Il
desiderio di un condannato
Si
dice che quando una persona guarda le stelle è come se
volesse
ritrovare la propria dimensione
dispersa nell’universo.
(Salvador
Dalí)
Non
vi era maledizione più forte di quella che aveva permesso a
lui di
esistere, di continuare a vivere e di dover soccombere per far
trionfare la luce di suo fratello.
Non
vi era maledizione più fatale dell'essere l'altra parte.
L'altra
parte di ogni cosa terrena e celeste che fosse buona, integra e
giusta. Essere la parte che, semplicemente, non avrebbe dovuto
esistere, ma siccome vi era avrebbe dovuto almeno perire per
rimediare al suo essere un terribile sbaglio.
Ma
Kanon non era uomo che desiderava la morte: Il suo odio partiva da
sé, verso di sé e dentro di sé, ma ne
covava l'orrore e il sapore
maligno dello strazio verso tutti coloro che credevano lui fosse,
banalmente, un errore del Destino. Verso tutto ciò che gli
impediva
di vivere alla luce del sole per una credenza...
Ma
c'era stato un tempo, un periodo così breve da sembrare una
rimembranza d'un sogno, in cui di vivere alla luce di suo fratello,
l'essere il suo doppio, l'essere l'altra parte, non era il peso, il
carico che ora lo tormentava. Non era il fardello che l'aveva
straziato.
Perché
Saga, la parte lodevole e luminosa, gli aveva insegnato a riconoscere
i pianeti nei giorni estivi, a riconoscere le costellazioni e le
stelle per non perdere la via nella notte, da solo, quando tornava
nel suo luogo appartato e lontano dal sacro Santuario.
Perché
Saga gli sorrideva, quando vedeva che Kanon apprendeva alla stessa
velocità e con la stessa foga di sapere che ne aveva lui
quando
imparava al Santuario la storia e la scienza degli astri.
Perché
Saga, quella notte di mezza luna gli stava raccontando cosa aveva
fatto in allenamento quando, nell'oscurità della notte,
alcune
stelle caddero giù.
«Esprimi
un desiderio.»
«Perché?»
«Non
lo so. -Fece spallucce Saga sdraiato sulle rocce ai confini del
Santuario. -È anche questa una credenza.
Accettala.»
Kanon
bisbigliò qualcosa di non udibile e poi si alzò
dalle rocce in cui
s'era sdraiato anch'egli: «Fatto.»
«Cosa
hai desiderato?»
“Davvero
non lo immagini, fratello?” Pareva dire il volto di Kanon
avvolto
nel buio. Ma Saga risplendeva troppo di luce propria per comprendere,
così si limitò a rispondere:
«Che
le stelle continuino a cadere. Perché è la prima
cosa bella di cui
non sono privato.»
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Buona
sera a voi tutti ♥ A-emn... credo sia la prima flash-fic che
faccio
su i due gemelli. In realtà ne avevo fatta un'altra su Milo
e Kanon,
ma era di parecchio tempo fa e dunque non credo conti(!) Devo
dir la verità, volevo far qualcosa di angst-dolceamaro sulle
stelle
cadenti e... l'ispirazione mi ha fatto ricordare i personaggi di una
fanfiction che sto leggendo in questi giorni, ovvero “The
Monster in Chains”
di Oktavia. Quindi diciamo che devo ringraziarla poiché,
seppur
involontariamente, mi ha fatto ricordare questi due mascalzoni qua.
*coff *
Passando
alla storia in sé... diciamo che il punto di vista mi sembra
prettamente di Kanon, anche se in realtà l'ho scritto in
terza
persona (boh, i dilemmi della vita) e che, secondo il mio modesto
parere, Saga
non
s'accorgeva troppo della situazione “disagiante” in
cui versava
Kanon.
Accettava,
come ogni buon cavaliere, le credenze
e le leggi del Santuario e dunque anche la sorte di suo fratello...
non che non soffrisse per la posizione di Kanon, sia
chiaro, ma
pensava fosse giusta
così. Pensava (o almeno pensa così in questa
storia) gli bastasse
lo stare un po' assieme per affievolire le sofferenze del gemello.
Kanon
infatti nelle ultime righe sa che Saga non riesce a comprendere e non
è ancora stanco né arrabbiato con lui per non
rispondergli. Il
male, il dolore, si formerà con gli anni...
...Per
quella notte, per
questa
notte,
vi è solo uno
spettacolo di cui neanche Kanon è stato privato.
Ovviamente
sono aperta a tutti i pareri e se vi è piaciuta questa
piccola
flashfic e vi va, lasciatemi una recensione... ne sarei davvero
entusiasta!
Grazie
ancora a chiunque leggerà,
Giò.
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