Al tuo fianco, fino alla fine

di Tigre Rossa
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Capitolo 2 – Sguardi e fiamme

 

 

Quando sul treno Aithusa viene a chiamarmi per la cena, non la degno nemmeno di uno sguardo e, meccanicamente, mi alzo e la seguo fino al vagone ristorante.
Sono su questo treno ormai da due, forse tre ore o anche di più, ma da quando la nostra Accompagnatrice ha mostrato a me e Gwen le rispettive camere non ho fatto altro che guardare fuori, la mente persa dietro mille altri pensieri. Non mi sono dato nemmeno la pena di cambiarmi con i mille, costosi ed eleganti completi conservasti con cura nei cassetti. Come se desiderassi qualcosa non proveniente dal mio distretto, del resto.
Quando arriviamo di fronte alla tavola imbandita, trovo Gwen vestita di tutto punto e già seduta, mentre i mentori di quest’anno, Alice e Kilgharrah, sono entrambi in piedi accanto alla porta, a parlare tra loro.
Appena entro nella stanza, subito Alice mi si avvicina e mi posa una mano sulla spalla, dolcemente “Mi dispiace tanto, Merlin.” sussurra, guardandomi con il dolore negli occhi. Grazie a Gaius, io e lei ci conosciamo praticamente da sempre, e mi basta guardarla in volto per capire che è sincera. E’ stata un tributo e conosce la storia della nostra famiglia. Forse sono l’ultima persona che avrebbe voluto vedere entrare nell’Arena.
Scuoto appena la testa, fingendo un sorriso e una serenità che non sento “Non importa. Sapevo che poteva succedere, dopotutto.”.
Mi avvicino alla mia amica e mi siedo accanto a lei “Ehi.” le faccio, cercando di sembrare calmo come questa mattina.
Lei mi guarda e mi fa un piccolo sorriso “Ehi.”.
La sua voce è controllata, ma nei suoi occhi posso leggere la sua paura. Ed anche qualcos’altro. Decisione. Forza. Coraggio.
Nemmeno Gwen ha intenzione di darsi per vinta, allora.
“E così siamo insieme anche in questo, eh?” scherzo, passandomi una mano tra i capelli.
Il fantasma di una risata le sfugge dalle labbra “A quanto pare si.” risponde, la voce un po’ più rilassata di prima. Sappiamo già che il fatto di essere amici sarà uno svantaggio, alla fine. Ma adesso il pensiero di andare incontro all’inferno con una persona amica, una persona che conosciamo quasi meglio di noi stessi e di cui ci fidiamo al proprio fianco è solo un sollievo per entrambi.
La nostra attenzione viene catturata dai tre adulti che si siedono di fronte a noi e mentre Aithusa fa segno al personale di iniziare a servire il pasto mi concedo qualche secondo per studiare l’unica persona a cui potrò e dovrò fare veramente affidamento d’ora in avanti, il mio mentore, Kilgharrah.

Ha un fisico asciutto, ma all’apparenza ancora forte, soprattutto per la sua età, e un volto fiero attraversato da profonde rughe e cicatrici, ricordi dolorosi dei suoi leggendari Giochi. Ma la cosa che colpisce di più di lui è lo sguardo, dorato, profondo, lontano, perso nel passato eppure fisso nel futuro. I suoi sono gli occhi di chi ha visto troppo. Gli occhi di un sopravvissuto, non di un vincitore, incatenato a questa crudele e beffarda giostra da catene troppo forti per essere spezzate. Eppure, nonostante tutto, è come se fosse avvolto da un’aurea di solennità e nobiltà, un qualcosa di eterno, pericoloso, inquietante ed insondabile. Sembra davvero una di quelle antiche creature mitologiche tanto decantate e tanto temute nei miti antichi.

La cena procede in un languido e sofferto silenzio, interrotto solo dai rumori delle posate e da qualche sporadico commento di Aithusa, e io passo il tempo ad ingoiare rari bocconi di cibo ed a cercare di sondare Kilgharrah, che per tutto il tempo non mi degna di uno sguardo.

Per quanto il Villaggio dei Vincitori sia quasi una seconda casa per me l’ho incontrato pochissime volte e di sfuggita, e le mie informazioni su di lui sono rare e frammentate. So solo che è un tipo isolato e non proprio incline alla vita e alle persone, e che trascorre la maggior parte del suo tempo chiuso in casa. Io ho sempre preferito tenermi alla larga da lui, per quanto possibile, e lui ha fatto lo stesso. Ci siamo sempre tenuti debitamente a distanza, e la cosa è andata bene ad entrambi, visto il legame poco piacevole che ha unito le nostre vite ancora prima che nascessi.
Credo che non faccia il mentore da almeno 17 anni, probabilmente per la sua avanzata età, forse perché anni di tributi perduti hanno davvero iniziato a pesargli sull’anima. Eppure eccolo qua, dall’altra parte del tavolo, la mia unica vera speranza di sopravvivere almeno per qualche ora o chissà, forse qualche giorno. E’ strano pensare che adesso, nonostante tutto, dovrò starlo a sentire e seguire i suoi consigli e le sue direttive.
Spero solo che faccia un lavoro migliore dell’ultima volta.

Quando tutti siamo così pieni o così tesi da non riuscire a mandare giù anche solo un’altra forchettata, Alice finalmente prende la parola. “Saremo a Capitol City domattina presto, e sarete subito consegnati ai vostri stilisti per prepararvi alla Cerimonia d’Apertura.” mormora, la voce ferma e tranquilla “Di allenamento e strategia parleremo con calma ed a mente lucida la mattina in cui inizierete le sessioni di gruppo.”.
Io e Gwen ci ritroviamo ad annuire, la mente troppo presa dagli eventi della giornata per pensare a qualcos’altro che non sia la terribile sensazione di nausea e smarrimento che questa giornata ha portato con se, e dietro consiglio di Aithusa ci spostiamo in un altro vagone ad osservare insieme il riepilogo delle mietiture alla tv.
Prima che inizi, ho un’idea improvvisa e chiedo ad uno degli uomini del treno un po’ di carta e una matita. Quando ritorna con un elegantissimo taccuino, un astuccio di matite di tutti i tipi e un sopracciglio alzato così tanto da ricordare Gaius mi limito a ringraziare ed a raggomitolarmi su una piccola poltrona.
‘Usa il cervello’, mi ha detto Gaius. Ed è quello che devo fare. Dopotutto è l’unica possibilità che ho di resistere più di qualche minuto.
Devo studiare ogni tributo, i rispettivi punti deboli e abilità, individuare quelli da temere e da evitare, scovare quelli più inclini a collaborare ed utili alla mia sopravvivenza. Devo pensare come se si trattasse di una semplice partita di scacchi, come se io non fossi solo una pedina, un piccolo ed inutile pedone, ma il giocatore, l’autore di tutte le mosse, l’unico vero vincitore o perdente. Il giocatore in una partita mortale.
Alice e Gwen mi lanciano uno sguardo curioso, ma non chiedono niente, e io mi limito ad appuntare, man mano che il programma procede, i nomi di tutti i tributi, con il relativo distretto e l’età, su un diverso foglio di carta, in modo d’avere uno schema preciso ed ordinato di tutti gli avversari che dovrò affrontare. In ogni pagina scriverò tutto quello che riuscirò a notare di ciascuno in questi giorni, in modo da essere preparato su di loro quando entrerò nell’Arena e più o meno sapere cosa aspettarmi.
Durante questo noioso ma utile lavoro cerco di agire in maniera meccanica, senza pensare al fatto che la maggior parte dei ragazzi che appaiono sullo schermo, la maggior parte di noi, tra pochi giorni saranno mangime per i vermi. E io sarà sicuramente tra di loro.
Mentre scarabocchio sul taccuino, vengo colpito in particolar modo da alcuni tributi.
Il ragazzino più giovane di tutti, dall’esotico nome di Mordred, distretto 1. Potrebbe quasi fare tenerezza, se non fosse per i suoi occhi. Grandi, freddi, chiarissimi, ma in qualche modo ostili, inquietanti, quasi letali. Mi mettono addosso un bruttissima sensazione, una sensazione di timore, di pericolo, di morte. La bella e sicuramente pericolosa ragazza del 2, Morgana Pendragon, che si offre volontaria con orgoglio, fierezza e un pizzico di malcelata follia negli intensi occhi color smeraldo. I due del 4, una ragazzina che sembra quasi una bestia ferita ed intrappolata e un giovane uomo dall’aria coraggiosa, ma non crudele, anzi, gentile e quasi nobile. Il ragazzo del 12, Gwaine, la sfrontatezza fatta a persona, che sale sul palco senza la minima ombra di paura e che invece di stringere la mano all’altro tributo le da’ una pacca sulla spalla.
Ma quello che mi colpisce di più, che mi lancia una fitta profonda ed inspiegabile al cuore è il tributo maschile del 2, Arthur Pendragon.

E’ fratello della mora dagli occhi verdi, ma a differenza di lei è stato estratto, e non è stato permesso a nessuno prendere il suo posto. Sembra un leggendario dio greco, dai luminosi capelli biondi, il corpo muscoloso e perfetto, l’aria decisa e sicura, quasi eroica. Ha un fremito solo per un attimo, quando sente il suo nome e le telecamere lo inquadrano, ma poi sale il palco con fermezza e decisione e resta immobile per tutto l’inno, con un minuscolo ma probabilmente finto sorriso sulle labbra, il volto elegante privo di qualsiasi segno di preoccupazione o paura. Gli occhi, chiari, luminosi e mozzafiato bucano lo schermo ed arrivano fino ai miei, pronti per trafiggermi l’anima.
Quando il programma termina ed Alice si alza per spegnere la tv e per mandarci a dormire ho ancora la sua immagine impressa a fuoco nelle pupille.

Io e Gwen ci alziamo silenziosamente e ci salutiamo con un cenno della testa, per poi entrare senza una parola nelle rispettive camere. La stanchezza e la tensione hanno davvero iniziato a farsi sentire, e così mi avvicino al gigantesco letto al centro della stanza e sfioro con la punta delle dita le coperte. Il tessuto, pura seta forse, è morbido e rassicurante sotto la mia pelle, e così decido di cedere alle sue lusinghe. Faccio una capatina nel grande e splendente bagno personale giusto per togliermi di dosso la polvere della giornata e l’odore della paura, e poi ritorno nella stanza. Per un attimo penso di dormire con gli abiti che ho addosso, ma poi mi rendo conto che si rovinerebbero troppo per il giorno dopo, e voglio portare con me il più possibile almeno un minimo di quello che era il mio mondo.
Così mi spoglio e piego ogni capo con cura, restando solo in intimo, ma all’ultimo momento mi lego il fazzoletto attorno al polso come un bracciale o un amuleto, un ultimo tentativo di non allontanarmi del tutto del poco che ancora mi lega al mio distretto. Scivolo lentamente sotto le lenzuola e mentre mi faccio avvolgere dal loro calore, gentile eppure estraneo, per la prima volta mi permetto sul serio di pensare a casa.
Penso a Will, che forse in questo momento ha appena finito di guardare le Mietiture e si è reso conto che le possibilità non sono propriamente a mio favore.
Penso a Gaius, tutto solo in quella grande casa con i suoi libri e le sue medicine, che prepara lentamente il lavoro per domani e cerca di non pensare, perché ogni scenario è peggiore del precedente.
E, soprattutto, penso a mia madre. Cosa starà facendo? Avrò avuto il coraggio di accendere la tv e di guardare la mia condanna un’altra volta? Avrà mangiato, o forse è rimasta a fissare il piatto, pensando alle terribili prove che mi aspettano? Sarà nel letto, troppo grande per il suo corpo pieno di rimpianti e dolore, a piangere le lacrime che ha avuto la forza di trattenere, o starà guardando il vuoto, la mente persa nei ricordi di un dolore remoto ma sempre presente e in quelli più vicini di una nuova e identica tragedia?
Trattengo a stento un grido senza voce, e mi raggomitolo nelle coperte, come facevo da bambino quando avevo gli incubi e non volevo svegliare mia madre. Ma questo non è un semplice incubo. Non è un’illusione dalla quale potrò risvegliarmi e poi tornare alla mia vita normale. E’ la realtà. La semplice, cruda, crudele realtà.
Accarezzo per qualche minuto con le punta delle dita la stoffa consumata del fazzoletto, e quel semplice e ripetitivo gesto mi riporta un po’ di agognata calma.
Pian piano scivolo in un sonno agitato ma senza sogni, e l’ultimo viso che vedo prima di chiudere gli occhi stranamente non è quello di Will, di Gaius o di mia madre.
E’ quello serio e fiero del tributo dai capelli biondi, e i suoi occhi mi cullano dolcemente per tutta la notte, in un limbo che sa di eternità.

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Quando mi sveglio per un attimo entro nel panico, non riconoscendo la stanza che mi circonda. Allungo una mano per sentire il calore confortante del corpo di mia madre, ma quando non lo trovo finalmente ricordo. Non lo troverò mai più, d’ora in poi.
Deglutisco a vuoto e mi alzo a fatica, stringendomi il polso fasciato quasi tanto da far male, e per un attimo mi perdo nel paesaggio che scorre veloce fuori dal finestrino, illuminato dai pallidi raggi del giorno.
A piedi nudi mi infilo in bagno e subito dopo nella doccia, dove mi perdo sotto i forti e freschi getti d’acqua, che portano via con sé la disperazione e l’angoscia. Mi avvolgo in un asciugamano candido e dopo essermi asciugato torno nella mia stanza. Indosso di nuovo i vestiti della Mietitura e di fronte allo specchio mi do’ una sistemata ai capelli ancora un po’ umidi e mi riavvolgo il fazzoletto attorno al collo. Resto a fissare per qualche secondo la mia immagine riflessa, soffermandomi sul mio viso sottile, il mio corpo magro e quasi scheletrico e i miei occhi, azzurri e preoccupati. Non proprio il fisico di un tributo, direi.
Sospiro e poi mi dirigo, senza fare rumore, nella sala della colazione.
Quando arrivo lì trovo una grandissima tavola imbandita con ogni ben di Dio ed un gentile inserviente, vedendomi fermo ed indeciso sulla soglia, mi fa segno di servirmi tranquillamente.
Mi avvicino esitante, scrutando quel cibo allettante con fare quasi inquieto. Per quanto sia tutto più che invitante ed una delle poche cose buone che posso fare fino all’inizio dei Giochi è mettere su un po’ di peso, sono sempre stato un tipo che mangia molto poco ed in questo momento il cibo è proprio il mio ultimo pensiero.
Alla fine, però, mi costringo ad afferrare una fetta biscottata, un biscotto al cioccolato e una mela, per poi prendere una sedia e spostarla vicino al finestrino. Mi metto lì, a guardare fuori mentre sgranocchio la mia semplice colazione, fino a quando una voce profonda non rompe quel placido silenzio.
“Così piccolo, per dei giochi tanto orrendi e crudeli.”
Sobbalzo, per poi voltarmi di scatto verso un punto in ombra della sala, dove gli occhi seri e dorati di Kilgharrah mi fissano come fiamme quasi spente nel buio.
“Cosa vuoi dire?” quasi ringhio, alzandomi dalla sedia e osservandolo attentamente.
E’ la prima volta che io e lui ci parliamo.
Lentamente, Kilgharrah esce dal buio “Parlo di te. Sembri così piccolo, così esile, così fragile. Troppo, per giochi come gli Hunger Games.”.
“Gli Hunger Games non sono giochi.” ribatto, la voce ferma e decisa “Sono delle barbarie che servono a Capitol City per tenerci sotto il suo gioco. E si, forse sono piccolo, troppo piccolo, esile e fragile per sopravvivere. Ma questo non vuol dire che non debba vendere caro a Capitol il mio sangue. Non è nella mia natura. Né nella natura della mia famiglia.”.
Un luccichio illumina per un attimo lo sguardo dell’anziano vincitore, ma non so sei sia stupore o rabbia “Sei identico ai tuoi genitori.” mormora “La decisione e la sconsideratezza di Balinor e il coraggio e la testardaggine di Hunit. Gaius aveva detto che ne avevi anche la gentilezza, ma di questo ne dubito fortemente.”.
Sentire i nomi dei miei genitori, soprattutto quello di mio padre, pronunciati da lui mi accende qualcosa dentro, qualcosa che urla e grida e sanguina. Stringo le mani forte a pungo e sto per rispondergli –cosa, esattamente, non lo so-, ma l’arrivo provvidenziale di Alice e Gwen interrompe la nostro discussione e Kilgharrah si limita a lanciarmi un ultimo sguardo prima di uscire dalla stanza in silenzio.
Tutto quello che riesco a fare è stringere con forza tra le dita il tessuto consumato del mio fazzoletto, che in quel momento sembra bruciare come il fuoco dell’inferno.

 

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Mi gratto distrattamente il braccio mentre scruto con aria da funerale le porte del Centro Immagine, accompagnato dal mio variopinto e rumoroso staff e dal mio stilista, Alator, un uomo di mezza età pieno di tatuaggi sul volto e sul collo ma dall’aria fiera e forte.
Ho passato tutta la giornata in loro compagnia a farmi sistemare ed abbellire come un bambolotto per la Cerimonia di Apertura di stasera. E’ una delle fasi pre-Arena; i ventiquattro tributi vengono lavati, rimessi a nuovo, pettinati, truccati e vestiti con costumi il più delle volte ridicoli per poi essere messi su dei carri e mostrati alla popolazione di Capitol come se fossero dei divertenti animaletti esotici. E’ sempre stata una delle parti che più detesto dei Giochi. E’ malsano, è grottesco. I ragazzi vengono trasformati in personaggi di un circo, un circo degli orrori, considerando il destino che li aspetta. E, quest’anno, io sono uno di loro.
Appena entriamo troviamo Gwen ad aspettarci al nostro carro con la sua stilista, una donna di poco più giovane di Alator, ed Aithusa, elegantissima in un lungo abito nero ed argento. Subito ci avviciniamo e mentre gli adulti si complimentano tra loro per il lavoro svolto, lei mi si affianca e mi fa un piccolo sorriso “Beh, non ci è andata male, in fondo. Tu stai benissimo. Il blu fa risaltare i tuoi occhi.”
Mi passo una mano tra i capelli, imbarazzato più che mai. Si sta riferendo ai nostri costumi.
Ogni tributo deve indossare qualcosa che richiami l’attività principale del proprio distretto. Nel nostro caso, le fabbriche. A me Alator ha infilato a forza, dopo una certa serie di minacce ed intimazioni visto la mia testarda opposizione all’indossare quella cosa, un’aderente tuta blu attraversata da piccoli componenti metallici che brillano ed impreziosiscono il tutto come se fossero piccoli gioielli, insieme ad un paio di stivali di un grigio metallico. Non è male come avevo immaginato, d’accordo, ma il tessuto rigidissimo e fastidioso pizzica da morire e io mi sento particolarmente ridicolo.
“Sembro un idiota, invece. Will morirebbe dalle risate, se fosse qui.” obbietto, ma quel minuscolo riferimento a casa le fa oscurare lo sguardo e fa tremare dentro un po’ anche me, e così mi affretto ad aggiungere “La tua stilista, però, ha fatto un fantastico lavoro. Sei incredibile.” Ed è vero.
Anche se Gwen indossa una tuta color crema simile alla mia e degli stivali dorati identici ai miei, l’effetto è completamente diverso.
Il colore chiaro le valorizza la pelle caramellata e tra le varie aggiunte meccaniche ci sono alcuni brillanti che le danno ancora più luce. I capelli sono stati tirati su ed abilmente intrecciati in un trionfo di trecce e fili argentati e dorati ed il trucco, leggero ma perfetto, mette in evidenza il suo sguardo e il suo sorriso. E’ davvero mozzafiato.
Non mi stupirebbe se qualche sponsor decidesse di puntare su di lei già da stasera, anzi, sarei sorpreso del contrario.
Gwen arrossisce lievemente e sorride appena, abbassando lo sguardo “Grazie. Finna è davvero un brava persona e una professionista eccezionale.”
“Non ne dubito. Alator, invece, è una specie di torturatore.” mi lamento, cercando di scherzare. “Sono certo che questo costume è una sua arma letale ideata apposta per farmi impazzire.”.
“Guarda che ti sento, Emrys.” esclama Alator, lanciandomi uno sguardo a metà tra l’infastidito e il divertito “Se non vuoi un abito ancora peggiore per l’intervista, inizia a chiudere la bocca.”.
Fingo di sobbalzare e deglutire spaventato, mentre Gwen ridacchia, la tensione completamente scomparsa, e per un attimo potremmo essere di nuovo i soliti Gwen e Merlin del 3, due semplici amici che scherzano tra loro, liberi di qualsiasi preoccupazione.
Ma proprio in quel momento arrivano Alice e Kilgharrah, vestiti di tutto punto e senza nemmeno un accenno di allegria nello sguardo, e quella illusione scompare. Alice si avvicina a noi e ci fa i complimenti per i vestiti, mentre Kilgharrah ci scruta –o meglio, mi scruta, ad essere sinceri- e resta vicino a Aithusa senza rivolgere la parola a nessuno.
Memore della discussione di stamattina ed innervosito da quegli occhi dorati fissi su di me, mi volto verso le porte.
Ed è in quel momento che lo vedo.

Arthur Pendragon, il tributo del 2, è lì, pochi metri davanti a noi, insieme alla sorella, fasciata in un elegante abito dorato punteggiato da minuscoli smeraldi, i loro mentori e i loro stilisti.
E’… è . . . non ci sono parole per descriverlo.
Ero già rimasto colpito nel vederlo in tv, ma guardarlo dal vivo è tutta un’altra cosa.
Il costume dorato e il mantello rosso che lo rivestono mettono in evidenza i suoi muscoli e lo fanno apparire come un re guerriero dei tempi antichi. Una sottile corona fatta d’oro puro è posata sui suoi capelli biondi e il suo viso è annoiato, ma non per questo meno attraente. Ignorando gli altri che stanno parlottando con aria cupa ed arrogante, lascia scorrere lo sguardo lungo la sala, fino a quando i nostri occhi, quasi per caso, si incontrano.
Per un attimo ho l’istinto di abbassare lo sguardo, ma la luce che vedo brillare nei suoi occhi e la forza che essi trasmettono mi tiene legato a quel contatto più di quanto vorrei. Sono ancora più forti ed intensi di quanto apparivano in tv, i suoi occhi, ed imprigionano i miei fino a quando non scorrono, lenti ed implacabili, lungo tutta la mia figura, come se volesse imprimersi dentro ogni dettaglio della mia figura a fuoco. Deglutisco a fatica, e per quanto tutto ciò dovrebbe spaventarmi o almeno inquietarmi e preoccuparmi un po’, il brivido che sento corrermi lungo la spina dorsale ha una ragione completamente diversa.

“Merlin?”
La voce di Gwen mi fa sobbalzare e mi volto con fatica e con un pizzico di fastidio verso di lei, che è sola insieme ai nostri stilisti.
“Gli altri se ne sono andati. Dobbiamo iniziare a prepararci.” mi spiega gentilmente, interrogandomi confusa con lo sguardo.
Mi limito ad annuire ed a salire in silenzio sul carro, mentre noto che anche lui, spronato dal proprio mentore, raggiunge la sorella sul carro. Quanto tempo siamo rimasti bloccati in quel limbo di sguardi?
Mentre tutti gli altri osservano le porte aprirsi e il carro dell’1 esce fuori, io scorgo quasi di sfuggita il biondo lanciarmi un ultimo, intenso sguardo che mi brucia dentro. Ma non di un calore fastidioso o crudele, bensì di un calore piacevole, caldo, rassicurante e allo stesso tempo stravolgente, che mi accompagna per tutta la durata della Cerimonia e mi travolge, stordisce e culla più delle urla o degli applausi dei nostri spettatori, che quasi non sento.
Quando finalmente io e Gwen scendiamo dal nostro carro alla fine del giro, all’interno del Centro d’Addestramento, veniamo circondati dai nostri staff, dagli stilisti, dai mentori e da Aithusa, ma io non posso trattenermi dal cercarlo con lo sguardo, e vederlo lì, in mezzo al suo gruppo, gli occhi di nuovo fissi su di me, mi fa sobbalzare e subito mi affetto ad abbassarlo per qualche secondo, quasi arrossendo.
Mi costringo a rialzarlo un’ultima volta, visto che Gwen mi sta tirando la manica per andarcene, ed Arthur è ancora lì, con un piccolo ma sincero sorriso, così diverso da quello fatto ieri per le telecamere, e vedo le sua labbra muoversi in un sussurro che non riesco a decifrare, ma che mi getta addosso un’agitazione mai provata prima.
Un’agitazione che mi fa sentire stranamente vivo.

 

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Mi butto stancamente sul letto nella mia stanza del Centro d’Addestramento, dopo la cena più che eterna ma ugualmente silenziosa, e faccio scivolare lo sguardo lungo il grande armadio, la finestra gigantesca e la porta che si affaccia all’ancora più grande bagno personale. E’ una bella stanza, e me la godrei pure, se non fosse per la consapevolezza che è solo un modo per rendere più difficile per noi tributi l’arrivo all’inferno.
Mi stiracchio appena e con gli occhi sfioro i vestiti con cui sono arrivato a Capitol e che avevo consegnato a Alator, raccolti e posati con cura su una sedia accanto al comodino, ma quando vedo anche il fazzoletto qualcosa mi si spegne dentro.
Ripenso a casa, a mia madre che la notte grida il nome di mio padre, a me che le accarezzo i capelli per calmarla, il vuoto che ci ha sempre tormentato ed oscurato l’intera esistenza. Ripenso ai Giochi, ai pochi giorni di vita che mi restano, alla mia sicura morte. Ripenso ad Arthur, ai suoi occhi fissi su di me, a quel minuscolo sorriso che mi ha indirizzato, al fuoco che mi ha accesso dentro e mi ha fatto sentire come mai, prima di questo momento, mi sono sentito prima.
 “E’ un tributo, Merlin.” mi dico, mettendomi a sedere e sfiorandomi gli occhi con i polpastrelli, come a voler cancellare il suo riflesso dal mio sguardo “Peggio, è il tributo del 2. E’ un favorito. E i suoi occhi, per te, sono solo una minaccia. Lui è una minaccia. E tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro.”.
Nonostante quelle parole fredde, però, i suoi occhi continuano a bruciarmi dentro e a stringermi il cuore in quella stretta soffocante e, in qualche strano modo, dolce, fino a quando non cado in un sonno senza sogni.

 

 

La tana dell’autrice

Ed eccoci di nuovo qua, come promesso!
Si, sono un po’ in ritardo, ma purtroppo sono stata in vacanza dai miei nonni e siamo stati senza wi-fi, per cui sono riuscita ad aggiornare solo adesso e non ho ancora risposto alle recensioni, ma lo farò il prima possibile.
Tornando al capitolo . . . non c’è molto da dire, in fondo. Tra le altre cose, ho accennato alcuni dei tributi presenti in gara – a fine note troverete lo schema che Merlin ha scritto per memorizzarli, con accanto l’età da me attribuitogli per la storia, che tra l’altro è più o meno lo stesso schema che ho utilizzato per organizzarmi all’inizio della stesura, e spero che vi aiuterà ad orientarvi nello svolgimento dei fatti- , e in particolare il nostro Arthur, che avrà un ruolo sempre più predominante di capitolo in capitolo. Inoltre, ho scelto come stilista di Merlin Alator, che adoro alla follia, perché ho notato che Johanna, durante la sua prima comparsa, accenna a una stilista donna, e di conseguenza ho dedotto che non deve esserci una regola fissa sull’assegnazione degli stilisti – cioè, il tributo maschile non deve avere per forza una stilista donna e viceversa-, e così mi sono sbizzarrita.
Per la scelta dei tributi, ho avuto molta difficoltà a trovare abbastanza donne – è straordinaria la scarsità di personaggi femminili rilevanti e soprattutto positivi in questa serie tv, davvero- ma alla fine sono riuscita a trovarne una per distretto.
Vi chiedo scusa per i possibili errori, ma purtroppo non sto troppo bene e anche se l’ho riletto diecimila volte è possibile che qualcosa mi sia sfuggito – come è brutto stare male in estate, mamma mia!-.
Il prossimo capitolo sarà un po’ più lungo e, spero, interessante, visto che ci saranno tante piccole sorpresine sparse qua e là . . . ma non voglio anticiparvi troppo!
Un abbraccione e fatemi sapere cosa ne pensate

La vostra Tigre

P.s. Mi scuso per la grafica di questo capitolo, ma ho dovuto scriverlo al portatile di mio fratello che, stranamente, ha difficoltà ad eseguire le modifiche di testo su efp.


Distretto 1

Morgause - 18
Mordred -13

Distretto 2

Arthur -17
Morgana -18

Distretto 3

Merlin -16
Gwen-15

Distretto 4

Lancelot -17
Freya-15

Distretto 5

Elyan -18
Elena – 14

Distretto 6

Cenred-18
Sefa-14

Distretto 7

Tristano -18
Isotta -16

Distretto 8

Leon -18
Sophia -15

Distretto 9

Mithian -15
Odin-18

Distretto 10

Valiant -17
Annis-18

Distretto 11

Percival -16
Nimueh – 17

Distretto 12

Gwaine -18
Vivian – 16





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