Rating:
Arancione
Coppia:
Slash
Genere:
Noir, Introspettivo
Avvertimenti:
Nessuno
Introduzione:
Dicono che
mescolare finzione e realtà sia pericoloso, e dicono che la
mente dell'uomo sia fragile quanto il suo corpo.
Chi è davvero Tom? Un assassino, un amante, un profeta, un
saggio o solo un'illusione?
[Dal
testo: Dunque, il suo nome è Tom. A questo punto della sua
vita,
lui non crede sia il suo vero nome. A volte lo assale il dubbio che in
realtà Tom non sia mai esistito. Qualcuno, dotato di
più fede di lui nella spiritualità, potrebbe
arrivare a dire che Tom sia in realtà non una persona in
carne e ossa, ma un'idea, la metafora di qualcosa. Di cosa, poi, lui
non ne ha ancora idea.
Poi
ricorda il battito del suo cuore, così forte,
così reale da sembrare stretto tra le sue dita.]
Chi
è davvero Tom?
Bisogna
stare attenti con la finzione perché può
diventare realtà,
così
come la realtà ama diventare finzione.
Ian McEwan
"Senti, mi dispiace
okay? Ti dovrei scrivere chissà cosa, ma non ne sono
capace.
Solo, mi dispiace... Non
funziona tra noi, ci ho provato. È finita. Non cercarmi
più."
Inviato il 18/03/2015
00:31
Le
persone dimenticano spesso le cose più importanti. Non le
date dei compleanni o gli anniversari, ma i dettagli sono quelli che
davvero contano. Come contano i minuti trascorsi nel silenzio,
guardandosi negli occhi, e contano le pause tra le parole, i vuoti tra
i rumori della vita.
Lui
non è mai stato capace di dimenticare, anche se gli sembra
di avere nella mente solo buchi neri.
Il
suo nome lui non può dimenticarlo.
A
volte si
stende sul pavimento freddo e chiude gli occhi, rigirando nella mente
quelle tre lettere. Immagina che esse si arrotolino intorno alla
lingua, consumate a tal punto da perdere ogni significato. Batte contro
il palato la
t,
e il fiato esce in una o,
subito seguita da quel bacio lieve che porta a una m. Queste
lettere,
separate e denudate di ogni nesso, per lui non hanno alcun senso. Ma
basta metterle insieme in una sequenza breve, per rimandarlo al giorno
in cui le ha udite per la prima volta.
Dunque,
il suo nome è Tom. A questo punto della sua vita,
lui non crede sia il suo vero nome. A volte lo assale il dubbio che in
realtà Tom non sia mai esistito. Qualcuno, dotato di
più fede di lui nella spiritualità, potrebbe
arrivare a dire che Tom sia in realtà non una persona in
carne e ossa, ma un'idea, la metafora di qualcosa. Di cosa, poi, lui
non ne ha ancora idea.
Poi
ricorda il battito del suo cuore, così forte,
così reale da sembrare stretto tra le sue dita.
Ricorda
di quando era piccolo, e di sua madre seduta sulla
poltrona che era stata della madre, e della madre della madre prima di
lei. Lui amava quell'elemento d'arredo così antico, che ora
i ragazzi chiamerebbero vintage.
Il cuoio consunto odorava di vecchio, come la stanza di sua nonna
quando lei morì, come la pelle di sua madre mentre la
malattia la consumava.
Sua
madre era di una bellezza selvaggia, con lunghi boccoli
mori e nessun trucco a nascondere il pallore del volto. La sera gli
carezzava il collo e gli diceva di quanto avrebbe voluto lasciare
qualcosa al mondo. Diceva che suo marito era stato un chirurgo di
grande prestigio, prima di svanire nel nulla. Lui seppe, anni dopo, che
era stato un chirurgo mediocre e che era fuggito con un'infermiera, per
alimentare la sua dipendenza dalla morfina.
Allora,
era bello ascoltare le storie della madre e vedere in
esse una grandiosità umana inesistente. Il sorriso di lei
era caldo, sincero. L'ultimo sorriso che gli rivolse fu anche l'ultimo
gesto d'amore della sua vita. Lasciò un buco vuoto che
divenne col tempo insensibile.
Fino
al giorno in cui incontrò Tom.
Tom
che riempie tutti i suoi vuoti senza far rumore.
Tom.
Era
giugno inoltrato, ma se anche fosse stato novembre per lui
non avrebbe fatto alcuna differenza. Era annoiato, avviluppato nel
senso di vuoto che assale l'uomo dopo una lunga fatica. L'ultimo esame
del secondo anno di Medicina era stato fonte di stress, malumore e
lunghe notti insonni. Lui non era affatto contento di scoprire che,
anche dopo averlo superato, non si sentiva affatto sollevato. Non aveva
un lavoro o molti amici con i quali uscire, né tantomeno la
voglia di passare le ore seduto al tavolo di un pub o, peggio, in
discoteca. Nessuna serie TV lo interessava al momento, neanche quelle
che durante le ore di preparazione all'esame aveva trovato allettanti.
Non riusciva a trovare abbastanza pace e concentrazione per guardare
uno dei troppi film nella sua lista.
In
sostanza, passava i giorni nella noia, aspettando il giorno
in cui avrebbe riscattato l'ultimo desiderio di sua madre: lasciare un
segno.
Tutta
quell'energia repressa doveva essere sfogata.
Tom
era la catarsi perfetta.
A
pensarci ora, Tom era inevitabile, come una pioggia dopo la lunga
siccità.
Quel
giorno di Giugno, camminava lungo la strada, schivando i
passanti e cercando di concentrarsi sulla sua lista mentale della
spesa. Doveva comprare cinque cose, ma la quinta gli sfuggiva. Fu
girando l'angolo di un edificio che una voce attraversò la
nebbia della sua noia.
"Lo
sai che ti ho già visto?"
Si
fermò, congelato dalla strana sensazione di
trasalimento. Guardò alla sua destra e vide Tom. Allora non
sapeva il suo nome, ma quando il ragazzo allungò la mano e
sorrise, presentandosi, gli parve che lui dovesse essere un Tom. Come se
quel
nome, in effetti, fosse parte della sua persona, allo stesso modo dei
capelli neri e ricci, degli occhi nocciola e delle ciglia lunghe.
Strinse
la mano di riflesso.
Quello
fu l'inizio di ogni fine.
A
volte si chiede cosa sarebbe successo se non avesse stretto la mano
di Tom, risposto al sorriso di Tom o accettato l'invito a uscire di
Tom.
Dove
lo avesse già visto, lui non lo ha mai
scoperto. Ora non crede fosse vero. Comunque, non avrebbe importanza.
Era
inevitabile.
"Prima
dei faraoni, in Egitto, quando uno moriva i figli si
dividevano gli organi e li mangiavano. Così portavano sempre
con sé chi amavano" diceva Tom, mentre guardava la lama del
coltello.
Il
modo in cui affettava il pollo, prima di poggiarlo sulla
piastra, aveva il sentore di un rito.
Seduto
al tavolo della cucina, lui lo guardava e annuiva in
silenzio. Di quella storia ne aveva sentito parlare nei libri di Anne
Rice, ma dirlo gli sembrava da stupidi, così non disse
nulla.
Tom
aveva mille cose da raccontare, tutte con lo stesso sapore
di scoperta; con il tempo lui smise di rispondere, a tal punto che le
uniche parole a uscire dalle sue labbra erano versi di approvazione.
Quando
lui parlava con se stesso, nella sua mente era la voce
di Tom a rispondergli.
Non
è normale, si dice, che il pensiero di Tom nudo lo
ecciti ancora. La verità è che non riesce a
provare davvero vergogna nel ricordare le notti con lui. Il sesso con
Tom aveva una qualità diversa da quello con chiunque altro.
"Abbiamo
imparato a vergognarci della nostra nudità" disse
Tom, carezzandogli la gamba.
Le
lenzuola scivolavano lungo i suoi fianchi, rivelando alla
luce della luna ogni curva del suo corpo.
"Questa
è una delle eredità
più pesanti della nostra civiltà, della cultura,
del costume umano. Non c'è nulla di più sincero
del sesso. Ci collega a chi siamo."
Avrebbe
voluto chiedere chi
siamo?
Ma
non fu necessario.
Tom
conosceva sempre i suoi desideri prima di se stesso.
Lo
baciò e sospirò sulle sue labbra:
"Siamo animali, e lo sai. Non saranno un paio di mutande a nascondere
la nostra natura."
C'era
qualcosa di sbagliato nel ragionamento, lui lo sentiva.
Se siamo animali, diceva a se stesso, allora possiamo uccidere e
cibarci dei nostri simili senza rimorso, perché è
l'uomo ad aver inventato il senso di colpa. È sbagliato, si
diceva. E nella sua testa la voce di Tom sussurrava perché
dovrebbe essere sbagliato?
Quando
le lezioni ricominciarono, quell'ottobre uguale a tutti
gli altri, c'era qualcosa di diverso in lui. Durante una lezione sulle
tecniche di chirurgia vascolare, una voce nella sua testa chiese
perché salvare un uomo dalla sua morte?
A
cosa serviva la medicina, quando si fondava sul principio
che salvare vite fosse giusto? Giusto e sbagliato, diceva Tom, non
avevano alcun senso, poiché non erano concetti naturali.
Quel
giorno scoprì che tutte le voci nella sua
testa, ormai, erano di Tom.
Potrebbe
credere che Tom non sia più nella sua
vita, ma non può mentire a se stesso. In fondo,
c'è un motivo per cui ora è nudo, steso sul suo
pavimento. Soprattutto, senza alcuna vergogna.
Aspetta
che ritorni a casa. Forse ha un crollo mentale, come
lo ebbe sua madre poco prima di morire. Forse è per questo
che da un'ora Tom non si fa vivo. Per lui sembra passato un anno.
"Puoi
farlo, io credo in te."
Guardò
Tom, accovacciato accanto a lui dietro la
siepe. Si voltò a scrutare oltre essa, imprimendosi nella
mente ogni dettaglio del ragazzo seduto sul prato. Aspettava qualcuno,
era chiaro; tutti hanno una vita, qualcuno da incontrare, qualcosa da
fare. Era un pensiero sul quale non poteva concentrarsi.
"Un
solo colpo, e nascerai a nuova vita. Tu passi il tempo a
studiare per un lavoro in cui non credi, per salvare vite il cui valore
non riesci a capire. Se fai questo, sarà la cosa
più sincera che avrai mai fatto."
Chiuse
gli occhi, cercando di credere a quelle parole con
tutto se stesso. Avevano un fascino innegabile, che catturava la sua
mente e la trascinava in luoghi lontani, fantastici. Verdeggianti prati
in cui il passato non esisteva, in cui un fiume scorreva senza memoria.
Lì non riusciva a ricordare il sorriso di sua madre, il
dialetto schietto di sua nonna o il sentore della barba di suo padre
sulla guancia.
Prima
di poter prendere una decisione, scoprì che
qualcosa di caldo e liquido colava lungo il suo braccio.
Aprì gli occhi e vide la figura stesa ai suoi piedi.
Nell'erba del parco, scura e sporca, giaceva il corpo di un ragazzo. La
gola era squarciata, con precisione chirurgica. La lama del coltello,
che lui impugnava ancora, aveva reciso l'aorta. Il sangue aveva smesso
di zampillare e già impregnava, con il suo nauseabondo
odore, la terra brulla.
"Come
ti senti?"
Il
corpo di Tom lo raggiunse, con il suo calore e odore, ancor
prima della sua voce. Lui sorrise, perché per la prima volta
sentiva i pensieri di Tom come suoi. Era nel prato verde e fresco, era
senza memoria e senza dolore.
Da
quel giorno parlare non fu più necessario.
Poteva comunicare con Tom ogni volta che voleva, bastava chiudere fuori
il mondo e pensare a lui.
Tutti
i giornali parlarono del ragazzo morto nel campus, in
piena notte. Le ipotesi correvano di bocca in bocca; nessuno
capì mai che i moventi sono solo per gli uomini. Lui, ormai,
non si considerava più tale. La voglia di rifarlo
arrivò il mattino dopo, e alla terza vittima non aveva
più esitazioni. L'attesa del senso di appagamento era
sufficiente a occludere ogni ragione; lui voleva solo tornare nel
prato, sulle sponde dell'immemore fiume. Continuava a studiare
medicina, ma ora poteva vedere in ogni illustrazione nuovi modi di
uccidere.
Il
corpo umano è così fragile.
Apre
gli occhi e si alza da terra. Qualcuno bussa alla sua
porta.
Quando
apre ai visitatori, lo accolgono divise e visi truci.
La violenza è esagerata per un ragazzo che non oppone alcuna
resistenza, ma lui immagina che questi agenti lo vedano come un animale
selvatico, che potrebbe morderli in ogni istante. Nudo e inerme, viene
spinto a terra e ammanettato. Divise sferragliano tutt'intorno,
perlustrando il suo appartamento. Lui sorride, pensando alle armi che
troveranno. Non le ha né nascoste né pulite,
perché certo Tom non l'avrebbe fatto. Non prova senso di
colpa, né vergogna, né alcuna umana emozione.
È
solo stanco e non sa perché dovrebbe
evitare di arrendersi alla sua fine. Era inevitabile che prima o poi
venisse catturato; in fondo tutti i predatori fronteggiano la
possibilità di divenire prede.
Purtroppo
l'umanità è un virus che non
può davvero debellare, ed è per questo che mentre
lo issano non lotta, perché è troppo attaccato
alla sua vita per rischiare di perderla.
"Lei
è in arresto per l'omicidio di Tommaso
Aquiloni, Giulio Ascari, Vincenzo-"
Tommaso?
Tommaso.
Crack.
Strano
che ora la sua testa giri vorticosa, mentre le sirene
urlano fuori dall'abitacolo.
Tom
è morto?
Questo
davvero non lo ricorda.
Scrolla
le spalle e chiude gli occhi.
Non
sono morto, lo sai.
Sono con te. Sempre.
Sorride,
perché Tom è tornato. Spera che
Tom non lo abbandoni mai, perché senza di lui sarebbe perso.
Non vuole ritrovarsi solo con la propria umanità.
Io
ti perdono e ti venero
per avermi dato una nuova vita, qui con te.
Per sempre.
Se
è amore ciò che prova a quelle
parole, non ne è certo. Ma sente che potrebbe morire adesso
e non avere alcun rimpianto.
Con
me per sempre.
Gli
dicono che Tom è morto molto prima che lui
ricordi di averlo conosciuto.
"Lei
e Tommaso eravate partner?"
Guarda
annoiato l'agente, che è chiaramente in
imbarazzo riguardo l'argomento. Il suo collega, invece, sembra avere
una precisa posizione a riguardo. Il suo volto è contorto
nel disgusto.
"Hai
ucciso Tommaso perché voleva lasciarti" dice
convinto. "Gli amici della vittima dicono che litigavate spesso e
all'università andava male. Non hai retto la pressione e lo
hai ucciso, e ora ci vieni a dire che non sai neanche chi sia? Dopo di
lui ne hai uccisi altri quattro. Abbiamo le prove."
L'altro
agente sospira, forse deve essere il buono.
"Tre
ore fa abbiamo ricevuto una chiamata dal suo cellulare.
Ha chiesto che qualcuno venisse ad arrestarla, perché aveva
ucciso ancora. Lo ricorda?"
Ora
comincia a sentirsi confuso.
Chi
ha chiamato la polizia? Possibile che Tom lo abbia fatto
per lui? No...deve essere stata la propria debolezza; la sua
umanità ha bussato alle porte della sua mente, portandolo a
quell'estrema confessione, ed è per questo che Tom si
è allontanato.
Ma
Tom è tornato, lo sente. Tom lo perdona e lo
assolve da ogni peccato.
"Cosa
ci dici?"
Nulla.
Ricorda
un sorriso caldo, quello di Tom, nel bel mezzo di
Marzo. Tom che non mangiava carne perché era omicidio, Tom
che credeva fermamente in Dio e nella sacralità della vita.
Era un Tom diverso, quello di Marzo. Era pieno di vita e
contraddizioni, ma era il Tom che lui amava.
Tommy,
il bambino dell'altra classe quando era alle
elementari, sempre atletico, sempre simpatico.
Tommy con il quale era cresciuto, che aveva agognato e sperato
di essere.
Tommy che una notte di Marzo gli aveva confessato il suo
amore, facendogli contorcere il cuore.
Tommy e... È
finita. Non
cercarmi più.
No...lui
ha conosciuto Tom a Giugno, mentre andava a fare
spesa.
Com'è
possibile?
"Dov'è
Tom?" chiede ai due agenti.
Si
scambiano uno sguardo.
"Tommaso
Aquiloni è morto. Lo ha ucciso lei."
"No...no,
Tom. Io l'ho conosciuto tre mesi fa!"
"Stai
cercando di prenderci in giro, ragazzo? Tommaso Aquiloni
era tuo amico di infanzia e sembra anche amante. Lo hai ucciso con
tredici coltellate all'addome. Hai dimenticato anche questo? Questo Tom
di cui parli non esiste, te lo sei inventato. Ora magari ci vuoi far
credere che hai uno sdoppiamento della personalità o
stronzate simili?"
Stanno
mentendo, non li
ascoltare. Io sono reale, sono vivo, qui con te.
Tom
ha ragione, deve averla, perché tutto questo
è merito suo.
"Lascialo
stare, non lo vedi che è fuori di testa."
Non
sei pazzo, questo
è la tua normalità e loro non possono capirti.
"Se
vuoi farci credere che sei pazzo per scampartela, hai
visto troppi film."
Ho
davvero
fatto quello che dicono? Ho davvero ucciso l'amore della mia vita?
chiede
a Tom.
Non
teme la punizione eterna per l'omicidio, ma questo
assassinio è peggiore di ogni peccato riesca a immaginare.
Non
avrei dovuto, vero? Non
avrei dovuto ucciderti, Tom.
Non
mi hai ucciso, mi hai
sublimato. Sono qui con te, lo vedi?
"Passerai
la vita chiuso in una stanza, ed è meglio
così."
Escono
e lo lasciano solo. Ma lui non conoscerà mai
più la solitudine nella quale è cresciuto. Lui
non sarà mai più solo.
Come
potrebbe essere
infelice?
Chiuso
in una stanza con
me, potrai essere ovunque vuoi.
Con
me per sempre.
Note: Hi! Ho
scritto questo pezzo sotto l'influsso di una strana ispirazione, quindi
per me ora è difficile capire come sia davvero il risultato
finale. Questa è una sorta di sperimentazione, quindi... su
su fatemi sapere cosa ne pensate.
A
chiunque lasci il suo parere e anche la sua critica, tanti tanti
ringraziamenti platonici.
A
presto,
Ax.
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