eruri week
Dead
World -Eruri Week 2015
Family
La pioggia acida si abbatteva su Londra con violenza, bruciando i radi
e deboli rampicanti che nelle ultime settimane erano riusciti ad
aggrovigliarsi attorno alle colonne dei palazzi più antichi,
rovinando ulteriormente le facciate già annerite e
graffiate,
facendo innalzare un vapore giallognolo dall'asfalto spaccato come la
terra arida di un deserto.
Del mondo di un tempo non c'era più traccia, e ormai anche
la
persona più idealista e determinata ancora in vita si
sarebbe
probabilmente arresa all'evidenza dei fatti... Tranne lui.
L'uomo dai capelli del colore del sole e gli occhi grandi e azzurri
come il cielo d'estate, lo stesso colore che ormai non avrebbe mai
più visto se non racchiuso in quelle iridi.
Lui vagava per la zona contaminata con quell'espressione neutra e
inscalfibile tipica di chi sta nascondendo troppo dolore e troppa paura
sotto a una corazza spessa che lo difenda dal mondo.
Levi aveva perso tutto: la propria casa, il proprio lavoro, la propria
famiglia. Aveva iniziato a temere di poter perdere anche sé
stesso, perché l'olocausto nucleare sembrava aver spazzato
via
anche il suo coraggio assieme a tutto il resto, ma da un mese a quella
parte lo aveva trovato, e le cose avevano iniziato a cambiare.
Era
iniziato tutto in una notte gelida - l'inverno nucleare aveva oscurato
il cielo con il suo guanto spesso e indistruttibile, indebolendo
qualsiasi forma di vita ancora presente - in cui aveva notato un
bagliore caldo nella nebbia sporca e radioattiva che stava
attraversando in fretta e furia per raggiungere l'estremità
est
della città.
Seduto di fronte a un piccolo fuoco all'interno dell'atrio distrutto di
una biblioteca c'era Lui, l'uomo dagli occhi vivi, stretto in una
pesante giacca di montone e intento a leggere un libro impolverato e
mezzo distrutto.
Da quel giorno Levi non aveva fatto altro che seguirlo, abbandonando
l'idea di derubarlo delle sue cose dopo poco tempo, affascinato dalla
forza che sembrava emanare e dalla tristezza che gli leggeva nello
sguardo quando si concedeva un attimo di riposo.
Lo aveva seguito per giorni interi, che con una meta da raggiungere
sembravano essere diventati più leggeri; non sapeva quale
essa
fosse, ma grazie a Lui sapeva che esisteva, e tanto gli bastava.
Aveva imparato a godere dei piccoli gesti abitudinari in cui l'altro si
abbandonava, come accarezzare ogni riga particolarmente emozionante del
libro che stava leggendo, pettinarsi i capelli biondi nonostante
nessuno potesse vedere quanto fosse bello, controllare con uno
specchietto ogni angolo prima di svoltarlo per prudenza e timore di
trovare dall'altra parte dei predatori pronti a ucciderlo, o mordersi
il labbro
inferiore mentre prima di dormire si perdeva - Levi non ne aveva la
certezza, ma dentro di sé era sicuro fosse quello il motivo
di
quella ricerca silenziosa - a cercare le stelle nel cielo perennemente
oscurato dalle nubi.
Nemmeno se n'era accorto, ma alla fine Lui era diventato ciò
di
cui Levi sentiva di avere più bisogno: una famiglia.
Choices
Erwin si era accorto di essere seguito dopo poche ore, ma aveva finto
di non vederlo per giorni, settimane.
Inizialmente aveva camminato con i muscoli costantemente tesi, pronti a
sventare un qualsiasi attacco da parte dello sconosciuto, ma alla fine
non era mai successo nulla, e il suo corpo aveva deciso di rilassarsi
nonostante quella piccola - perché sì, la
figuretta che
era diventata una costante durante il suo vagabondare era decisamente
minuta - presenza attaccata alla sua ombra.
Persino la sua solitudine, che Erwin si era convinto essere la giusta
punizione per quello che aveva fatto, iniziò a diventare
meno
pesante sulle sue spalle grazie alla consapevolezza di avere qualcuno
da guidare nell'oscurità di quel mondo distrutto, e presto
si
ritrovò ad essere grato nei confronti dell'uomo senza nome
che
aveva deciso di fidarsi di lui.
Fece la sua scelta il terzo giorno di Marzo; si era segnato
scrupolosamente ogni giorno trascorso dall'esplosione,
centocinquantadue
giorni prima.
Era l'alba, lo si capiva dal cielo dipinto di un grigio più
tenue del solito, macchiato da quel perenne colore giallo che sapeva di
malattia, e quando si era svegliato aveva notato la figura dell'uomo
dai capelli corvini accovacciata dietro alla colonna all'esterno della
stazione della metropolitana, nell'atrio della quale si era accampato
per la notte.
"Sai, è
pericoloso dormire qua fuori" aveva detto, poggiando la
propria giacca sulle sue spalle forti ma piccole.
Lui era scattato a sedere, afferrandogli il polso con estrema forza per
un corpo
così minuto, gli occhi color acciaio puntati come lame
taglienti
su di lui. Per un attimo si erano ingranditi per la sorpresa,
poi erano
tornati a nascondersi dietro alle ciglia scure, protetti da
un'espressione diffidente.
"Dovrebbe essere
pericoloso anche avvicinarsi agli sconosciuti" aveva
risposto lui, asciutto.
"Non sei uno
sconosciuto. Mi segui da
parecchio tempo. Ora scaldati, e vieni dentro. Ho qualcosa da mangiare
che vorrei condividere con te."
Era tornato all'interno senza voltarsi, certo che l'altro lo avrebbe
seguito, perché in fondo entrambi avevano già
preso una precisa
decisione nell'esatto momento in cui si erano trovati.
Confession
"Ho ucciso migliaia di
persone.
Ero a capo di un team di recupero, e le uniche cose che sono riuscito a
recuperare sono stati il mio corpo e la mia mente danneggiata da tutto
questo.
Avrei dovuto portare in salvo il mio migliore amico, sua moglie e i
loro bambini. Mia madre, uomini innocenti, anziani spaventati.
Era la prima volta che pioveva acido, non sapevo cosa significasse.
Gli altri hanno abbandonato il piano di recupero immediatamente, io ho
promesso a quelle persone che le avrei portate in salvo.
Li ho condotti in un supermercato abbandonato pensando di poter
garantire loro sicurezza e cibo almeno per qualche giorno, e invece li
ho gettati in pasto a una banda di venti predatori.
Nemmeno il mio fucile è servito a qualcosa.
Sono riuscito a scappare per miracolo."
Era un'altra notte fredda, la decima di Maggio, e loro erano stati
costretti a chiudersi in un vecchio autobus in rovina per ripararsi
dalla pioggia acida che, puntuale, aveva iniziato a cadere sulla
città.
Levi aveva alzato lo sguardo su di lui, le ciocche scure ormai troppo
lunghe che cadevano ad accarezzargli gli zigomi pallidi.
"Non è stata
colpa tua. Come puoi pensare una cosa del genere?"
Erwin aveva abbassato lo sguardo, sentendo il peso del rimorso
gravargli sulle spalle larghe, e aveva accarezzato l'arma che avrebbe
dovuto proteggere delle persone e che invece era diventata una
protezione solamente per lui stesso e per l'uomo che gli stava seduto
davanti.
"Avrei dovuto essere
più
previdente. Più sensibile. Ho creato un piano teoricamente
perfetto e praticamente pieno di falle."
La mano bianca di Levi si era posata sulla sua. Era più
piccola,
più pallida, eppure in quel momento anche più
forte.
"Non esistono gli eroi,
Erwin.
Smettila di cercare di esserlo e di dire stronzate. Tu, io... Siamo
uomini che cercano di sopravvivere. Non c'è bisogno di dare
un
senso a ogni nostro gesto."
Aveva alzato gli occhi azzurri su di lui, voltando il proprio palmo per
poter sfiorare la sua pelle con il pollice in un gesto più
dolce
di quanto avrebbe voluto mostrare.
"Io ho bisogno di dare
un senso alle mie azioni, a me stesso. Non posso perdere la via."
Gli occhi grigi e affilati di Levi si erano fatti più
morbidi, caldi.
"Allora continua a
guidare. Io ti seguo. Ti seguo da sempre."
Touch
Le labbra di Erwin erano piene, vellutate nonostante la forza che
emulavano quando si tiravano in una linea netta e severa durante il
giorno, mentre migravano da una zona di Londra all'altra alla ricerca
di cibo, medicinali, armi.
Quella sera, quando erano tornati al loro rifugio, protetti dagli occhi
cattivi del mondo, quelle labbra erano diventate burro dolce e
confortevole.
Era stato Levi a fare il primo passo, tormentato dalla bellezza di
Erwin; non era solo una questione di estetica, lui era bello
soprattutto dentro, ed era tutto ciò che lo faceva sentire
forte.
Aveva desiderato toccare quelle labbra con le proprie dopo
pochi
giorni che aveva deciso di fare squadra con lui, eppure non lo aveva
mai fatto.
Quella sera, però, la luce proveniente dal loro piccolo
falò aveva disegnato cerchi di luce negli occhi chiarissimi
di
Erwin, e Levi si era sentito cadere in un mondo diverso, caldo, sicuro.
Lo aveva afferrato per il collo della giacca mentre stava parlando di
come si sarebbero mossi la mattina seguente, e aveva premuto con forza
le proprie labbra sulle sue per poter sigillare quel momento, quella
sensazione.
Le mani grandi e forti dell'altro lo avevano afferrato per le spalle,
ma non lo avevano respinto.
I pollici avevano iniziato a disegnare cerchi immaginari sulla lana del
cappotto che indossava, e le loro lingue si erano accarezzate come
fosse la cosa più naturale al mondo.
"Non azzardarti a dire
qualcosa" lo aveva minacciato quando si erano staccati,
svariati minuti dopo, perché entrambi privi di fiato.
Erwin lo aveva guardato, e anche se a causa della vicinanza le fiamme
non si riflettevano più nei suoi occhi, Levi si era sentito
di
nuovo immerso in quel mondo sicuro e luminoso.
E poi aveva annullato le distanze nuovamente.
Scars
"Erwin, dobbiamo
fermarci!"
"No."
Persino lui, con la sua notevole resistenza fisica, iniziava a sentire
fitte poco piacevoli alla milza, e le gambe iniziavano a intorpidirsi,
doloranti.
Correvano a perdifiato da troppo, ormai, ed entrambi perdevano sangue.
Erwin, soprattutto.
Stavano setacciando un piccolo supermarket in periferia che pareva non
essere stato ancora distrutto o preso d'assalto, quando una banda di
predatori aveva fatto irruzione.
Non avevano nemmeno provato a contrattare, creando un muro di fuoco per
metterli con le spalle al muro.
Erwin era riuscito a evitare che ciò accadesse agendo
d'astuzia
prima di loro, trascinando Levi fuori, gettandosi attraverso la
finestra a loro più vicina.
Avevano corso, corso, corso.
Sentiva i graffi causati dal rompersi dei vetri bruciare con insistenza
sulla fronte, sul mento, sulle mani...
Ma gli occhi erano puntati sulla manica destra del giaccone di Erwin,
zuppo di sangue.
"Erwin, fermati!"
Lo aveva afferrato per il braccio destro con forza, strappandogli un
lamento di dolore, la prova di cui aveva bisogno per confermare la
gravità della ferita che l'altro voleva ignorare
ostinatamente.
"Stai perdendo sangue,
cazzo! Se non puliamo la ferita potrebbe andare in necrosi-"
"Levi. Sto bene. Ora la
priorità è metterci al sicuro, non importa se
dovrò portarmi dietro una cicatrice in più."
Levi lo aveva guardato negli occhi, quegli occhi che lo avevano
salvato, e aveva capito tutto il peso che lo schiacciava dentro.
Lo aveva sentito, come un marchio a fuoco sulla pelle,
perché
quello sguardo triste era la cosa più dolorosa con cui
avesse a
che fare quotidianamente.
E poi aveva deciso di disobbedire, e di prendersi cura di quella ferita.
La perdita di un braccio non era una cicatrice che voleva Erwin dovesse
tollerare, perché quelle che gli costellavano il cuore lo
ferivano già abbastanza.
Healing
"Un anno fa
c'è stato l'olocausto nucleare. Un anno. Proprio oggi."
Erano sdraiati su un letto impolverato di un appartamento al terzo
piano di una palazzina vecchia ma incredibilmente resistente,
perché era sopravvissuta ai bombardamenti in modo egregio.
Erwin era girato su un fianco, il gomito affondato nel cuscino troppo
duro e il capo sostenuto dal palmo della mano.
"Tieni il conto per
poterti deprimere un po' di più?" aveva
risposto ironicamente Levi, spostando lo sguardo dal soffitto al suo
volto.
I capelli ricadevano appena sul materasso, creando un'aureola oscura
attorno al suo volto pallido, imperfetto ma bellissimo agli occhi di
Erwin.
"No, tengo il conto per
potermi rendere conto di quanto stiamo diventando forti."
In realtà spesso si sentiva terribilmente debole, fragile,
come
se la sua anima si fosse ridotta a essere un castello di carte pronto
ad essere spazzato via...
Ma c'era sempre quella costante nella sua vita a farlo andare avanti.
C'era Levi, con la volgarità delle sue parole taglienti, con
i
sorrisi timidi e sinceri, con la forza nascosta da un corpo troppo
piccolo per una personalità come la sua, con una gentilezza
enorme custodita gelosamente dietro quelle ciglia nere come il carbone,
una bontà di cuore che Erwin aveva notato subito, e che lo
guariva quando si sentiva ferito, malato, perso.
"Tu lo sei sempre stato.
Forte."
Erwin aveva allungato il braccio destro, quello che Levi gli aveva
salvato con le sue cure e la sua testardaggine, e aveva scostato una
ciocca corvina dalla sua fronte, per poi chinarsi su di lui e baciare
la porzione di pelle ora libera dai capelli. Era piacevolmente tiepido,
e nonostante vivessero come dei barboni riusciva sempre a profumare di
pulito.
Un'ondata di affetto gli aveva fatto tremare d'emozione le viscere, e
ancora una volta, nonostante avesse perso tutto da un anno, si era
sentito guarito, pronto a lottare ancora.
Dreams
Ormai Erwin era diventato bravo a prevedere la caduta delle piogge
acide, e Levi gli aveva creduto quando aveva asserito che il giorno
dopo sarebbe arrivata una tempesta piuttosto violenta.
Erano a corto di cibo, e avevano deciso di separarsi per raccoglierne
il più possibile all'interno dello store in cui si erano
intrufolati.
Sapevano che quella era la zona di qualcuno, perché vecchi
materassi sporchi e bucati dalle sigarette giacevano negli angoli del
grosso negozio, e quando Levi aveva dato il segnale dopo aver avvistato
delle figure in avvicinamento erano corsi in direzioni opposte,
silenziosi ed efficienti come dei soldati, le borse piene di scatole di
cibo rubato.
L'accordo era di passare la notte separati nel caso fossero usciti dal
posto con l'oscurità alle porte, e suo malgrado Levi si
ritrovò a rifugiarsi all'interno di un negozio di giocattoli
per
bambini, un luogo sicuro, perché nessuno sciacallo avrebbe
avuto
interesse nel raccogliere bambole di pezza e soldatini di legno.
Aveva sognato Erwin.
Erwin che piangeva, il volto coperto dalle mani sporche di sangue,
disperato e spezzato.
Aveva sognato di non riuscire a porgergli la propria mano, di vedere la
sua caduta.
Aveva sognato di essere la sua debolezza, e quando si era svegliato
aveva temuto di esserlo davvero, nonostante lui si ostinasse a dirgli
che invece era la sua salvezza.
Si era stretto al petto una bambola brutta coi capelli fatti di fili di
lana
rossi, e non aveva più chiuso occhio, il petto ghermito
da tentacoli invisibili, oscuri e gelidi come la morte al pensiero di
poter essere la rovina dell'uomo che si era reso conto di amare, ma
quando si erano ritrovati gli era bastato un abbraccio caldo per capire
che non erano gli incubi ciò a cui doveva aggrapparsi, ma
quello
che lo manteneva vivo, quel sentimento che era sbocciato dentro di lui
come un fiore miracoloso in mezzo alle macerie che componevano quella
nuova Londra distrutta.
Trust
Erwin non si era mai fidato di nessuno.
Nemmeno quando il mondo era ancora normale, caotico e popolato dalla
falsità delle persone e dai loro demoni.
Poi era arrivato Levi.
"Ah! Er-"
Ansimava, la voce densa e calda dritta nel suo orecchio mentre gli si
aggrappava alla schiena con la sua tipica forza, che però lo
soprendeva comunque ogni volta che lo stringeva.
"Erwin..."
Non aveva mai apprezzato il proprio nome, prima che iniziasse a
pronunciarlo lui, macchiandolo con note profonde e dolci come il miele,
come nessuno si sarebbe mai aspettato da una persona all'apparenza
pungente come Levi. Aveva chiuso gli occhi quella notte, mentre la
pioggia cadeva sul tetto di quella libreria in cui l'eco della loro
passione si disperdeva tra gli scaffali pieni di libri, storie e
granelli di polvere.
Aveva lasciato che un gemito basso gli vibrasse in gola e andasse a
morire direttamente sulle labbra dell'altro, mentre si spingeva in lui
con forza e ritmo serrato, irregolare.
Non aveva mai amato, prima di amare lui.
"Levi-"
Un'ultima spinta, gli occhi serrati e le labbra aperte e bagnate sulle
sue, mentre lo sentiva stringersi e irrigidirsi e macchiare i loro
addomi mentre condividevano quel momento di pura follia e passione,
quel momento in cui il mondo fuori non esisteva, non esistevano paure,
oscurità, morte.
Esistevano solo loro e la loro fiducia che profumava di vita, quella
vera, quella che nemmeno prima della fine del mondo avrebbero potuto
assaporare senza conoscersi.
Non si erano mai detti "ti amo."
Non se lo sarebbero mai detto, avrebbero lasciato che quelle due
semplici parole morissero assieme a loro un giorno, uccise da qualche
pallottola, o dalla pioggia acida, dalla fame o dalla malattia.
Era la fiducia che li legava, quella cosa che colorava i loro sguardi
quando si incrociavano e che strappava loro un sorriso nei momenti meno
opportuni, quella cosa che restava sospesa tra una carezza e un
sussurro, tra il loro petto e l'infinito, quella cosa invariabile,
intoccabile, immortale in un mondo già morto da tempo.
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Note: Ebbene
sì, non
credevo lo avrei mai fatto, ma alla fine sono riuscita a buttare
giù qualcosa per rendere omaggio alla mia OTP suprema. Amo
questa coppia più di ogni altra cosa, il loro rapporto va
ben
oltre il semplice concetto di relazione amorosa tra due persone, e
spero di essere riuscita a esprimerlo tramite i prompts che la Eruri
Week di questo 2015 ci ha suggerito.
Ho
voluto uscire dai soliti schemi e affidarmi a una delle
ambientazioni che preferisco in assoluto, ovvero quella
post-apocalittica... Spero sia cosa gradita, nonostante sia solamente
un contorno.
Se
la storia vi è piaciuta mi farebbe piacere ricevere un
feedback, ma mi farebbe piacere anche riceverne nel caso non vi fosse
piaciuta, per poter migliorare in futuro. In ogni caso, grazie per aver
letto!
<3
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