Coney
Island 2015
New
York, 4.00 di mattina
Steve si
svegliò di colpo, il volto contorto in uno sguardo doloroso e preoccupato.
Ancora quel sogno, quelle stesse parole e quello stesso volto. Era da mesi che
si alzava nel pieno della notte con il respiro corto e la fronte imperlata di
sudore. C’era qualcosa che non andava. Eppure, Bucky era con lui, si erano
ricongiunti dopo tanti malintesi e non c’era nessun motivo per cui Steve non
dovesse essere felice. Ma quel sogno, così sadico e macabro al tempo stesso, gli
diceva che qualcosa era stato evitato , qualcosa di non chiarito.
Si
diresse in cucina per bere un sorso d’acqua e lasciarsi alle spalle quella
brutta nottata, come era solito fare. Ma quando si voltò verso il salotto con
il bicchiere tra le mani, quest’ultimo gli scivolò dalle dita andando ad infrangersi
in mille pezzi sul pavimento, una sagoma scura appoggiata allo stipite della
porta lo stava fissando. Bucky. Si fissarono per qualche secondo e poi Steve,
per rompere quel silenzio assordante, cominciò a raccogliere i cocci e le
schegge di vetro a terra evitando di tagliarsi.
“Che
cosa c’è che non va?” Steve
fu preso di sprovvista da quella domanda. “Va tutto bene” Cercò di
sviare il discorso, non si sarebbe messo a parlare nel pieno della notte con
James dei suoi problemi, anche se avrebbe tanto voluto farlo. Si alzò per
gettare nel cestino i pezzi di vetro e poi si voltò verso il moro che era
ancora in quella posizione di semioscurità, illuminato solo dalla falce lunare.
“Ora è meglio che vada a letto e sarebbe un bene anche per te.” Terminò
così la conversazione, ma quando passò accanto al suo corpo il suo braccio
venne avvolto da una stretta leggermente dolorosa e particolarmente fredda. Steve
lo guardò dritto negli occhi, il volto stanco e segnato dal dolore. “Non
mentirmi.” Il braccio metallico allentò leggermente la presa ma solo di
poco. “Non ti sto mentendo.” Steve cercò di liberarsi ma la morsa fredda
ricominciò a stringersi. “Buck, lasciami.” Si sentiva così impotente nei
confronti di Bucky, non poteva ribellarsi davanti ai suoi occhi color ghiaccio.
“Finché non mi dici che c’è te lo puoi scordare di tornare in camera.” Il
tono del moro non provava a riscaldarsi, sempre freddo e rigido.
“Perché
ti preoccupi per me? Solo pochi giorni fa non spiccicavi parola e lasciavi che
il silenzio fosse il padrone di ogni conversazione.” La tensione era sempre più alta e
Steve non cercava nemmeno di essere gentile. “Sto provando a tornare come
ero. Mi ricordo di come mi preoccupavo per te e sinceramente ero come se fossi
tua madre.” Bucky era rimasto deluso, pensava che Steve con qualche domanda
gli avrebbe riversato la sua vita addosso includendo pianti e confessioni mai
dette. “Non tirare fuori mia madre!” Il tono di Steve era duro ma la
voce si stava spezzando.
James
lasciò la presa e si avvicinò al lavabo, riempì un bicchiere d’acqua e poi
ritornò sui suoi passi per darlo a Steve. “Avevi sete, ricordi?” Accese
la luce della cucina e poi si sedette sul divano continuando a fissarlo. “Sai,
non devi dimostrare di essere forte, lo so che tutto questo ti grava sulle
spalle ma Steve-” poche volte usava il suo nome e questo fece rabbrividire
il biondo. “-io sono qui per te.” Gli occhi del biondo si fecero liquidi
e mandò giù a vuoto cercando di trattenersi. “Tu sei così preoccupato per
me. Bucky, io non posso…” la voce era quasi rotta dal pianto e gli occhi
iniziavano a pizzicare. “Sfogati!”.
Steve si
gettò tra le braccia di Bucky non pensando nemmeno alla reazione del moro e
lasciando che copiose lacrime cadessero dalle sua guance per poi infrangersi
sulla maglietta celeste dell’amico. “Ogni sera. Ogni dannata sera della mia
vita si ripete in continuo. Io e te… tu che cadi e io che non ti prendo, il
sangue, le tue urla dei filmati, i pupazzi di neve costruiti insieme macchiati
dal sangue del tuo braccio e poi la gente che mi dice che è tutta colpa mia.” Sentì
la mano di carne dell’altro accarezzare i suoi capelli corti e la sua voce che
lo tranquillizzava. “E’ tutto okay… shhh, Steve io sono qui con te.” Il
moro sussurrava parole dolci al suo orecchio mentre cercava di non pensare alle
miriadi di emozioni che si creavano nel suo stomaco. Gli ritornò in mente un
lontano ricordo di quando erano bambini, il biondo si dondolava lentamente su
un’altalena con il capo chino verso le sue scarpe per cercare di nascondere
l’occhio nero che Rick Moore gli aveva procurato dopo una litigata di
merendine. Anche quella volta lo aveva consolato facendolo sfogare, aveva
pianto e si chiedeva perché si meritasse tutto questo dolore. James era così
protettivo con Steve, come se fosse la rosa del Piccolo Principe.
Tornò
alla realtà quando sentì che Steve si era calmato. “Scusami.” Disse
prima di alzarsi e allontanarsi da Bucky per reimpostare le distanze. “Non
dovevo. Sei tu quello che dovrebbe sfogarsi e parlarmi dei suoi problemi non
io.” Si asciugò gli occhi e poi affondò il viso nei palmi delle mani. “Non
devi dimostrare niente, ognuno ha bisogno di liberarsi ogni tanto.” Il moro
si alzò dal divano e si avvicinò ad una vecchia foto di loro due durante la
guerra, strofinò con il pollice la cornice di legno chiaro, gli mancavano quei
tempi. Se solo… ma si! “Dobbiamo andare.” Fuggì in camera per poi
ricomparire con i loro giacconi e le chiavi della moto. Steve lo guardava
stranito, la bocca semiaperta e il volto con un punto interrogativo. “Andare
dove?” . Non ci fu risposta perché Bucky gli tirò addosso il giaccone blu
scuro e poi lo tirò fuori dall’appartamento. Scesero le scale velocemente
facendo a volte gli scalini, a due a due. “Bucky mi vuoi dire dove dobbiamo
andare?” Steve non ricevette risposta perché il moro era già salito sulla
sua Harley e aveva acceso il motore. “Sali avanti!” Quando allacciò le
braccia ai suoi fianchi sentì una scarica di emozioni prolungarsi per tutta la
spina dorsale e gli tornò in mente un tenero ricordo della loro adolescenza:
Steve seduto sul retro della bici che si teneva a lui mentre attraversavano le
vie maestre bloccate dal traffico.
Il
viaggio durò circa un’ora, passarono sul ponte di Brooklyn e fiancheggiarono i
vicoli bui e umidi delle sue lontane risse. “Ehi! Lì è dove sono stato
pestato dal ragazzo del cinema… mentre là sono stato sbattuto malamente da
quelli dell’esercito, per non dimenticare quella volta che Alley mi ha preso a
cazzotti nel retro della macelleria.” Che ricordi imbarazzanti. “Okay
ora smettila prima che ti pesti anche io in uno di quelli!”.
Quando
arrivarono sul luogo Steve rimase a bocca aperta mentre l’insegna del luna park
di Coney Island gli si rifletteva negli occhi cristallini. Come poteva Buck
ricordarsi una cosa del genere? Si voltò verso James il quale si stava sfilando
il casco lentamente facendo scendere le sue ciocche scure davanti alla fronte.
Era così bello. “Come…” Le parole gli erano state portate via. Troppo
era lo stupore. “Come me ne sono ricordato?” Sopraggiunse James. “Una
notte mi sono svegliato a causa di un sogno strano, tu che vomitavi
copiosamente, eri bianco cadaverico e non stavi certamente bene, la tua voce
era rotta e mi ricordo che mi hai imprecato contro per tutta la strada del
ritorno.” Steve rise mentre la sua mente faceva riemergere quei ricordi
tanto cari. “Mi sembrava una buona idea portarti qui.” Continuò il moro
mentre strisciava la suola delle scarpe avanti e indietro. “Grazie.” Steve
si avvicinò a lui mentre un leggero rossore si estendeva per le guance. “Mi
mancava tutto questo.” Erano così vicini che potevano quasi sentire i loro
respiri, la piazzola davanti al parco era deserta essendo le cinque di mattina
e nessuno sarebbe giunto in quel posto prima delle sette. Le labbra di Bucky
erano così morbide, nel lontano ricordo di quel quattro luglio poteva ancora
sentire la dolcezza e le farfalle nello stomaco di quel bacio. La suoneria di
uno smartphone si aggiunse in quel momento ed entrambi si allontanarono
velocemente. Steve prese il telefono tra le mani, il display illuminato mostrava
il nome di Fury. “E ora che vorrà ?” Avvicinò il telefono al suo
orecchio dopo aver premuto il tasto ‘Rispondi’. “Qualche problema?” La
mandibola leggermente contratta fece capire a Bucky che quella chiamata era più
che una scocciatura. “Si, James è qui con me.” James? C’era qualcosa che
non quadrava. “Proprio ora?”... “Sai che ti dico? No.” Liquidò
Fury così per poi riposare lo sguardo su Bucky. “Perché ha chiesto di me?” Lo
sguardo si era contratto e gli occhi si erano ridotte a due fessure. “Voleva
solo chiederti informazioni sull’Hydra, lo sai che sei una fonte preziosa di
prove vero?” Bucky fece un sorriso tirato e poi gli balenò in testa
l’accaduto di prima. Che cosa sarebbe successo se quel telefono non avesse
squillato? Lasciò quella domanda per sé.
Erano
quasi le sette di mattina, Steve aveva appena portato due caffè e due paste
dello Starbucks adiacente al parco. Terminarono la loro colazione in pochi
minuti come soldati in guerra e aspettarono seduti su una panchina di legno. “Un
giorno devo portarti al cinema. Vedrai che ti piacerà.” Il moro si morse un
labbro come se guardare un film insieme fosse qualcosa di troppo intimo. “Non
lo so, potrei essere abbastanza sensibile agli effetti speciali di oggi.” Steve
fu preso da un tremendo senso di dolore e di rabbia, non potevano aver ridotto
così il suo amico.
Un
rumore metallico attirò la loro attenzione, le porte del luna park erano
aperte. Aspettarono che avviassero tutte le attrazioni e poi entrarono. Gli
occhi di Bucky si focalizzarono su ogni cosa vicino a loro e il biondo notò con
piacere che l’amore per lo zucchero filato, del maggiore, non era svanito.
Osservò mentre il moro si gustava lo zucchero cercando di non rendere
appiccicosi di circuiti del suo braccio. “Sembri un bambino Bucky.” Disse
mentre rideva di gusto e scattava una foto con il telefono. Bucky si bloccò, le
labbra sporche di zucchero e un po’ di quella roba tra le mani. “Che cosa
hai appena fatto?” Si gettò su di lui cercando di afferrare il cellulare e
lasciare che Steve fosse schiacciato dal suo peso. “Questa la stamperò e la
metterò sulla testata del tuo letto.” Finalmente Steve gli mostrò la foto e
Bucky non gli restò che sorridere a quell’immagine. Era vero, sembrava così
infantile. “Lascia che il tuo telefono catturi questi momenti, magari un
giorno ci rideremo sopra.” Si alzò per gettare il bastoncino dello zucchero
filato e ritornò su suoi passi con le mani nelle tasche fissando Steve. “Da
dove partiamo?” .
Le
attrazioni di Coney Island erano come se le ricordava, nonostante fossero
passati decenni il tempo non aveva cambiato i colori e la vivacità delle
giostre. Trascorsero la giornata come quando erano ragazzini, sparandosi
addosso con le pistole ad acqua e guidando i piccoli go-kart facendo scontri da
capogiro. Steve si sentiva ancora un quindicenne follemente innamorato del suo
migliore amico e non avrebbe cambiato atteggiamento fino alla fine della
giornata, quando potevano capitargli occasioni come queste un’altra volta? “Ehi
Steve!” Bucky si era fermato davanti all’ultima attrazione del parco non
ancora provata. I battiti del biondo accelerarono improvvisamente, si sarebbe
anche ricordato di quell’avventura su quella giostra? “Sai mi auguro che non
vomiterai di nuovo.” James lo afferrò per la mano e lo trascinò verso la
biglietteria, avrebbero riprovato insieme l’emozione di salire sul Cyclone. Le
mani ancora intrecciate rimasero così per tutto il tempo in cui attesero in
coda, lo stomaco di Steve si era attorcigliato facendogli sentire le farfalle e
deglutiva a vuoto ogni volta che poteva, era così nervoso e allo stesso tempo
felice di godere di quel contatto.
Quando
la carrozza cominciò a salire, Steve si ricordò cosa si provasse ad essere
sballottato per ben tre minuti ad una velocità più elevata del solito. La pelle
cominciò a schiarirsi diventando cadaverica e gli occhi erano sbarrati. “E
se questo aggeggio cadesse? Intendiamoci, è dal 1935 che è qui.” Bucky in
risposta fece una piccola risata e gli toccò con la mano di carne la spalla
destra. “Lo sapevo che dentro di te questa paura era rimasta intatta.” Non
ci fu più nessun discorso dopo quella affermazione, poiché Steve si ritrovò a
trattenere le sue urla mentre stringeva nervosamente il maniglione di acciaio,
stava morendo dentro. Quell’orribile sensazione terminò quando Steve ripoggiò
piede per terra, il colorito non accennava a tornare ma almeno era vivo. “Ehi
è tutto okay?” James lo raggiunse poco dopo avvolgendo il suo braccio di
vibranio attorno alle sue spalle. “Perché non dovrebbe esserlo.” Fece un
sorriso finto per cercare di essere il più convincente possibile, diamine,
quelle montagne russe lo avevano destabilizzato.
“Ho
letto che questa sera faranno uno spettacolo di fuochi d’artificio. Ricordo che
una volta li abbiamo visti insieme, penso per il…” “Per il mio compleanno.” Steve terminò la frase per lui. “Fu
una giornata meravigliosa.” Si limitò a dire questo, il bacio poteva anche
risparmiarselo, Bucky non era ancora pronto a quel tipo di ricordi. “Si, fu
una bella serata.” Aggiunse il moro con occhi sognanti.
Vedere i
fuochi d’artificio con il suo migliore amico accanto era ancora rimasta, una
delle cose più emozionanti della sua vita. I colori rossi, verdi e gialli si
riflettevano nelle loro iridi azzurrine lasciandoli a bocca aperta. Una canzone
sopraggiunse alle sue orecchie, una di quelle vecchie che andava ai suoi tempi,
sembrava tutto così perfetto. “Steve, dimmi la verità.” Ora la serata
poteva rovinarsi da un momento all’altro. “Dimmi Bucky.” Gli occhi
cristallini dell’amico lo fissavano intensamente come se esigessero di sapere
quello che andava saputo. “Eravamo semplici amici?” E ora? Doveva dire
la verità o semplicemente mentirgli sperando che non ritornassero su
quell’argomento. “Buck lo sai anche tu, eravamo… a-amici.” Risposta poco
convincente. “Steve non mentirmi!” Passarono una manciata di secondi e
poi si decise. “Possiamo parlarne, ma non qui.” Si diressero verso una
panchina isolata del parco e appena si sedettero Bucky cominciò a tempestarlo
di domande. “Bucky calmati! Ora ne parliamo civilmente.” La voce sotto
tono e seria. “E per civilmente intendi mentirmi?” Perché doveva essere
così complicato?
Steve
tirò un lungo sospiro. “Il quattro luglio del 1936 quando compii diciotto
anni mi portasti qui, a Coney Island. Passammo tutto il pomeriggio tra le
giostre, ci divertimmo tantissimo come se fossimo degli stupidi ragazzini.
Quella sera ci sarebbero stati i fuochi d’artificio in onore degli Stati Uniti
D’America. Eri stato così carino a portarmi in una panchina isolata a guardarli
da soli.” Il soldato si irrigidì improvvisamente, quella cosa pareva piuttosto
romantica per due ragazzi come loro cresciuti in quell’ambiente. “Beh, non
so come sia successo ma ci siamo ritrovati a baciarci come due adolescenti, era
così strano sia per me che per te, ma… cosa potevamo farci, ormai era
successo.” Bucky lo interruppe facendo un gesto con la mano. “Quindi io
Steve ti ho baciato?” Il biondo annuì per posare lo sguardo verso
l’asfalto. “Che… che successe in seguito?” Steve era incerto sul dirgli
la verità o meno, cosa poteva pensare Bucky se gli avesse detto che si erano
fidanzati? “Non so se tu sia pronto a certi ricordi Bucky. Il punto è che…”
“Basta!” Il moro lo ghiacciò con quella esclamazione. “Sono stufo di
essere considerato debole e instabile! Lo ammetto, non sono tornato come prima
e non ci tornerò mai perché quello che mi hanno fatto non si cancellerà. Ma
Steve… io ho bisogno di sapere, ho visto e sentito cose peggiori.” Bucky lo
guardava con occhi disperati, era visibilmente stanco di quella specie di farsa
che tutti avevano instaurato con lui. “Vuoi sapere la verità?” Un attimo
di attesa nella sua voce e poi cominciò. “Quando ci siamo baciati abbiamo
capito che quella non era semplice amicizia, ma eravamo comunque molto
spaventati, potevi essere radiato, castrato chimicamente o andare in prigione,
essere omosessuali era considerata una malattia a tutti gli effetti. Mi ricordo
che mi dissi che te ne fregavi di cosa pensasse la gente, l’importante era che
noi fossimo felici. Quei pochi anni che abbiamo passato insieme come coppia
hanno instaurato in noi un legame indistruttibile. Io Bucky ti amavo e tu… beh
anche tu mi amavi molto.” Gli occhi iniziarono a pizzicare a causa delle
lacrime, ma non si sarebbe messo a piangere un’altra volta. James rimase in
silenzio, necessitava di analizzare tutte quelle informazioni una per volta
andando a riscavare nella sua memoria fragile. Steve e lui fidanzati? Era così
strano, eppure quando stava insieme a lui si sentiva bene. Steve si mordeva
nervosamente il labbro inferiore rischiando di farlo sanguinare ogni volta che i
denti affondavano nella carne rosea. “Buck non devi accettare tutto questo,
ora puoi fare quello che vuoi.” Il moro alzò il volto dalle mattonelle
grigie, incontrò i suoi occhi azzurri e fece un piccolo sorriso. “E se ti
baciassi in questo momento?” Le guance di Steve si colorarono di un rosso
acceso, sarebbe stato magnifico riprovare quella sensazione. “E’ passato
molto tempo, io non so se sia così bravo.” Vide Bucky fare una piccola
smorfia e poi avvicinarsi velocemente verso di lui. “Oh Rogers ma non dire
cazzate. Entrambi abbiamo la lingua congelata da settant’anni!” Posò le sue
labbra su quelle del biondo giocando il labbro inferiore e lasciando che le sue
mani avvolgessero il volto del compagno. Steve in risposta, si lasciò
trasportare socchiudendo gli occhi e avvolgendo le mani attorno ai fianchi di
Bucky. Strinse il suo giaccone nero per farlo avvicinare più a sé come se
quella fosse una richiesta di non andarsene, di restare, perché lui aveva
bisogno di James, non poteva perderlo di nuovo, non quando le cose si stavano
mettendo a posto.
Quando
si staccarono a causa del fiato corto si guardarono in faccia per cercare
risposte nei loro occhi. “E’ stato bello, molto bello.” Disse Steve
mentre strofinava il pollice sulle sue labbra leggermente gonfie. James sorrise
consapevole che quella serata avrebbe cambiato tutto a casa Rogers. “Anche a
me. Ma ora torniamo a casa, ho bisogno di riposare.” Il biondo si
avvicinò, avvolgendo la sua mano con quella bionica di Barnes. “Si, torniamo
a casa Buck.”