1
Il
vademecum globale al nulla assoluto: Un riassunto di quella che è,
che è stata e che sarà la mia vita.
Ci
troviamo a San Remo (o Sanremo, a seconda delle preferenze: Io ancora
non ho capito come si scriva), estate 2015, in una calda serata in
centro.
Dopo i primi cinque giorni passati a cercare Piña Colade
decenti negli svariati bar della città "vecchia", che
prende la denominazione dall'età media dei frequentatori ci
imbattemmo, Io e la gang di violentatrici anonime che chiamo amiche,
al "Carroch", un bar in "Bresca", una zona
disseminata di bicchieri di plastica, caratteristica che non capii
finché non mi avvicinai al locale sopracitato.
Questo
stabilimento da cinque stelle tripadvisor offriva, alla modica cifra
di 10 euri ben 3 cocktail.
"Bene", direte voi, "Ma
noi ti apprezziamo per le supercazzole che tiri nelle tue altre
storie, perché vieni a dirci dove ti sei speso il rene che hai
venduto?"
Beh, è molto semplice cari lettori. Dovrò pur
scusarmi dei due mesi emmezzo di assenza.
Francesco, il barista di
questo posto miracoloso, si prestò attento a quelle che erano le mie
storie.
Mi divertii molto a spiegargli come, per un motivo o per
l'altro, ero finito a Oxford, ad ascoltare Nicolò Carnesi e come il
nome Charlotte non faceva che fare capolino nella mia vita come una
croce nella vita di un Nazzareno a caso.
Dopo i primi due Japanese
corretti da Francesco, cominciai ad aprirmi.
La Guida
vagamente vaga ad Oxford e dintorni
Edizione ultima
(lo giuro)
Prefazione
Non
sono una persona da prefazione chilometrica, anche perché ne ho
scritte veramente troppe. Circa quattro. Se mi fossi messo d'impegno
la prima volta avrei azzeccato subito, ma vorrei dirvi un paio di
cose.
Questo libro è stato scritto da un diciassettenne, ora
diciottenne e ancora andante, che si annoiava.
Questo
diciassettenne si annoiava tanto quando i genitori erano in vacanza
lasciandolo in casa da solo, quindi decise di scrivere un
libro.
Parlando con mio padre mi sono accorto di una cosa che non
avevo mai notato prima di ritrovarmi a pochi giorni dalla
pubblicazione.
Sto pubblicando il mio primo libro.
Anche se ci
sarà un solo compratore, e quel compratore mi manderà lettere
minatorie con scritto che il mio libro è una cagata, io sarò
felice.
Non sarò felice perché il mio libro è una cagata,
ovvio.
Ma sarò felice perché qualcuno mi ha letto.
Un
ragazzino, tra quattro anni, cercherà "Oxford" su Google e
forse comparirò io.
Comparirà il mio faccione barbuto che
saluta la gente.
Questa conversazione con mio padre mi ha
ricordato perché ho cominciato a scrivere.
Perché ho voglia di
farmi conoscere.
Non lo faccio per i soldi, non lo faccio per le
donne, e neanche per il blackjack.
Lo faccio perché adoro quello
che scrivo, e spesso la soddisfazione personale copre la gratifica
monetaria che si può ricevere.
Io sono la prova vivente che
chiunque, a qualsiasi età, può pubblicare un libro.
Buona
lettura e buona fortuna.
Prologo
o
"Una guida alla guida"[1]
La Guida vagamente
vaga a Oxford e dintorni non è una guida, al contrario di quanto
suggerisca il titolo.
Sì, elargirò consigli, ma questo
testo è principalmente un romanzo, quindi comprenderà una trama
poco difficile da seguire.
Arrivato oramai alla
terza edizione di questo manoscritto, è giusto cimentarmi in quello
che Manzoni è riuscito a fare bene per anni, ovvero l'autoerotismo
letterario. Mi sono sempre sentito un giusto connubio di genialità e
pigrizia.
Sono sempre stato quel ragazzo che si siede in fondo
alla classe e tenta di dormire, ma che quando arriva il giorno
dell'interrogazione è stranamente preparato anche sulle battute che
ha fatto il prof di filosofia durante la lezione.
Ero quel
ragazzo che avevate in fondo alla classe alla medie, che parlava
raramente ma che ascoltava quella band italiana particolarmente indie
che vi piaceva tanto, ma essendo lui uno stronzo non glielo avete mai
detto.
Ero quel ragazzo che, appena entrato al liceo, pensava di
essere un rivoluzionario, di essere già arrivato e di essere già in
grado di affrontare tutto, per poi ridimensionarsi di colpo, e
arrivato ad un certo punto, guardava l'università come unica ragione
d'essere.
Verso la fine
dell'A.S. 2013-2014, mi vedo assentarmi dalle lezioni, in pieno stile
filosofico-rivoluzionario, per un insolito attacco di pigrizia,
tuttavia era pigrizia giustificata.
Era una noiosa mattinata del
27 maggio, di quelle leggermente piovose, non propriamente estive ma
non classificabili neanche come primaverili, dato che il connubio di
umidità e calore dava un'afa insolita ma piacevole, quando mi venne
voglia di controllare la pagina Facebook dell'STS, l'agenzia di
viaggi studio con cui sarei partito per Oxford da lì a un mese e
qualche giorno.
Scrollando il mouse consunto da ore di ozio
intenso, vidi un post di una ragazza.
In realtà, non prestai
molta attenzione al post in sé, né tanto meno alla miniatura della
signorina sopracitata, prestai attenzione solamente alle date segnate
dalla ragazza come la partenza: 11-31 luglio.
Controllai il suo
profilo per vedere che tipo di ragazza era, per vedere innanzitutto
se fosse necessario cancellare la prenotazione della vacanza studio,
tuttavia anche per semplice e frugale curiosità.
Aspettate.
C'è
qualcosa che non mi torna.
Com'è che di martedì scolastico ero
a casa?
Cioè, sarei dovuto andare e partecipare attivamente agli
ultimi giorni di terzo anno del linguistico.
Mi ero finto
malato?
No, non ce ne era motivo.
Forse era per le
elezioni.
No, la mia scuola non era seggio.
Ah, stavo seguendo
una nuova filosofia di vita.
Doveva essere così, qualcosa sulla
linea del "perché sarei stato più produttivo a casa a fissare
la vernice asciugare piuttosto che a scuola a veder un film
filo-cristiano prodotto con un budget inesistente."
Sì, 7 km
da Gerusalemme [2], parlo di te.
E com'è che ho incominciato a
scrivere delle mie noiose vacanze ad Oxford?
Ah già, perché
volevo fare un simil-documentario su quanto l'umanità faccia schifo,
e perché mi annoiavo.
No, non era per quei motivi.
Era
perché..
Fate una cosa, o miei dodici lettori sfortunati, perché
se vi siete ridotti a leggermi o siete veramente sfortunati, o siete
mentalmente instabili, trovate un motivo poetico per cui io stia
perdendo tempo a scrivere:
Qualcosa sul genere "scrivo perché
mi sento alternativo" oppure "scrivo perché hanno
cancellato Firefly[3]".
No, quest'ultimo è il motivo della
mia depressione cronica.
Capitano Reynolds[4], mi manchi ogni
giorno di più.
No, in realtà non mi ricordo perché ho
cominciato a scrivere.
Ho sempre voluto scrivere, e questa
vacanza è solo un buon pretesto, visto che ho potuto assistere a più
episodi di vita relativamente peculiari, e il tutto si adattava
piuttosto bene ad un libro, ad un primo libro.
Mi rendo anche
conto che molti di voi, circa nove su dodici, non capiranno le varie
citazioni che tirerò in mezzo al tomo completamente a caso solo per
raggiungere una lunghezza decente.
Ma è per questo che ho
sviluppato un ingegnoso sistema di note, che voi potrete o non
potrete seguire a vostro piacimento.
Non vorrei che fosse
distribuito su dei volantini A7 nelle piazze dei paesini,
capitemi.
Ho scritto quasi una pagina e ancora non ho detto nulla
di veramente importante.
Beh, è un prologo, d'altronde.
Ci
sono molti autori che scrivono prologhi fin troppo lunghi che alla
fine nessuno legge.
Volete sapere come ho raggiunto lo status di
Parini con tutte le mie riedizioni? Dopo la prima pubblicazione, il
31 settembre 2014, il mio stile è evoluto. Indi per cui, il mio
testo andava ampliato, cancellato, rieditato, modificato e così via.
Sì, insomma, Parini mi fa un pippone, altro che Il Giorno.
Tornando
ai fatti, quella stessa sera contattai due ragazze che avevano
postato sulla pagina, e lì una ebbi una sensazione peggiore della
morte,peggiore della tortura, peggiore del finale di Sherlock.
Era
una pagantella.
Puzzava di Bocconi.
Puzzava di
Hollywood.
Puzzava di Marlboro Touch fumate fuori dal San Carlo
pagato dal papi che lavora come assessore della
Lombardia.
Oddio,detto da uno che è nato a Milano, la cui madre
ha studiato proprio alla Bocconi sembra ipocrita, ma proprio per
questo motivo posso dire con certezza quanto la razza milanese-ruba
parcheggio sia una razza corrotta fino al midollo.
Ma detta così
sembra che io sia un razzista insensato.
Non fraintendetemi, lo
sono, ma ho dei motivi relativamente convincenti.
Sono nato e
cresciuto in una città che, d'estate, si anima di milanesi, e
costoro decidono quali zone diventano pedonali e quali no, quali sono
parcheggi "di proprietà" e quali no.
Ma so che anche
dentro Milano i nativi si comportano così.
Ancora non ho
scritto il motivo per cui scrivo.
Dai, se mi concentro
magari riesco a trovare un motivo scontato, tipico dei finti
scrittori con troppo tempo libero.
"Scrivo perché sento il
bisogno di scrivere, sento il dovere di essere il più sincero,
spietato e critico possibile verso la società, verso le persone e
verso me stesso. " oppure, per semi-citare "The Art of
Getting by", "Mi ricordo una frase che lessi da bambino,
viviamo da soli, moriamo da soli, tutto il resto è solo
un'illusione." E io aggiungerei, sta a noi rendere la vita
sopportabile con le nostre azioni. Forse scrivere rende la mia vita
più sopportabile.
La scrittura è un modo per comunicare, un
modo per trasmettere un messaggio, un modo per essere un tutt'uno con
la cultura.
Forse è questo quello che ho sempre cercato.
Essere
ricordato assieme ai nomi altisonanti che trovi nei kindle della
gente o, se preferite il cartaceo, nelle librerie.
Forse voglio
solo convincermi che un giorno, qualcuno leggerà un mio testo e mi
farà i complimenti.
Sembra quasi seria.
Ma questo né vi
riguarda, né vi importa, non è vero?
[1] Il titolo
"Una guida alla guida" è di per sè una semi-citazione a
"The Hitchiker's guide to the Galaxy", almeno in versione
integrale, dove l'autore spiega bene come leggere il libro e cosa
aspettarsi.
[2] Film filo cristiano prodotto con un budget molto
limitato.
[3] Serie fantascientifica del 2002 mai terminata.
[4]
Uno dei protagonisti di Firefly.
Capitolo
Uno
O "Perché
hai della birra in una bottiglia del latte?"
Dando
per scontato che voi abbiate letto tutto il prologo, il sei giugno,
l'ultimo giorno di scuola in Piemonte, decisi di andare comunque
all'edificio infondicultura.
Lo
decisi, lo decisi intensamente, e vi dirò: lo decisi così tanto che
misi pure la sveglia, ma infine non andai, per una mancanza totale di
scuse da usare per giustificare la settimana e mezza di assenze.
D'altronde, posso avere un massimo di quattro rinoplastiche
l'anno.
Andai
al pranzo di classe, comunque, perché non avevo ancora
mangiato.
Alle nove circa mi suonò la sveglia rimandata, e,
come mamma m'ha fatto, mi diressi verso la cucina in cerca di caffè
e cereali.
Il caffè, nella vita di uno studente, è
cruciale.
Senza di esso nessuno studente sarebbe capace di
sopportare altre persone, figuriamoci scrivere un libro.
Trovato
il caffè nella caffettiera, mi misi a cercare i cereali, ma finii a
mangiare biscotti per colpa della mia caratteristica pigrizia.
Erano
buoni, per Diana.
Penso fossero quelli al burro.
I
biscotti al burro sono una delle poche cose francesi che riesco a
sopportare.
Sono
dolci, ma non troppo. Sono friabili, ma non troppo.
Insomma, sono
fantasticamente medi, in pieno stile "Ègalitè française".
È
anche vero che i galli
non hanno inventato tante altre cose.
Ho pure scoperto che il
signor Guillottin non ha inventato la ghigliottina.
Mi sa che ho
iniziato troppo presto a raccontare.
Passiamo
all'azione, che dite?
Alle
undici circa discesi, con ridente gaudio, nella fiorente cittadina di
Arona[1], dove si terrà questa parte di narrazione. Arona è una
polis fantastica, vertice del triangolo della droga
Legnano-Milano-Arona grazie anche al meraviglioso disservizio che le
Ferrovie effettuano una volta all'ora verso i due altri
vertici.
Dalla fantastica veduta del pullman potevo godermi il
paesaggio semi-naturale del Lago Maggiore.
Ci tengo a
sottolineare il "semi" per informarvi delle branchie che
molto probabilmente vi usciranno in caso di contatto, anche
accidentale e fugace, con l'acqua della sopracitata
pozzanghera.
Appena sceso dalla corriera chiamai la mia compagna
di banco che mi espose un problema gravissimo: non le davano la
birra.
Anche la birra è importante nella vita di uno studente, e
le funzioni di quest'ultima sono molto simili a quelle del caffè.
Rende più sopportabili le persone e aiuta la scrittura di libri.
In una nota postilla, si ringrazia la Danimarca, la Repubblica
Ceca e l'Irlanda per avermi dato l'ispirazione in bottiglie di vetro.
Sicché son gentile e caritatevole, entrai nella prima birreria
che riuscii a trovare che, per casualità da amante di birra, mi
circondava. [2]
Allora
chiesi all'oste due litri di bionda "a portar via", ma
aveva solo bottiglie da un litro.
"Poco male, l'importante è
che non siano bucate." dissi accennando ad una risata che lui
non colse.
Infatti rimase fermo a fissarmi finché io non
distolsi lo sguardo.
Successivamente, l'oste sparì in uno
sgabuzzino buio per alcuni minuti, e uscì con due bottiglie di latte
da un litro, che lavò e preparò al trasposto dei preziosi
beveraggi.
Quindi
ora sapete il perché del titolo, ma vorrete sapere altro, tipo della
festa che seguì il pranzo.
Il
pranzo non ebbe troppi avvenimenti speciali, forse solo una bottiglia
di latte da cui bevevamo mentre ci abbuffavamo di pizza.
I
camerieri avevano una strana espressione sulla faccia.
Penso
che uno sia andato a vomitare. La pizza con le acciughe è buona con
il latte, che credete.
La
classica festa di fine anno scolastico si tenne in questa spiaggia
paludosa, tipica della zona del Vergante, con il classico presunto
diggiei, tipico anch'esso della zona del Vergante, e le classiche
presunte creature senzienti la cui specie, purtroppo, condivido,
quest'ultime comuni a molte zone del mondo.
I rapporti sociali di
queste creature si possono ritrovare in molte tribù di babbuini
dell'Amazzonia.
Questi gruppi di individui, infatti, si lanciano
feci per dimostrare chi ha più potere nel branco.
Le scimmie,
almeno, si lanciano frutta.
Tentai di accaparrarmi il posto
più isolato possibile per fare il buon alternativo e bere un po' di
latte in pace, ma trovai conoscenti che avevano appena finito di
tirarsi neri. [3]
Fortunatamente
per me, i fumi del latte gli avevan fatto dimenticare come, al mio
compleanno, avessi "iettato"[4] sui pantaloni di uno dei
conoscenti sopra citati.
Beh,
da qui i miei ricordi si annebbiano.
Durante la fase di black out
che percorsi ebbi una visione del "Lattaio" di Brace, di
ballerine post-industriali e di maglie rosse.
Stavo ascoltando
troppo Sudorama, in quei giorni, tuttavia non me ne potete fare una
colpa, il sound è catchy.
So solo che ad un certo punto mi sono
messo a dormire senza scarpe, e che mi sono svegliato con il Pagante
[5] in sottofondo.
"Dalle stelle alle stalle"
esclamai.
Subito
dopo ebbi una strana sensazione.
Mal
di testa, nausea, bruciore di stomaco.
Non
sarebbe per niente piacevole, né per il mio orgoglio scrivere, né
per voi dodici sfortunati leggere, ciò che avvenne dopo.
Anche
se penso che oramai l'abbiate intuito.
Facendo
un avanti veloce, andiamo alle nove del mattino dell'undici
luglio.
Il
giorno della partenza.
Facciamo
un avanti veloce principalmente per due ragioni: per non dovermi
inventare un capitolo per giorno che passai a oziare, e per saltare
un paio di giorni che trascorsi gozzovigliando in Pagante City[6],
dove feci diverse cose di cui mi vergogno, come perdermi per Parco
Sempione. Di nuovo.
Dicevamo,
undici luglio.
Avevo
passato le ultime otto ore, o le ultime due settimane, a seconda di
come la si intende, disteso sul letto a guardare il nulla.
Non
era ansia, non era eccitazione, era nulla.
Era
la completa assenza di sensazioni.
Nei
giorni scorsi mi ero preparato come uno studente che deve preparare
la maturità.
Pur
essendoci già stato, avevo la sensazione continua di aver
dimenticato qualcosa.
Non
so come, ma mi sono ridotto a mettere in valigia un kit di sutura.
Va
bene essere pronti a tutto, ma non credo che mi sarebbe mai stato
d'aiuto.
A meno che non ci sia un incidente aereo.
Erano
le cinque quando mi decisi a svuotare la valigia sul tappeto e
riempirla solo con l'essenziale. Una decina di maglie a tinta unita,
quattro paia di pantaloni, una copia de "La Filosofia a fumetti"
e dei maglioni di lana più vecchi di me rubati a mio padre.
Misi
comunque il kit da sutura "just in case".
Il ritrovo era
a Linate alle 11, ma mio padre passava di lì verso le otto, quindi
mi toccò farmi un paio d'ore di solitudine e canzoni che non ci
azzeccavano l'una con l'altra.
Linate
non si presta di certo bene a riflessioni profonde (se non a "vediamo
quale nazionalità ha un culo migliore"), ma ascoltando
guardando dalle stereotipate poltroncine metalliche ebbi uno strano
flashback.
Ero
al lago, nella spiaggia che mi ha ospitato per intere estati.
Il
venticello che spirava da Angera mi arrivava dritto in faccia, con
tutto il relativo odore di pesce e di fognatura.
Certo,
non l'immagine più poetica che vi possa venire in mente, ma è
sempre qualcosa.
Leggevo
il primo libro del detective olistico, e avevo la strana
preoccupazione che il tempo potesse tornare indietro senza preavviso
e far rivivere la sofferenza già affrontata in precedenza.
Sì,
è una preoccupazione molto stupida, a meno che tu non sia Giorgio
terzo e a meno che tu non passi le tue notti a caricare orologi o a
pensare che un albero sia Federico il Grande. [7]
"Marco,
stai divagando, nessuno vuole sapere cosa faceva Giorgio terzo"
mi disse gentilmente la mia coscienza.
Ancora
non mi ero reso conto che fosse la mia coscienza.
Mi aggirai
per un po' nell'area gruppi di Linate cercando qualcuno che stesse
spiando i miei pensieri, ma nel momento stesso in cui mi resi conto
che erano le nove del mattino e nessuno parte di giovedì mattina
lavorativo, accettai che la mia coscienza aveva una coscienza tutta
sua.
[1] Cittadina sul confine tra Piemonte e
Lombardia ove son cresciuto
[2]
I.E. Ci ero dentro.
[3]
Ubriacarsi.
[4]
Vomitato
[5]
Rapper-Parodia simbolo di Milano.
[6]
Milano.
[7]
Re Inglese dal 1801 al 1820, è ricordato per la sua instabilità
mentale forse dovuta all'avvelenamento da piombo o forse dovuta al
semplice fatto che era pazzo da legare.
“Quindi,
essenzialmente mi stai raccontando come....”
“Ti sto
raccontando come ho trovato una pace interiore? Non ne ho idea, trova
tu una scusa mentre mi arrangi una Piña Colada degna di questo
nome.”
“Non ho il frullatore. Te la arrangio ma ti uso il
ghiaccio del mojito, ti va bene?”
“Puoi anche pestare i
ghiaccioli sotto alla scarpa, tanto hai tempo.”
Essere uno dei
pochi clienti durante la stagione turistica non era proprio un vanto
per Francesco, soprattutto a San Remo, ma almeno può vantarsi in
giro che ha conosciuto un povero barbone.
|