Seconda classificata al contest
Non esiste rimedio all'amore se non amare di più indetto da
aturiel sul forum di Efp.
Storia partecipante
alla challenge Otto
fandom e una valanga di prompt indetta da kuma_cla sul forum
di Efp.
Nota
legale: Percy
Jackson & The Olympians © 2005, Rick Riordan.
Il qui presente
intreccio è da considerarsi proprietà esclusiva
dell'autrice; pertanto, non può essere riprodotto
- totalmente o parzialmente - senza il consenso di quest'ultima.
Avvertimenti: Missing Moments;
Note:
Questa
storia è stata un luuhhngo parto.
La scena del discorso
di Talia me la sono palesemente inventata #paracula. Ah, ho scelto di
mantenere "Talia" e non "Thalia" perché sull'edizione
italiana è usato la prima forma.
Keep
me in mind
Tutte le
anime degli uomini sono immortali,
ma
le anime dei giusti sono immortali e divine.
(Immortals)
Il
mio nome è Talia Grace.
“Grazia”
non è esattamente la parola che più si addice
alla mia vita, ma una delle poche cose che ho imparato in questi anni
è che la Moira ha un terribile senso dell’umorismo.
Cercare
di uccidere un’undicenne, sbranata da mostri che sembrano
usciti dai disegni impiastricciati di qualche dio bambino, ecco, questa
è la sua idea di divertimento.
Le
arpie, per esempio: con quel ventre pingue e le ali spennacchiate,
potrebbero sembrare quasi comiche.
Potrebbero.
Peccato poi cerchino di strapparti con i loro artigli gli occhi dalle
orbite.
Fatto
sta che la mia non è un’esistenza, come dire,
convenzionale.
In
fondo, è la sorte di tutti noi semidei: prima o poi,
inevitabilmente, impari a cavartela.
O
a uccidere mostri con una mazza di golf.*
«Pensavo
avessi detto fosse un’idea stupida».
Luke si rigira nel suo
sacco a pelo, sbuffando quella che assomiglia a una risata ancora
troppo addormentata.
«Scrivere un
diario è un’idea stupida, Castellan. Io faccio
solo un resoconto dettagliato per ricordarmi di tutte le volte in cui
ti salverò la vita. Per rinfacciartelo in futuro».
Talia non si degna
nemmeno di alzare lo sguardo, stringendo la penna in modo parossistico,
come se volesse spezzarla. O usarla come arma contundente (ipotesi non
da escludere).
«Okay, te ne
do atto. Lo hai fatto una volta sola, comunque. E non ci sei riuscita
poi così bene» allunga il braccio a sfiorarle una
caviglia e nel farlo mostra un’evidente bruciatura ancora
rossastra che va dal polso fino al gomito – nonostante il
dolore sia sparito grazie all’ambrosia «E,
tecnicamente, sei stata tu a svegliare il drago, in quella
grotta».
Uno,
due, tre, calma Talia, calma.
«Luke, ci
conosciamo da settantadue ore al massimo e ho fulminato un lucertolone
squamoso che voleva mangiarti per cena. Credo di meritarmi un minimo di
riconoscenza, no?».
Quando alza gli occhi,
incontra soltanto un sorriso gentile. Luke slaccia la zip del sacco per
mettersi in piedi, poi si stiracchia come un gatto, sussurrando un
“quanto sei permalosa” a bassa voce.
«È
il mio turno di guardia, my
saving Grace»
«Non sei
divertente»
«Ah, sapevi
che Talia era una delle tre Grazie, figlie di Zeus?»
«Luke!»
Nel frattempo, Talia
ha occupato il posto del ragazzo. È così tiepido
in una notte particolarmente fredda e buia. Los Angeles era diversa,
sempre immersa in un bagno di luce elettrica, con l’afa della
città che galleggiava nell’aria della sera e ti si
incollava addosso.
Il torpore del sonno
arriva prima di quanto si fosse aspettata, inghiotte tutti i mozziconi
di ricordi.
«Comunque,
grazie»
È un grazie
bello. Pulito, genuino, di chi lo pensa davvero.
Questo Luke Castellan
non è poi così male.
Talia non ha mai
dovuto bisogno di sfoderare le armi, né di combattere, per
espugnarlo.
Riesce ad abbattere le
difese che Luke Castellan ha innalzato intorno a sé soltanto
con due parole: Buon Compleanno. Quello che stringe tra le mani
è un pacchetto stropicciato e giallo e dannatamente
pacchiano, quella che ha sul volto un’espressione a
metà tra il soddisfatto e l’imbarazzato (neanche
lei sa, esattamente, come si sente).
Luke in
realtà non ama i compleanni. Per usare testali
parole, per lui fanno schifo.
La delicatezza non
è mai stata il suo forte.
Il problema principale
di Luke è infatti il non riuscire ad accettare il
trascorrere del tempo, non quando le statistiche e le percentuali
affermano che non arriverai ai vent’anni, non porterai la tua
ragazza al ballo di fine anno, non guiderai una macchina, né
tantomeno frequenterai il College.
Guarda ancora il
regalo con quelle sue iridi troppo azzurre: non
c’è paura, dentro, solo una sorta di tristezza.
«Siamo come
mosche» sussurra, più a se stesso che a Talia, poi
si rende conto di quello che ha detto e sfodera il suo ghigno migliore
«gli dei hanno a disposizione un tempo infinito. La durata
della nostra vita, rapportata alla loro, è pari a quella
delle mosche. Una decina di giorni, se viene bene. O una manciata di
ore. Capiscili: davanti all’eternità,
t’importerebbe di qualche stupido insetto? Al massimo
potrebbe rappresentare un piccolo fastidio».
«Fottiti».
Forse la delicatezza
non è nemmeno il suo,
di forte.
«E,
già che ci sei, scarta quest’orribile confezione,
fingiti contento e ringrazia, Castellan. Non ho speso tutti i miei
soldi per un appassionato di entomologia».
«Hai davvero
speso i tuoi soldi per me? Non dovevi comprarti il nuovo album dei
Green Day?» come risposta riceve solo un pugno sul braccio,
che arriva più forte di quanto Talia abbia calcolato, ma, in
fondo, meglio che nessuno pensi che si stia rammollendo – non
è il tipo, lei.
Dentro al pacco
c’è un pugnale: è in bronzo celeste,
maneggevole e affusolato.
Il manico è
istoriato con una pianta di mele, così finemente realizzata
da sembrare vera – Luke può saggiarne la ruvidezza
della corteccia, i pomi sono d’oro. *¹
«Tre sorelle
impiccione mi hanno detto che è nel tuo destino»
una spiegazione le sembra d’obbligo, considerando che
è da cinque minuti buoni che il compagno la sta fissando a
bocca aperta.
Soddisfatta, si
allontana per sistemare le provviste negli zaini.
Mentre Talia gli volta
le spalle, il polpastrello sfiora distrattamente
l’impugnatura: minuscolo, appena sopra l’albero,
c’è un fulmine.
«Grace,
anche questo è nel mio destino?»
Talia osserva
l’alba, un enorme sole sanguigno circondato da nembi soffici
e cirri scarlatti.
Non è
riuscita a prendere sonno, così ha preferito uscire dal
magazzino dove hanno trovato rifugio per la notte appena trascorsa e
iniziare a pattugliare il perimetro dell’intero caseggiato.
È immenso, tutto in mattoni e amianto, con delle finestrelle
sbilenche sbarrate dall’interno con assiti fradici e marci.
La ragazza ha appreso,
in questi anni, a non abbassare mai la guardia ma adesso, nella tenue
luce di Eos¹, sente
sotto la pelle una strana inquietudine, tanto che si sfila
dall’orecchio destro la cuffietta dell’ipod durante
il ritornello di Wish You Were Here, pronta a sentire ogni minimo
fruscio di foglia. Quando capta un movimento alle sue spalle,
è l’istinto della guerriera ad avere il
sopravvento: l’aggressore non ha neanche il tempo di provare a reagire
che Talia lo inchioda a terra, premendo il ginocchio ossuto
all’altezza del diaframma.
«Talia, se
uccidi ogni ragazzo che ti offre la colazione, credo che, con buone
probabilità, morirai sola».
Luke, capelli
spettinati e occhi arrossati per la dormita, è steso sotto
di lei e la sta fissando implorante.
«Potresti
almeno alzarti, comunque»
«Non saresti
dovuto uscire» minuscoli lampi elettrici guizzano nel blu
dell’iride.
«C’è
un temporale nei tuoi occhi».
È una cosa
così dannatamente stupida anche solo da pensare e Luke
capisce solo troppo tardi di averla detta ad alta voce. Quindi la
ripete.
«C’è
un temporale nei tuoi occhi. È terrificante»
deglutisce «e meraviglioso»
«Sei un
deficiente».
Talia scaccia una
ciocca nera ribelle dalla fronte e si accomoda sulla pancia di Luke,
determinata a non farlo alzare prima di una bella ramanzina.
«C’è
una bambina di neanche sette anni che ha rischiato di essere divorata
da una chimera, addormentata in un edificio abbandonato e pericolante,
completamente al buio. Come pensi che si sentirebbe risvegliandosi e
trovandosi sola?»
«Hey, hey,
hey, mamma chioccia, Annie sta bene»
«Non
chiamarla Annie. È un nome stupido».
Luke scopre
l’eburneo dei denti, in un sorriso per un quarto esasperato,
per un quarto divertito e per metà addolcito
«Quella bimbetta per poco non mi strappava gli occhi dalle
orbite, ieri sera. Senza contare che è sopravvissuta da sola
per tutto questo tempo, non penso scoppierà mai a piangere.
È una tosta, come te»* le dice, mentre le dita
risalgono l’orlo dei jeans strappati «e tu sei una
che la vita conosce tutte le sfumature e tutte le pieghe».
Per risposta riceve
solo un borbottio imbarazzato, un “forse hai
ragione” smozzicato, mentre la compagna usa le sue gambe
piegate come schienale. Allora resta zitto, immagazzina ogni dettaglio
quasi per imprimerlo a fuoco nella mente: il trucco nero sbavato, le
lentiggini chiare sul naso, lo spacco sul labbro superiore che fatica a
rimarginarsi dallo scontro con Faia di un mese prima; lo smalto nero
mangiucchiato sull’unghia del pollice sinistro, la maglietta
sdrucita dei Metallica.
La bacia un
po’ per sfida, un po’ perché gli sembra
bellissima. Per gioco no, non lo farebbe mai.
«Che cosa
fate?» Annabeth pigola nel suo pigiama sporco, e non fa in
tempo a terminare la domanda che Talia l’ha già
spinto lontano da sé con un gesto brusco.
«Ci stavamo
baciando».
Luke risponde come se
fosse la cosa più naturale del mondo e scrolla le spalle
divertito.
«E
perché due persone si baciano?».
Talia si è
alzata in piedi: non sa se essere più imbarazzata per
l’arrivo della bambina o incazzata per la faccia di Luke.
«Perché
si vogliono bene».
Ora è
notevolmente incazzata con Ermes per aver generato una progenie
così imbecille.
«Come una
mamma e un papà?» due occhi grigi scrutano il
quattordicenne pieni di curiosità, quasi in attesa di
conoscere i più reconditi misteri dell’universo.
«Sì,
proprio come loro»
«Allora noi
siamo una famiglia»
«Vedo che
sei più intelligente di quel che sembri, Annie»
«Non
chiamarmi Annie! Io sono una guerriera, mica una
femminuccia!». Mentre le scuote i capelli Luke soffia un
bacio in direzione di Talia. Non vorrebbe, ma alla fine scoppia a
ridere.
Tale
madre, tale figlia.
Ci sono notti in cui
Luke pensa di non potercela fare.
Ci sono notti in cui
si sveglia urlando per via di quell’incubo. Più
cerca di sfuggire ai ricordi, più questi lo assalgono:
è come se stesse nuotando in una boccia per i pesci, piccola
e rotonda, in cui è impossibile trovare un riparo, un
nascondiglio dalle sue paure e dal suo dolore.
Oppure è
scosso da tremiti nel sonno e la paura è un fuoco tenue
sotto la pelle e brucia, brucia, brucia. Sogna una corsa spossante e
infinita, ricorda i piedi incespicare e il sapore metallico del sangue
in bocca. Il Ciclope era comparso dal nulla, quando non avevano
né armi adeguate né la forza per battersi ancora:
lui aveva perso la propria spada nella fuga rocambolesca dal capannone
che faceva loro da rifugio, Annie era spaventata e tremante in braccio
a un satiro che ancora non aveva nemmeno le corna.
Ci sono notti in cui
Luke si rigira nel letto e rivive quel momento: l’aria
crepitante intorno a Talia, il riverbero sull’egida lucida,
la fermezza delle sue parole. Era bella e coraggiosa e invincibile.
Eppure è
morta.
Come
vorrei, come vorrei che tu fossi qui. Eravamo due anime perse, ma io mi
sono ritrovato nei tuoi occhi.
E poi ci sono notti in
cui la vede ridere vicino a lui, o cantare qualche canzonaccia punk e
immagina il sapore della sua pelle sulla lingua – e pensa che
no, nessuna scopata o pompino al campo potrà sostituire quel
sorriso e quegli occhi e quelle labbra. Quelle, quelle sono le notti
che non finiscono mai.
«Ho fatto un
sogno stranissimo».*²
Freddo. La prima,
chiara, sensazione che Talia avverte è un freddo pungente a
mani e piedi, come se fosse stata esposta troppo a lungo a un vento
gelido, o si fosse immersa fino alle ascelle in un torrente in pieno
inverno. Deve essere svenuta dopo una bella botta, decide, per non
parlare di quell’incubo orribile: era un albero. Un pino alto
e rigoglioso, una sentinella a guardia della vallata, che si estendeva
alle sue pendici. C’erano pure dei pettirossi tra i suoi rami
e insetti invischiati tra la pece densa del tronco. Ogni tanto
c’era anche Luke: la fissava dal basso verso
l’alto, accarezzava la corteccia e scappava via. Talia non
poteva fare nulla per fermarlo, muta nella sua prigione verde.
«Va tutto
bene» dice il ragazzo che si chiama Percy. La studia con due
occhioni grandi e spauriti decisamente da troppo vicino, ma, nel
complesso, non sembra avere cattive intenzioni. In realtà ha
solo un’espressione un po’ idiota.
«Sto
morendo» Okay, anche questa è un’uscita
un po’ idiota, ma Talia si sente a pezzi, vuole solo
avvolgersi in una coperta calda e assicurarsi
dell’incolumità di Annabeth.
«No, stai
bene. Come ti chiami?».
Nel frattempo la
giovane si è tirata in piedi: si guarda intorno e in
lontananza scorge alcune casupole, un lago e, ancora montati, una serie
di bersagli per il tiro con l’arco. Così è
questo il Campo Mezzosangue. Aveva un fratello una volta:
magari qui ne troverà altri.
«Io sono
Talia, figlia di Zeus.»
Alle sue spalle sente
un singhiozzo mal trattenuto e subito si accorge di una ragazza in
armatura che si asciuga le guance con il dorso della mano. Quando alza
il viso Talia riconosce una cascata di ricci biondi e due occhi vispi e
grigi. Solo che no, non dovrebbe essere così grande.
Oh.
Ciao
Papà,
Percy
mi ha spiegato cosa è successo in questi anni: mi hai
trasformato in un pino per scampare a morte certa. Percy dice che
è un grande gesto d’amore, io penso sia solo la
scelta di un gran paraculo: non sei stato propriamente un genitore
modello e rapportarsi con il mondo vegetale è più
facile che gestire una figlia in piena pubertà. Comunque,
ora sono qui, quindi almeno un grazie te lo devo.
Anche
se risvegliarsi in piena guerra civile non è proprio una
sensazione gradevole. Anzi, è proprio un bel casino: nel
Campo si vocifera che Luke sia impazzito e se in questi anni di me un
po’ ti è importato, ti prego – ti prego
– fallo tornare a casa. Fammi credere in te.
Tua,
Talia.
Talia accartoccia la
lettera e la getta nel braciere che rischiara la casa di Zeus. Gli
eventi degli ultimi giorni sono marchiati nella sua testa, ma
è certa che quello non era il suo Luke: il Luke dei ricordi
rideva sempre e non aveva cicatrici – né
implacabili occhi dorati. Era la voce di un folle quella che aveva
parlato, disposto a tutto pur di vedere realizzato il suo sogno di
conquista. Nella penombra della Cabina, la figlia di Zeus sente le mani
tremare di rabbia e dolore e crack – il suo cuore si spezza
di nuovo, perché capisce che avrebbe sacrificato Annabeth
per Crono, e avrebbe ucciso lei, e Percy e macellato migliaia e
migliaia d’innocenti.
L’ipod
gracchia in modalità casuale e la figlia di Zeus inizia a
ridere e piangere nello stesso momento quando riconosce la canzone.
E
ti hanno portato a barattare
i
tuoi eroi con dei fantasmi?
Ceneri
roventi per degli alberi?
Aria
bollente con una fresca brezza?
Una
magra consolazione per il cambiamento?
E
hai scambiato una parte da comparsa in guerra
con
un ruolo di comando in gabbia?
Vorrebbe rivolgere
quelle domande anche a Luke. Crono non li salverà, tantomeno
non li vendicherà: possibile che il figlio di Ermes non si
rendeva conto di essere caduto in una trappola tanto banale, di essere
non un comandante ma un burattino mosso dal Titano?
Schiena appoggiata
alla parete di marmo, Talia vorrebbe ricordare le cento e mille e
diecimila volte in cui ha salvato la pelle al proprio amico, ma il suo
cervello ripercorre in loop il momento in cui ha spinto il ragazzo
giù dalla rupe.
L’amore
è un cappio, l’amore è un amo. In
entrambi i casi, nel cercare di liberartene finisci per ucciderti.
Ed
io sono morta con te.
Prende la sacca solo
nel momento in cui la fiamma smette di ardere. Nel buio si chiude la
porta alle spalle. Alla parete di quello che è stato il suo
letto, una nicchia fredda scavata nel marmo, lascia appesa una foto di
due ragazzi e una bambina.*³
Grazie
per avermi delusa ancora una volta, Papà.
È inutile
pregare l’Olimpo: se vuoi difendere il tuo mondo e le persone
che ami, vai lì fuori e combatti.
Quando la guerra
scoppia davvero, la verità è che anche gli dei
sono impreparati.
Artemide, nella tenda
delle sue cacciatrici, afferra un arco d’argento e rizza la
schiena. Eùskopos
iochéaira²,
cantava il cieco di Chio: saettatrice infallibile. Ma era un altro
tempo e un’altra storia. A Talia Artemide, sua sorella
Artemide, sembra solo una bambina spaventata sulla quale pesa la
gravosità dell’essere divina.
Pensa
a noi, condannati da un 50% di DNA.
La metà dei
soldati schierati sul campo di battaglia –
sull’intera fottuta New York anestetizzata e indifferente
– non hanno nemmeno quattordici anni e probabilmente non
festeggeranno il prossimo compleanno. Anche Achille era solo un bambino
quando l’hanno chiamato alle armi, ma almeno Teti ha avuto il
buon cuore di non mandarlo impreparato al macello.
Talia esce
all’aria aperta e alza lo sguardo; il cielo sopra la sua
testa è una pozza scura e ribollente: ha appena spiovuto e
l’acqua minaccia di riprendere a scrosciare prima che si
siano asciugati del tutto.
L’egida
riflette il grigio delle nubi dense.
«Elpis³ ha fatto bene a restarsene
nel vaso di Pandora, non trovi, sorellina?» Apollo si
è materializzato al suo fianco con tanto di spider e la
fissa da sotto in su seduto sul cofano lucido. Biondissimo e
abbronzato, non sembra turbato dal pericolo imminente e Talia ha
l’impulso di strozzarlo.
«Non
guardarmi con quella faccia. Ho appena supervisionato
l’allestimento delle tende del pronto soccorso, non sono
così irresponsabile. La cabina di Apollo non si
farà cogliere inadeguata all’emergenza, posso
starmene tranquillo. Quei ragazzi sono in gamba – e beh, non
a caso, sono figli miei» nel dirlo le fa
l’occhiolino e si rimette alla guida.
«Apollo?»
«Mh?»
«Cerca di
non farti ammazzare, mi devi una lezione di guida». La sua
famiglia non è poi tanto male.
Inoltre è
bella, la risata di un dio.
Dicono che la morte
sia spaventosa, dolce, improvvisa, calcolata, inevitabile.
Che sia
libertà o destino. Dicono che la morte sia un sogno,
un’amica e il male peggiore di questa terra.
Dicono che quando
lascerai questo mondo tutta la tua vita ti passerà davanti
agli occhi: ripercorrerai i bivi cruciali, ricorderai i momenti felici
e ogni singolo sbaglio commesso.
Luke pensa che la
gente si sbagli: si pianta il coltello tra la terza e la quarta
costola, lo affonda nella carne del torace e non gli sembra di essere
né felice né triste. Non sta sognando, non ha
paura, non sente alcun dolce torpore avvolgerlo.
Davanti a lui
però compare un’immagine, singola e nitida, la
stessa che l’ha salvato quando si era immerso nello Stige.
“C’è
un temporale nei tuoi occhi.”
Ti
amo, Talia. Scusami per non avertelo detto prima.
La morte è
un atto d’amore.
New York è
una carcassa agonizzante, edifici collassati e tetti sfondati come se
fossero stati presi a pugni da giganti – cosa non troppo
discostante dalla realtà, in effetti.
Talia sbuffa
zoppicando, portandosi al centro della spianata che una volta doveva
essere un’avenue. Percy è con sua madre, ancora
all’ingresso dell’Empire State Building. “Tranquillizzali anche da parte
mia”. Dannata Testa d’Alghe.
«È
finita. La guerra è finita.» Annuncia e gli occhi
di tutti i semidei sono puntati su di lei. Riprende, a disagio
«Sono qui per dirvi che d’ora in avanti tutti i
semidei saranno riconosciuti, anche i figli degli dei minori. E poi
voglio dirvi grazie. Se abbiamo vinto questa battaglia il merito
è tutto vostro – nostro.
Sarà
difficile ritornare alla vita di prima: oggi tutti noi abbiamo
conosciuto il sangue e la morte e abbiamo perso qualcuno. Un fratello,
un’amica, un amore. Abbiamo costole incrinate, braccia rotte,
caviglie slogate. Ma soprattutto abbiamo ferite qui» indica
la testa «e qui» indica il cuore.
«Però
vi assicuro che si rimangeranno, dovete impegnarvi affinché
ciò avvenga. Non dobbiamo dimenticare, ma dobbiamo
continuare a vivere in virtù del sacrificio che altri hanno
fatto per noi.»
Due figli di Ermes
iniziano a battere le mani timidamente, finché
l’applauso non si fa sempre più forte.
«Siete degli
eroi e ne avete conosciuti altrettanti».
Talia si sente
diversa: meno arrabbiata e meno sola. Le cacciatrici stanno
raccogliendo le armi e la chiamano. Finalmente non è
più quella ragazzina pelle e ossa scappata da casa tanto
tempo prima.
Tra le macerie Zeus le
sorride nel suo completo gessato.
Grazie
Luke: vorrei che tu fossi qui.
Il
mio nome è Talia Grace: cacciatrice di Artemide, figlia di
Zeus.
Sono
rimasta su questa terra più di centoquarantasette anni,
alcuni quali, beh, sotto forma di albero: ho avuto la
possibilità di conoscere persone meravigliose, affrontare
mostri provenienti delle cavità infernali più
profonde, vedere l’uomo evolversi e raggiungere livelli di
sviluppo impensabili.
Ho
combattuto, ho riso, pianto, amato – e ascoltato buona musica
per la strada.
È stata una bella
avventura, la vita.
I Campi Elisi
brillano, davanti ai miei occhi.
«Ciao
Talia» ride « Ti aspettavo».
Gli si stringe addosso
«Eccomi, Luke. Eccomi».
Note:
*
Ci riferisce all’episodio narrato nel racconto “Il
Diario segreto di Luke Castellan” © Rick Riordan;
*¹
Ci si riferisce all’Impresa che compirà Luke e in
cui si procurerà la propria cicatrice;
*²
Le battute del dialogo sono riprese pari pari da “Percy
Jackson e il Mare dei Mostri” © Rick Riordan;
*³
Quella che trova Jason #myfeelings;
¹
Personificazione dell’Aurora;
²
Omero, Odissea;
³
Personificazione della Speranza.
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