al di là... cap 1
L’ALTRO
LATO DELLO SPECCHIO
CAPITOLO 1
Il sole si preparava a scendere, e i
vampiri si apprestavano a svegliarsi dal loro sonno.
In un paese grande come il nostro è
normale incontrarne alcuni anche per le strade, l’importante è
non guardarli negli occhi, gli avresti fatto intendere che avevi
bisogno del loro bacio. Io non ho paura di loro, anzi, li ammiro per
la loro bellezza, così raffinata, ma allo stesso tempo così
naturale, che sfoggiano con noncuranza. Avrei voluto tanto essere
come loro, invece devo convivere con il fatto di essere solo un
debole elfo lucente. Io abito con la mia famiglia: mio padre è
il re di Holest, il paese in cui vivo; mia madre, una bellissima
banshee nera e in fine mia sorella, più piccola di me di due
anni.
Ero in ritardo, mi avrebbero, per così
dire “nebulizzato”, se non fossi arrivato in tempo per la cena.
Cavolo, è colpa mia se adoro nuotare durante le notti di
plenilunio? È tremendamente rilassante lasciarsi cullare dalle
onde del mare e aspettare l’onda che ti spinge sempre un po’ più
in là, dove il sole si spegne. La luna ti accarezza il corpo e
ti dona più luce ai capelli, i miei, infatti, diventano anche
più lunghi e argentei di quello che sono.
Correvo più veloce che potevo
attraverso il bosco e qualche volta inciampavo su una radice di
albero fatato, che imprecava al mio passaggio. Percorsi tutto il
viale di campanule notturne, attraversai il ponte sospeso sul fiume e
mi diressi per la via che portava al mio castello.
Quando arrivai ed aprii la porta mia
sorella era lì, di fronte a me, con le braccia conserte e il
piede che picchiettava il pavimento bianco, come segno di disappunto:
“ ma bravo!anche oggi a nuotare! Non vedi come sei ridotto?! Sei
bagnato fradicio!” “Seila non urlare così forte!
Potrebbero sentirti!”.
“oh, ma l’abbiamo già fatto”
disse mia madre appoggiata alla ringhiera della scala. Cominciò
a scendere lentamente, con un sorriso troppo dolce, questo voleva
dire che era seccata, i capelli neri e fluenti facevano da strascico
al vestito di velluto blu e le davano un’aria misteriosa. Avanzò
piano verso di noi, “lo sai che ore sono?”la sua voce calda e
morbida ma allo stesso tempo così profonda metteva i brividi
persino a me, ed è mia madre!
“posso spiegarti! Temal mi aveva
chiesto di raccontarle un’altra storia, e io non ho potuto dirle di
no! Lo sai anche tu quanto possono essere convincenti le sirene!”.
“e lo sai quanto possono essere
cattive le banshee?”replicò lei, continuando ad avanzare con
passo felpato. ‘merda!’-pensai-‘ora sì che sono nei
casini!’. “sono le dieci passate, e in ogni modo lo so che sei
andato a nuotare, i tuoi capelli ne sono la prova”. Si fermò
a due metri di distanza da noi e fece segno a mia sorella di
andarsene, la quale sgattaiolò nella sala relax. Ora eravamo
noi due, e me la stavo proprio facendo sotto. Mia madre chiuse gli
occhi, respirò a fondo, espirò e facendo crescere le
unghie come una spada mi tagliò i capelli con un solo
fendente. “ ti proibisco di parlare e di uscire per una settimana,
sono stata abbastanza chiara?” domandò lei con tutta calma.
“chiaro”le dissi io abbassando lo sguardo e guardando i miei
argentei capelli sul pavimento. Si girò e tornò ai
piani superiori in un “soffio di ninfa”.
Tirai un sospiro di sollievo, avrebbe
potuto fare anche di peggio. Mi avviai nella mia camera senza
ovviamente aver cenato: salii le scale, voltai a destra ed entrai
nell’ultima porta a sinistra.
Appoggiai lo zaino a terra e andai
fuori sul balcone a prendere una boccata d’aria notturna. L’aria
profumava di aghi di pino e felci, fresche e umide. Nel cielo una
miriade di stelle si mostrava in tutta la sua lucentezza bianca. Mi
chiedevo come poteva mia madre sapere sempre tutto, ogni cosa io
facessi; di solito le banshee non sanno leggere nel pensiero, almeno
speravo. Tornai in camera, chiusi la finestra e iniziai a togliermi i
vestiti, quando mia sorella entrò senza bussare. “ hey
fratellone! Allora, che ti ha ordinato di fare oggi la mamma?”
“Seila, non ti hanno insegnato a bussare? Lo sai che non dovresti
entrare nella mia stanza, te l’hanno vietato categoricamente”. “
non ti preoccupare, so badare a me stessa…vuoi che ti pareggio i
capelli?” “ mi faresti un favore” le dissi io. Quindi mi
sedetti su una sedia e la aspettai sorridendo con le forbici in mano.
Mi si avvicinò danzando e mi si sedette sulle ginocchia “come
lo vuoi stavolta?” “ questa volta fammelo scalato, ma sempre
lunghi mi raccomando” “ certo, lunghi se no non riesci più…”
“ a cuccare, esatto!” le risposi prontamente io. Si alzò e
mi andò dietro le spalle, iniziò dunque a tagliare. I
capelli scivolavano dolcemente dalle mie spalle per poi cadere a
terra. In poco tempo mi tagliò i capelli e ridendo disse: “Ti
ho fatto anche più bello di prima!” “io sono sempre stato
bellissimo, così come lo sei tu e nostra madre” “ già,
mentre nostro padre è una cozza!” sogghignò lei e
continuò “ è un umano, per forza!”. “ esci ora,
mi devo cambiare” le ordinai. “ ti vergogni di tua sorella?”
“si” le risposi con un tono più piatto possibile per non
far trasparire il mio imbarazzo in quel momento.
Uscì danzando dalla mia stanza e
mi diede la buona notte lanciandomi un bacetto. La odiavo quando
faceva così, però la amavo proprio perché era
così splendida e semplice come la neve che scende dal cielo,
non l’avresti trovata mai sporca.
Mi spogliai interamente e dopo aver
fatto una doccia veloce e aver asciugato i capelli andai a dormire.
Sognai.
Mi ritrovai in una piccola stanza
rossa, nel centro un tavolino di marmo bianco e vicino alla finestra
una poltrona in vimini. Mi avvicinai al caminetto accanto alla
poltrona e mi feci ipnotizzare dal movimento ondulatorio del fuoco,
che zampillava allegramente. Il calore mi accarezzava il viso e le
mani, era piacevole, tanto che mi sedetti lì di fronte e
allungai le mani quasi per voler assaporare più a fondo quel
tepore. Fuori dalla stanzetta pioveva, una pioggerella fine,un fitto
mormorio, che picchiava contro i vetri della finestra. Distogliendo
lo sguardo dal fuoco per un solo istante mi bruciai le mani, e urlai
ritraendo le mani: “Ahi!”. Fino a che il fuoco si spense
improvvisamente e il fumo prese la forma di piccole fatine che
danzavano assieme. Ne toccai una e questa sparì, e così
fecero tutte le altre. Mi alzai, pulendomi le mani e i pantaloni,
quando un terremoto fece vibrare la piccola casa che crollò
sopra di me. Riuscii ad uscire da sotto le macerie e fui catapultato
in un luogo freddo, vicino al mare, dove i ghiacci ne facevano da
padrone. Iniziai a correre come non avevo mai fatto prima e il vento
mi graffiava il viso. Il dolore si propagava in tutto il mio corpo,
mi accasciai a terra. La neve cominciò a cadere e ad
attaccarsi al mio viso, tremavo come una foglia agitata dal vento,
eppure non avevo freddo, avevo solo paura: ‘Perché il fuoco
si è spento? Perché la casina è crollata? Io
odio questo posto!’ pensai. Tentai di rialzai ma invano. La neve
continuava a scendere ininterrottamente, finché una voragine
si aprì sotto di me e m’inghiottì.
Mi svegliai di soprassalto, in un bagno
di sudore. I capelli mi si erano attaccati al viso e la camicia che
avevo addosso era completamente bagnata. Uscii dalla stanza dopo
essermi fatto una doccia calda e camminai per il corridoio senza una
meta. Avevo solo voglia di camminare per distrarmi da quell’incubo.
Quando passai davanti alla stanza di Seila la sentii chiamare
affannosamente il mio nome. Senza pensare aprii la porta. Era nel
letto, sotto le coperte, che si agitava, girandosi da una parte
all’altra. Mi sedetti sul letto e la chiamai dolcemente. Dopo non
molto tempo aprì i suoi occhi ambrati e prendendomi il volto
con le mani disse: “Kail ti prego, non lasciarmi mai sola”. Un
po’ stupito, ma contento, la abbracciai dolcemente portandola al
mio petto e le intimai di chiudere gli occhi. Lei mi stringeva forte,
riuscivo a sentire il suo respiro sul mio torace. Le accarezzai i
morbidi capelli neri e la baciai sulla fronte. Se solo avesse potuto
sapere quello che provavo per lei. La amavo troppo; il mio non era
semplice amore fraterno, sentivo dentro di me che era qualcosa di
diverso, di più profondo.
‘Ti amo’ pensai ‘Non potremmo mai
stare insieme, ma non importa, io ti amerò per sempre Seila’.
La portai di nuovo sul cuscino e si riaddormentò con un dolce
sorriso. Avrei voluto restare lì ad osservarla riposare, però
ero un ragazzo troppo buono e troppo puro. Uscii dalla sua camera e
sospirando fuori da quella porta, mi diressi nella mia stanza.
Arrivato, chiusi la porta alle mie spalle e mi rimisi a letto,
aspettando di riaddormentarmi e sperando di non fare ancora quel
terribile incubo.
Quella notte non riuscii più ad
addormentarmi e la passai in bianco. La mattina dopo, verso le dieci
uscii in giardino e andai nelle stalle a prendere il mio cavallo. Era
da tanto che non gli facevo sgranchire le gambe come si deve, così
decisi di fare una bella cavalcata nei boschi.
Prima lo strigliai per bene, gli misi
la sella e le briglie e poi finalmente salii. Uscii dalle stalle e
dirigendomi verso il giardino incontrai Seila “Dove vai?” mi
chiese lei. “A fare un giro, vuoi venire con me?” “Certo, a
patto che monto insieme a te, non ho voglia di prendere Pece oggi.”
“Sei incorreggibile, quella povera cavalla, le farai fare la
muffa!” la rimproverai io.
Tutto sommato però ero contento,
avrei potuto passare tutta la giornata assieme a lei. La alzai
dolcemente, facendola ricadere davanti a me, sulla groppa del
cavallo. Le dissi di tenersi bene e iniziammo a galoppare.
Scherzavamo del più e del meno quando arrivammo vicino ad un
lago, nel fitto bosco.
“Temal!”chiamai. Temal era una mia
cara amica, una sirena. Ci conoscevamo da poco, però mi ero
già affezionato molto a lei. “Temal!”. Uscii la sua testa
dall’acqua e mi salutò agitando un braccio. Arrivò
molto rapidamente a riva e con la sua voce cristallina mi salutò:
“ Ciao mio caro Kail, da quanto tempo non ti vedo!Lei chi è,
una tua amica?”. Il suo sorriso era sempre bello e luminoso e i
suoi capelli colore del mare, verde, come in certi paesi tropicali. “
No, è mia sorella, te ne ho già parlato, non ricordi?”
“Ah si, la piccola serpe appiccicosa!” rise lei punzecchiandola.
“Suvvia Temal non essere così
acida!” la ammonii io. Seila invece che prendersela, era lì,
in piedi, di fronte alla bellissima sirena che si addossava ad una
roccia e la scrutava con occhi maligni. La sua espressione non
trasmetteva alcuna emozione, ma quando Temal stava per cominciare a
parlare, …… aprì la bocca e iniziò a produrre
ultrasuoni. Quella era una sorta d’avvertimento tra le banshee, eh
già, lei era proprio come la mamma. La sirena si tappò
le orecchie e iniziò a contorcersi e a strillare, io nel
panico mi misi le mani tra i capelli e ad agitarmi, come il mio
solito saltellai sul posto non sapendo cosa fare. Presi per mano
Seila e la condussi lontano; continuava ad emettere gli ultrasuoni
fastidiosi anche quando correva. Fino a che ci fermammo in un campo
di rose nere, lì finalmente tacque: “Ma che cavolo ti è
preso?”
-“ Ma hai sentito cosa mi ha detto?
Si meritava una lezione!”
-“ Ora Temal non mi vorrà
neanche più guardare in faccia”
Seila tacque ancora e si sedette a
terra tra le rose nere come una piccola bambina ridotta al silenzio.
La sua pelle bianca risaltava in quell’oscurità, e così
anche il suo vestito color pesca. “ La prossima volta devo portare
una tela e dei colori” dissi ad alta voce. “Perché?” mi
chiese giustamente lei. “Sei così carina tra le rose che
vorrei farti un ritratto” la mia faccia cominciò ad
accaldarsi e per non mostrarle il mio imbarazzo mi girai di scatto:
“Andiamo a casa adesso!”. Mi seguì a ruota e mi prese a
braccetto: “Dovunque tu voglia Kail, dovunque.”.
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