Long way to happy (seconda parte)
Steve Rogers arrivò nel suo
vecchio quartiere di Brooklyn verso mezzogiorno, ma subito si rese conto che non sarebbe stato affatto facile rintracciare Bucky, a meno
che non gli fosse capitato un grosso colpo di fortuna. Di certo non poteva
mettersi a fermare la gente per strada e chiedere se qualcuno avesse incontrato
un ragazzo dai capelli scuri… e di certo Bucky non avrebbe mostrato il suo
attributo più caratteristico, ossia l’arto di vibranio!
Con sgomento, Steve ricordò in
quel momento che non possedeva nemmeno una foto di Bucky da far vedere in giro.
Non gli era mai venuto in mente di fotografarlo col cellulare, anche se sapeva
che era una moda molto diffusa nel presente in cui si trovava a vivere; adesso,
però, se ne pentiva.
Aveva una foto di Bucky, sì, ma
era la foto che aveva trovato nel suo fascicolo riservato e che lo ritraeva
come sergente Barnes, risalente al 1943… non poteva mostrare in giro proprio
quella!
Mentre decideva il da farsi,
pensò di andare a tentare la fortuna nella sua vecchia casa di Brooklyn,
proprio dove Bucky aveva iniziato a ritrovare i suoi ricordi: chissà che il
giovane non si fosse recato là, in memoria dei vecchi tempi felici?
In pochi minuti giunse alla
vecchia casa abbandonata e parcheggiò la moto dove l’aveva sistemata quando era
andato lì con Bucky… quando? Sembravano passati mesi, ma in realtà era stato
poco più di due settimane prima. A quel ricordo, Steve sentì il cuore
stringersi in una morsa di dolore: era stato così bello ed emozionante quel
giorno con Bucky, il primo in cui aveva sentito veramente che il suo amico, il
giovane che amava, era vicinissimo a lui; aveva cominciato a ricordare, a
mostrarsi più disinvolto, più simile al ragazzo che era stato e poi…
Possibile che fosse tutta una mia illusione? Adesso Bucky è fuggito di
nuovo e io non so dove sia…
Entrare in quel cortile fu
straziante per Rogers. Da un lato gli si affollarono alla mente tutti i ricordi
lontanissimi della sua infanzia e adolescenza felici assieme a Bucky, dall’altro
rivisse l’esperienza di due settimane prima e che si era conclusa tanto
felicemente da fargli pensare che il peggio fosse ormai alle loro spalle. Quel
cortile, quella scalinata, erano ricolmi di memorie insieme dolcissime e
laceranti… ogni passo, ogni angolo gli rammentava Bucky.
Steve esplorò dappertutto,
sperando contro ogni speranza che il suo Bucky avesse deciso di nascondersi lì,
cercando nelle stanze vuote di appartamenti abbandonati ormai da decenni,
osservando attentamente ogni eventuale traccia che il Soldato d’Inverno poteva
aver lasciato…
Erano ormai le due passate quando
il Capitano dovette arrendersi: Bucky non era mai stato là.
La delusione e lo strazio furono
così atroci da piegare per la prima volta l’incrollabile ottimismo del giovane.
Steve si piegò in due, soffocando un singhiozzo disperato, si lasciò cadere in
ginocchio tra la polvere e la sporcizia del vecchio cortile e pianse tutte le
sue lacrime.
Bucky…Bucky, perché mi hai lasciato solo un’altra volta? Dove sei? Io
non resisto più senza di te!
Non avrebbe saputo dire per
quanto tempo fosse rimasto a piangere silenziosamente nel luogo che l’aveva
visto crescere felice. Fu il suono improvviso del cellulare a scuoterlo dalla
sua disperazione.
“Capitano, sono Tony Stark.
Allora, l’hai trovato?”
“Purtroppo no” mormorò Rogers con
voce rotta.
“Me l’aspettavo, sei partito come
una furia e non mi hai neanche dato il tempo di spiegarti come si cerca una
persona scomparsa” replicò l’uomo. “Scommetto che non hai con te neanche una
foto di Barnes!”
“Non ho nessuna foto recente di
lui in ogni caso” rispose Steve, abbattuto.
“Ma io posso aiutarti anche in
questo… se solo me ne avessi lasciato il tempo te l’avrei detto prima! Ho preso
una sua vecchia foto dall’archivio dello Smithsonian e l’ho salvata sul PC, ci
ho lavorato un po’ per farla sembrare più attuale
e mi pare che sia venuta abbastanza bene. Beh, diciamo che potrebbe sembrare
quella di un soldato in missione in Iraq. Te la invio sul cellulare,
d’accordo?”
Steve sentì che il suo cuore si
riapriva a un piccolo bagliore di speranza a quelle parole.
“Grazie, Tony, ti sono davvero
grato” disse, commosso.
Pochi secondi dopo, sul suo
cellulare appariva una delle foto di Bucky che anche lui aveva visto allo
Smithsonian, un Bucky sorridente e spensierato com’era solito i quei giorni
lontani. Stark era riuscito a trasformare la foto d’epoca in un’immagine a
colori che poteva benissimo raffigurare un giovane soldato dei giorni nostri.
L’ora di pranzo era passata da un
pezzo. Rogers non aveva fame, ma pensò che si sarebbe potuto fermare a un bar
per un sandwich e un caffè e ne avrebbe approfittato per chiedere al
proprietario e alle cameriere se avessero visto il ragazzo della foto.
Certo, così avrebbe funzionato!
Rasserenato e di nuovo ottimista,
Steve si spazzolò i jeans dalla polvere e uscì dal cortile per riprendere la
moto. Avrebbe perlustrato tutto il quartiere e mostrato a chi incontrava quella
foto di Bucky; era convintissimo che non potesse essere andato da nessun’altra
parte e, con l’aiuto dell’immagine, questa volta sarebbe riuscito a ritrovarlo.
Tom Riggins chiuse il negozio di
frutta e verdura alle sei del pomeriggio. L’aiuto insperato del giovane James
era stato davvero prezioso e gli faceva piacere poterlo ospitare a casa sua.
L’appartamento dei coniugi Riggins era proprio sopra il negozio e in pochi
minuti i due furono in casa. Maggie Riggins stava preparando la cena e aveva
già sistemato la stanza in cui avrebbe dormito Bucky.
“Sono proprio contenta che Tom
abbia trovato un nuovo aiutante, ero così preoccupata per lui, lavora troppo,
io glielo dico sempre. E poi sono felice che qualcuno occupi di nuovo la stanza
di Ryan” disse la donna, senza smettere un secondo di parlare e senza far caso
al fatto che il giovane non aveva aperto bocca. Lo condusse nella camera che
avrebbe occupato e gliela mostrò, piena di entusiasmo. “Ecco, tu puoi
sistemarti qui e fai come se fossi a casa tua. Il bagno è in fondo al
corridoio, così puoi rinfrescarti e cambiarti prima di cena. Noi mangiamo alle
sette e ci sarà anche il padre di Tom, così lo conoscerai. Spero che ti
troverai bene con noi. Allora, James, ci vediamo a tavola!”
Soddisfatta, la donna lasciò
Bucky sulla soglia della stanza e si recò in cucina per finire di preparare la
cena.
Travolto da tanta disponibilità,
il Soldato d’Inverno restò per un attimo attonito a guardarsi intorno, poi
entrò nella stanza per sistemare le sue poche cose prima di rinfrescarsi e
mettersi una maglietta pulita per presentarsi a tavola.
La camera di Ryan Riggins era
rimasta quella di quando era un ragazzo di scuola superiore: alle pareti
c’erano poster di gruppi musicali che Bucky non aveva mai sentito nominare,
scaffali con libri di avventure e romanzi di Stephen King, un pallone da
football in un angolo e un altro poster, questa volta dei New York Giants. Su
una mensola c’erano diverse fotografie che ritraevano Ryan nelle varie fasi
della sua vita: a pochi mesi, a tre o quattro anni su una piccola bicicletta, al
mare con i genitori, ragazzino con un gruppo di amici e così via fino ad
arrivare a un fiero Ryan con l’uniforme della Marina.
Dopo questa breve ispezione della
stanza, Bucky andò in bagno per lavarsi e sistemarsi i capelli in un codino
basso, poi tornò in camera a prendere una maglietta pulita. Se l’era appena infilata
quando lo sguardo gli cadde su un altro poster, appeso alla parete più lontana,
che non aveva notato prima. Ciò che vide lo lasciò interdetto: il poster
raffigurava nientemeno che Captain America!
Scuotendo il capo, il giovane si
lasciò cadere seduto sul letto con una risatina, colpito dall’ironia della
situazione.
“Non è possibile” mormorò,
“Steve, non vuoi proprio lasciarmi in pace!”
Quella sera, a cena, tuttavia,
Bucky capì che le cose erano ben più preoccupanti di un semplice poster nella
stanza di un ragazzo… la famiglia Riggins al completo, infatti, sembrava essere
una grande fan del supereroe!
“Captain America, certo!” rise
Tom Riggins, quando Bucky ebbe accennato al poster che aveva visto nella stanza
di Ryan. “La nostra famiglia è molto legata alla figura di quel supereroe, per
più di un motivo.”
Bucky non era certo di voler
sapere quali motivi…
“Lo conoscete… personalmente?”
chiese, cominciando a pensare di essere finito nella famiglia meno adatta.
“Magari! Sarei stato felicissimo
di conoscerlo quando anch’io combattevo durante la Seconda Guerra Mondiale”
intervenne il vecchio Joe Riggins. “Era l’eroe di tutti noi, le sue imprese ci
davano la forza e il coraggio di resistere… purtroppo, a quei tempi non ebbi
l’onore di incontrarlo.”
“Papà ha cresciuto sia me sia
Ryan con il mito di Captain America” continuò Tom Riggins, fiero. “E poi… pensa
un po’, James? E’ stato proprio Ryan a farcelo incontrare, circa un anno fa.”
Bucky trasalì: le cose si stavano
mettendo piuttosto male. Riggins, però, scambiò il suo sbalordimento per
interesse e continuò a raccontare con orgoglio.
“Il nostro Ryan lavora da due
anni a Washington, fa parte dell’ NCIS, l’Unità Investigativa della Marina. Non
appena ne ha avuto l’occasione, ha regalato ai suoi genitori e al nonno una
bella visita al Museo Smithsonian… è davvero un ragazzo d’oro, nostro figlio!”
“Che emozione è stata per noi
scoprire che Captain America era cresciuto proprio nel nostro quartiere!”
aggiunse Maggie, sorridendo.
“Ma una bellissima sorpresa ci
attendeva al Museo: Ryan aveva organizzato per noi un incontro con il Capitano
in persona… ho creduto mi venisse un colpo!” ridacchiò l’anziano Joe. “Avevo
tanto desiderato incontrarlo quando ero un soldatino e quando me lo sono
ritrovato davanti… Beh, io ero questo vecchio catorcio che vedi adesso e lui è
ancora un bel pezzo di ragazzo, come settant’anni fa!”
Bucky quasi si strozzò col
bicchier d’acqua che stava bevendo.
“Tutto bene, James?” chiese
premurosa Maggie.
Non andava bene per niente, ma
Bucky si sforzò di annuire.
“Il Capitano è stato molto
gentile con noi” continuò a raccontare Tom, “sebbene fosse uscito da poco
dall’ospedale dopo lo scontro sull’Helicarrier con il terrorista noto come il Soldato d’Inverno.”
Ecco. Ora le cose cominciavano
davvero a precipitare. Bucky si sforzò di fingere una sovrana indifferenza, ma
non era per niente facile.
La famiglia Riggins sembrò non
notare il disagio del giovane. Maggie intervenne con voce commossa.
“Pensa, Captain America aveva
addirittura scoperto che questo terrorista era in realtà il suo amico
d’infanzia, cresciuto anche lui a Brooklyn e creduto morto in guerra… come si
chiamava, Tom? Ora mi sfugge…beh, mi tornerà in mente, comunque. In realtà lo
avevano rapito e gli avevano fatto cose orribili per farlo diventare un killer,
però poi sull’Helicarrier pare avesse ricordato e che fosse stato proprio lui a
salvare la vita al Capitano, alla fine. Non è una cosa straziante?”
“E… sarebbe stato Captain America
a raccontarvi tutte queste cose?” s’informò Bucky, con aria tetra.
“Ah, no di certo! Lui ci disse
solo che era appena uscito dall’ospedale dove l’avevano ricoverato per i fatti
accaduti sul Triskelion, ovviamente” precisò Tom. “E spiegò che presto sarebbe
partito per un’altra missione e che avevamo fatto appena in tempo a incontrarlo
perché non sapeva quanto sarebbe stato via. Tutto il resto ce lo ha detto poi
Ryan, compreso il fatto che la missione del Capitano era del tutto personale:
andava a cercare il suo amico perduto.”
“Saranno contenti all’ NCIS che vostro figlio divulghi così tranquillamente
informazioni che dovrebbero essere top secret” fece caustico Bucky, piuttosto
innervosito dalla piega che aveva preso la conversazione.
I Riggins scoppiarono a ridere.
“Ma no, certo che non lo fa!”
rispose Maggie. “Questa, però, era una questione personale di Captain America e
noi ci sentiamo… come dire… un po’ parte della sua famiglia, ecco.”
“Chissà se poi l’avrà ritrovato”
buttò là Tom.
“Beh, immagino che, quando
accadrà, Ryan ve lo farà sapere in tempo reale!” mormorò Bucky, sarcastico.
“Qualcosa non va, James?” domandò
Maggie, vedendo che il giovane faceva per alzarsi da tavola.
“Va tutto benissimo, grazie”
rispose lui. “Sono soltanto stanco e… preferirei andare a dormire, visto che
domattina inizieremo a lavorare molto presto.”
“Eh, sì, hai proprio ragione!”
esclamò Tom. “Allora buonanotte, ragazzo!”
Bucky uscì dalla stanza più in
fretta che poté senza che la sua potesse sembrare una fuga. Fece però in tempo a sentire un ultimo commento di Maggie
Riggins.
“Che bravo ragazzo, non è vero? Un po’ introverso, ma alla fin fine di buon cuore.”
Due ore dopo, Tom Riggins chiamò
il figlio a Washington.
“Ryan? Sì, sono papà. Noi tutti
bene, e tu? Ah, sono contento. Senti, sei ancora in contatto con quel
miliardario di Manhattan, Tony Stark, non è vero? Lui sa come rintracciare
Captain America, ne sono certo. Ecco, dovresti chiamarlo appena possibile e
dirgli di informare il Capitano che abbiamo trovato il suo amico, quello che
chiamavano il Soldato d’Inverno. A
proposito, come si chiama? Io e tua madre proprio non siamo riusciti a
ricordarcelo… Ah, già! Oh, beh, se te lo raccontassi… sappi solo che stamattina
gli ho offerto un lavoro e che proprio in questo momento sta dormendo nella tua
stanza! Ma sì, non ti sto prendendo in giro, non scherzerei mai su una cosa
tanto importante. Se sono sicuro che sia lui? Beh, il viso è molto simile a
quello che vedemmo allo Smithsonian, in più ha un braccio meccanico… sì, lui
dice di essere saltato su una mina… ma a chi mai metterebbero un arto così
perfetto? E poi ci ha detto di chiamarsi James
Barnes… eh, sì, magari pensava che noi non conoscessimo il suo vero nome.
Insomma, avverti Stark il prima possibile. Ciao, ci risentiamo presto!”
Tom Riggins riagganciò,
soddisfatto. Era felicissimo di poter fare qualcosa per il suo idolo: chissà
come sarebbe stato contento Captain America quando avesse saputo che il suo
amico era proprio lì, in casa loro!
Intanto, Steve era tornato al suo
appartamento senza aver concluso nulla. Nessuno aveva riconosciuto la foto che
aveva mostrato, ma lui non si sarebbe arreso, sarebbe tornato a Brooklyn il
mattino seguente e avrebbe ripreso le ricerche.
Non immaginava nemmeno
lontanamente la bella sorpresa che una famiglia sconosciuta stava preparando
per lui!
Fine seconda parte