Tlin, tlin, tlin...

di Arancino Spietato
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Tlin, tlin, tlin...

Non smetteva di fissare quei pezzi di metallo circolari che da chissà dove cadevano per poi arrivare a terra con il loro classico rumore.
Era da ormai tre giorni che precipitavano incessantemente davanti ai suoi occhi.
Pensava di essere diventato ricco, era entusiasta, saltava sul letto e per tutta la casa, ma poi appena si rese conto di non poterli toccare la sua gioia sparì, lasciando spazio alla confusione.
Perché quelle monete cadevano? Da dove venivano?
Cominciava ad odiare quelle monete d'oro. Qualunque cosa accadesse non smettevano di cadere al suolo e di produrre quel maledettissimo suono. TLIN, TLIN, TLIN, tutto moltiplicato all'infinito, senza sosta.
Era come costretto a guardare un video in loop, dovunque dirigesse il suo sguardo quelle monete erano sempre lì.
Non riusciva a dormire, il rumore lo perseguitava.
Stringeva con rabbia il cuscino, mettendoselo sopra la testa per coprirsi le orecchie, ma quel frastuono sembrava essere dentro la sua testa.
Perché?! Cosa cazzo sta succedendo?!
Ansimava, non sapeva che fare.
Aveva 22 anni ormai, viveva da solo, mica poteva chiamare la mamma e dirle tutto.
Ogni TLIN che sentiva era una microfrattura sempre più grande alla sua sanità mentale.
Era esasperato, quei fottutissimi pezzi di metallo non lo lasciavano in pace. Sentiva la testa esplodere, non ne poteva più.
Dio fallo smettere, ti prego.
Quasi quasi non riusciva più a sentire i suoi pensieri. Non vedeva più niente per colpa della visione che gli occupava quasi tutto il campo visivo.
Si mise urlare, non concluse niente.
La disperazione si era impossessata di lui. Si tiró i corti capelli mori, affondando le unghie nel cuoio capelluto, quasi per non pensarci.
Il suo viso era un'espressione corrucciata di frustrazione e disperazione.
«Zitte ZITTE!»
Con chi parlava? Con le monete? Ohohoh, povero ragazzo.
Chissà come ci si sente a non riuscire più a pensare.
Chissà come ci si sente ad avere l'inferno nella propria testa.
Si diede qualche manata sulla testa, mentre la sua sanità lentamente scivolava via.
Non poteva più vederle.
Qualche altra moneta e sarebbe morto.
Le sue dita penetrarono nell'orbita oculare destra, estraendo con furia il bulbo dall'iride ambrata. Il sangue coló come una cascata sulla guancia del giovane, che teneva in mano il suo occhio.
Il dolore era atroce, ma mai quanto quello alla testa che la visione gli procurava.
Non era così male in fondo.
Ficcó due dita nell'altro occhio, estraendolo più delicatamente.
Con il tatto sentiva i bulbi lisci e gelatinosi, bagnati dal liquido plasmatico che fuoriusciva con fiotti dalle orbite ormai vuote.
Ignorando il dolore, sorrise.
Ora va meglio.




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