Canto
notturno
[di
un pastore errante dell'aria]
⁂ Il
navigante si perse in un sogno
Di stelle irraggiungibili;
Da
allora tutti i dati trasmessi
Sono illeggibili.
Ogni tanto ci
arrivano segni
Che registra solo il cuore.
Forse, forse, non
c'è stato mai,
E sono tutte storie.
Stava
guardando il cielo in cerca di qualcosa. Un segno che gli facesse
capire che nulla di tutto quello era realmente accaduto; un conforto
che gli si posasse sulla spalla a rincuorarlo; un suono che gli
giungesse alle orecchie, dicendogli che era tutto un grande incubo.
Ma
la notte non aveva
niente da dirgli, se non ribadire che ciò che sperava non
fosse
successo, in realtà si era svolto, aggiungendo il modo
crudele in
cui l'aveva fatto, tanto per rincarare la dose già massiccia
di
sofferenza. Era perduto in un mare di oblio da cui non riusciva a
trovare l'uscita.
Aspettava
paziente una
qualche cosa; sperava che arrivasse da un momento all'altro, e
così
tendeva le orecchie in quella notte stellata, ma coperta da una
coltre di nubi soffici che soffocavano la luce della luna.
Ogni
fibra del suo corpo
fremeva, attendendo che quel qualcosa potesse smuovere le sue stanche
membra ed il suo cuore, diventato più duro, dopo quel
giorno.
Ma
non arrivava niente;
solo il silenzio, accompagnato dallo scrosciare delle onde sulla
chiglia della nave, qualche pesciolino che faceva capolino dall'acqua
ogni tanto, ed il soffio del vento. Solamente quello gli teneva
compagnia, eppure Marco aspettava paziente, consapevole che
però,
nulla sarebbe mai più arrivato.
Non
riusciva a farsene
una ragione; quel silenzio era innaturale, sulla Moby Dick. Non
poteva evitare di portare alla mente quei tanti ricordi che si
immaginavano Ace gironzolare per il ponte della nave, o di vederlo in
silenzio ad osservare il mare; quando entrava di soppiatto in cucina
facendo disperare il cuoco di bordo perché riusciva sempre a
rubacchiare qualcosa dalla dispensa; le sue urla mentre scappava da
qualcuno che aveva appena infastidito; i suoi immensi sorrisi che
aveva sempre pronti per ogni evenienza.
Adesso,
era quasi irreale
quell'atmosfera.
Era
sicuro che non troppo
tempo prima, ci fosse realmente? Non poteva essere che la sua mente
gli avesse giocato un gran bel tiro mancino, facendogli immaginare
tutto? Forse era così, e tutti quei ricordi potevano essere
frutto
dei suoi sogni più belli.
Scosse
forte il capo,
come se si fosse accorto di aver detto una grossa bugia.
Quello
era tutto reale, e
sarebbe stata un'offesa indecente alla memoria di Ace pensare che
fosse il contrario. Lui aveva riempito le sue giornate, non sempre
nel migliore dei modi; ma quelle giornate erano quella cosa che
facevano sorridere, seppur raramente e spesso nascoste ad occhi
altrui, le labbra di Marco.
Lo
aspettava, ormai da
tutte le notti. La consapevolezza che non sarebbe mai tornato era
sempre lì presente, ma il biondo la ricacciava indietro come
una
bestia selvatica; cercava di domarla, ma riusciva solamente ad
assopirla; lei era sempre in guardia.
Ma
lui aspettava. Invano,
ma aspettava.
Si
era intestardito a tal
punto, che nemmeno dormiva più.
Era
perfettamente conscio
che il suo era un sogno irrealizzabile e quanto meno irraggiungibile,
se non con la morte. Cocciuto com'era, era convinto che da qualche
parte ci fosse qualche segnale che rivelasse la sua presenza; e
quando non riusciva a coglierlo si convinceva di nuovo che fosse
difficile da interpretare. E allora aspettava ancora, in attesa di
quei segni che avrebbe potuto leggere anche lui. Oppure
dell'illuminazione per poter scovare quegli altri.
“Ti
sei solo perso, non
è vero?” disse al vento e al cielo freddo della
notte, che,
perfida, rimase in silenzio.
Marco
continuava a tenere
lo sguardo al cielo; anche quella notte l'avrebbe passata
così.
Improvvisamente,
qualcosa
però, accadde.
Nonostante
le nuvole, un
piccolo squarcio lasciava intravvedere uno spruzzo di cielo nitido e
puntellato di stelle.
Da
lì, passò quel segno
che aveva atteso per mesi.
Una
piccola stella
cadente passò veloce in quel pezzetto nero; era luminosa
come
nessun'altra che il ragazzo avesse mai visto, di un arancione intenso
da far quasi male agli occhi.
In
quel momento il suo
cuore si strinse, perdendo un battito e mozzandogli il fiato, per
ritornare a battere forsennato, quasi come se volesse precipitarsi in
mare per trovare un po' di pace.
“Lo
sapevo...” soffiò
tra le labbra, che si erano schiuse in uno di quei suoi rari sorrisi;
erano però piene di tristezza e malinconia, consapevoli che
era
davvero accaduto tutto.
Ma
lui c'era, lo aveva
visto. Finalmente.
ANGOLO DELLA DEMENZA
Lo so, lo so, me ne sbuco sempre con qualcosa di
nuovo e insensato. Ma questa canzone mi piaceva troppo, e questi due
insieme io semplicemente li amo. Non ho molto da dire, penso che parli
da sola, e quindi vi lascio a lei e a un eventuale commento, sempre ben
gradito! :)
E' la prima che scrivo su di loro, ma volevo render loro omaggio
perché è merito loro se mi sono avvicinata allo
yaoi! Non volevo lasciarla ammuffire nel pc, e allora le ho dato aria
qui!
La canzone che ho usato si intitola appunto Canto notturno (di un pastore errante dell'aria) di Roberto Vecchioni. Quell'uomo ne sa davvero tante.
Grazie a chi ha letto! :D
Peace & Love! <3
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