Capitolo
1
In
Missione
Il lato buio della città
era decisamente una bettola infame, e il luogo dove Alastor portò
Aria per ristorare non era decisamente migliore degli altri: in mezzo
ad una via, gradevole alla vista e all’olfatto come una
montagna di rifiuti organici, il piccolo bar aveva tutto l’aspetto
di un luogo dove non ci si sarebbe portato un proprio parente, se gli
si voleva bene. E, forse, anche se lo si odiava.
Ma con Alastor al proprio fianco
era come se Aria fosse entrata in quel luogo armata fino ai denti, al
pari un Rambo di un metro e settanta con il fisico di un'atleta e i
capelli lunghi. A prova di questo, quando mise malvolentieri piede
nel locale precedendo il suo accompagnatore, uno dei clienti seduti
vicino all'ingresso fece un commento molto poco lusinghiero non
appena la vide: nel giro di pochi secondi Alastor entrò e,
senza dire una sola parola, lo afferrò per i vestiti e lo
defenestrò senza troppi complimenti. Il tutto nell'omertà
generale, come se quel genere di situazioni fosse la norma e regola.
L'interno
del locale, il Black
Canary,
era un antro buio che rispecchiava l'esterno: la puzza di fumo e una
leggera nebbia che nascondeva il tetto, debolmente filtrata dalle
scarse e lampeggianti luci al neon, davano a quel luogo e a tutti i
suoi clienti un'aria ancora più losca e malfidata di quanto
non sarebbero potuti apparire normalmente.
I tavoli, sparsi in ordine
apparentemente casuale per la stanza, erano occupati da individui
intenti a parlare di affari spiacevoli e a lanciare commenti ben poco
lusinghieri su chi viveva nella parte “pulita” della
città. Che fossero davvero impegnati a spettegolare in quel
modo o stessero solo cercando di distrarsi per non badare alla loro
presenza, questo Aria non poteva saperlo.
Qualunque
fosse la verità, sia lei che Alastor ricambiarono questo
silenzio ignorando a loro volta la clientela del locale e si mossero
in silenzio verso uno dei pochi posti rimasti liberi nonostante la
discreta folla ancora in piedi.
Si
trattava di un tavolo piuttosto in disparte, circondato da una coppia
di divani che un tempo dovevano essere di un bel rosso fiammante ma
che il tempo, l'umidità e una certa incuria dovevano aver
fatto diventare più simile al bordeaux.
Si
sedettero e, come un fulmine, arrivarono sul loro tavolo una coppia
di tazze di caffè fumante. Il servizio fu tanto veloce che
Aria fece appena in tempo a vedere una figura nera e bionda che, non
appena lasciò le tazze sul loro tavolo, si allontanò
rapidamente.
Così,
restando seduti uno di fronte all'altra con le tazze fumanti che
nessuno aveva il coraggio di bere subito, Aria e Alastor si
guardarono negli occhi per un tempo che parve infinito, prima che lui
rompesse il silenzio invitandola a parlare.
«Non
sei sicuro di quello che vuoi. E poi, non mi crederesti.»
rispose in maniera secca Aria, portando gli occhi sulla calda
brodaglia nella tazza, come se ci si potesse vedere qualcosa nel
riflesso.
Alastor,
serafico, prese in mano la sua tazza e la usò per indicare
alcuni soggetti nel locale.
«Lo
vedi quel tipo, laggiù? Quello che si muove come se tutti
avessero gli occhi puntati su di lui?»
Incuriosita, Aria seguì
l’indicazione e trovò il soggetto indicato. Si trattava
di un uomo con una felpa bordeaux con il cappuccio visibilmente
troppo lunga per lui, un paio di jeans stracciati, l’espressione
arcigna e la bocca perennemente digrignata che si agitava da un capo
all’altro, come se sentisse delle voci.
«Lo
chiamano Bulldog.
Quel rozzo bastardo è convinto che Hitler fosse di sinistra.»
subito dopo aver presentato un simile individuo con una naturalezza
tale da farlo sembrare una persona ordinaria, Alastor spostò
la tazza verso un secondo soggetto, il quale al contrario di Bulldog
restava seduto ad un tavolo in stato catatonico a guardare il vuoto
con la bocca aperta. Un filo di bava gocciolava dalle labbra sulla
sua canottiera, ma apparentemente non ci dava peso.
«Lui,
invece, è Bobo.
Qualsiasi droga abbia preso, gli ha fuso quel poco che aveva sempre
avuto di cervello, rendendo qualunque aiuto psichiatrico inutile.
Adesso capisce solo il linguaggio della violenza.» non ancora
soddisfatto dello “splendore” sociale che lo circondava,
puntò la tazza contro un tale che stava allegramente
masticando dei datteri, compresi i noccioli, seduto davanti al
balcone del bar. Vestiva in maniera stranamente elegante e curata, ma
il suo volto aveva una scintilla di sadismo capace di far venire i
brividi.
«Lui
è El
Bastardo.
Meglio che non ti dica altro su cosa fa e perché lo chiamano
così, avresti gli incubi. Mentre la nostra cara Susy, qui…»
Ritornò, come sentendosi
chiamata, la cameriera e Aria ne approfittò per studiarla
meglio: era una donnina piccola e dall’aria innocente, i
boccoli biondi riempivano la sua testa, gli occhi azzurri, gli zigomi
sporgenti, il naso piccolissimo e l’abito pieno di pizzini e
merletti la facevano sembrare una bambolina, insolitamente pulita per
quella bettola dove lavorava. Giunta nelle vicinanze, versò
del liquore nel caffè di Alastor.
«La nostra cara Susy, qui
presente, ha nascoste addosso più pistole di quante ne possa
contare.»
Aria, sentendo quelle parole,
rispose involontariamente sbuffando: per lei quella era una
grossolana menzogna, troppo esagerata perché potesse darci
credito, così come i disagiati presentati poco fa.
E invece, troppo velocemente
perché potesse accorgersene, si trovò un piccolo
revolver puntato in mezzo agli occhi. Mentre la prendeva di mira,
Susy non la smetteva di tenere le labbra piegate in quel sorriso da
bambolina.
«Ma da dove…»
«Ne
ho sei,
nascoste nell'abito. È un po’ difficile camminare, ma
una signorina deve sapersi difendere, dico bene?» risposto
questo, Susy ritirò la pistola e si allontanò lasciando
la bottiglia sul tavolo.
Insensibile
allo spettacolo appena offerto, ultima prova che lui era talmente
abituato a quel clima da esserne ormai parte integrante, Alastor
sorseggiò il caffè corretto prima di insistere
«Allora, qual è la tua storia?»
Aria rifletté per un
istante. La sua storia era difficile da credere, ma lo erano anche
quei soggetti che le erano appena stati presentati.
Lasciando
stare il caffè, Aria afferrò la bottiglia di liquore
lasciata sul tavolo e bevve una lunga sorsata. Presa la dose di
coraggio liquido necessaria a parlare, iniziò «E va
bene, grand'uomo,
vuoi la mia storia? Eccoti servito. Io, in realtà,
non sono nemmeno del tuo mondo. Vengo da un mondo parallelo
a
questo!»
«Interessante.
Continua.» commentò semplicemente Alastor, bevendo un
altro sorso senza staccare gli occhi da lei. Stranamente,
non mostrava alcun segno di scetticismo: o era un eccellente attore
oppure era davvero
interessato.
Aria Blaze svuotò il sacco.
Raccontò
di lei e delle sue amiche, Adagio Dazzle e Sonata Dusk:
tutte e tre erano creature magiche che, una volta portate a forza in
quel mondo, non solo avevano perso la loro forma originale ma anche
la maggior parte dei loro poteri.
Pochi mesi prima avevano attuato
un piano per recuperarli, ma quando erano arrivate ad un passo dal
realizzarlo furono private anche di quella poca magia che
possedevano. Prese dal panico, il trio era scappato e aveva tentato
di studiare un nuovo modo ancora per recuperare le loro arcane
capacità, ma poche settimane dopo il loro fallimento furono
aggredite da una banda di tizi simili a quelli da cui lei stava
scappando nel vicolo.
Sonata fu la prima ad essere
catturata e, dopo pochi giorni in cui cercarono di nascondersi, anche
Adagio cadde nelle mani del loro aguzzini. Aria, quando aveva
incontrato Alastor, stava giusto scappando dall’ennesimo dei
loro tentativi di catturarla.
Non
aveva idea di chi loro potessero essere, né per chi
lavorassero, sapeva solo che cercavano rigorosamente le Sirene per
ordine di qualcuno a cui si riferivano come La
Regina
e che apparentemente non c'era un solo angolo in tutta la città
dove loro non potessero arrivare.
Alastor ascoltò fino alla
fine senza parlare o mostrare segnali di scetticismo.
«Sai per lo meno da dove
vengono, i tuoi aguzzini?» domandò allora agitando la
tazza, ormai vuota, come se dal fondo rimasto dovesse uscire
qualcosa.
«È proprio questa la
parte più strana: vengono da Equestria!» esclamò
Aria, con gli occhi fuori dalle orbite.
«Equ-che?»
«Equestria.
Uno dei regni di quel mondo da dove vengo anche io. Quando Sonata
venne catturata, io e Adagio tentammo ovviamente di salvarla, ma
abbiamo fatto solo in tempo a vederla portare attraverso un portale,
prima che ci scoprissero e ci costringessero alla fuga.»
«Un portale, eh?»
ripeté Alastor, con tono riflessivo. Curiosamente, non c’era
sarcasmo nelle sue parole, quasi fosse propenso a credere a quella
strana ragazza «E, per curiosità, come fai a sapere che
quel portale dovrebbe portare ad Equestria?»
Aria
si lanciò in una spiegazione piuttosto complicata, e che
Alastor comprese solo in parte, sulla magia e sui viaggi attraverso
altre dimensioni. A quanto sembrava, il loro mondo era completamente
sprovvisto di magia, ma alcuni artefatti provenienti proprio da
Equestria avevano portato nella zona intorno al portale, per la
precisione il liceo della città, una scheggia del loro potere
magico, impregnando il luogo e rendendolo, di fatto, l’unico
sito magico sulla faccia della Terra. Pertanto, se Sonata era stata
fatta sparire attraverso un portale aperto in quel luogo, doveva per
forza portarla
ad Equestria!
Ascoltato, Alastor sospirò
rumorosamente, prima di alzarsi infilando le mani nelle tasche della
giacca. Una volta in piedi, tirò fuori un mazzo di chiavi che
poggiò sul tavolo spiegando «C’è una
camera, sopra questo locale. È mia, vai e restaci fino al mio
ritorno. Dì a Susy che è per farmi un favore. Non
aprire prima che io torni.»
Confusa, Aria inarcò un
sopracciglio «Prego?»
«Qualsiasi cosa sia contro
di te, deve essere piuttosto grossa. Devo pur prepararmi!»
«Quindi mi vuoi aiutare? E
perché?»
Alastor rise, senza mai
rispondere.
«Mi credi? Così, su
due piedi?» insistette Aria
Alastor fece spallucce, indicando
la bottiglia quasi vuota che ancora stava sul tavolo «Ne hai
bevuto più di metà e non sei nemmeno arrossita. Questo
vuol dire che o hai una straordinaria resistenza all'alcol, oppure
che non ne risenti affatto. E, sapendo cosa Susy spaccia per
“liquore” sono molto scettico sulla tua resistenza.»
Aria si alzò in piedi,
imitando Alastor e guardando a sua volta la bottiglia. Era vero, il
contenuto di quella bottiglia dava l'impressione di bere della
benzina, ma nonostante le sue apparenze restava una sirena e per
quanto forte potesse essere una bevanda, il suo organismo non poteva
in alcun modo risentire dell'alcol al suo interno: avrebbe potuto
berne anche una cisterna senza avere nemmeno un mal di testa. Solo un
brutto sapore in bocca.
«E ti basta questo per
credermi?» domandò ancora, troppo incredula sulla
condiscendenza di Alastor per credere che fosse bastata semplicemente
la sua immunità per convincerlo.
Lui, evidentemente non volendo più
aspettare,cominciò ad allontanarsi mentre rispondeva con
assoluta sufficienza «Se quello che mi hai detto risulterà
essere falso, vorrà solo dire che sei una brava narratrice.»
Aria, sempre più confusa
dall’atteggiamento superficiale di quell’uomo, avrebbe
voluto fare altre domande, ma lui invece uscì. Venne così
affiancata dalla cameriera, la quale le chiese con voce squillante e
cristallina «Ti ha lasciato detto qualcosa?»
Dopo
un sospiro, Aria si massaggiò le tempie sforzandosi di capire
cosa potesse passare nella mente di quell'energumeno, mentre
rispondeva alla cameriera «Devo aspettarlo in camera… mi
ha detto che è per fargli un favore.»
«Ah,
okay.» annuì Susy, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo, prima di prendere le chiavi lasciate sul tavolo ed
invitarla ad andare con lei.
Aria seguì Susy, seppur
goffamente per via del tacco allo stivale ancora mancante, e ne
approfittò per fare due domande su Alastor «Mi vuole
aiutare, anche se ci siamo visti per la prima volta poco fa!»
La cameriera rise sommessamente,
portandosi una mano avanti alla piccola bocca come se avesse appena
udito un succulento pettegolezzo «Oh, davvero?»
«Sembri conoscerlo da tanto.
Perché fa così?»
«Sono sua cugina.»
rispose Susy, facendo spallucce
Aria inarcò un sopracciglio
«Non si direbbe!»
Susy
ridacchiò ancora «Oh, non credo che Alastor capisca bene
cosa voglia dire essere cugini. È grande e grosso, ma credimi
se ti dico che dentro resta sempre un ragazzo.
Qual è il tuo problema?»
Aria alzò gli occhi al
cielo. Una parte di lei cominciava a credere di essersi salvata da
degli ignoti rapitori per venire trascinata in un covo di pazzi.
Tuttavia, accettando la situazione, spiegò anche a Susy,
seppur senza entrare troppo nel dettaglio in questo caso, quale fosse
il suo problema.
La cameriera ridacchiò
ancora in quel suo modo simile a monete che cadono in un piatto «Non
mi sorprende che voglia aiutarti.»
Aria sobbalzò a quella
rilevazione così spontanea, come se avesse preso uno spavento
«Lo conosco da mezz'ora!» esclamò, allargando le
braccia.
Susy rise per l'ennesima volta,
fermandosi finalmente davanti ad una porta dove infilò una
chiave «Te l'ho già detto. Per quanto grande e grosso
sia, per quanto in basso possa dirti di essersi spinto, Alastor resta
sempre un ragazzo. E, come tale, è pieno di quei principi,
emozioni e convinzioni che accompagnano la crescita, prima che arrivi
l'insensibilità di un adulto vero.»
«Che fa nella vita?»
domandò Aria, mentre il secco clangore della chiave che girava
nella serratura le accarezzava le orecchie.
«Oh,
un po' di tutto. Rigorosamente fuori dalla legalità, questo è
vero, ma questo per stare vicino alla sua famiglia. È
clinicamente incapace di mentire, te lo posso giurare: lo sforzo di
immaginare una scusa credibile è troppo
per lui.»
La porta si aprì, ma Aria
puntò gli occhi su Susy, squadrandola. Era di una testa più
alta della cameriera e il fisico molto più sviluppato, di
fatto, la metteva in ombra. Eppure, forse per le pistole che teneva
nascoste con se, lei non sembrava provare paura nei riguardi della
sirena.
«Stai
cercando di presentarmelo?» domandò Aria, seccata «Vuole
aiutarmi a ritrovare le mie amiche, non dobbiamo uscire insieme!»
La cameriera ricambiò lo
sguardo con un largo sorriso «Oh, se volessi combinare qualcosa
tra voi due, te ne saresti accorta già da un pezzo. Alastor
dice che sono “invadente” e forse ha ragione.»
confessò Susy, prima di farsi da parte per lasciare ad Aria lo
spazio per entrare dalla porta dell'appartamento sopra il bar.
Invece
di entrare subito, la sirena guardò la sua accompagnatrice
ancora per qualche secondo, con le braccia abbandonate lungo i
fianchi e le mani strette a pugno, indecisa se la stava prendendo per
il naso o era davvero
così
rimbambita.
«Ha ucciso un uomo. Con le
mani. Le sue mani grandi come badili.» confessò
improvvisamente Susy, in un soffio come se quel fatto le avesse
riportato alla luce dolorosi ricordi «Ma solo una volta!»
si affrettò ad aggiungere, spostando lo sguardo.
«Perché?»
domandò Aria, entrando finalmente nella stanza e senza più
guardare la piccola cameriera, chiedendosi da dove uscisse quella
rivelazione.
«Per lo stesso motivo per
cui vuole aiutarti.» rispose lei, in maniera enigmatica, prima
di allontanarsi lungo i corridoi con la stessa velocità con
cui serviva ai tavoli.
Sola e senza molto da fare, Aria
chiuse la porta e si guardò intorno nella piccola stanza dove
Alastor l'aveva lasciata.
Si trattava di un locale molto
spartano, un letto, un comodino, un tavolo con dei pezzi di carta su
cui erano scarabocchiati nomi e indirizzi, un armadio con pochi cambi
sbrindellati, un piccolo bagno e un cassetto di medicinali.
Lasciando gli stivali di cui uno
con il tacco rotto vicino al letto, Aria cercò di scoprire
qualcosa di più sul suo nuovo aiutante vagando a piedi nudi,
modo decisamente più comodo invece che cercare di restare in
equilibrio come aveva fatto fino ad allora. Le parole di Susy sul
perché Alastor voleva tanto aiutarla continuavano a
rimbalzarle in testa: se il motivo era così chiaro, non
sarebbe dovuto essere difficile scoprirlo!
Quando dopo qualche minuto guardò
una delle cornici sul comodino vicino al letto, finalmente capì.
Nella
cornice c'era una foto in cui era ritratto un Alastor più
giovane e con alcune cicatrici in meno sul volto, con un braccio
attorno alle spalle... di Aria. O almeno, di una ragazza
maledettamente
simile a lei, se non fosse stato per il fisico più asciutto e
i capelli lasciati sciolti dietro la testa.
Aria imprecò, sedendosi sul
letto e chiudendo gli occhi mentre finalmente capiva. Si era trovata
tra le mani un energumeno che ancora piangeva il passato.
Istintivamente ricordò
quando, alcuni anni prima, lei e le sue compagne avevano incontrato
una persona molto simile a Sonata, tranne per il fatto che era da
sola e vestita in maniera sorprendentemente elegante. Le tre sirene
compresero allora che in quel mondo parallelo esistevano persone
molto simili a quelle che c'erano già su Equestria, ma benché
i caratteri fossero molto simili, a volte le storie divergevano.
Scoprirono
che la controparte di Sonata gestiva un paio di ristoranti e che
quella di Adagio era una cantante affermata,
ma non ebbero mai alcuna traccia della controparte di Aria.
O almeno, non la ebbero fino a quel giorno. Chissà
chi era: forse una parente? Una lontana fidanzata?
Decidendo di ammazzare il tempo cercando di trovare una
soluzione a quel mistero, Aria sfilò la foto dalla cornice,
cercando di studiare meglio i suoi dettagli.
In rilievo era stampata una data: se era la stessa della
foto, doveva risalire a più di due anni prima. E sul retro, in
una calligrafia elegante, c'era una firma con il suo nome e una data,
di alcuni mesi postuma a quella incisa in rilievo. La foto mostrava
lei e Alastor in un parco, alle loro spalle una ruota panoramica,
sorridenti mentre guardavano l'obiettivo.
Un improvviso boato la fece sobbalzare: qualcuno stava
bussando alla porta.
Guardando la porta come si guardano gli autori di uno
scherzo poco gradito, domandò «Chi è?»
«Sono io.» rispose, seraficamente, la voce
di Alastor.
Aria andò ad aprirgli, trovandolo con una sacca a
tracolla da cui sporgevano un paio di mazze da baseball.
«Ma che cosa...»
Alastor entrò senza tanti complimenti, lasciando
Aria chiudere la porta e spiegando «Armi, un kit per accamparsi
fuori, qualche provvista... te l'ho detto che mi sarei preparato!»
Aria rimase spiazzata, ma la sorpresa fu ancora più
grande quando Alastor tirò fuori dalla sacca una borsa che le
passò «Tieni. Sono per te.»
«Cos'è?» domandò lei,
prendendo la borsa e guardando dentro. C'erano un paio di stivali, in
tutto e per tutto simili ai suoi.
Esterrefatta
per il regalo, tornò a guardare Alastor domandando
«Ma
come... perché?»
Per
tutta risposta, Alastor rise divertito
«Sarà
dura, vuoi affrontare quello che ci aspetta ad Equestria a piedi
nudi?»
Ci
fu un momento di pausa, nel quale Aria indossò gli stivali
nuovi e Alastor terminò di sistemare altra roba nella sacca.
Quando finirono, la ragazza si parò davanti ad Alastor,
tenendo in alto la fotografia «La
mia gemella, qui, chi è?»
Alastor
si ammutolì per un istante, come chi viene scoperto con le
mani nel sacco. Poi sospirò profondamente, oscurandosi in
volto, prima di rispondere in un soffio «Hai
detto bene. La tua gemella. Si chiamava anche come te, Aria Blaze. Si
chiamano tutti in modo strano, in questa città.»
«E dove si trova adesso?» incalzò
Aria, insensibile al cambiamento di umore del ragazzo.
A
quella domanda, Alastor strappò dalle mani di Aria la
fotografia e la ripose nel comodino, spiegando in maniera lapidaria
«È
morta. L'hanno impallinata un paio di mesi dopo questa foto. Aveva
visto cose che non doveva vedere.»
Alastor si stava ora rivolgendo ad Aria con un tono mai
usato prima: le parole gli uscivano a fatica, come se ognuna di loro
fosse un pezzo di vetro che, uscendo, gli feriva la gola. Quando lui
diede le spalle a lei, calò il silenzio.
Aria
agitò lentamente le mani, sforzandosi di cercare qualche
parola di circostanza da pronunciare in quelle occasioni, ma presto
dovette affrontare il fatto che, semplicemente, non le aveva.
«Ti
sarai chiesta perché voglio aiutarti. Perché non mi
faccio problemi, anche con la strana storia che mi hai raccontato.»
continuò allora lui, voltandosi a guardarla
«Vedi,
non ho mai fatto qualcosa di cui essere orgoglioso, in vita mia. Ma
immagina di potere, forse per la prima volta in tanti anni, avere
finalmente la possibilità di rimediare ad uno sbaglio. E non
parlo di vendetta, parlo di rimediare davvero
a quella volta che hai toppato alla grande. Sapere di aver salvato
anche solo una vita. Sarebbe già... qualcosa,
no?»
Aria
non rispose, ma si ricordò di tutti quelli che Alastor le
aveva presentato e collegò rapidamente tutto quello che aveva
capito su di lui. Non ci voleva un genio, giudicando le sue parole, a
immaginare che la dipartita della gemella di Aria fosse collegata con
quell'unico omicidio commesso.
Con le mani. Solo il cielo poteva sapere cosa gli avesse
fatto, con la forza che aveva.
Chissà, magari alla fine il suo aiuto sarebbe
potuto venirle utile.
Aria
e Alastor si stavano incamminando verso il portale che collegava i
due mondi in religioso silenzio. Per sicurezza, Alastor teneva
stretta in una mano una delle mazze nella sacca: se gli sgherri di
questa Regina
tenevano
il controllo del portale, non era ingenuo prepararsi a suonarle fin
dai primi momenti.
Tuttavia l'ora era tarda, dall'Isitituto Superiore di
Canterlot non veniva alcuna luce e tutt'intorno alla grande statua
del cavallo rampante non si poteva vedere anima viva. Anche così,
Alastor preferì rimanere vigile mentre Aria cercava quale
delle quattro facciate della base fosse l'ingresso.
Cominciò con il tastare la prima facciata, la
toccò prima con titubanza sfiorandola con la punta delle dita,
ma vedendo come stesse succedendo niente aumentò la pressione.
Ancora niente.
Passò alla facciata a fianco. Ancora vano. E così
la terza.
Frustrata,
sapendo
che
le sue compagne erano state portate attraverso quel portale, la
pressione che Aria applicava ai pannelli della statua era sempre
maggiore: non solo non voleva assolutamente perdere le speranze di
riunirsi con Adagio e Sonata, ma il fatto che Alastor fosse proprio
dietro di lei rischiava di farle fare davvero una brutta figura,
situazione che il suo orgoglio le imponeva di evitare.
Al limite della disperazione dopo il terzo buco
nell'acqua, Aria letteralmente caricò il quarto pannello: se
avesse fallito anche lì, per lo meno la botta che avrebbe
preso le avrebbe fatto dimenticare la situazione.
E invece, come se si fosse tuffata in uno specchio
d'acqua, Aria venne completamente inglobata dalla parete e sparì
al suo interno in un fascio di luce.
Scoprendo la sparizione della sua compagna, Alastor
imprecò prima di chiamarla «Aria!» e gettarsi con
lei attraverso la statua.
Così, Alastor Sullivan e Aria Blaze
attraversarono il portale tra i due mondi.
Per loro fu come fare delle montagne russe dentro un
tunnel tempestato di luci e colori alle pareti. L’aria
abbandonò i loro polmoni già nei primi istanti,
rendendo impossibile anche solo urlare.
Alla fine del tunnel, entrambi finirono con il tuffarsi
in una immensa luce bianca che li accecò per qualche istante.
Mentre il mondo
intorno a loro riprendeva lentamente i colori, Alastor si alzò
da terra barcollando e guardandosi intorno. Si sentiva provato, le
gambe gli tremavano e anche solo il parlare gli veniva difficile.
Fortunatamente era
solo, tranne per Aria che mostrava di sentirsi esattamente come lui
dopo il viaggio, altrimenti avrebbe avuto delle grandi difficoltà.
Si trovavano in
un'ampia sala circolare, dove le pareti erano piene di scaffali colmi
di libri, tutti dalle copertine cartonate e vivacemente colorate. Le
pareti che non erano nascoste dalle librerie erano di un materiale
simile al cristallo, con ampie finestre finemente decorate e gingilli
e vasi e stendardi appesi un po' ovunque nelle pareti.
Con lo sguardo
incrociò quello che doveva essere un pupazzo simile ad una
lucertola viola con le scaglie verdi che guardava entrambi con le
zampe artigliate poggiate sulla bocca.
«Tsk...
peluche di rettili?» mormorò Alastor, seppur emettendo
in questo modo solo un gorgoglio confuso.
Aria
si girò verso il mostriciattolo notato dal protettore e subito
lo riconobbe «Quello
è un drago!»
«Ma
se mi arriva al ginocchio, contando la cresta!»
Incurante del loro
battibecco, il draghetto sembrò uscire improvvisamente dallo
stato catatonico in cui si trovava e corse a perdifiato fuori dalla
stanza, gridando un nome che Alastor non capì, al contrario di
Aria.
Imprecando, la
ragazza ordinò di allontanarsi il prima possibile da dove si
trovavano.
«Perché?»
domandò Alastor, quasi involontariamente, mentre la seguiva
fuori dalla stanza
«Se il drago
è chi penso che sia ed è andato a chiamare la stessa
Twiliek che conosco io, allora dobbiamo andarcene. E in fretta!»
«Twiliek?»
ripeté lui.
Si
trovarono entrambi in un largo corridoio e proseguirono con passo
spedito in una direzione scelta casualmente dalla ragazza, la quale
rispose «Twiglit, Lituith o comunque
si chiami.
Fatto sta che meno io e lei ci incontriamo, meglio è!»
A quelle parole
svoltarono, trovando a tagliare loro la strada un cavallo, con il
draghetto che puntava un artiglio contro di loro.
Era un cavallo
fatto e finito, con una lunghissima criniera bionda raccolta,
ironicamente, in una coda di cavallo. Sorte simile per la sua coda.
Innaturalmente grandi occhi verdi lo guardavano con stupore e un
cappello da cowboy sul capo la risaltava, oltre al manto arancione e
uno strano tris di mele rosse tatuato sul fianco.
«Ma dove diavolo siamo finiti?» biascicò
Alastor, incredulo a quello che vedeva.
«Ti trovi a Ponyville, zuccherino!» rispose
il cavallo con il cappello.
Aria aprì la bocca per imprecare, quando qualcosa
li colpì alle spalle. Nessuno, né Aria né
Alastor lo aveva sentito arrivare o avrebbe saputo dire di cosa si
trattava, ma per loro fu come se qualcuno li fosse saltato sulla
schiena all'improvviso.
Provati dal viaggio, l'orario e dal colpo subito a
tradimento, i due ragazzi caddero, privi di sensi, sul pavimento.
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