La danza del lupo

di madelifje
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Autore:  madelifje su efp – idkrugens sul forum
Titolo: La danza del lupo
Titolo dei capitoli (eventuale):
Fandom: 
Originali, Sovrannaturale
Pacchetto utilizzato (con eventuale specifica degli elementi bonus utilizzati): Pacchetto rabbia, tutti gli elementi (ci ho provato)
“Creep” - Radiohead 
“Anche se questo fosse l'unico filo di ragnatela a cui aggrapparmi per uscire dall'inferno, io non voglio usarlo per scappare, voglio tirare giù chinque lo stia tessendo... per trascinarlo all'inferno con me!” - Kuroshitsuji/Black Butler 
1. I due personaggi hanno un conto in sospeso 
2. L'ambientazione è o di 1000 anni o più precedente alla nostra o di1000 anni o più successiva 
3. Macchia
Genere: Sovrannaturale – Angst, romantico
Rating: Arancione
Avvertimenti: Contenuti forti
Introduzione: “Volevano le fiamme, le bramavano, come un lupo famelico desidera di affondare i denti nella carne della propria preda. Volevo quasi ridere, perché si sbagliavano. Sbagliavano tutti.

Lì, in quel preciso momento, il lupo ero io.

Fin da piccola mi avevano insegnato a non temere il fuoco, perché un giorno mi avrebbe permesso di aprire le ali e volare via, libera. Inizialmente non avevo capito. Avevo otto anni, appena agli inizi dell’addestramento, ma a scappare dagli uomini in nero avevo già imparato. “Ti portano dalle fiamme”, dicevano, “Non mostrare mai a loro chi sei veramente”. Perché scappare da persone in grado di renderti libera? Non avremmo dovuto corrergli incontro, al fuoco?”


NdA: L’idea di base è nella mia testa da così tanto tempo che avevo quasi rinunciato all’idea di scriverla. Non so cosa ne sia venuto fuori :) La storia si svolge su due piani temporali. La canzone è stata una colonna sonora e l’ho usata anche come “intermezzo” tra le due parti principali. E niente, spero che si capisca qualcosa.


 

La danza del lupo

 
 

 
Svizzera, 1587 d.C.
 
La folla gridava.
Volevano le fiamme, le bramavano come un lupo famelico desidera affondare i denti nella carne della propria preda. Volevo quasi ridere, perché si sbagliavano. Sbagliavano tutti.
Lì, in quel preciso momento, il lupo ero io.
Fin da piccola mi avevano insegnato a non temere il fuoco, perché un giorno mi avrebbe permesso di aprire le ali e volare via, libera. Inizialmente non avevo capito. Avevo otto anni, appena agli inizi dell’addestramento, ma a scappare dagli uomini in nero avevo già imparato. “Ti portano dalle fiamme”, dicevano, “Non mostrare mai a loro chi sei veramente”. Perché scappare da persone in grado di renderti libera? Non avremmo dovuto corrergli incontro, al fuoco?
Quattordici anni dopo capii.
Venni uccisa per la prima volta e giurai che non sarebbe più ricapitato. È facile, sostenevano gli altri, quasi istintivo. Nessuno aveva mai parlato del dolore atroce. Non avevano nominato neanche l’assuefazione che si veniva a creare, dovuta a quella sensazione senza nome che ti prendeva nel Momento, quello in cui guardi in alto e percepisci la fine che ti viene incontro. E sei finita davvero, uccisa come preda in quella caccia che non si è ancora conclusa e mai lo farà. Non è una sensazione a cui fai l’abitudine, quello mai, ma è nella tua essenza.
Io non volevo ripetere l’esperienza proprio perché mi era piaciuta come nient’altro al mondo.
Invece stava per succedere di nuovo e avrei voluto ridere. Sarei scoppiata a ridere per dare l’ennesima soddisfazione alla folla, per provare a tutti loro che quella ragazza con gli occhi di due colori diversi era un mostro. Volevo che parlassero del mio sorriso, in modo da far arrivare la voce fino a Lui. Ma non lo feci, perché quella mattina, seduto sulla base della grande statua, c’era qualcuno che conoscevo bene. Mi guardava, distruggendo la mia messinscena con quegli occhi castani.
E io, che non avevo nemmeno il coraggio di dirgli che non avrei pronunciato l’incantesimo. Non avrei permesso al fuoco di salvarmi.
Strinsero le funi intorno ai miei polsi. Probabilmente stavano già sanguinando, chissà, non sentivo più dolore.
«Bruciate la strega!», gridò qualcuno dalla folla. Decine di voci gli fecero eco. Raphael continuava a guardarmi.
Devi aspettare il momento giusto, lo sai.
«Sì», sussurrai. A nessuno importava se la strega parlava da sola.
Se pronunci le parole prima, l’incantesimo non farà effetto.
«Lo so, Raphael». “Addio, Raphael”.
«A morte la strega!», gridò una delle guardie.
Gli istanti che precedono la fine sono sempre i più lenti. Accesero la torcia. Le fiamme sfrigolavano, l’aria sembrava squagliarsi intorno a loro e mi chiamavano.
Non dovevo rispondere.
Non avrei risposto.
La guardia fece due passi verso di me.
Stai pronta.
Volevo guardare il cielo, in modo da distogliere lo sguardo dagli occhi di Raphael. Anche Sylvain si era sentito così? Anche lui aveva avvertito quel senso di fine, sapendo che sarebbe durato in eterno? Speravo che la sua agonia fosse stata più rapida. Che non se ne fosse accorto.
Non volevo vivere perché sapevo che, in ogni tempo e in ogni luogo, i suoi occhi verdi com’erano un istante prima della fine mi avrebbero seguito.
Volevo guardare il cielo, invece vidi Lui.
Solo uno tra la folla, eppure il suo sorriso era totalmente diverso da tutti gli altri.
E in quel momento capii.
Meritavo di morire tanto quanto lui.
Non me ne sarei andata senza averlo prima portato con me e, se davvero un Inferno esisteva, Lui l’avrebbe visto prima di me.
«Ci troveremo. Non so quando, non so dove, ma giuro che ti riconoscerò».
“Anche se questo fosse l'unico filo di ragnatela a cui aggrapparmi per uscire dall'inferno, io non voglio usarlo per scappare, voglio tirare giù chiunque lo stia tessendo... per trascinarlo all'inferno con me”.
Avalyn, adesso!
La torcia accesa cadde ai miei piedi.
Guardai in alto.
«Servabor igne, secula seculorum, usque ad finem».
Le fiamme esplosero.
Con un sussurro, permettevo al fuoco di salvarmi di nuovo.
 
 
 
 
 
Sylvain vide il campo per la prima volta quando aveva undici anni. La febbre era sul punto di portarselo via e sua madre, disperata, l’aveva affidato alla mia. L’avevano fatto stendere sulla paglia, avevano trattenuto la madre fuori da casa nostra e si erano dimenticati di mandarmi via. Anche io avevo undici anni e non avevo mai salvato una vita. Non ero ancora pronta. Mia madre e le altre Sorelle, invece, non fallivano quasi mai.
Sylvain fu un compito difficile. Tentarono per mezz’ora. Il sudore imperlava loro la fronte, segnata da rughe di preoccupazione. Sorella Jessamine credeva che non ce l’avrebbe fatta.
«Morirà?», avevo bisbigliato. Per tutta risposta, mi avevano cacciato.
Trovai Raphael, Rose e Liam davanti alla casa di Sorella Margot, la madre di Rose. Scommettevano sulla vita di Sylvain come avevamo fatto innumerevoli volte, eppure, chissà perché, io non ci riuscivo.
«Vivrà», sosteneva Raphael.
«No», aveva ribattuto Liam, «l’hanno portato qui troppo tardi».
Rose si era limitata a stringermi la mano.
Eravamo migliori amici. Raphael, perché da piccoli facevamo a botte; Rose, per via delle nostre madri; Liam, perché era “il forestiero”. Non aveva i genitori, una delle Sorelle lo aveva trovato nei campi che circondavano la nostra comunità quando aveva solo cinque anni. Era stato sottoposto alla prova e l’aveva superata. In quel bambino c’era qualcosa di magico. Neanche tre anni dopo insultò Raphael e io lo picchiai di santa ragione. Da quel momento diventammo inseparabili. Ci addestravamo tutti insieme e credevamo che saremmo stati uniti per tutta l’eternità.
Ovviamente non fu così.
 
Sylvain visse e tutti si dimenticarono di lui.
 
 
 
Passarono sette anni. Era autunno, mancava poco al Samhain e io e Liam eravamo andati al villaggio a comprare della carne. Riuscimmo a rimediare solo due galline, ma andava bene così. Io ne tenevo in mano una, quando notai quel ragazzo biondo camminare in senso opposto, dall’altra parte della strada. Salutò l’uomo che ci aveva venduto le galline – che poi scoprimmo essere suo zio – e ci domandò perché non ci avesse mai visto. Erano ancora quei tempi in cui potevi ammettere di vivere nella comunità senza paura di essere ucciso, per cui non mentimmo. Non potevamo immaginare che quel ragazzo si sarebbe messo in testa di seguirci.
Se ne accorse Liam, perché nell’addestramento era molto più avanti di me. Non avevo mai visto Liam fare un incantesimo concreto, ma sembrava avere i sensi sviluppati come quelli di un lupo.  Saltò addosso a Sylvain con una rapidità e un’agilità che decisamente non erano umane e lo sbatté contro il tronco di un albero.
«Cosa cazzo fai?», ringhiò, con la sua voce profonda.
Sylvain provò a liberarsi, ma senza successo. «Quando ero un bambino mia madre mi portò alla comunità affinché mi salvassero la vita. Non l’ho mai più rivista».
«E non la rivedrai, stanne certo».
«Mi ricordo di lui», intervenni. «Stava morendo a causa della febbre. Le Sorelle impiegarono quasi un’ora per guarirlo».
Liam spostò gli occhi da Sylvain a me, poi allentò la presa. Il ragazzo umano si liberò.
Pochi giorni dopo, passato Samhain, tornai al villaggio a cercarlo. Sarebbe stato il secondo di una lunga serie di incontri.
 
«Tuo marito non si oppone?», trovò il coraggio di chiedermi quasi un mese dopo. Gli risi in faccia.
«Non ho marito». “E non l’avrò mai”. «Tu non sarai mica sposato?»
«Ho avuto una moglie, due anni fa, ma si è ammalata ed è morta».
«Mi dispiace». Annuì.
Ci stavamo recando al lago nel bosco vicino alla comunità. Era uno dei miei posti preferiti quando ero bambina e volevo mostrarlo anche a lui. Lo si raggiungeva dopo più di un’ora di cammino, ma Sylvain non si lamentò mai. Finalmente, mi feci largo tra gli ultimi cespugli e sbucammo sulla riva del laghetto. Quando avevo dieci anni mi sembrava molto più grande, in quel momento temetti che Sylvain si sarebbe arrabbiato − gli avevo fatto fare tutta quella strada solo per una stupida pozzanghera. Invece, lui chiuse gli occhi e respirò profondamente. Arrotolò le brache fino alle ginocchia ed entrò in acqua coi piedi, chiedendomi perché non mi fossi ancora mossa. Lo fissai per un paio di secondi, prima di raggiungerlo.
«L’acqua è gelida», commentò.
«Ah sì? Povero ragazzo di città, prenderà freddo». Non capii cosa avesse intenzione di fare fino a quando uno spruzzo non mi investì e non mi ritrovai bagnata fradicia. Ero stata attaccata, ma non mi sarei arresa. Marciai verso di lui, con il vestito ormai zuppo, e lo spinsi con tutta la mia forza. Ovviamente cadde e pensò bene di trascinarmi giù con lui. Scoppiammo a ridere. Ero così vicina che percepivo il suo respiro sul collo e mi ritrovai ad arrossire. Avevo già vissuto situazioni simili con Liam e Raphael, eppure quella era un’altra cosa, me ne rendevo conto. Un territorio pericoloso. Avrei saputo elencare trenta erbe medicinali, ma non avevo mai toccato un uomo, non in quel senso.
Era il momento perfetto per tirarsi indietro, ma non lo cogliemmo.
«Avalyn», iniziò lentamente, «è vero quello che si dice di voi? Che non siete semplici guaritrici?»
Gli sorrisi. Fissai la superficie del lago, chiusi gli occhi e inspirai. Quado li riaprii, l’acqua era scossa da un mulinello. Allungai un braccio e una colonna d’acqua si innalzò nel cielo per un paio di metri, prima di precipitare. Mi erano bastati tre secondi per infrangere tutte le regole.
«Che fai adesso, scappi?», lo provocai. Sarebbe stata la mossa più intelligente, lui invece scelse di baciarmi.
 
 
E se fosse un Cacciatore?, mi dicevano.
Non è un Cacciatore, ribattevo, anni fa gli salvammo la vita.
Ma poteva essergli capitato di tutto, lo sapevo bene. Si nasceva Cacciatori, non immuni alla febbre.
Erano creature della notte, tanto quanto noi appartenevamo alla magia. I loro poteri erano di natura completamente diversa dai nostri ed erano impegnati in una lotta senza fine contro ciò che rappresentava il male. Noi. Circolavano strane voci su come venissero addestrati gli iniziati alla setta, storie che venivano raccontate ai nostri bambini durante le notti senza luna, per spaventarli. Ci credevamo? Non saprei. Chissà cosa dicevano a loro sulle streghe, per renderli così determinati a ucciderne una. La cosa buffa, mi diceva mia madre, era che streghe e Cacciatori morivano nello stesso identico modo: un pugnale nel cuore.
Un Cacciatore non invecchiava. Smettevano di crescere a trent’anni e sarebbero rimasti identici per tutta l’eternità. A diciott’anni di vita, ne avevo incontrato uno solo. Aveva ucciso la madre di Raphael, un attimo prima di morire.
No, Sylvain non era uno di loro.
 
 
 
Durante l’inverno successivo a quel primo bacio, l’Inquisizione arrivò anche nella nostra città. Donne innocenti furono uccise perché “streghe” e noi sapevamo di essere le prossime. All’improvviso, un incantesimo celava l’intera comunità agli occhi di tutti. Tutti, tranne Sylvain. L’avevo reso immune, dopo avergli fatto promettere che non si sarebbe mai presentato da noi durante il giorno. Mi avrebbero bandita. Sylvain giurò.
«Promettimi che non sparirai».
«Non posso farlo. Se fossimo in pericolo, le Sorelle ci farebbero partire senza pensarci due volte. Non è sicuro stare qui».
«E staresti davvero senza di me?»
“No”.
Lo baciai. «Ti amo».
«Allora sposami. Dio, lo farei anche domani, se potessi».
«Ma io non posso. È questa la mia vita, Sylvain».
“Non è vero. Non sono più sicura di niente, da quando ci sei tu”.
«Benissimo, ma io ti seguirò. Se partirete, mi trasferirò nella città più vicina a voi. Qui non ho più niente, Avalyn».
«Se dovessimo partire, farò in modo di avvertirti. Prometto».
Quella notte facemmo l’amore per  la prima volta. Accolsi Sylvain dentro di me nella foresta, nel luogo che ci aveva fatti innamorare, e lasciai che mi desse il suo seme. Gli permisi di stringersi al mio corpo nudo e desiderai che non mi lasciasse mai; sognai di potergli regalare l’eternità.
Ma non potevo.
 
 
 
«Avalyn? Ti aspetto da quasi due ore, cos’è successo?»
Non parlai. Gli buttai le braccia al collo e strinsi così forte che le mie unghie gli fecero sanguinare la pelle. Non si lamentò.
«Avalyn?» ripeté, accarezzandomi la schiena.
«Un Cacciatore…» Ed eccolo, quel dolore sordo, che scava nei polmoni fino a consumare tutta l’aria. «Rose non si era vista per tutto il giorno e stamattina… Jos, il padre di Raphael, l’ha… trovata e…» Sylvain mi strinse più forte. «Rose non c’è più», singhiozzai.
«Ma… c’è l’incantesimo. Quello che-»
«Non quando ti uccide un Cacciatore. È m-morta Sylvain», rantolavo, «è morta per davvero. Avremmo dovuto… stare insieme… stare insieme per… sempre».
 
Rimase con me per ore, come se bastasse a farmi stare meglio. Tornai a casa per parlare con Raphael, invece mi imbattei in Liam. Era seduto su un masso e stava levigando un bastone con un coltello. Quando mi vide, li lasciò cadere entrambi.
«Ci stavamo preoccupando», mi salutò.
«Troverei il modo di avvisarvi, se mai dovessi vedere un Cacciatore».
«Non ne dubito». Si alzò per abbracciarmi. «Ti devo dire una cosa, Avie». Solo mia madre e Rose mi chiamavano così. Liam chiaramente non aveva buone notizie, ma credevo che niente avrebbe potuto farmi stare peggio di così. Mi sbagliavo.
«Rose è stata trovata al laghetto. Jos era andato a chiamare suo figlio e invece ha visto lei. Avalyn, quel lago è schermato. Solo noi sappiamo della sua esistenza e possiamo vederlo, noi e…»
“No”.
«No! Lui no!» Mi divincolai dalla sua stretta.
«Mi dispiace».
«No! Non può essere stato lui! Avrebbe potuto uccidermi milioni di volte, noi-»
«Voleva aspettare, per conquistare la tua fiducia e attaccarci dall’interno. Loro fanno così, Avalyn, vengono addestrati a questa vita».
«Lui mi ama», singhiozzai pateticamente.
«Non credo, Avie. Gli hai fatto vedere chi sei ed è rimasto. Non è possibile. Per gli umani, noi siamo dei mostri, delle creature contro il loro dio».
«Gli abbiamo salvato la vita».
«Non significa niente e lo sai. Mi dispiace tanto».
Non poteva essere vero. Potevo essermi sbagliata su tutti, ma non Sylvain.
“Solo noi sappiamo della sua esistenza e possiamo vederlo, noi e…”
“No, per favore, no”.
«Può essere stato solo lui».
Sylvain.
«Solo lui può aver ucciso Rose. Da chiunque altro lei si sarebbe difesa».
«Cosa devo fare?»
«All’uomo che ha ucciso brutalmente la tua migliore amica?»
 
 
 
Lo aspettai al laghetto. Non avevo torce, la luce del tramonto bastava a illuminare tutta la piccola radura. Immaginavo il corpo senza vita di Rose galleggiare nell’acqua calma. I suoi capelli rossi dovevano essersi sparsi intorno al suo capo, come una corona di fuoco. Di quel fuoco che, quella volta, non l’aveva salvata.
Lui arrivò puntuale come al solito, interrompendo i miei pensieri, e mi salutò con un bacio.
«Credevo che non ti avrei più rivista», disse abbracciandomi.
«Non potevo partire senza avvisarti». Non lo vedevo, ma sapevo che stava sorridendo. Aveva un sorriso caldo, che coinvolgeva anche gli occhi luminosi e mi riscaldava dentro.
«Verrò con te».
Era il mio turno di sorridere.
«No, non credo».
«Avalyn?» Si allontanò un poco dal mio corpo, in modo da potermi guardare in faccia, senza però lasciarmi andare.
Una lacrima calda tradì la mia facciata.
«Non credo proprio che verrai con me».
«Cosa succede? Sono state le Sorelle?»
Scossi la testa. «Ti avrei sposato, Sylvain. Avrei cresciuto tuo figlio».
Fece per ribattere, ma io fui più rapida. Affondai il pugnale nella sua carne, gemendo come se fossi stata colpita io stessa. Cadde in ginocchio. Le sue mani scivolarono lungo le mie braccia fino a toccare il terreno scuro. La testa si inclinò all’indietro. Ma gli occhi, i suoi occhi verdi, quelli che un attimo prima stavano sorridendo, non mi abbandonarono mai. Rimasero fissi nei miei fino alla fine. Fino a quando l’ultimo briciolo di vita lo ebbe abbandonato e il suo corpo non fu caduto inerme ai miei piedi.
Allora, tremando incontrollabilmente, fuggii.
 
Volevo tornare a casa, invece mi ritrovai a vagabondare per la città. Probabilmente i passanti pensavano che fosse il sangue di un animale, quello che mi macchiava le mani, e il solo pensiero mi faceva stare ancora più male.
Avevo vendicato la mia migliore amica uccidendo l’uomo che amavo.
Ovunque fosse, Rose era in pace.
Io, al contrario, un’assassina.
Sylvain non mi aveva mai amato. Era il suo tradimento che avrei dovuto piangere, non la morte, allora perché mi sentivo così… mostro? Avevo fatto il mio dovere. Ero una strega, un umano non avrebbe mai potuto amarmi.
«Avalyn?»
Sollevai di scatto la testa.
«Liam? Cosa ci fai qui?»
«Quel sangue…» Annuii, mordendomi forte il labbro inferiore.
Mi abbracciò. Le strade iniziavano a svuotarsi, in giro c’erano solo persone indaffarate che facevano ritorno alle loro case e noi. Il tempo sembrava essersi fermato.
«L’ho ucciso, Liam».
«Hai fatto la cosa giusta. Quell’essere ha continuato fino alla fine a fingersi innocente, anche dopo aver ucciso Rose».
Mi irrigidii.
«Insisteva ancora di voler venire con te… Ma adesso è tutto finito, Avie, ci siamo noi. Siamo la tua famiglia».
«Liam», dissi lentamente, scostandomi da lui, «come fai a saperlo?»
Mi lanciò un’occhiata interrogativa. «Come fai a sapere che S…lui voleva fuggire con me? Non l’ho mai detto a nessuno. Lo sapresti solo se…»
«Me l’hai detto tu, Avie».
«No». Indietreggiai. «No, non l’ho fatto. Perché ci stavi spiando?»
«Per assicurarmi che non ti succedesse niente di male. Quando un Cacciatore muore, i suoi poteri di disperdono. Non è sicuro, per una strega-» Si interruppe.
I poteri di un Cacciatore alla morte di disperdono.
Quando Sorella Ann uccise l’assassino della madre di Raphael, fu assalita da un’orda di demoni.
Sylvain era morto da umano.
Guardai Liam. L’espressione premurosa era scomparsa dal suo volto, sostituita da una smorfia imperscrutabile.
«Oh no», balbettai, «Oh no, no no no. Cos’ho fatto
In tutti quegli anni non avevo mai visto Liam compiere un incantesimo con effetti concreti, ma sembrava avere i senti sviluppati come quelli di un lupo. O di un cacciatore che insegue il lupo.
Liam poteva raggiungere il lago.
Rose lo conosceva. Non si sarebbe mai difesa da lui.
Liam aveva incolpato Sylvain.
E io…
«Non avresti dovuto scoprirlo stasera, Avalyn», disse. Sembrava avere tutta la calma di questo mondo. «Il tuo compito era semplicemente quello di uccidere Sylvain».
Sylvain.
Mi piegai in avanti e vomitai. Arricciò il viso in una smorfia di disgusto e fece per avvicinarsi, ma io indietreggiavo. Non gli avrei permesso di uccidermi.
«Raphael», sussurrai, «Raphael!»
Avalyn? Dove sei?
«Liam è un traditore», gridavo, «Liam ha ucciso Rose!»
Avalyn, ma cosa…?
«Non te lo lascerò fare, strega», disse Liam e si scagliò contro di me. Non pensai. La mia mente era vuota eppure assurdamente lucida, mentre agivo d’istinto. Ci fu una grossa ombra, che spinse Liam lontano. Per mia sfortuna, avevo completamente dimenticato i passanti.
«Avete visto?» fu il grido del Cacciatore, ancora a terra. «È una strega! Catturate la strega!»
«A morte la strega!»
Accorsero quattro uomini, ma non avevo la forza di lottare.
Lasciai che mi picchiassero, che mi tenessero ferma.
Gli permisi di portarmi via.
Davanti a me, in mezzo alla strada, Sylvain mi guardava senza muovere un dito, la ferita ancora aperta.
Con che coraggio avrei implorato il suo perdono?
Non lo feci.
«Mi uccideranno, Raphael. L’Inquisizione mi ha preso».
Bruciai.
 
 


 

 
 
 
Tokyo, 3018 d.C.

Era la fine e c’eravamo solo noi.
Esattamente come avrebbe dovuto essere.
Il lupo aveva trovato il Cacciatore.
Dopo circa mille e cinquecento anni, ci incontrammo su un ponte sospeso a Tokyo, mentre il terremoto più forte del millennio devastava il Giappone.
Io scappavo, lui scappava, correvamo in due sensi opposti sulla stessa strada e ci eravamo scontrati, come due calamite di carica opposta che finalmente si trovano a vicenda.
C’erano voluti millenni, eppure eccoci.
Che senso dell’umorismo particolare che ha il Destino.
Pioveva cenere, ma sembrava neve. Gli si posava sui capelli e lui manco se ne rendeva conto, impegnato com’era a fissarmi.
Regnava il silenzio.
Il vetro del ponte sospeso lasciava intravedere le acque del Sumida, che infuriavano sotto di noi. Qualche boato occasionale ci ricordava dove fossimo, come se non stessimo aspettando l’Apocalisse dal lontano sedicesimo secolo.
«Cosa ci fai qui», dissi, più una constatazione che una domanda.
«Ho costruito un dispositivo in grado di localizzare le streghe. Non ti sembra assurdo, che mi abbia portato proprio da te?»
Gli dovevo un favore, mi aveva risparmiato le ennesime fatiche.
Ero armata, naturalmente. Portavo sempre con me le mie due raygun. Liam, però, sarebbe morto con un semplice pugnale. Sfiorai la lama coi polpastrelli e sorrisi.
«Perché in Giappone?»
«Sono nata qui, stavolta». Annuì.
«Morirai, Liam. Lo sai, vero?»
Camminò fino al parapetto e si sporse. Era una scena surreale, ammirare i suoi capelli biondissimi mossi dal vento, sotto quel cielo grigio e rosso.
«Lo so, Avalyn».
«Morirai come sono morti Rose e Sylvain». Non mi accorsi di stare piangendo.
«Dopo tutto questo tempo?» domandò, sempre senza guardarmi.
«Non ho mai amato nessuno come lui».
«Buffo: tra le due persone che hai citato, Sylvain è quella non uccisa da me». Mi scagliai contro di lui di getto, come un serpente che passa all’attacco. Mi bloccò. I nostri volti erano a pochi centimetri di distanza e mai, in tutte le mie numerose vite, avevo provato così tanto odio e brama di sangue.
«Non ti senti patetica? È passato così tanto tempo che ho perfino dimenticato il volto di Rose».
«Io invece lo ricordo bene, bastardo, e giuro sulla mia stessa vita che te la farò pagare!»
Mi sorrise.
«Dovrei ucciderti, Avie, ma non lo farò. In onore dei vecchi tempi».
Io non sarei stata così clemente. Con la mano libera, afferrai l’elsa del pugnale. Dovevo solo aspettare il momento giusto.
«Tu mi odi, Avalyn, perché è più facile che affrontare la realtà di ciò che hai fatto».
Lo odiavo e gli avrei affondato un pugnale nel cuore. Una scossa particolarmente forte ci fece cadere entrambi. Una delle mie raygun rotolò fino a trovarsi a metà strada tra i nostri corpi. Liam allungò una mano. Io non mi mossi.
«Ti guarderò negli occhi per tutto il tempo».
«Possiamo ancora salvarci. Prima che il ponte crolli. Ognuno per la sua strada».
«No!» Perché non mi restava niente, se non quell’odio amaro e pungente che mi devastava da tanti, tanti anni. Non c’era un “dopo” per me.
Prima di morire su quel rogo avevo fatto una promessa.
“Anche se questo fosse l'unico filo di ragnatela a cui aggrapparmi per uscire dall'inferno, io non voglio usarlo per scappare, voglio tirare giù chiunque lo stia tessendo... per trascinarlo all'inferno con me”.
E, sulla memoria di Rose e Sylvain, l’avrei mantenuta.
«Credi che fosse una mia scelta?» stava dicendo Liam. Appoggiò la schiena alla balaustra, per guardarmi meglio. «È la mia natura. Io uccido le streghe. È quello che sono, Avalyn. Un lupo non è cattivo perché si nutre».
«Un lupo non tradisce». E lanciai il pugnale. Si conficcò perfettamente nel suo ventre e Liam cadde di lato. Il suo sangue iniziava a macchiare il vetro quando andai a recuperare la mia lama.
«Vedi? Ho mantenuto la mia promessa», dissi, osservandolo dall’alto.
«E ti fa stare meglio?»
Liam morì senza un lamento. L’ombra scura dei suoi poteri si dissolse nell’aria e mi lasciò da sola, in mezzo a un ponte sospeso di Tokyo, durante un terremoto.
La cenere continuava  a cadere.
Potevo alzarmi e scappare. Tornare a terra, raggiungere un posto sicuro e aspettare che l’incubo finisse. Eppure, non riuscivo a staccare gli occhi dal sangue di Liam.
Era una macchia scurissima sul vetro trasparente, una macchia che ipnotizzava. Non ci vedevo dentro il sangue del mio nemico morto, no, io vedevo un paio di occhi verdi.
Avrei tanto voluto essere scappata con lui.
«Tu mi odi, Avalyn, perché è più facile che affrontare la realtà di ciò che hai fatto».
Era vero.
Non meritavo una morte eroica e nemmeno una vita con la coscienza pulita.
Non era stato Liam ad affondare il pugnale nel suo petto.
Ero stata io.
Guardai il cielo.
Era grigio come la polvere e rosso come il fuoco che, quella volta, non mi avrebbe salvato.
Chiudendo gli occhi, presi il pugnale ancora sporco di sangue e lo conficcai nel vetro del ponte sospeso. Dovetti ripetere l’operazione più volte, ferirmi, ma alla fine si formò una crepa.
«Aspettami, Sylvain».
La crepa si allargava.
Mi sdraiai.
E la terra tremò.
 

 
 





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