Anyone
can see the stars
Fa
freddo oggi. Forse più di
ieri, visto che ha nevicato per tutta la notte. E dire che, di solito,
il
giorno di San Valentino ce lo si immagina caloroso e pieno
d’allegria; un po’
come un piccolo postumo del Natale. Ma per me non è
così. Per me quest’anno la
festa degli innamorati significa soltanto freddo. Tanto freddo. E,
forse, non
solo per me, benché in maniera diversa. Una buona spanna di
neve candida,
fresca e luccicante fa da tappeto alla scena, man mano imbrattata dai
passi
delle tante persone giunte fin qui a capo chino; il nero dei loro
vestiti,
bagnati da un flusso costante di lacrime, crea un contrasto quasi
insopportabile con quel ghiacciato candore. E sono tutti lì,
immersi nel
silenzio più assoluto, rotto solo da qualche bisbiglio o
singhiozzo subito
represso. Attorno a quella piccola lapide, bianca come la neve che
l’abbraccia,
semplice: solo un nome e un cognome seguiti da una data di nascita e
una di
morte; il lasso di tempo tra queste troppo corto da non poter non
essere
guardato con rancore.
Sono
venuti tutti al tuo
funerale, senza distinzioni tra amici e nemici, indifferenti o
affezionati a
te. Ci sono i tuoi amici di sempre, la tua famiglia, le persone che ti
hanno
tenuto la mano guidandoti su strade buie: tutti accomunati da un pianto
silenzioso ed amaro… per te. Come se ti chiedessero
perché l’hai fatto, perché
hai permesso che accadesse. Ma non hanno capito niente… Le
loro lacrime si
ghiacciano sui loro volti, mentre ricordano tutto di te, pensano solo a
te.
Poi, chissà… Sì, fa veramente freddo
oggi. Ma il freddo che mi fa più paura è
quello che proviene dal mio cuore, come da quello di tutte queste
persone,
nelle quali hai lasciato una finestra spalancata in pieno inverno.
Ed
eccole lì, in prima fila,
cercando con tutta la loro forza di volontà di trattenere
l’eccessivo flusso di
lacrime ed emozioni di cui sono in balia, Debora e Karolina, in mezzo a
tutti
gli altri tuoi amici e compagni di classe, che nemmeno io conosco
tutti. Si
stanno rammaricando di non esserti state vicine in quegli ultimi
secondi, di
non averti tenuto la mano tra addii sussurrati. Se lo rimprovereranno
per
sempre, anche se non è colpa loro. Cercherò di
farglielo capire, ma
probabilmente tra le ultime lacrime mi risponderanno che non
è bello morire
soli. Ma, nonostante l’apparenza, non credo che tu sia morta
sola… muoiono soli
soltanto coloro che sono veramente soli, mentre, in un modo o
nell’altro, anche
tu puoi vedere la folla che è venuta ad assistere al
tuo… funerale. No, mi fa tropo
male quella parola: suona come qualcosa di troppo definitivo. Non sono
ancora
pronto a dirti addio per sempre, a credere alla realtà.
Più in là vedo far
capolino tra la folla una testa bionda, china e con il volto affondato
tra le
mani, mentre altre due figure al suo fianco la consolano con piccole
pacche
sulla schiena. Sulle prime qualcosa, come una belva selvaggia, inizia a
ruggire
dal profondo del mio petto alla semplice vista dello studente americano
che ti
stava tanto a cuore, Edward, se non sbaglio. Ma poi mi dico che
è inutile
continuare a provare rancore per un avversario che non potrà
mai averti… come
me. Se per te fosse stato solo un semplice amico o qualcosa di
più non lo so,
fatto sta che non posso far finta di non vedere le sue lacrime, tanto
quanto le
mie o quelle di tutti i presenti. Ti voleva bene, questo devo
ammetterlo, e
sicuramente è riuscito a colmare almeno in parte il vuoto
lasciato dalla mia
assenza. E proprio per questo, nonostante tutte le leggi matematiche,
non
riesco, e non riuscirò mai, ad odiarlo con tutto me stesso.
Per essere stato lì
dove io mancavo. E adesso che farà? Tornerà in
America, di certo, e forse ti
ricorderà con la malinconia dei vecchi tempi, ma nonostante
tutto il bene che
ti abbia mai voluto, hai rappresentato un periodo troppo breve della
sua vita.
Ma poi perché mi sto preoccupando per qualcuno che posso
dire di non conoscere
affatto? Perché vedo soluzioni e consolazioni per tutti
tranne che per me?
C’è
anche il signor White, il vecchio
preside che ti ha sempre consigliato e seguito nel bene e nel male. Ha
fatto un
lungo discorso all’inizio. Parole profonde, solenni, cariche
di significato e
sentimento. Ti ha ricordato come una persona straordinaria, che,
nonostante
abbia dovuto affrontare molte avversità, non ha mai negato
il suo aiuto a
nessuno, arrivando a sacrificarsi pur di distruggere la persona che
avrebbe
attentato alla vita di tutti noi. Brava, alla fine sei riuscita a
vincere.
Questo l’ha ricordato anche il preside con le sue parole
pompose e degne della
situazione. Ma è veramente una vittoria? Alla fine
sei… non sei più accanto a
me comunque. E, nonostante tutte le belle parole e i bei ricordi di te,
non
potrò mai perdonarti la carneficina di cuori ed anime che la
tua morte egoista
ha provocato. Qual è il peggio che posso dire? Le cose
andranno meglio? Non lo
so. Ora non posso far altro che aspettare, inerme come una foglia
sballottata
qua e là da un tornado.
Ecco,
la cerimonia è finita e,
pian piano, strofinando candidi fazzoletti sugli occhi lucidi, tutti se
ne
vanno a piccoli gruppetti, lanciando un ultimo sguardo a quella lapide
troppo
piccola. Qualcuno si attarda, sussurrando qualche parola tra i
singhiozzi, ma
poi tutti, a passo lento come si confà ad una marcia
funebre, riprendono la via verso l'uscita del cimitero. Probabilmente
molti di loro ti dimenticheranno tra non molto…
dopotutto il tempo scolorisce tutto, no? Altri, passata la fase dei
pianti
notturni, continueranno a ricordarti con nostalgia, pur non rinunciando
alla
propria vita e alla propria felicità. Io non so cosa
farò. Non fosse per
l’immenso mondo che mi circonda, perennemente in movimento,
rimarrei qui per
sempre di fronte alla tua tomba. Così come sono ora,
piangendo, interrogandomi
e ricordandoti con una rosa rossa in mano. Hanno portato molti fiori a
colorare
il pallore della tua lapide, ma io ancora esito con questa sola e
maledetta rosa
in mano. Non so cosa sto aspettando, qui in piedi e con lo sguardo
perso nel
vuoto. Forse di morire. E di raggiungerti.
«Evan,
dobbiamo andare…».
Una
voce famigliare mi coglie
alle spalle, facendomi sobbalzare leggermente. William mi si accosta
mettendomi
una mano sulla spalla: anche il suo volto è cupo oggi e gli
occhi sono un po’
arrossati per il recente pianto. Ma mai come i miei.
«Arrivo.
Dammi solo un minuto»
rispondo con voce atona.
Non
mi volto per guardare la sua
espressione, ma so quasi per certo che sta studiando il mio volto,
sicuro che
non si tratterà di un solo minuto. Da quando ho appreso la
notizia della tua
morte mi sono limitato a chiudermi in me stesso e a piangere in
solitudine,
senza parlare con nessuno di quanto io stia soffrendo in questi giorni.
William, da parte sua, pare essere l’unico ad aver compreso
il mio dolore e non
ha mai fatto domande in merito. Anche se mi ha sempre osservato e sono
certo
che attraverso quegli sguardi silenziosi abbia capito molto di
più di quanto io
abbia mai potuto dirgli.
«Ok»
sussurra quasi inudibile.
«Allora ti aspetto fuori… Non fare
tardi».
Mi
dà una breve pacca sulla
schiena e se ne va in silenzio. Un secondo dopo sono solo, qui con te.
Probabilmente con quel “non fare tardi” William si
augurava che non mi venisse
in mente di fare qualche stupidaggine, proprio ora che mi sento e sono
così
vulnerabile. Be’, di quel genere di stupidaggini me ne sono
passate per la
testa molte in questi giorni e anche molto variegate. Ma non ho avuto
il
coraggio di far niente. Che essere inutile che sono: so solo piangere e
non
riesco a mettere in atto nessuno di quei modi per mettere un freno al
mio
dolore. Di fronte a questa ormai palesata impotenza, una lacrima,
l’ennesima, mi
riga il volto congelato, scorrendo giù fino al mento e al
collo. La visuale mi
si appanna pian piano mentre altre gocce salate seguono la sua scia.
Non sento
nemmeno i miei singhiozzi, tutto sembra ovattato da un cuscino di
dolore, che
mi brucia sul volto ma non riesce ancora a soffocarmi. E
così mi hai
abbandonato pure tu. Dopo anni di buio, ero finalmente riuscito a
scorgere un
barlume di felicità in fondo al tunnel, proprio quando,
all’improvviso, esso mi
è crollato addosso senza pietà. Stavo cominciando
a credere che essere felici
fosse possibile, ma mi sbagliavo. È tutta
un’illusione e la tua morte ha
segnato il massimo grado della disillusione.
Abbasso
gli occhi, dando
ulteriore sfogo alle mie lacrime amare, che sembrano non avere fine, e
vedo
quella rosa ancora stretta tra le mie mani.
È rossa, come il sangue che continua
imperterrito a zampillare dal mio
cuore ferito. Proprio questo simbolo di sofferenza è
l’unica nota di colore su
questa scena bianca e nera. Sì, perché il dolore
è la cosa che risalta di più
in quest’occasione. Accompagnato e lavato, ma non sbiadito,
da un fiume di
lacrime che cadono pian piano sulla neve, sciogliendola. Cosa mi rimane
adesso
che te ne sei andata? Che ragione ho per continuare a a tirare avanti
sotto le
frustate della vita? Nessuna. Davanti a me vedo solo freddo. E vuoto.
Mi sento
inutile, senza senso, privo di qualunque pensiero logico quanto la neve
che
soffoca la tua lapide. E, allo stesso modo, voglio starti attaccato.
Per
sempre. Qui. A vegliare una pietra con su inciso un nome importante.
Per me. La
mia luce.
Le
lacrime si fanno più numerose
e soffocanti, fin quasi ad appannarmi la vista. D’istinto,
come se cercassi di
resistere a quel flusso di amara verità che so non
potrò mai contrastare, serro
i pugni attorno alla rosa. Sempre più forte,
finché non sento le spine
penetrare nel palmo della mia mano. Dolore che si aggiunge al dolore.
Ma non
m’importa. Nulla ha più senso e valore. Neanche il
sangue che inizia pian piano
a scorrere sulle mie mani, caldo e rosso come i petali della rosa, per
poi
colare lungo il suo gambo e gocciolare a terra, dando una sfumatura
rosata alla
neve. Ma, nonostante tutto, non mollo la presa. E il sangue continua a
scorrere
insieme alle lacrime, disegnando una chiazza sempre più
grande sulla neve,
sulla tua tomba. Ecco la sorda testimonianza firmata di ciò
che mi hai fatto.
Non mi sento più il cuore, probabilmente anch’esso
è lì per terra, abbandonato
e lacerato. Fa tutto troppo male. Vorrei scappare, ma ho le gambe
immobilizzate. Vorrei morire, addormentarmi per sempre qui di fianco a
te, ma
so che non succederà. Non oggi, perlomeno.
«Perché?».
Un
sussurro spontaneo mi sale
alle labbra, risuonando nell’aria come se l’avessi
urlato. Perché fra tante
persone proprio tu? Chi ha scelto? Chi ha deciso? Chi ha permesso tutto
ciò?
Chi ti ha portato via… da me? La persona che più
mi serviva… Che ora mi ha
lasciato solo in questo mondo insensato. Silenzio. Nessuna risposta
alla mia
domanda. Già, c’è silenzio
perché sei morta. Sì, morta. Un’altra
fitta al
cuore, un’altra ondata di lacrime, altre gocce di sangue
stillano lente.
«Perché?
Rispondi!».
Un
urlo, questa volta. E subito
uno scatto di rabbia ottenebra per un attimo la tristezza silenziosa.
Come se
fosse stato sferrato da un’altra persona, mi rendo conto a
stento del calcio
scagliato al vuoto, che butta una cascata di neve su quel marmo freddo
ed
inviolato. E, sempre senza sapere come, mi ritrovo a terra, accasciato
e
singhiozzante come un animale ferito. La rosa insanguinata a qualche
passo di
distanza da me, mentre altro sangue, quello che sgorga dalle mie mani,
mi
sporca il volto, mescolandosi alle lacrime irrefrenabili. Non so quanto
tempo
rimasi in quello stato, forse ore, e mi sorpresi che nessuno fosse
ancora
venuto a cercarmi. Però era stato qualcosa di preciso a
costringermi ad aprire
gli occhi, ad alzare il volto da terra, dal mio dolore, per un attimo.
Dal
cielo plumbeo avevano iniziato a cadere volteggiando una miriade di
fiocchi
candidi: stava nevicando. Ma quella che scendeva sulla mia testa,
bagnandomi a
poco a poco i capelli, non era neve normale. Era, infatti, mescolata
con la
pioggia. Era neve sciolta. Che mi riportò violentemente al
passato, con piacere
ma anche un’altra fitta al mio cuore mutilato.
Mi
si presentò come lo spezzone
di un vecchio film. Era successo poco prima che te andassi per sempre.
Dolce ed
amaro ad un tempo. Forse per caso o per un destino prestabilito. Ma pur
sempre
il bacio che non dimenticherò mai più.
Perché mi ha fatto capire che nonostante
tutto sia contro di te, tutte le circostanze e le persone ti siano
avverse,
esisterà sempre un modo per andare avanti, per credere in
ciò che si vuol
negare, ma che si desidera. Quel giorno, sotto questa stessa neve, con
quel
gesto mi hai dimostrato che, nonostante tutto, tu mi volevi bene. Anche
se mi
imponevi di sparire, sapevo che… mi amavi. Be’,
forse “amore” è una parola
troppo importante, troppo grande da controllare. Ma non trovo altro
termine per
descrivere ciò che provo tutt’ora per
te… e che tu, probabilmente, provavi per
me. Avrebbe potuto essere una storia meravigliosa… ma ora
sarà ricordata solo
come una tragedia. Un “Romeo e Giulietta” con
qualche variante. Sì, perché nel
nostro caso Romeo non è ancora morto.
La
neve sciolta si fa sempre più
fitta tanto che quella macchia rossastra è già
stata quasi del tutto
cancellata. Ancora accasciato a terra, lancio un breve sguardo alle mie
mani,
bucate dalle spine e rosse per il freddo ma soprattutto per il sangue,
e poi
alla tua lapide, sulla quale inizia ad accumularsi un sottile strato di
neve.
Ora Romeo deve decidere se ricongiungersi alla sua Giulietta e rimanere
fedele
alla storia o… Opzione
B: alternativa
inaspettata, via inedita. Ancora e sempre lacrime: ormai sono diventate
naturali e spontanee come il respirare. Altro sangue: unica fonte di
colore che
cola via. Che fare? Cosa. Devo. Fare. Ora. Sarebbe facile coricarsi qui
e
aspettare che il mio cuore cessi di battere per il freddo.
Sì, molto più
facile: niente più dolore, niente più rimpianti,
ricordi, tristezza e mancanza
di te. Dormire. Solo dormire per sempre accanto a te.
Dall’altra parte invece…
È tutto a mio, anzi nostro, svantaggio: saremo divisi e la
vita continuerà a
tormentarmi. Ma…
No.
No.
Romeo
non morirà in questa
storia, perché se lui muore allora morirà anche
il ricordo di Giulietta. E così
avrebbero entrambi vissuto inutilmente. Nessuno si sarebbe
più ricordato che
c’è stato qualcuno che si è sacrificato
per la sua vita serena. Nessuno avrebbe
più apprezzato tutti quegli alti valori che portano le
persone a combattere per
un bene comune o per un ideale. No, non sei morta per essere poi
dimenticata.
Non hai sofferto e lottato per niente. E per questo io
vivrò. Sarà difficile
colmare il vuoto lasciato dal tuo addio, ma ce la farò. Per
non dimenticare. Ne
ho già passate tante e non vedo perché questa
volta dovrebbe essere diverso.
Asciugherò le lacrime, fascerò le ferite,
ricucirò i brandelli del mio cuore.
Per te. Cercherò di continuare la mia vita, anzi di farmene
una nuova lontano
dalle tenebre che hanno avvolto questi anni. Proverò a
dimenticare, a soffocare
con delicatezza questo dolore lancinante, ma senza scordarti.
Sì, ci riuscirò a
dimenticare senza però farlo del tutto. È un
po’ una contraddizione. Ma, in
fondo, tutta la vita è un nonsense. Prenderò il
bene di tutta questa faccenda,
scavando e cercandolo come un tesoro prezioso, e lascerò,
invece, il male alle
mie spalle. È difficile, ma con il tuo aiuto ci
riuscirò. E saprò che ora sei
in un posto migliore, sì, perché sono sicuro che
lassù, oltre queste nubi che
spolverano neve sciolta sulla mia testa, c’è
più che semplice aria rarefatta.
Ma, nonostante gli apparenti chilometri che ci dividono, tu non sei
più lontana
da me di questa rosa. Rossa, in modo che si veda bene anche da stare
lassù, in
mezzo a tutto questo bianco. In fondo tu sei questa rosa, questa
lapide, questa
neve, la stessa aria che respiro. Che mi accarezza il viso, baciandomi
un’ultima volta.
Sì,
ora ho capito.
Mi
alzo da terra lentamente,
senza badare al sangue in parte rappreso che mi sporca ancora il viso e
le mani,
mescolato a lacrime e neve. Perché non scorrerà
più sangue d’ora in avanti: è
inutile fare le vittime. Mi avvicino piano alla tua lapide, inviolata
ed
inviolabile, e vi poggio una breve carezza. Raccolgo la famosa rosa, le
cui
spine richiamano ancora il rosso vermiglio dei petali, e la metto
lì, di fianco
al tuo nome: un discorso di mille parole dotte e solenni non avrebbe
potuto
essere più significativo. Un ultimo saluto, un ultimo
sospiro. È già ora di
andare? Qualcosa di indefinito mi risponde con un sì conciso
e mi richiama verso l'uscita come un padrone con il suo cane.
Ora
devo andare, tesoro.
Allontanarmi da questo silenzio fatto di mille parole di ricordo per
immergermi
di nuovo nella futile massa. Perché è
lì che il mondo va avanti. Ma non ti
dimenticherò:
te l’ho già detto, no? Farò sapere a
tutti che persona sei stata e trasformerò
la loro compassione in orgoglio e rispetto. E ogni giorno di San
Valentino mi
ritroverai qui; ogni anno finché vivrò
ritaglierò cinque minuti di questo
giorno dalla mia vita per venire qui. Sulla tua tomba: corrispondenza
di
amorosi sensi. Con difficoltà e qualche ultimissima lacrima
mi stacco da te,
anche se so che un tuo pezzo mi seguirà sempre nel comodo
alloggio del mio cuore.
Cammino
e ora non fa più freddo.
Perché non ho più paura di vivere, di camminare
da solo in questo mondo. E
nessuno potrà impedirmi di continuare per la mia strada. Lo
faccio per te e
qualunque altra persona che, alzando gli occhi al cielo, si
accorgerà che può
vedere le stelle.
Questa
one-shot è tratta da un luuuuuuungo racconto (diciamo anche
libro) che ho scritto tanto tempo fa che mi è ricapitato per
le mani di recente (e che non ho intenzione di pubblicare per ragioni
di lunghezza e altro). Probabilmente, non avendo letto il contesto, non
riuscirete a capire tutti i riferimenti, ma non importa. Infatti, ho
pubblicato questa breve scena perchè mi piaceva anche
staccata dal resto e credevo che potesse in ogni caso emozionare chi
legge. Quindi vi consiglio di soffermarvi più sulla scena in
sè che su quello che c'è dietro (assolutamente
privo d'interesse).
Recensite
in tanti, eh? (ci tengo davvero tanto, vi prego! *_*)
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