Una Vacanza dall'apocalisse

di Avenal Alec
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Prologo

 
 

Daryl osservò un istante Mac dall’altra parte del tavolo in legno di ciliegio .
“Pensi ci sarebbe mai stato qualcosa fra noi prima?”
Mac lo guardò, gli sorrise “Tu che dici?”
Non rispose, ma ciò che pensava si leggeva nei suoi occhi. Molte cose cambiavano, ma non tutte. 
Mac allungò una mano fino a sfiorare quelle dell’uomo, rovinate dalle intemperie.
“Daryl, non conta cosa eravamo, ma ciò che siamo diventati.” disse con ferma dolcezza.
La giovane si sentì sfiorare dai suoi occhi ora limpidi, i fantasmi ricacciati dal luogo dove dovevano stare: il passato.
“Dovremo rimetterci in marcia per tornare dagli altri.” disse l’uomo prima di sospirare.
Mac arricciò il naso infastidita.
“Concediamoci ancora un giorno, un solo giorno e poi torneremo. Ho bisogno di tempo.”
Daryl osservò la giovane donna di fronte, ricordava il loro primo incontro un anno prima, ne aveva subito riconosciute le qualità, ma all’epoca non avrebbe mai immaginato quanto spesso lei gli avrebbe salvato e riempito la vita.
Si lasciò andare, ammirando colei che fino al giorno prima non aveva mai guardato più di un paio di istanti.
 “Ok, un altro giorno.”
Mac non se lo fece ripetere due volte e balzò in piedi “Vado a mettere sul fuoco l’acqua per un altro bagno.”
L’uomo si divertì a guardarla mentre era intenta a preparare ogni cosa, crogiolandosi in quel sereno momento di tranquillità, in un mondo in cui l’unica legge era quella della sopravvivenza.
 
 

CAPITOLO 1

 

Due giorni prima

 
Il pick-up argenteo filava via liscio lungo la strada.
Il silenzio avvolgeva l’abitacolo, entrambi i passeggeri persi nei loro pensieri. Una tranquillità di cui godevano dal momento in cui erano partiti dalla Fortezza, il loro rifugio da quando l’apocalisse era cominciata. Amavano quel luogo che ormai tutti chiamavano casa, ma il silenzio era un dono che raramente si poteva trovare in un posto in perenne attività.
Mac – non si faceva più chiamare Sarah, ricordo doloroso del prima –  osservò di sottecchi il suo compagno di viaggio. Si era autoinvitato all’ultimo momento per quel giro di ricognizione, ma non ne era infastidita, solo divertita.
 
Daryl Dixon era la persona cui era più legata nella fortezza, non perché l’avesse salvata innumerevoli volte, lei stessa l’aveva fatto, ma perché erano compagni nello stesso viaggio. Si conoscevano da oltre un anno. Avevano condiviso lacrime, dolore, vittorie e lotte, sempre presenti uno per l’altro, sempre pronti a coprirsi le spalle. Il loro rapporto si era forgiato nel tempo come quello tra due soldati che avevano fatto la guerra insieme, e quel rilassato silenzio ne era la testimonianza. Consapevoli, ma non a disagio, della presenza l’uno dell’altro.
In quel momento l’uomo aveva lo sguardo rivolto verso il finestrino, un ginocchio sul portaoggetti, il braccio sinistro mollemente abbandonato sulla gamba mentre la sua mano destra era intenta, come al solito quando era pensieroso, a toccarsi il labbro inferiore.
“Quanti giorni questa volta?” chiese Mac rompendo il silenzio che li aveva accompagnati dalla partenza.
“Cosa?” chiese Daryl girandosi verso di lei.
“Quanti giorni siete stati là fuori tu e lei primi di riuscire a portarla alla fortezza?” domandò nuovamente Mac.
Daryl sbuffò.
“Non potrai scappare in eterno lo sai vero?” continuò imperterrita Mac. Succedeva così tutte le volte, quando Daryl salvava qualche donna durante i suoi giri di ricognizione, invariabilmente la sopravvissuta scambiava il salvataggio per altro.
“Tre giorni.” rispose Daryl.
“Povero, un paio di giorni e ti avrà dimenticato.”
Un grugnito questa volta.
S’immaginava già la scena, l’aveva visto succedere così tante volte. Sorrise al pensiero di stuzzicarlo.
“Com’è andata? Le stelle della sera s’intravedevano fra le fronde degli alberi, il fuoco acceso e alla ragazza si è sciolta la lingua?” chiese Mac “Povera stella, chissà quanto ci sarà rimasta male quando hai risposto solo a monosillabi!” la ragazza ridacchiò “Me la immagino: sola, disperata che viene salvata dall’aitante arciere che ha trucidato tutti i morti sul suo cammino. Ti sei avvicinato a lei, le hai sussurrato con la tua sensuale voce roca – è tutto finito ora – e quella è crollata come una pera matura!”
“Smettila Mac, non sei divertente.”
La ragazza si girò un istante, vide il suo profilo irrigidirsi, lo sguardo puntato sulla strada e scoppiò a ridere “Oh mio Dio, è andata veramente così, povero il mio Daryl che deve subire le lusinghe delle donne che salva.”
Da quando lo conosceva, non aveva mai mostrato, se non raramente, degli slanci d’affetto verso chiunque. Non era un asso nei rapporti umani e tanto meno sapeva gestire donne in difficoltà, ma, sfortunatamente, le sopravvissute, almeno all’inizio, ci provavano sempre.
Loro due erano simili in questo, tenevano a distanza tutti.
Se stavi pensando a sopravvivere, non volevi nessun coinvolgimento. Un’imprudenza, una debolezza, la semplice sfortuna e tutto sarebbe finito in un attimo. Troppo rischioso.
Persino le loro punzecchiature e le risposte monosillabiche facevano parte di un teatrino ormai collaudato privo di implicazioni. 
“Comunque, non stavo scappando da nessuno.” disse Daryl “Ero stanco della fortezza ed è una vita che noi due non andiamo a caccia assieme.” concluse guardandola e facendole un mezzo sorriso.
Mac lo guardò incantata, i suoi mezzi sorrisi erano merce rara.
“Ci sto!” restituendo un’occhiata complice.
“Qualche preferenza?”
“Arco direi, è da tanto che non lo uso.” replicò arricciando il naso pensierosa.
Da quando la quotidianità alla fortezza aveva preso il sopravvento, era uscita sempre meno a caccia e si stava rammollendo.
“Che hai?” chiese Mac sentendosi osservata.
“Mi stavo chiedendo cosa hai mangiato a colazione.”
“Stronzo.” replicò Mac scoppiando a ridere.
“Non vorrei ritrovarmi nuovamente gli stivali coperti di vomito.” riprese sogghignando l’uomo.
“È successo solo una volta e basta.”
“Sempre una di troppo.”
“Non mi farai mai dimenticare il nostro primo incontro vero?” disse Mac.
“Assolutamente no, specialmente se hai intenzione di usare l’arco!”
“Deve entrarti in quella zucca vuota un’unica cosa: ti ho vomitato addosso solo perché avevo mangiato delle scatolette ormai scadute, e solo dopo che ti ho salvato la vita, aggiungerei!”
“Ciò non toglie che sia divertente ricordare quell’unica debolezza.” replicò sogghignando l’uomo.
Mac si adombrò, i pensieri volati in ricordi poco piacevoli “Ne ho avute altre.” mormorò.
“Di cosa?”
“Debolezze.”
“Quelle capitano a tutti.” rispose pacato l’uomo guardando fuori dal finestrino.
L’istante successivo Daryl si fece attento, tolse il ginocchio dal portaoggetti, stava scrutando qualcosa alla sua destra.
“Trovata!” rispose indicando una casa bianca fra i campi. “Quella dovrebbe essere perfetta.”
Mac assentì concentrata sul punto indicato, cercando la strada d’ingresso della fattoria.
 
Nell’abitacolo l’aria si era fatta elettrica, entrambi stavano studiando la casa in fondo al viale. Mac fermò il pick-up al termine della strada che si apriva su un largo spazio di fronte all’abitazione.
Il rumore del motore aveva risvegliato i morti che apaticamente si muovevano attorno alla casa, erano una mezza dozzina.
I due si guardarono un istante. Un cenno del capo e poi scesero. Con una serie di movimenti ormai automatici armarono le armi che avevano lasciato nel cassone dell’auto e cominciarono a sterminare quelle masse putrescenti in movimento. 
Fu una cosa pulita e veloce.
Alcuni metri separavano Mac e Daryl ma non era importante, entrambi sapevano esattamente come muoversi, pochi cenni del capo e gesti bastavano.
Si avvicinarono all’ingresso verandato della casa e cominciarono a sentire i rumori di un luogo ormai divenuto una tomba per i morti. Non si chiesero come o cosa fosse successo prima, sapevano solo che dovevano entrare e ripulire quel posto da quegli esseri infestanti.
Controllarono attraverso le imposte semidistrutte.
“Ce ne sono parecchi lì dentro.” sussurrò Daryl.
“Sarà più facile se li facciamo uscire all’esterno.” mormorò la ragazza.
Daryl assentì, un ultimo cenno e si disposero.
Mac si allontanò di diversi metri posizionandosi di fronte all’ingresso della casa, una freccia già incoccata.
Daryl si avvicinò alla porta e con cautela girò la maniglia, che cedette dopo pochi sforzi. La spalancò, poi si allontanò lateralmente per evitare di essere sulla linea di tiro di Mac.
Passarono pochi istanti e i morti cominciarono a sciamare verso l’esterno con il loro lento passo strascicato. La ragazza non perse tempo a contare, una freccia dopo l’altra tentava di abbatterne il più possibile. Daryl poco distante faceva lo stesso con la balestra. Quando entrambi terminarono le frecce, finirono quelli rimasti con i coltelli.
In pochi minuti tutto era finito e nel cortile della casa bianca erano stesi più di una decina di corpi a diversi livelli di putrefazione.
Mac e Daryl recuperarono le frecce poi, uno a coprire le spalle dell’altro, entrarono in casa per portare a termine la pulizia. Non ci volle molto.
Dietro la casa trovarono una fontana a pressione e con attenzione, a turno, si ripulirono del sangue dei morti che era schizzato sui loro visi e braccia.
Con gesti meccanici dettati dall’esperienza, tornarono all’interno della casa per perlustrarla e cercare qualunque cosa potesse servire alla Fortezza.
Caricarono tutto sul pick-up e ripartirono.
Non si erano quasi rivolti parola.
Il silenzio, adesso non più rilassato, era cupo nel turbine di pensieri dei due passeggeri.
Le miglia correvano.
“25.” mormorò Mac.
“25 in meno.” rispose Daryl.
Le loro parole spezzarono la prigione in cui le loro menti erano incatenate, si erano scrollati di dosso il peso di quello che avevano fatto.
Per molti l’apocalisse sembrava un brutto incubo da cui non riuscivano a risvegliarsi, tanti si aggrappavano al prima.
Loro si aggrappavano invece al dopo e sopravvivevano per quella meta. Alla fine i morti sarebbero finiti e non avrebbero più dovuto lottare. Era quella speranza che li faceva andare avanti.
Ucciderli tutti finché non ne fosse rimasto nemmeno uno. Sapevano entrambi che ci sarebbe voluto più della loro vita, ma questo non era un problema per nessuno dei due. Avevano smesso di pensare al proprio futuro quando tutto era cominciato, ora bastava sopravvivere per portare a termine la missione.
“Prossima mossa?” chiese Daryl.
“Un paio di cottage che voglio controllare.” rispose Mac indicando le colline di fronte a loro.
“Non sapevo conoscessi questi luoghi.”
“Un po’. Nascoste nei boschi su quelle colline, ci sono case per le vacanze, cose così. Se siamo fortunati, i proprietari non ci sono mai arrivati.” rispose Mac.
Daryl assentì, sentiva che Mac non gli stava dicendo tutto, ma si fidava quindi lasciò correre. Si accomodò meglio sul sedile e chiuse gli occhi “Avvertimi quando siamo arrivati.”
 
L’uomo si svegliò sentendo la portiera sbattere. Aprì gli occhi all’erta, stupendosi della facilità con cui era crollato.
Si guardò in giro. Mac aveva parcheggiato il pick-up sullo spazio antistante a un cottage che a prima vista sembrava disabitato da ben prima dell’apocalisse. La vegetazione del sottobosco aveva invaso i lati della casa creando un’ottima cortina per occhi indiscreti.
Vedeva la ragazza di fronte al pick-up, intenta a osservare la costruzione, un tipico cottage di montagna di tronchi e sassi.
Scese anche lui e le si avvicinò.
“A quanto sembra potremmo essere fortunati.” disse.
Mac non rispose, persa nei suoi pensieri.
“Faccio un giro attorno al perimetro per vedere se ci sono altri ingressi o problemi.” continuò Daryl.
“Io sento se c’è qualcuno dentro e vedo di aprire la porta.”
Daryl assentì e si separarono. L’uomo si accorse che la zona sembrava pulita, come se lassù l’apocalisse non fosse mai arrivata. Non c’erano tracce evidenti di passaggi di morti o umani e la cosa per un istante lo stupì. Fuori dalle rotte classiche, la casa era rimasta intatta, cosa che non capitava spesso.
Tornò dal giro e vide Mac inginocchiata di fronte alla porta. La giovane donna si alzò spolverandosi i pantaloni.
“Nessun rumore sospetto dentro. La serratura non è stata mai forzata. Finora!” rispose Mac mentre girava la maniglia.
Daryl, armato di balestra, si spostò per avere una prima visuale dell’interno. L’unica cosa che trovarono erano delle stanze cristallizzate nel tempo.
 





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