare un lavoro
tanto pesante e, soprattutto, il suo arto meccanico, non erano cosa che si
vedesse tutti i giorni.
“Ho perso il braccio in guerra,
il furgone che guidavo è saltato su una mina” si affrettò a spiegare Barnes per
evitare domande inopportune.
L’uomo annuì con aria
comprensiva.
“Eri in Iraq?”
“Sì” rispose il Soldato
d’Inverno, senza neanche scostarsi troppo dalla verità. In Iraq ci era stato,
in effetti, anche se… in missione per l’Hydra.
“Anche mio figlio è stato laggiù”
disse con orgoglio. “E’ in marina, il mio Ryan. Io e mia moglie Maggie abbiamo
vissuto anni d’inferno quando lui era in missione in quei posti, ma, per
fortuna, è tornato sano e salvo. Ora lavora a Washington. Mi dispiace per
quello che è accaduto a te, chissà che strazio…e il dolore dei tuoi genitori…”
“I miei sono morti anni fa e per
il braccio… beh, tutto sommato funziona bene anche così e, comunque, non sono
mancino” minimizzò Bucky, cercando di sviare l’attenzione del negoziante su
qualsiasi cosa che non riguardasse il braccio di vibranio.
L’uomo sembrava non trovare il
modo di esprimere quello che aveva in mente. Alla fine, prese un lungo respiro
e si rivolse nuovamente a Barnes.
“Senti, ragazzo, sono stato in
guerra anch’io, la sporca guerra del Vietnam per la precisione” buttò fuori, “e
so cosa vuol dire tornare da reduce, solo, con gli incubi delle cose terribili
che hai visto e che hai dovuto fare, senza un lavoro né un posto dove andare.
All’epoca sarei stato contento se qualcuno mi avesse dato una mano…”
Bucky lo fissava senza capire
bene dove volesse arrivare.
“Non offenderti, ragazzo, ma tu…
ecco, non sembri proprio messo bene, per dirla semplice. Ce l’hai un lavoro e
un posto dove stare?”
“A dire il vero… no” ammise
Bucky. “Sono venuto da queste parti perché era qui che abitavo prima.”
“Beh, come vedi io sono vecchio
per portare avanti il negozio da solo. Avevo un ragazzo che mi aiutava, ma si è
licenziato un paio di settimane fa perché… insomma, perché lo pagavo poco”
disse l’uomo. “E non aveva torto, ma io non faccio grandi affari e non posso
permettermi un aiuto fisso, anche se ne avrei bisogno.”
“Mi sta offrendo un lavoro?”
chiese Bucky.
“Solo se ti va… te l’ho detto,
non posso assicurarti una paga sostanziosa, però, se non hai un posto dove
stare, potresti vivere con me e la mia Maggie e aiutarci in negozio in cambio
di vitto, alloggio e… qualcosa di più quando le cose vanno meglio. Noi abitiamo
nell’appartamento sopra la bottega e abbiamo una stanza in più, quella di Ryan.
Insomma, sempre se va bene a te.”
Il Soldato d’Inverno era incredulo.
“La ringrazio, per me sarebbe
l’ideale ma… lei è sempre così ospitale con gli sconosciuti?”
“Non sei uno sconosciuto, sei un
soldato come mio figlio, come me prima di lui e come mio padre prima di me… lui
ha partecipato al D-Day” replicò commosso il negoziante. “Conoscerai anche lui
se vieni da noi, ormai ha novantadue anni ma è più in gamba di me, pensa che
non vuole assolutamente venire a vivere con me e Maggie ed è rimasto nel suo
appartamento, vicino al nostro, perché vuole
la sua libertà, dice.”
Bucky rimase colpito da questa
notizia… paradossalmente, lui era un quasi coetaneo del padre dell’uomo,
chissà, magari si erano anche incontrati in tempo di guerra!
“E comunque, io mi chiamo Tom
Riggins” concluse, tendendo la mano al giovane.
“Io sono James Barnes” rispose
Bucky, stringendo la mano che gli veniva offerta. Nonostante la prudenza che
sfiorava la paranoia, in quel caso sentiva di poter usare il suo vero nome; del
resto, nessuno conosceva il nome del Soldato d’Inverno e l’eroe di guerra celebrato
allo Smithsonian era conosciuto da tutti come Bucky Barnes.
“Molto bene, adesso non siamo più
estranei” esclamò soddisfatto Riggins. “Ora, che ne dici di aprire il negozio,
James?”
Bucky annuì e abbozzò un mezzo
sorriso. In uno strano modo, si sentiva come se fosse ritornato a casa, nella sua Brooklyn e nel suo
mondo.
Intanto, a Manhattan, Steve era
in preda all’angoscia e si trovava da ore nell’appartamento di Tony Stark,
insistendo instancabilmente affinché lui usasse qualsiasi mezzo a disposizione per
ritrovare Bucky.
“Capitano, non stiamo parlando di
un bambino di tre anni che si è perso in spiaggia” protestò Stark, esasperato.
“Da quello che mi hai raccontato, Barnes si è allontanato volontariamente. Ti
ricordo che è stato il Soldato d’Inverno per settant’anni, per cui immagino
sappia benissimo come cavarsela da solo!”
“Lo so benissimo, ma voglio
ritrovarlo ugualmente” ribatté Rogers. “L’ho cercato per mesi, quando l’ho
ritrovato ho creduto che sarebbe andato tutto bene e ora… ora se n’è andato di nuovo
e non so dove sia. Io devo trovarlo,
voglio chiedergli scusa e voglio che… che resti con me.”
“Se avesse un cellulare, potrei
localizzarlo con il GPS, ma mi dicevi che non l’ha voluto” fece Stark, con
l’aria di chi non sa da che parte rifarsi.
“No, temeva che potesse essere
intercettato da quelli dell’Hydra. E… se lo trovassero loro?”
“Barnes avrà i suoi modi per non
farsi trovare, di questo sono più che certo” lo rassicurò Tony.
“E tu non hai i tuoi modi per
trovarlo, anche se lui non vuol farsi trovare?” ripeté ostinato Steve.
“Ce l’ho” ammise l’uomo, “ma
forse farei più in fretta se tu non fossi qui ad alitarmi sul collo. Mi metti
ansia! Perché non te ne torni nel tuo appartamento? Non appena avrò localizzato
Barnes ti chiamerò.”
Con un sospiro rassegnato, il
Capitano annuì.
“Come preferisci. Mi fido di te”
rispose.
Pochi minuti più tardi, solo nel
suo appartamento, Steve guardava fuori dalla finestra sentendo un vuoto immenso
e indescrivibile nel cuore.
Era in pena per Bucky, sì, ma non
era quello ad angosciarlo tanto; in fondo sapeva che Tony aveva ragione e che
il suo amico era perfettamente in grado di cavarsela.
Il problema era che Bucky gli
mancava.
Era pentito della reazione avuta
la notte precedente, sapeva di averlo ferito e voleva solo riaverlo accanto a
sé.
Anche quando non avevo niente, avevo Bucky… e ora che non ho Bucky, è
come se non avessi più niente, neanche una ragione per andare avanti.
Perché era finita così? Sembrava
che tutto andasse bene, si erano ritrovati, Bucky aveva iniziato a ricordare
sempre di più, avevano fatto l’amore e adesso…
Steve trasalì.
Ma certo! So dov’è Bucky! C’è un solo posto dove può essere andato…
A Brooklyn, nel quartiere dove abitavamo da ragazzi!
Sì, Steve ne era sicuro, Bucky
non poteva che essere andato là.
Afferrata in fretta la giacca di
pelle, il Capitano uscì dal suo appartamento, diretto verso il garage dove
teneva la moto.
Doveva recarsi immediatamente a
Brooklyn, avrebbe chiamato Stark col cellulare per avvertirlo mentre era per
strada, non voleva perdere nemmeno un minuto.
Aveva troppo bisogno di ritrovare
il suo Bucky e stringerlo tra le braccia.
Fine prima parte