A Lou, “la
metà romana del mio cervello bacato” [semicit.]
per i suoi mille follower su Twitter.
Pg
e canzoni © i rispettivi proprietari.
Lemon Tree -
where have all the flowers gone?
Lemon
tree very pretty and the lemon flower is sweet
But
the fruit of the poor lemon is impossible to eat.
Ci
sono volute tre prigioni diverse prima che capissero quanto fosse
deleterio rinchiuderlo in una boccia di metallo. Tre.
Erik
aveva già le idee chiare sugli esseri umani, ma non pensava
che il Paese fosse governato da una completa massa di idioti.
Questa
sua nuova cella, al Pentagono, è invece piuttosto
intelligente: non riesce a sentire niente nel suo raggio
d’azione, mai.
Erik
inspira, fissando il soffitto di vetro: l’hanno reso uno di
loro.
Il
tempo è dilatato al massimo, la mente unica compagna. Ogni
giorno cerca tra i suoi ricordi una canzone o una filastrocca diversa:
quando uscirà non vuole essere ridotto a una pallida
imitazione di se stesso. Deve continuare ad essere Magneto.
Oggi,
giorno del Signore non-si-sa-quando, una melodia gli affiora tra i
pensieri e galleggia lì, inerte, un tappo di sughero sulla
superficie della memoria, fino a che non è seguita da
un’altra, e poi da un’altra ancora e ancora e
ancora, fino a che tutto quello che riesce a sentire è
ottobre del 1962.
“…
Seriamente?”
“Non
ti piace il boogie, Charles?”
“Questo
non è boogie, Erik. É roba
californiana.”
Yes
I'm gonna - surfin'- take you surfin' - surfin' safari with me
Erik
non riesce a trattenere un sorriso: chiude la porta, mentre Charles si
lascia cadere sul divano.
“Molto
meglio, grazie.”
Erik
si siede sulla poltrona, incrociando la gamba sul ginocchio.
“In
queste settimane sono cresciuti così tanto…
Sempre più spesso mi dimentico che sono solo
ragazzi.”
Charles
è sdraiato, i piedi che penzolano oltre i cuscini e una mano
a coprirsi gli occhi. È così stanco,
così vulnerabile, così deciso.
“Lo
erano.
Non più.”
“Certe
cose rimangono. Tipo delle scelte musicali discutibili.” Un
attimo di pausa, poi Charles sposta il braccio per guardarlo:
“Non si può crescere in un colpo solo. Non del
tutto, almeno. Perdere Darwin…” Un’altra
pausa – e Erik sente distintamente tutta
l’impotenza, la tristezza e il senso di colpa in quelle due
parole.
“Stiamo
trasformando dei ragazzi
in un esercito, Erik. Che diritto abbiamo?”
Erik
si irrigidisce. “Non sei stato tu a mettere il mondo contro
di noi. Addestrandoli li stai indirizzando verso ciò che
sono destinati ad essere.”
Charles
si alza a sedere, chinandosi verso di lui. “Non è
il mondo ad essere contro di noi, Erik. È Shaw.”
Quegli
occhi blu lo fissano, penetranti come sempre: gli leggono dentro anche
senza bisogno della telepatia – tanta, pura
intimità da essere troppa. Sono Erik e Charles,
l’anima nuda e un’intensità che gli
rende difficile respirare. Lo rovinerà.
“Come
vuoi, Charles.”
Surfin
Safari – Beach Boys, Giugno 1962
Erik
deglutisce, passandosi una mano tra i capelli: quel mese prima di Cuba
gli è rimasto sotto le unghie, e non riesce a liberarsene.
Non
sono ricordi felici; non tutti, almeno. Non era perfetto: la
spensieratezza si era consumata in un paio di giorni, se mai
c’era stata. Erano riusciti a ritagliarsela in brevi,
sporadici momenti – una partita a scacchi, un bacio, un
sorriso e del caffè – fingendo di essere
più giovani, di avere più tempo.
Erik
sapeva di essere sul filo del rasoio – fino a quando sarebbe
bastato? – ma certi aspetti preferiva ignorarli. Quello che
avevano lui e Charles era un’intimità troppo
profonda perché potesse sentirsi del tutto a proprio agio,
ma anche così completa da essere inebriante: era meglio non
domandarsi quali sarebbero stati gli effetti a lungo termine, comunque
fosse andata. (Il vuoto nel petto rimane lo stesso, anche a distanza di
tempo, anche sotto metri di cemento e vetro.)
Avere
trent’anni e sentirsene quaranta – troppo adulto
troppo in fretta, Erik e la sua rabbia; avere quarant’anni e
sentirsene mille, in un buco sotto il Pentagono, quando ormai troppi
sono morti e lui non ha potuto fare nulla per impedirlo –
molte cose sono perdute, forse non torneranno mai. Ma non si
cancellano. Non riesce a cancellarle.
È
bastato poco perché quello che avevano non fosse
più sufficiente: così poco che ogni tanto Erik si
chiede se fosse vero. Se lui e Charles fossero veri.
Si
ricorda bene quella coscienza che, dopo il primo turbolento incontro,
aveva sfiorato la sua con tanta delicatezza da essere disarmante: un
tocco gentile, che più che una presenza esterna alla fine
era quasi un completamento. Charles lo bilanciava: la rabbia di sempre
si trasformava in consapevolezza, rendendolo più lucido,
più capace. Ed estremamente più vulnerabile.
Erik
non aveva mai avuto bisogno di nessuno, dal giorno in cui Shaw aveva
ammazzato sua madre, e non avrebbe permesso che succedesse di nuovo:
Charles non sarebbe mai più entrato nella sua testa.
Il
suo pranzo arriva dal buco di areazione, ma Erik ignora il vassoio:
neanche fosse un cane, lo fanno mangiare in una ciotola. Se solo
potesse…
Incrocia
le gambe sul letto – Charles non è più
entrato nella sua testa, ma non se ne è mai neppure andato
del tutto. Erik inspira, poggiando i polsi sulle ginocchia, in
posizione di meditazione - sgombra la mente,
gli suggerisce una voce – ma, di nuovo, esiste solo ottobre
1962.
Si rigira la moneta tra le dita, un gesto ormai automatico. Charles, di
fronte a lui, sorride: “Tocca a te.”
“Non
mi mettere fretta.”
L’altro
annuisce, toccandosi il labbro con le dita. “Fai pure con
calma.”
Erik
valuta le sue mosse, la moneta che passa sempre più vicina
alla pelle. Il cavallo nero mangia l’alfiere bianco.
“Scacco.”
“Complimenti,
Erik. Sei appena caduto in trappola.” Regina bianca mangia
cavallo nero. Elvis Presley alla radio: Wise man say only fools
rush in…
“Scacco.”
Erik
sbuffa: dannato Charles e il suo quoziente intellettivo da Einstein.
Alza lo sguardo dalla scacchiera per scoccargli un’occhiata
gelida, ma lui è già lì, a fissarlo.
La
moneta ha un attimo di esitazione, tra il medio e l’anulare.
“Arrocco.”
“Oh
amico mio, non è da te: questi mezzucci.”
“Charles,
fammi questo piacere… Stai zitto.” Ma il tono di
voce è indulgente e la moneta esita di nuovo, quando Charles
ride.
Like
a river flows surely to the sea…
Altre
due mosse e un altro sorriso canzonatorio, disarmante, dalla parte
opposta del tavolino da tè.
“Scacco
matto.”
Erik
non riesce a trattenersi: “Hai barato.”
“Oh
no. Non oserei mai.”
Le
labbra di Erik si stirano in un ghigno, mentre si siede accanto a lui,
la moneta che rotea ancora intorno al pollice: “Non dirmi che
non lo hai mai fatto, professore.”
Some
things are meant to be…
Sono
molto vicini e Charles sorride di nuovo – la moneta trema.
Erik si inumidisce le labbra.
“Allora?”
Charles
è ancora più vicino, sente il suo respiro sul
collo: “Adesso chi è che sta barando?”
“Allora
lo ammetti.” Con la bocca gli sfiora l’orecchio, e
lo può sentire rabbrividire.
“No,
non è vero. Tu invece...” Gli dà un
bacio sulla mandibola, ignorandolo.
“Erik…?”
“Mmh?”
è la risposta distratta.
“Non
baro. Non con te.”
La
moneta cade, quando Erik si china a baciarlo.
For
I can’t help falling in love with you…
Can’t
help falling in love with you – Elvis Presley, Ottobre 1962
Non
lo aveva calcolato, per quanto avesse messo in conto la
possibilità di sbagliare. All’epoca, forse, non
gli era sembrato uno sbaglio: tutto cadeva nella giusta posizione, nel
giusto ordine. Charles poteva essere al suo fianco – loro due
volevano la stessa cosa – e insieme avrebbero fatto grandi
cose. Avrebbero protetto i loro fratelli e sorelle, avrebbero compiuto
il loro destino.
Il
sogno di un ingenuo: Erik pensava di essere meglio di così.
Alla
fine Charles lo aveva abbandonato per seguire un’altra
strada: gli mancava la visione d’insieme e Erik non aveva
bisogno di lui per essere forte. Aveva Emma Frost, aveva Mistique,
aveva Azazel e tutti gli altri. Non ha bisogno di Charles neppure ora:
aspetta il momento giusto, riflette e pianifica. Uscirà da
lì, e il mondo vedrà di cosa è capace
Magneto.
“Che
cosa sai di me?” “Tutto.”
Bugia.
Evidentemente
Charles non sapeva tutto, o lo avrebbe seguito – se avesse
sondato con attenzione l’angolo più remoto,
più scuro della memoria, invece che concentrarsi su quello
più luminoso, avrebbe visto perché non poteva
lasciarlo. Avrebbe riconosciuto le sue paure più profonde e
non lo avrebbe abbandonato.
O
forse Charles sapeva davvero tutto, ma non gli interessava –
forse era Erik che non sapeva niente di lui.
Ma
ancora oggi, i giorni insieme ormai da tempo andati, di tutti momenti
vissuti quelli sono i più difficili da scuotersi di dosso.
Erik
inspira di nuovo, chiudendo gli occhi. Non lo aveva calcolato, ma,
errore o non errore, era successo: quella morsa allo stomaco che non
accenna a scemare dal 28 ottobre 1962; i pensieri che tornano sempre ai
sorrisi, agli sguardi d’intesa, a quella folle, imprevista,
irrazionale luce
dentro di sé. La consapevolezza di essere invincibile,
insieme a Charles.
Il
vassoio di plastica è scagliato contro il muro, i fagioli
pateticamente sparsi sul pavimento; il letto rovesciato e la coperta
strappata.
Gli
viene da vomitare.
“Pensavo
di essere da solo.” “Non sei solo. Erik, tu non sei
da solo.”
Quella…
quella era stata la bugia più grande di tutte.
Where have all the
flowers gone, long time passing?
Hello, dear friends!
Long
time no see, here on EFP.
Come
avrete capito, questa ff si colloca negli anni che Erik passa in
prigione al Pentagono, quindi tra First Class e Days of Future Past:
essendo io una super nerd per gli anni ’60 (Magneto e
l’assassinio di Kennedy! Il mio cuore da history!nerd quasi
scoppia al solo pensiero), non ho resistito e ho inserito alcune delle
mie canzoni preferite di quei primi tre anni del decennio. In ordine:
Lemon Tree di Peter Paul and Mary, Surfin’ Safari dei Beach
Boys, Can’t help falling in love di Elvis e Where have all
the flowers gone, ancora di Peter Paul and Mary. Tutte queste canzoni
sono uscite prima del 28 ottobre 1962, quindi è
pseudoplausibile che Erik e Charles potessero sentirle alla radio.
(a
proposito di Lemon Tree: la canzone paragona esplicitamente
l’amore all’albero di limone – in
sintesi: si soffre sempre. Mi sembrava in linea con la ship.)
Ultimissima
precisazione: questa ff è dedicata a Ludovica, comfortinglies
qui su EFP (andate a leggere la sua Cherik, è bellissima)
che, oltretutto, l’ha pure betata. Grazie, Lou, per essere la
migliore delle amiche a distanza - Ilysm.
Un
grazie in anticipo a chi ha letto e a chi commenterà,
Elena
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