PROLOGO
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.”
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto I
Quando la ragazza entrò nel locale,
il Mulo era già arrivato alla sesta grappa della serata e, se non proprio
brillo, era comunque su di giri. Era anche inquieto, di un’inquietudine
sottopelle che gli infastidiva i sensi e lo metteva all’erta. Al Mulo non
piaceva stare all’erta: diventava ancora più difficile controllare la sua
intrinseca irascibilità… e il puzzo. Perché il Mulo era un Demone, e i demoni,
si sa, puzzano invariabilmente di zolfo. I Mortali non lo sentivano,
ovviamente, come non sentivano il profumo paradisiaco degli Angeli, ma tra di
loro, tra creature ultraterrene, l’odore era come aver stampata la propria
natura sulla fronte. Questa però non era sempre cosa buona e giusta; visto i
rapporti, come dire, incerti tra Sopra e Sotto, il più delle volte era meglio
mimetizzarsi tra i Mortali e non spandere in giro nessun umore sospetto. Ecco
perché i più furbetti non emettevano odore. Come lui, il Mulo: era così bravo a
spacciarsi per Mortale da fare fessi tutti i Mezzi Angeli che incontrava. Stava
giusto lavorando immusonito sul controllo puzze, scrutando il fondo lattiginoso
del proprio bicchiere dove ancora si intuiva la scritta Duralex, quando si
accorse con la coda dell’occhio della ragazza che entrava.
*
* *
La notò subito. Primo perché il
bar piccolo e fumoso era frequentato quasi esclusivamente da uomini e una
ragazza da sola di notte attirava l’attenzione come se avesse avuto un lampione
sulla testa, secondo perché una tizia come quella si sarebbe fatta notare anche
nel bel mezzo di una sfilata di moda.
“Che gnocca.” mormorò infatti
querulo il vicino del Mulo prima di finire in un fiato il suo bicchiere.
Il Mulo aguzzò la vista e studiò
con aria golosa la giovane appena entrata: era piuttosto alta e sottile, anche
se il lungo impermeabile che indossava nascondeva le sue forme; aveva una bella
faccia seria con due occhi neri e una bocca rossa che sembravano estratti
direttamente da un sogno erotico. I capelli, ricciuti, neri e lucidi come se li
avesse appena lavati, erano bellissimi anche se il taglio corto sotto
l’orecchio non rendeva loro giustizia. Sì, era un gran pezzo di ragazza, decise
il Mulo, concordando probabilmente con l’opinione di tutti gli avventori che
avevano girato la testa nella direzione dell’ingresso radiografando la nuova venuta
come se fosse un alieno appena sbarcato dalla sua navicella spaziale. Lei,
però, non ci face caso, o forse era abituata: si guardò intorno con calma, mani
ficcate in tasca e schiena rilassata, e quando si mosse lo fece con un passo
fluido e deciso, poco femminile, forse, ma lo stesso maledettamente intrigante.
Si avvicinò al bancone e si sedette su un alto sgabello, proprio di fianco al
Mulo che la fissava con spudorato interesse.
“Che ti offro, bellezza?” chiese
Mario il barista, strofinando uno straccio bisunto sul bancone scheggiato.
“Se non hai un milione di dollari
da regalarmi, mi accontento di una vodka.” disse la ragazza, e la sua voce era
esattamente come ci si aspettava che fosse, ruvida e morbida insieme come fili
d’argento intessuti nel velluto.
Mario il barista rise garrulo.
“Vada per la vodka, bellezza.”
esclamò aprendo lo sportello frigo sotto il bancone per tirare fuori una
bottiglia mezza vuota di Keglevich.
La ragazza sorrise mentre il
barista le versava la vodka e il Mulo frugava con lo sguardo sotto
l’impermeabile, seguendo la linea slanciata delle sue gambe accavallate: bevve
d’un sorso la vodka come se fosse stata acqua e ne chiese un’altra, molto
educatamente. Il barista gliela versò religiosamente, come se accendesse un
cero in chiesa.
“Che ci fa uno schianto come te
qui dentro?” chiese poi, contravvenendo alla solida regola di farsi gli affari
suoi che ogni barista che si rispetti applica con la clientela. La ragazza
sospirò, cogitabonda.
“Affari” disse poi con voce
piatta “Quindi versami l’ultima vodka e poi dimenticati di me, che devo
lavorare. Sempre se non hai quel milione di dollari, si intende.”
Il barista rise di nuovo,
deliziato.
“Eh, vorrei averlo solo per te”
gorgogliò ammirando apertamente la bella faccia della ragazza “Comunque, ti
conviene sbrigarli in fretta i tuoi affari: con quel faccino che ti ritrovi,
tra due secondi avrai addosso ogni puzzolente maschio nel raggio di un
chilometro e credimi, nessuno di loro ce l’ha il milione di dollari.”
La ragazza sorrise di nuovo e il
barista, che ne aveva viste di tutti i colori e che ormai aveva una scorza più
dura di un carapace, arrossì.
“Grazie per il consiglio” mormorò
la ragazza con quella voce ruvida da brivido “Ma l’uomo che cercavo l’ho già
trovato.”
Poi, a sorpresa, si girò verso il
Mulo e gli piantò addosso quei due occhi neri da paura.
“Ciao.” disse sbattendo le ciglia
e il Mulo sentì una sottile vertigine attraversargli la schiena.
“Ciao.” gracchiò di riflesso e la
ragazza sorrise.
Era vicina e il suo profumo,
aleggiando faticosamente tra il fumo e la puzza di sudore, arrivò alle narici
del Mulo, dolce e delicato come uno sbuffo di Paradiso. Immediatamente,
nonostante le sei grappe, il malumore e la stanchezza diffusa, il Mulo ebbe una
folgorazione e rizzò la schiena come se qualcuno gli avesse dato una pacca sul
sedere. Cazzo e stracazzo! La ragazza era un Mezzo!, meditò con brama repentina
e vorace.
“Ehi” le sorrise con occhi
luccicanti mostrando i denti guasti “Che ci fa una bella figliola come te in
questo postaccio?”
La ragazza sbatté le ciglia e il
Mulo si trattenne a stento dal passarsi la lingua sulle labbra, già affamato e
sessualmente eccitato come un adolescente in crisi ormonale: da vero Demone
pervertito adorava i Mezzi Angeli! Quel profumino dolce di Paradiso che
emanavano lo faceva letteralmente sbavare… questo bocconcino, poi…
La ragazza inclinò leggermente la
testa di lato senza smettere di fissarlo con quei suoi meravigliosi occhi neri.
“Se devo essere sincera, ti
cercavo” confessò senza ombra di timidezza “Tu sei il Mulo, vero?”
Lui non annuì ma nemmeno negò:
dunque, il bocconcino sapeva. Il fatto che fosse lì con quegli occhioni
spalancati senza scappare a gambe levate cambiava parecchio la faccenda, ma non
smorzava minimamente il fuoco che si era acceso nei lombi lussuriosi del Mulo,
il quale continuò a guardare la ragazza con un mezzo sorriso sulle labbra e il
sangue che iniziava a scorrergli impetuoso nelle vene.
“O-oh, giochiamo duro!” gorgogliò
poi portandosi la grappa alle labbra, gli occhi scintillanti di feroce lussuria
“Non mi dire ti ha mandato a cercarmi Giacinta.”
Quella gran zoccola di Giacinta,
pensò con meno buonumore il Mulo: l’Angelo coordinatore delle forze del bene in
istanza a Modena, la sua acerrima nemica numero uno, la perenne rompiballe
convinta di poterlo redimere… Lui, il Mulo! Sorrise con aria malvagia mentre la
ragazza faceva spallucce socchiudendo languidamente gli occhi.
“Se conosci Giacinta, sai già
cosa sto per chiederti.” sospirò con voce da fata.
Il Mulo annuì, agitandosi sulla
sedia. Forse quella poveretta era stata mandata da Giacinta con l’incarico di
redimerlo. Il Mulo si lasciò scappare un sorrisetto indulgente: redimere lui!
La ragazza non poteva saperlo, ma era il terzo Mezzo con cui aveva avuto a che
fare quel mese; il primo, un ometto basso e calvo con un compito vestito da
ragioniere, se l’era portato in un vicolo, gli aveva strappato gli occhi e si
era mangiato il suo fegato crudo mentre il poveretto si contorceva straziato in
mezzo al pattume. La seconda, una florida quarantenne dall’aria gioviale, se
l’era scopata fino a farla crepare. Ma quella era un’altra storia… con loro era
stato lavoro. Con questa qui poteva essere piacere! La lingua del Mulo guizzò rapida
tra le labbra secche mentre sognava freneticamente cosa avrebbe potuto farle.
Gli venne persino l’acquolina in bocca.
“Gioia” gorgogliò
sporgendosi verso di lei “Se sei qui per redimermi, sappi che sono un osso
duro. Ma tu sei così carina…” lo sguardo scivolò giù, sotto all’impermeabile
della ragazza, a cercare il suo seno così intensamente che fu come se ci avesse
messo le mani sopra “Potremmo trattare.”
La ragazza, imperturbabile, annuì
e bevve un altro sorso di vodka.
“Non vedo l’ora” mormorò, atona
“Vieni fuori che trattiamo all’aria aperta? Questo posto puzza.”
Poi, buttò sul banco una
banconota da venti euro mormorando “tieni il resto” al barista e si avviò verso
l’uscita senza nemmeno girarsi a guardare se lui la stava seguendo. Sembrava un
tipo tosto, meditò ammirato il Mulo pagando in fretta e seguendola fuori dal
locale: magari Giacinta si era giocata del tutto quel grammo di cervello che
aveva pensando di aver fatto una cosa furba mandandogli un Mezzo così carino.
Forse pensava che si sarebbe fatto intenerire da quel faccino e da quegli
occhi… invece gli era solo venuto duro come il marmo, ghignò esilarato. Aveva
voglia di far fare a questo Mezzo la stessa fine di quello precedente, ma più
lentamente, molto più lentamente… Pensando a questo, seguì la ragazza in un
vicolo buio ingombro di cartacce con appena un lampione asmatico a dare una
debole luce alla scena; lì la ragazza si fermò e con gesti calmi e ponderati si
mise le mani in tasca. Il Mulo si guardò rapidamente intorno, vide che non c’era
nessuno e con una rapida mossa e un ringhio feroce afferrò la ragazza e la
sbatté contro il muro: le si spalmò addosso stringendole dolorosamente gli
avambracci, strusciando eccitato il bacino contro di lei.
“E che cazzo” grugnì la ragazza,
appena appena alterata “Dammi almeno due secondi per respirare, che diamine…”
A quelle parole il Mulo avrebbe
dovuto allarmarsi, o spaventarsi o, per lo meno, insospettirsi; non si sentiva
spesso un Mezzo Angelo che diceva “cazzo” con tanta familiarità. Ma era troppo
violentemente eccitato per pensare a piccolezze come quelle e continuò a
strusciarsi freneticamente.
“Vieni qui” gorgogliò poi
infilandole le mani sotto l’impermeabile e palpandola pesantemente dappertutto
“Vieni qui bellezza…”
La ragazza lo lasciò fare: aveva
una strana aria impersonale e disinteressata e lo guardava quasi con curiosità,
da sopra a sotto visto che era più alta di lui di almeno dieci centimetri.
“C’è una cosa che proprio non
riesco a capire, Mulo” esordì graziosamente mentre lui le grufolava addosso
“Com’è che hai deciso di violare gli accordi?”
Il Mulo sollevò gli occhi
incattivito.
“Chiudi quel forno, troia” sibilò
strizzandole dolorosamente una natica “Io non ho violato un bel niente. Anzi,
sono stato piuttosto bravo a fare quello che dovevo! Ma non ho voglia di
parlare, ho solo voglia di sbatterti.”
“Come dire, tutti lo sanno”
proseguì invece la ragazza imperterrita come se lui nemmeno avesse parlato “I
Mezzi, gli Angeli e anche voi Demoni puri: le regole sono chiare e semplici,
niente contatti tra Angeli e Demoni se non espressamente autorizzati. Punto.
Non è difficile nemmeno per un cervellino atrofico come il tuo. Se si violano
le regole, son cazzi. E allora, perché lo fai?”
Il Mulo tentò di mollarle una
sberla per farla tacere, ma la ragazza lo scartò con grazia, facendolo
infuriare.
“Non costringermi a farti del
male, cocca, non adesso che…”
Si interruppe, di colpo: qualcosa
di piccolo e freddo gli si era posato con discrezione sullo sterno e il Mulo,
stupefatto, abbassò lo sguardo per guardare cosa fosse.
“Una pistola?” domandò con voce
acuta più sorpreso che spaventato.
“Non hai risposto alla mia
domanda” lo informò la ragazza imperturbabile “Allora, mi vuoi dire come mai
voi Demoni siete così irrimediabilmente stronzi da tirarvi la zappa sui piedi?
Succede continuamente, persino con soggetti relativamente intelligenti.
Spiegamelo, per favore, perché non capisco.”
Il Mulo non rispose: fissava la
pistola con gli occhi fuori dalle orbite.
“Una… pistola?” esalò di nuovo,
come per convincere se stesso della realtà.
“Una signora pistola” rispose la
ragazza imperturbabile “Una Five-seveN 20 colpi di fabbricazione belga,
caricata con proiettili in lega d’argento di 5.7mm. Oh, il tutto benedetto e
bagnato nell’Acqua Santa, ovviamente. Ma non penso che ti ucciderò con questa:
troppo rumore. E troppo poco sangue. Perché sì, te lo devo confessare: ho
proprio voglia di farti sanguinare.”
Gli sorrise di nuovo sbattendo le
ciglia con il più abbagliante dei sorrisi angelici. Il Mulo, ancora tramortito
dalla sorpresa, indietreggiò di un passo.
“Ma… ma… non può essere…” mormorò
sbalestrato.
I Mezzi Angeli non potevano
sparare. Diamine, i Mezzi Angeli non potevano nemmeno avvicinarsi a una
pistola! Questa tizia, invece, maneggiava quel ferro come se ci fosse nata
attaccata. Un dubbio atroce attraversò la mente del Mulo che indietreggiò di un
altro passo.
“Tu sei un Mezzo, vero?” pigolò
di colpo insospettito.
La ragazza inarcò le
sopracciglia, gli occhi luccicanti e bellissimi.
“Beh… quasi.” disse inclinando
modestamente la testa.
Il Mulo pensò freneticamente alle sue parole mentre il sospetto veniva
lentamente sostituito dall’orrore.
“Non
puoi essere un Mezzo Angelo” borbottò indietreggiando di nuovo “La pistola… non
…”
“Ci
vuole un sacco di allenamento perché un Angelo possa stringere un’arma senza
bruciarsi la pelle” spiegò imperterrita la ragazza “Lo stesso che ci vuole
perché un Demone sopporti il contatto con le croci o l’Acqua Santa.
Allenamento, duro lavoro, tempo e bravi insegnanti. E io, modestamente, ho
avuto il pacchetto completo.”
Il Mulo
cominciò a intuire la verità, ma la paura prese il sopravvento e offuscò tutto.
“Cosa…?”
balbettò incerto.
“Simpatizzavo
molto con Paolo e Sandra” lo interruppe la ragazza con voce fredda “I Mezzi che
hai fatto fuori, volevo dire. Lei era un po’ troppo chioccia e lui era un
emerito imbecille, ma sai come sono i Mezzi… si fanno voler bene nonostante
tutto, vero?”
Il
sorriso della ragazza divenne di colpo tagliente e freddo come una lama
d’acciaio.
“Cosa
stai dicendo?” mormorò il Mulo spaventato.
“Proprio
per questa… chiamiamola conoscenza indiretta, ho accettato un onorario davvero
ridicolo per farti fuori” continuò la ragazza, ignorandolo “E vuoi sapere una
cosa buffa? Non è stata Giacinta a pagarmi. Sai, lei e le sue idee di
redenzione…”
Fece
spallucce e roteò gli occhi come se stesse parlando a un amico di una vicina di
casa bigotta e fastidiosa. Il gelo si impossessò delle ossa del Mulo che
indietreggiò di un altro passo sbiancando in viso.
“Chi è
stato?” strepitò con gli occhi fuori dalle orbite “Voglio parlare con Cornelia!
Lei lo sa che io ho fatto solo il mio dovere…”
“Oh,
guarda, mi ha pagata proprio Cornelia” continuò la ragazza confidenzialmente
“Il tuo capo in persona. Diamine, la capisco, eh? Non farebbe affatto una bella
figura con il suo superiore di grado se lasciasse che il più stronzo dei suoi
Demoni trasgredisse impunito le regole. Non lo pensi anche tu?”
Non si
era mossa di un millimetro, ma il Mulo era sempre più terrorizzato.
“Che
cosa vuoi?” piagnucolò facendo guizzare lo sguardo a destra e a sinistra
cercando una via di fuga “Chi sei e che cosa vuoi?”
La
ragazza si mosse all’improvviso, così veloce che il Mulo nemmeno se ne accorse:
la mano che reggeva la pistola si alzò e si abbatté sul suo cranio,
spaccandoglielo come se fosse un frutto troppo maturo; contemporaneamente,
nell’altra mano comparve come per magia una lunga lama scintillante con la
quale la ragazza tagliò di netto la gola del Mulo, in un gesto così ampio ed
elegante da sembrare una mossa di danza.
“Voglio
la mia ricompensa” si decise a rispondere con voce piatta mentre il Mulo si
accasciava ai suoi piedi, la gola inondata di sangue e gli occhi strabuzzanti e
vitrei “E visto quanto ti sei dimostrato stupido e coglione, direi che me la
sono meritata tutta. Potevo fare di meglio, visto che conoscevo le vittime e
visto il modo in cui le hai fatte fuori…” per un attimo i suoi occhi
scintillarono di rosso come rubini immersi nel sangue “Ma dopotutto, penso che quando
tornerai a casina bella, ci penseranno i tuoi cari a rimetterti in riga. Mi
basterà sapere che non potrai più rimettere piede su questo Piano per essere
contenta.”
Il Mulo
strisciò a terra, agonizzante, con la faccia violacea e le mani artigliate intorno
a quella che una volta era al sua gola. La ragazza si chinò su di lui per
continuare a parlargli confidenzialmente.
“Per
quanto riguarda l’altra tua domanda, chi e che cosa sono… io sono Eva. Eva e
basta, che tristezza, eh? Né Mezzo Angelo né Mezzo Demone, ma, udite udite, un
po’ tutti e due. Un fottuto Sanguemisto, così mi chiamano i tuoi amichetti.
Secondo i trattati internazionali nemmeno dovrei esistere, sarà per questo che
mi hanno dato un nome così corto?”
Lo
guardò negli occhi come aspettandosi una risposta; il Mulo però era già morto.
Fisicamente morto, per la precisione: le spoglie mortali del Mulo erano solo un
inutile ammasso di carne mentre la sua essenza di Demone, liberata, stava quasi
sicuramente facendo ritorno negli Inferi. La ragazza si rizzò in piedi con un
sospiro deluso.
“Tutti
così, voialtri Demoni infernali” si imbronciò “Mai che abbiate una risposta.”
*
* *
Sempre
con quell’espressione vagamente scocciata sul viso, Eva rimise la pistola nella
tasca: nel frattempo, il corpo del Mulo ai suoi piedi iniziò a decomporsi
rapidamente, spandendo intorno una orribile puzza di morte e in un liquido
giallastro che venne assorbito dalla terra secca.
“Hai
ucciso di nuovo” mormorò una voce lontana e dolente dentro di lei “Ucciso…
come puoi rimanere tranquilla con una colpa così sulla coscienza?”
Eva
ignorò la voce familiare con consumata abilità: sapeva che, qualsiasi cosa
facesse, le due parti di sé che contrastavano, Angelo e Demone, sarebbero state
perennemente in conflitto. Aveva passato anni e anni a imparare a convivere con la propria duplicità e a cercare
il più possibile di mantenere l’equilibrio.
“Il
Mulo meritava di morire” si rispose infatti immediatamente “E comunque,
quella dei Demoni non è una morte vera e propria, no? E’ tornato semplicemente
a casa, dove dovrebbero stare tutti gli stronzi come lui.”
Rimase
per un pezzo cogitabonda a guardare le scarpe e i vestiti del Mulo ormai vuoti
e scomposti come un mucchietto di stracci. Pensò a Paolo, il Mezzo ucciso barbaramente
dal Mulo che era stato uno dei suoi insegnanti quando era bambina e ricordò con
dolorosa chiarezza il suo sorriso vagamente ebete; ricordò che trovava sempre
il modo per allungarle un Chupa Chups anche quando lei era in crisi demoniaca e
vomitava dovunque bile giallastra e bestemmie fumanti. Pensò a Sandra, grassa e
profumata di pane appena sfornato, che tentava di insegnare a una ragazzina che alternava crisi demoniache a
immobilità catatoniche la difficile arte dell’uncinetto. Rimase in piedi
immobile, come scolpita nella pietra: poi, scrollandosi, girò i tacchi e si
allontanò, facendo ondeggiare il lungo impermeabile a ogni passo. Una vecchia
Due Cavalli bicolore, parcheggiata poco lontano, si avvicinò sferragliando e la
portiera si aprì davanti a Eva.
“Finito?” domandò la voce del
guidatore, un energumeno che sembrava l’incrocio tra un gorilla e un
rinoceronte: invece, era un essere umano in tutto e per tutto, uno dei pochi al
mondo di cui Eva tollerasse la continua presenza.
“Tutto ok, Gino” rispose lei con
voce monocorde salendo in macchina “Adesso vai che questo posto puzza come un
cimitero.”
Gino fece filare la Due Cavalli a una velocità incredibile per quel trabiccolo traballante.
“Tutto bene?” chiese dopo qualche
chilometro quando si avvide dell’ostinato mutismo della ragazza.
“Da favola.” rispose lei, il viso
cupo come un temporale estivo.
“Ha chiamato Cornelia” la avvisò
Gino guardando la strada “Come al solito tu il cellulare non te lo porti mai
dietro, eh? Disgraziata. Comunque, visto che stavi sgozzando quel tizio come un
maiale, non me la sono sentita di disturbarti e le ho confermato che il
lavoretto era concluso. Lasciatelo dire, ti sei accontentata delle briciole,
stavolta. Ti sei per caso intenerita?”
Eva grugnì qualcosa di
indefinibile, ma non spostò lo sguardo dal finestrino.
“Comunque, Cornelia ti vuole
vedere” proseguì Gino incurante “Domani, nel suo covo. Dice che è importante e
di andare sola, ma senza Acqua Santa.”
Di nuovo Eva reagì solo con un
grugnito. Gino le lanciò un’occhiata in tralice, il corpaccione enorme
accartocciato sul volante come in un improbabile numero di contorsionismo.
“Eva… posso chiederti una cosa?”
La ragazza sentì qualcosa di
incerto nella sua voce e girò di scatto gli occhi su di lui, neri e inquieti.
“Che devi chiedermi, umano?”
scattò seccamente “Vuoi chiedermi cosa si prova a uccidere qualcuno? O cosa si
prova a essere un Mezzo Angelo che violenta la sua stessa natura per uccidere
qualcuno? O cose si prova ad essere un Mezzo Demone che uccide un suo simile? O
come cazzo faccio io a essere entrambe le cose?”
Gino sbuffò e le lanciò un nuovo
sguardo noncurante.
“A dire la verità volevo sapere
perché quel tizio lo chiamavano il Mulo” rispose con aria vagamente offesa
“Però se vuoi piangiucchiarti ancora addosso o prendermi a sassate perché sono
umano e a te stasera gira così, fai pure, sai che sono sempre disponibile.”
Eva
tacque mentre la sua fronte corrucciata si spianava lentamente. Fissò Gino che
guidava tranquillamente, un monolite di incrollabile imperturbabilità, simile a
solida terraferma per una banderuola bistrattata come lei. L’unico in grado di
sopportare la sua instabilità e i suoi ritmi di vita, l’unico che non facesse
una piega nel vederla uccidere e subito dopo pregare Dio come il più fervente
dei fedeli. La sua spalla, il suo confessore, il suo carnefice. Il suo amico.
Spesso
si chiedeva come facesse un umano a credere nonostante non potesse Vedere… e si
domandava anche quale santo proteggesse la vita di Gino, permettendogli di
essere ancora vivo pur restando accanto a lei, un Sanguemisto sommerso dai guai
giorno e notte. Quando Gino si girò verso di lei incontrò i suoi occhi materni
e divertiti, spendenti di luce come un cielo stellato.
“Sei
proprio un pazzo suicida, Gino” gorgogliò Eva accomodandosi sul sedile “A volte
mi chiedo perché mi ostino a sopportarti e non mi decido a porre fine alla tua
sciocca e inutile esistenza.”
Gino le
lanciò uno sguardo di traverso, a metà fra l’affettuoso e il feroce.
“Già. Ma,
come al solito, vigliacca se hai risposto alla mia domanda.”
NOTE DELL’AUTRICE:
Buondì
a tutti voi, fedeli pellegrini! Iniziamo la pubblicazione di una nuova,
mirabolante storia: ci auguriamo che sia di Vostro gradimento e che Vi diverta,
come ha divertito noi lo scriverla. Per noi non intendo me e la mia inquietante
doppia personalità: parlo di me, Autrice, e della mia Adorata Metà, la mia
costola, la mia coscienza; Romina, la mia Meravigliosa Beta!!!
Ringrazio
d’anticipo tutti lettori, coloro che sono di passaggio, coloro che torneranno;
una menzione particolare a tutti gli Amici del Forum e alla flautaire d’eccezion,
che prima o poi contribuirà all’Opera con una copertina degna delle sue incredibili
qualità.
Ovviamente,
ci sono gli in utilissimi disclaimer: questa storia è unicamente frutto delle
mie meningi, personaggi e situazioni necessitano della mia previa
autorizzazione prima di essere utilizzati in altre opere che non siano le mie e
cose così.
Baci a
tutti, a presto!!
Vostra
Elfie