Gods and Monsters

di Freya_Melyor
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Song-fic ispirata alla canzone “Gods and Monsters” di Lana del Rey, dalla quale prende il titolo. Se non doveste conoscere la canzone e voleste ascoltarla prima, dopo o durante la lettura, ecco a voi il link.
 
 
 

Gods and Monsters
 

 
 

In the land of Gods and Monsters, 
I was an Angel. 

 
Grida. Pianti. Risate. Poi di nuovo grida e pianti e risate.
Un colpo secco, assordante, devastante.
Ossa spezzate, carne lacerata, urla di dolore, lacrime di frustrazione. E poi di nuovo risate; risate insane, isteriche, forzate.
Risate di chi non ha più niente da perdere, di chi non ha più lacrime da versare, di chi non sa più distinguere il come, il quando e il perché.
Risate inquietanti, che non sanno di niente.
Risate che ti entrano dentro, che si insidiano nella tua persona fino a farti perdere il controllo.
Risate di chi non sa più chi o cosa è stato.
Risate di chi, un tempo, era una persona; ora, invece, è solo l’ennesima anima disperata che transita nell'oblio della follia.
Risate tetre che riecheggiano tra quelle mura maledette e che, inevitabilmente, maledicono anche ciò che di più casto, puro e innocente abita quell'inferno.
 
 
 

Living in the garden of evil, 
screwed up, scared, doing anything that I needed. 

 
Un ammasso di membra doloranti, di corpi ormai deformi, di anime incolori.
Una marea di espressioni distorte, di sguardi vuoti, persi chissà dove; di voci senza tono, di gesti senza senso.
Non c’è via di fuga, non c’è scampo alla paura che aleggia nell’aria, che impregna ogni cosa, che inonda ogni psiche.
S’insinua, viscida, fino all’interno. Domina su ogni impulso, padroneggiando beffarda.
E tu, tu che ormai hai imparato a convivere con il terrore che ti attanaglia, fai di tutto pur di impedire a quell’orribile mostro d’impossessarsi dell’ultimo brandello di lucidità che ti è rimasto.
Non sei come tutti gli altri; non hai niente in comune con loro.
Tu non sei pazzo.
Tuttavia fingi di esserlo, facendo tutto ciò che ti necessita pur di non dare nell’occhio.
Tra te e loro, in mezzo a un’orda di spostati, chi credi che risulterebbe squilibrato?
 
 
 

Shining like a fiery beacon, 
you got that medicine I need; 
fame, liquor, love, give it to me slowly.

 
Eppure, è proprio nella follia più totale che risiedono i sentimenti più profondi.
Tra quelle grida disperate e quelle risa inquietanti, eri riuscito a trovare uno spiraglio di luce, un faro luminoso che sovrastava le acque gelide dell’oceano più oscuro.
Era un groviglio di capelli incolti, di membra esili e stanche, di lineamenti provati e sofferenti; tuttavia il suo sguardo persisteva ancora, rischiarato da una debole fiammella di un qualcosa impossibile da definire: troppo fiacca per essere considerata vitalità, ma ancora abbastanza forte da non abbandonarla al sonno eterno.
Non ti servivano atroci trattamenti, strambe terapie o amare pillole che ti confondevano le idee. La tua medicina quotidiana era lei.
Lei ti donava tutto quello di cui avevi bisogno.
Non era pazza.
La follia che risiedeva nel suo spirito non era innata, le era stata inculcata con la forza.
Troppo debole per non cadere in quelle spietate trappole, non era stata in grado di difendersi da coloro che la incolpavano di crimini mai commessi.
Lei, la più innocente fra tutte, era stata fuorviata dalla cattiveria che il Maligno riversava e continua a riversare imperterrito sul mondo.
Nonostante l’insania che le dominava corpo e mente, lei era la tua cura, la tua medicina.
E non ti bastava mai, ne volevi sempre di più.
Volevi che quello spiraglio luminoso ti mantenesse lucido, normale.
Volevi che lei si rendesse conto di ciò che significava per te, di ciò che faceva per te.
 
 
 

Put your hands on my waist, do it softly. 



Ciò di cui non ti rendevi conto tu, però, era ben peggiore: lentamente, molto lentamente, la stavi prosciugando, impossessandoti di quel minimo di parvenza umana che le era rimasta.
Credevi di amarla. Ma in realtà amavi molto più te stesso.
Come di tutto il resto, ti eri convinto di provare dei sentimenti verso quella creatura la cui unica colpa era stata quella di nascere troppo buona.
Da vigliacco qual eri, avevi celato ai tuoi occhi la verità, facendo passare l’egoismo che ti abbrancava per un’emozione paragonabile all’amore... perché di amore si trattava, di amor proprio che spacciavi per amore nei suoi confronti.
 
 
 

No one’s gonna take my soul away.

 
No, non le permetterai di portarti via l’anima.
Non lascerai che se ne impossessi così come ha fatto con le animi di tutti, qui dentro, compresa la sua.
L’anima, la tua anima, è un qualcosa di troppo intimo perché qualcun altro che non sia tu ne possegga il controllo.
Farai di tutto pur di tenertela stretta, pur d’impedire alla pazzia che ti circonda di contaminarla.
 
 
 

Fuck yeah give it to me, this is heaven, what I truly want 
It's innocence lost. Innocence lost.

 
«Perciò dammela! Dammi la mia medicina.
Lascia che la mia vita possa continuare. Lascia che il mio animo afflitto, innocente, imprigionato in quest’inferno possa proseguire verso la luce, verso il paradiso.
È questo quello che voglio realmente.
Offriti come vittima sacrificale, fa’ sì che la tua esistenza spezzata possa avere ancora un senso in questo mondo funesto: aiutami a recuperare l’innocenza ormai perduta donandomi quel che ti rimane della tua».
 
 
 

In the land of Gods and Monsters,
I was an Angel.

 
In quelle mura impregnate di terrore, paura e follia, tu eri un angelo caduto dal firmamento.
Le tue ali spezzate e sanguinanti t’impedivano di volare alto verso il più nitido dei cieli, lasciandoti da solo in quel luogo dannato.
Ti sentivi fuori posto.
Eri fuori posto, circondato da volti spaesati e sgomenti; volti che avevano visto la pazzia, ne avevano assaggiato l’aspro succo, rimanendo sconvolti da tanto delirio.
Sguardi vuoti, spenti; sguardi che, ovunque osassero cadere, lasciavano un segno indelebile.
Eri circondato da corpi ormai appassiti, mossi da impulsi non più propri e voluti.
Corpi che rasentavano l’abominio, che sembravano provenire dagli inferi, che reclamavano disperatamente la chiamata di Lucifero pur di abbandonare quel luogo macabro dimenticato da Dio.
 
 
 

I don't really wanna know what's good for me. 
God's dead, I said “Baby, that's alright with me”. 

 

Ma tu... tu cercavi il tuo paradiso.
Cercavi un volto amico, familiare, che ti salvasse da quell’oblio incandescente.
Cercavi la mano del Signore, tendevi il tuo arto in attesa che Lui l’afferrasse.
Eppure... eppure nulla accadde.
Fino a quando, un dì tetro e cupo, ti rendesti conto che eri stato dimenticato.
Dimenticato da Colui al quale avevi donato la tua vita.
Dimenticato da Colui al quale avevi votato i tuoi sforzi e i tuoi sacrifici.
E allora lì, in quell’istante, capisti che Dio era morto e che mai più le tue ali sarebbero guarite.
Non avresti più assaporato il calore del sole sulla pelle, il vento fra i capelli, la gioia nel tuo cuore.
Non avevi più un cuore rosso, vivo, pulsante.
Ciò che era rimasto nel tuo petto era solo un grigio incarto, troppo addolorato per potersi riprendere da una ferita del genere.
L’unica cosa che ti rimaneva da fare, quindi, era aggrapparti all’unica àncora di salvezza che ti era rimasta: lei, la fonte del tuo lieve e momentaneo benessere.
Lei, la tua personale medicina.
 
 
 

If I get a little prettier, can I be your babe?
You tell me “Life isn’t that hard”.

 
«Ti cerco in mezzo al putiferio, ti trovo.
Incastono il mio sguardo nel tuo e mi aggrappo disperatamente a quella debole fiammella che ancora t’illumina le iridi.
Prestami attenzione, incatena i tuoi occhi ai miei.
Trasmettimi ciò di cui ho bisogno, curami come solo tu sai fare. E se non ne hai più la forza, lascia che faccia da me, che mi salvi dalla pressante follia che preme sulle mie tempie cercando di farmi impazzire; che mi circonda delicatamente il collo per poi stringere con una forza inaudita, tentando di strangolarmi».
 
Oh, potrebbe mai essere più dolce di così, più dolce di lei tale cura?
Potrebbe mai possedere iridi più azzurre delle sue?
Era la più bella, un tempo; la più bella fra tante.
E ora, di quella radiosa bellezza, non ne rimane che un accenno sbiadito.
Ma tu, impaziente di recuperare la tua fantomatica normalità, hai distrutto in un attimo l’ultimo tratto di donna che le rimaneva, estrapolandolo violentemente da quelle membra troppo fragili per poter sopportare ulteriori supplizi.
L’hai lasciata inerme, su quel pavimento freddo e duro, con gli occhi sbarrati e la bocca serrata.
Osservi l’involucro ormai vuoto del suo corpo, fissandola con finta tristezza, e punti lo sguardo in quegli occhi vitrei, in quelle iridi ormai grigie.
 
Davvero?
Davvero ti sembrava una rara bellezza, una volta?
Ora che il tuo sguardo non è più offuscato dalla bramosia che ti attanagliava, ti rendi conto di quanto insana fosse la tua adorata medicina; di quanto fosse come tutti gli altri, l’ennesima folle in quelle quattro mura maledette.
E sai con certezza che la vita, in fondo, non è così dura come sembra... almeno non per te.
 
 
 

No one’s gonna take my soul away.
 

Una risata malefica s’innalza potente nell’aria, sovrastando i gemiti soffusi e i pianti convulsi provenienti dalla calca di sagome che si è creata intorno a quell'immobile corpo.
Osservando una per volta quelle facce turbate, hai visto nascere dal principio l’accrescersi del panico, della paura e del delirio.
Hai visto corpi auto-infliggersi colpi; hai visto crani spaccarsi contro mura di pietra; hai visto bocche contorcersi in disperate urla e occhi riversarsi all’indietro, abbandonandosi all’incoscienza.
 
 

Fuck yeah give it to me, this is heaven, what I truly want 
It's innocence lost. Innocence lost.

 
Ma tu non sei pazzo.
Tu non ti disperi, non ti agiti.
Porti le mani alla testa, in direzione delle orecchie, e le tappi.
Non vuoi sentire urla, non vuoi sentire pianti; non vuoi che la pazzia s’insinui nella tua mente, imprigionandoti in un eterno limbo di insensatezza e disperazione.
E lì, fermo in mezzo al caos con i palmi saldi sugli orecchi, un unico suono senti ben distinto fra gli altri distorti e ovattati: la risata più malsana e inquietante che potessi mai udire, la tua.
 
 
 
NdA: Ebbene sì, è la prima volta che affronto una tematica così delicata qual è la pazzia.
Sinceramente, non appena mi è balenata in testa l’idea di scrivere una song-fic basata su “Gods and Monsters”, la trama che avevo in mente in origine era del tutto diversa; poi, invece, la storia è andata da sé.
Ammetto che questo scritto possa apparire contorto (a tratti appare contorto persino a me stessa), ma non è facile immaginare cosa passi per la testa di una persona con gravi problemi mentali... e, non essendo pazza (non ancora, almeno!), ho dato sfogo a tutta la fantasia di cui ero in possesso, cercando di immedesimarmi in un soggetto squilibrato. In sintesi, l’essere contorto a tratti è stato un qualcosa di voluto.
Spero di essere riuscita, con le mie parole, a far comprendere la trama di questo breve racconto, dove il protagonista – un paziente ricoverato in quello che una volta veniva definito come Manicomio – ovviamente non si reputa un folle, ma è assolutamente certo di essere l’unico “normale” (che poi, in fin dei conti, cosa davvero si può definire normale e cosa, al contrario, no?) in mezzo a una baraonda di gente con evidenti squilibri mentali. Desideroso di raccogliere ogni brandello di stabilità che riesce a recuperare, si aggrappa morbosamente a una ragazza, anch’essa paziente dell’istituto, trovando in lei la normalità oramai perduta. Il protagonista è in possesso di una complicata personalità che gli fa credere di essere fuori luogo in quella gabbia di matti.
Ogni commento/critica è ben accetto!
Grazie per la pazienza.
 





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