RED FURY
I.
Germania, 1945.
Il campo
base americano
apparve dopo l’ultima curva
a destra,
circondato da una lunga rete di filo spinato, una misera protezione
contro gli
attacchi dei tedeschi, ma era, come ogni spostamento, tutto
provvisorio, dato
che presto avrebbero levato le tende.
Non
rimanevano mai
fermi nello stesso punto troppo a lungo, si muovevano di continuo,
avanzando
nell’entroterra e viaggiando di città in
città, smantellando le truppe naziste
e guadagnando sempre più punti a loro favore.
Purtroppo,
però, oltre
ai buoni risultati, il numero delle vittime e dei feriti continuava a
salire di
giorno in giorno, battaglia dopo battaglia; la stanchezza si stava
impossessando di tutti e il nemico non sembrava affatto sul punto di
gettare la
spugna e dichiarare la sconfitta.
Ecco
perché,
all’interno del carro armato, un M4
Sherman, corazzato e ben fornito, anche se con qualche
graffio, il silenzio
e lo sconforto regnavano sovrani.
“Porca
puttana, Heat.”
sospirò un uomo, stringendo le mani insanguinate di un
cadavere steso accanto
al suo sedile al quale era stato coperto il volto con una delle giacche
dei
suoi compagni. “Porca puttana.”
“Piantala
Wire!” sbottò
un altro, colui che ricopriva il ruolo di caricatore, intento ad
osservare
dallo spioncino il mondo all’esterno, “Heat
è morto. Morto, chiaro?
Perciò torna al tuo posto e dacci un taglio,
cazzo!”
Wire
scosse il capo,
chiudendo gli occhi e passandosi stancamente una mano sul volto,
lasciando le
mani di quello che era stato un suo caro amico e tornando a prestare
attenzione
ai comandi del loro veicolo.
“Non
dici niente, Sergente?”
domandò successivamente il caricatore, scoccando
un’occhiataccia in direzione
del sergente carrista, nonché comandante del convoglio, che
in quel momento
aveva mezzo busto fuori dal carro e guardava con occhi assenti il campo
avvicinarsi sempre di più, mentre nella sua testa danzavano
le immagini della
morte di Heat, il copilota mitragliere.
“Sta
zitto Ace, pensa
al tuo lavoro.” gli rispose seccamente, riscuotendosi e
accendendosi una
sigaretta.
“Fanculo,
dovevi
proteggerci.” borbottò il giovane, ricevendo
immediatamente uno scappellotto
sulla testa da Killer, il cannoniere, che gli fece intendere di non
tirare
troppo la corda. Certo, un loro compagno era morto, ma sapevano tutti
che la
colpa non si poteva attribuire a nessuno, tanto meno al loro
comandante, al
quale dovevano così tanto. Erano solo dispiaciuti,
arrabbiati e dispiaciuti,
ecco perché il Sergente lasciò perdere,
preferendo concentrarsi e pensare a
cosa dire al resto dei suoi commilitoni una volta arrivati.
La base
momentanea
faceva piuttosto schifo. Tendoni un po’ ovunque, Jeep sparse
qua e la, alcune
ferme, altre che si spostavano, camion del pronto soccorso e furgoni
carichi di
corpi da seppellire contribuivano a rivangare il terreno fangoso,
rendendolo
scivoloso e facendo in modo che la fanghiglia si attaccasse agli
stivali,
raggiungendo pure le ginocchia con gli schizzi.
Il carro
armato si
fermò nei pressi di un mucchietto di tende, i motori vennero
spenti e il primo
a mettere piede a terra fu il Sergente Eustass Kidd, detto Capitano.
Si
guardò attorno, ormai
indifferente alla puzza di morte e ai cadaveri trasportati nelle
barelle, la
stessa sorte che toccò a Heat. I ragazzi fecero uscire il
suo corpo dal carro,
depositandolo su una portantina che era appena arrivata. Wire
poggiò il capo
sul petto del defunto, sussurrandogli il suo ultimo addio, mentre Ace
calciava
il terreno, stringendo spasmodicamente le mani a pugno nel tentativo di
placare
il nervoso. Fu bravo a resistere all’impulso di allontanare i
medici dal
compagno quando li vide allontanarsi con lui. Killer, invece, rimase
semplicemente impassibile, soffrendo in silenzio e rivolgendo una
preghiera per
l’anima di Heat.
“Lo
rimanderanno a
casa?” farfugliò Ace, fissando la barella che
scompariva fra la folla di
soldati.
“Forse.
Chi lo sa.” fu
la risposta di Wire, scoraggiato e poco convinto di quella cosa.
Dovettero
comunque zittirsi e mettersi sull’attenti quando Eustass
tornò verso di loro,
serio e determinato come suo solito.
“Ace,
ripara i danni;
Killer, occupati delle munizioni; Wire, a te le provviste. Partiamo tra
mezz’ora.”
“Sissignore.”
mormorò
il caricatore dai capelli corvini, muovendosi verso il retro del carro
per
recuperare gli attrezzi meccanici. Killer annuì
semplicemente, sciogliendo le
braccia incrociate e
infine Wire si alzò
con poca voglia, incamminandosi lungo la strada alla ricerca delle
cucine.
In quanto
a Kidd, lui
aveva alcuni affari da risolvere, per esempio determinare la prossima
direzione
da prendere, i gruppi con cui aggregarsi e la ricerca di un nuovo
componente.
Non poteva permettersi di essere a corto di uomini e un copilota gli
serviva
per neutralizzare i nemici a piedi, perciò non perse tempo e
fece subito
rapporto, rilassandosi un poco quando gli venne assicurato che gli
sarebbe
stato assegnato un nuovo membro. Ciò risolveva
metà delle sue preoccupazioni.
Si accese
un’altra
sigaretta, imprecando sottovoce e tirando una generosa boccata,
rivolgendo un
fugace sguardo al cielo nuvoloso.
assottigliò
gli occhi
per il fumo, stringendo i denti.
Ci
mancherai, Heat.
*
“Sergente
Eustass!
Sergente Eustass!”
Kidd si
voltò con un
diavolo per capello, osservando interrogativo un moccioso che aveva
l’aria di
non superare i vent’anni avvicinarsi a lui, tutto ansante e
con un borsone in
spalla. Il berretto in testa a coprire i capelli neri che, a quanto
pareva, non
si era rasato come il resto dei militari; un pizzetto appena accennato;
un paio
di occhi chiari che gli ricordavano in modo fin troppo inquietante i
morti in
battaglia e la divisa americana.
“Cosa
vuoi?” gli
domandò senza nemmeno scomodarsi ad essere formale. Aveva
fretta, non poteva
perdere tempo dietro alle domande degli ultimi arrivati.
“Trafalgar
Law,
Signore. Mi hanno assegnato a lei.” rispose il ragazzo,
presentandosi con
un’espressione chiaramente contrariata. Purtroppo
però aveva ancora parecchia
strada davanti prima di arrivare ai livelli alti e non ricevere
più ordini,
opponendosi alle stupide richieste dei suoi superiori.
Kidd
sollevò le
sopracciglia e lo fissò con occhi sbarrati, simulando una
faccia che, trascritta,
poteva essere tradotta ed interpretata con le parole: ‘mi
prendi per il culo?’
“Stai
scherzando, vero?”
si costrinse a formulare il Sergente, avvicinandosi per osservare
meglio il
giovane che, a quella domanda, storse il naso, infastidito.
“No,
Signore.” sibilò,
mantenendo la testa alta davanti al sondaggio a cui si stava
sottoponendo.
Kidd
incrociò le
braccia. “Da quanto sei nel campo?”
“Otto
settimane. Ero
stato assegnato al corpo medico, ma a quanto pare hanno deciso di
cambiare i
miei piani.”
“Otto
settimane. Cristo
Santo.”
Ovviamente,
Eustass non
l’aveva presa bene, ma il tempo stringeva, a lui serviva un
uomo e a breve si
sarebbero rimessi in marcia.
Ah,
fanculo.
“Prendi
la tua roba e
raggiungi il carro.” disse infine, dando le spalle al giovane
e ritornando ai
suoi doveri.
“Quale
dei tanti, di
grazia?” chiese sarcasticamente l’altro, urtandogli
i suoi già tesi nervi.
Kidd si
voltò a
guardarlo con un mezzo ghigno senza smettere di camminare, pensando che
non
valeva la pena riprenderlo per tanta arroganza. I suoi uomini ci
sarebbero
andati giù più pesante. “Il Red Fury.”
*
L’M4 Sherman era una specie di leggenda,
tanto quanto il Sergente
Eustass Capitano Kidd, il genere di americano con i contro
coglioni dicevano molti. Aveva combattuto in Africa, in
Norvegia e, in quel periodo, in Germania, continuando ad essere un
grandissimo
stronzo intrattabile e incontentabile, ma sempre un guerriero
rispettato.
Il suo
carro armato era
in piedi da tre anni e continuava a funzionare che era una bellezza,
guadagnandosi un nome rinomato e scrivendo parte della storia.
L’avevano
battezzato Fury, inizialmente,
suscitando gelosia tra i vari sergenti, i quali avrebbero voluto essere
più
svegli e dare quel nome ai loro veicoli. Col passare del tempo e con
l’aumentare della fama era stato aggiunto un aggettivo in
onore dei capelli
vermigli del Sergente Eustass, il quale sfoggiava quella chioma con
fierezza
ovunque andava.
Ovvio che
un giovane
intelligente e attento come Trafalgar Law ne avesse sentito parlare,
infatti
non aveva avuto problemi a trovarlo, obbligandosi ad avanzare passo
dopo passo
verso la sua rovina.
Lui non
si era
arruolato per quel genere di cose, dannazione. Aveva fatto domanda ed
era stato
accettato come medico del campo, invece cosa avevano fatto quei
bastardi? Lo
avevano scaricato alla prima occasione e solo perché
all’Intoccabile Eustass
Kidd serviva un altro uomo dal grilletto
facile. Lui non aveva mai tenuto in mano una pistola, figuriamoci se
sapeva
sparare.
Ma
che cazzo,
pensò,
raggiungendo i quattro uomini che bazzicavano svogliati attorno al
carro.
Si
avvicinò a quello
più vicino, un tizio con il capo coperto da un cappuccio
ampio e nero che stava
riempiendo una sacca con viveri e provviste.
“Piacere,
sono
Trafalgar Law.” si presentò, porgendogli la mano e
attirando la sua attenzione,
ma non ottenendo comunque nessun cenno indicatore di buone intenzioni.
Non
ricambiò nemmeno la sua stretta, il tizio, limitandosi ad
osservarlo con
indifferenza, conscio che, alle sue spalle, i suoi compagni avevano
assistito
alla scena. Avrebbe lasciato a loro le presentazioni, dato che erano
molto più loquaci e chiacchieroni.
“E
questa mezza sega
chi sarebbe?” saltò fuori, per
l’appunto, Ace, balzando giù dal carro con
agilità e una chiave inglese in mano, avvicinandosi al nuovo
arrivato con i
palmi sui fianchi, girandogli attorno.
Law non
si lasciò
intimidire da quello che aveva l’aria di essere caduto da
piccolo e aver preso
una forte botta in testa. “Sono il nuovo copilota.”
disse serio.
“Copilota?
Tu?” sillabò il
moro, puntandogli un
dito contro, ma senza toccarlo, deliziandolo però di una
bestemmia colorita.
“Ace,
devo farti
un’altra lavata di capo?” fece l’uomo col
cappuccio, fissando il compagno in
modo truce.
“Non
rompere Bible, le abbiamo comunque
tirate
silenziose.” gli rese noto l’altro con una smorfia,
tornando ad occuparsi di
Law. “Non sembri avere l’aria di un militare.
Guarda che manine pulite che
hai.”
Law
strinse le labbra,
nascondendo le mani nelle tasche. “Ordini dei
superiori.” si limitò a dare come
spiegazione.
La
discussione terminò
lì, esattamente quando Killer diede una lieve pacca sul
braccio di Ace,
indicandogli con la testa una figura alle spalle del novellino, giusto
in tempo
per risparmiargli una sgridata da parte di Kidd, appena arrivato.
“Tutti
a bordo, si
parte.” ordinò, intimando ai ragazzi di muoversi,
ma guardando di sottecchi il
giovane che non sembrava avere l’intenzione di fare un passo.
“Anche tu,
moccioso.” gli ordinò, usando quel tono
autoritario e quello sguardo severo a
cui non si poteva affatto dire di no. Persino un tipo come Trafalgar
Law, che
odiava ricevere ordini ed essere costretto a fare quello che non gli
andava, si
ritrovò a mandare giù il fastidio e a portare
il suo culo, come aveva sentenziato Ace, dentro al carro
armato.
Era solo
l’inizio, se
lo sentiva nelle viscere.
*
“Allora,
ricapitoliamo.” Fece per l’ennesima volta il
Sergente Eustass, indicando una
cartina che teneva tra le mani, alzando la voce per farsi sentire dagli
altri
responsabili dei quattro carri armati che si erano aggregati a lui.
“Raggiungiamo
questa radura e liberiamo i poveracci rimasti intrappolati; facciamo il
culo
alla squadriglia nazista e poi proseguiamo fino alla prossima base.
Tutto
chiaro?”
“Cristallino.”
gli
rispose il Sergente Hawkins, suo vecchio amico e alleato.
Fece
altrettanto anche
il Sergente Apoo, quello che gli stava più sulle palle, il
Sergente Phoenix e
l’ultima compagnia che li aveva raggiunti in fretta e furia,
lasciandosi alle
spalle una serie di vittorie ottenute in Austria. Era capitanata da un
giovincello con un carattere incline ad ignorare gli ordini, il
Sergente
Monkey, ma, nonostante tutte le lettere di reclamo, nessuno lo aveva
buttato
fuori dall’esercito. Dalla sua parte si poteva dire che
avesse una fortuna
sfacciata e una buona dose di coraggio.
“Perfetto.
Hawkins, tu
apri la strada con La Cartomante, a
seguire Red Fury, Fox-trot,
Blue Flame e Sunny.”
Il
convoglio si mise in
marcia, procedendo senza intoppi per parecchie miglia, calmando gli
animi dei
militari e strappando addirittura qualche battuta tra gli uomini seduti
all’esterno
dei carri a prendersi un po’ d’aria.
Quelle
brevi ore di
tregua diedero, inoltre, modo a Law di ambientarsi in quello spazietto
angusto,
situato sul fronte del carro, accanto al pilota, ovvero il tizio col
cappuccio
che aveva scoperto chiamarsi Wire. Era stato affidato a lui e,
contrariamente a
quello che aveva pensato, l’uomo gli aveva spiegato senza
scocciarsi molto
quello che era il suo compito, ovvero orientare una mitraglietta e
sparare a
qualsiasi cosa sospetta che si muovesse. Non credeva che sarebbe
riuscito a
farlo, ma non lo aveva detto, annuendo semplicemente alle informazioni
e assimilando
tutto il resto della spiegazione, ignorando le battutine di Ace, che
aveva la
sua età, forse un anno di più, e godendosi le
sgridate che quell’ultimo si
beccava da Wire e Killer, il cannoniere biondo che si era rifiutato di
tagliarsi i capelli quando si era arruolato, tenendoli legati in una
coda
bassa, ben sistemata dentro al colletto della divisa per non avere
fastidi.
“Apoo,
tappati quella
fogna, prima che ti pianti una pallottola nel cervello.”
Sentì borbottare il
Sergente Eustass. A quanto pareva, tra i due superiori non correva buon
sangue,
ma non erano comunque affari suoi, e tornò a concentrarsi su
quello che gli
stava davanti, ovvero una strada all’apparenza infinita,
fangosa e desolata,
costeggiata da una fitta boscaglia che gettava ombra sui veicoli,
riparandoli
dal sole che era sbucato timido tra le nuvole.
Vicino a
lui, Wire
pilotava Red Fury, canticchiando
una
canzoncina di cui non afferrava bene le parole, ma che lo metteva
ugualmente in
agitazione data la melodia funerea. Ci volle poco prima che Ace li
deliziasse
con una delle sue imprecazioni.
“Flame, la smetti?” si
alterò il pilota, smettendo di cantare e
dando un pugno alla leva della frizione, facendo sobbalzare lievemente
il
carro.
“Arrenditi
Bible, non riuscirai a
convertirci.”
rispose il moro, mostrandogli il dito medio con un sorriso da schiaffi.
“Ha
ragione. Lo sai che
siamo casi disperati.”
“Killer,
non ti ci
mettere pure tu!”
“Impara
a farci
l’abitudine, Wire.”
“Capitano, non stai dalla mia
parte?”
Kidd
sogghignò,
estraendo da un pacchetto di carta una sigaretta, offrendone anche a
Killer,
accomodato alla sua sinistra, alla postazione di mitragliere.
“E
tu, novellino? Sei
credente?” chiese Wire, rivolgendosi a Law e guardandolo
speranzoso.
Era uno
sguardo quasi
disperato, tanto che Trafalgar decise di essere sincero e
accontentarlo,
conscio che lo avrebbero preso in giro, ma tanto era certo che lo
avrebbero
fatto in ogni caso per altri motivi. “Si.”
“E
di che orientamento?
Cattolico?” domandò Ace, sporgendosi
dall’alto verso di lui. Non ottenendo
risposta, inclinò un sopracciglio. “Nah, sei
protestante, giusto?”
Law
annuì.
“Che
palle, ce ne
bastava uno di santo. Non pensate minimamente di mettervi a recitare il
rosario, chiaro?” li avvisò, strappando una risata
a Killer e ad Eustass.
Wire
roteò gli occhi al
cielo. “Mi chiedo come mai la tua lingua non brucia ogni
volta che ti fai beffe
di argomenti sacri.”
“Ehi,
Wire, secondo te
Dio ama Hitler?” fece ad un certo punto Killer.
L’interpellato
rimase
in silenzio, ponderando bene la risposta da dare in quel caso. Certo,
quell’uomo non stava facendo delle belle cose, soprattutto
non aveva un minimo
di carità cristiana, ma era pur sempre un uomo, solo con la
ragione deviata.
“Beh, si, ecco. Insomma, è stato battezzato,
quindi credo che…”
“Ma
non dire
stronzate!”
“Se
ama noi, di sicuro
avrà misericordia anche per…”
“Chiudi
il becco!” fu
la secca risposta di Ace, che non riusciva a sentir parlare di morale
per più
di cinque minuti. Con il lavoro che facevano dubitava che avrebbero
ottenuto un
posticino in Paradiso, forse nemmeno nella periferia del Purgatorio.
Per
Trafalgar Law, in
ogni caso, quei discorsi non stavano ne in Cielo ne in Terra e aveva
pure
smesso di ascoltare tutte quelle chiacchiere inutili, guardandosi
attorno e
osservando gli alberi che superavano mano a mano che avanzavano.
Si
irrigidì e fu sicuro
di essere impallidito quando si accorse di una sagoma che si muoveva
dietro le
foglie e guardò più volte il mitra che reggeva
tra le mani, indeciso se sparare
o meno, mentre le parole di Wire gli risuonavano in testa come un
mantra: ‘spara, spara, spara ad
ogni cosa che si
muove’.
Ma lui
non poteva
sparare ad un bambino, proprio non ce la faceva.
Il
respiro gli mancò
del tutto quando un fischio gli assordò per un momento i
timpani, seguito
successivamente da un boato che causò l’orrendo
finale di quella giornata
iniziata storta.
Il carro
armato che
guidava la spedizione, La Cartomante,
venne colpito e il Sergente Hawkins, il quale teneva d’occhio
la strada, venne
investito dalle fiamme provocate dal colpo, rotolando a terra e
dimenandosi per
il dolore, talmente sconvolgente che, in un attimo, Law lo vide
estrarre la
pistola e spararsi alla tempia.
Nel
frattempo, gli
altri si erano messi in allerta ed Eustass Kidd era saltato
giù da Red Fury e si era
inoltrato nella
vegetazione, sparando una serie di pallottole al corpo che si stava
allontanando di corsa e beccandolo alle spalle, trivellandolo
ugualmente di
colpi anche una volta che fu caduto.
Fortunatamente,
il
carro si era fermato e Law poté scendere e vomitare,
reazione lecita quando
capitava di vedere il cervello di qualcuno schizzare via, incurante
dell’agitazione del resto del plotone.
Non si
accorse nemmeno
del ritorno del Sergente Eustass fino a quando quello non lo
afferrò per la
collottola, rimettendolo in piedi con la forza, ma senza mollare la
presa,
strattonandolo invece rudemente e con l’aria incazzata.
“Perché
cazzo non gli
hai sparato?” lo sgridò, furente.
“I-io
non lo sapevo.
Non sapevo che… era solo un bambino.”
balbettò Trafalgar, ancora scosso e non
totalmente presente con la testa. Hawkins era morto. Si era ammazzato
per non
soffrire. Era morto, morto, morto. Sotto al suo naso.
“Devi
capire che ogni
cosa che si muove, che striscia, che respira deve saltare in aria. Che
siano
uomini, donne, vecchi o bambini, devono morire tutti.
Chiaro?”
“S-si.”
“Non
ho capito!”
“Sissignore!”
urlò Law,
desideroso solo di essere lasciato in pace.
Venne
accontentato e,
una volta risalito sul carro, si estraniò completamente,
fingendo di non vedere
l’occhiata di Wire, tra il dispiaciuto e il comprensivo,
dimenticando per un
istante di essere lontano da casa, in guerra e alla guida di un cazzo
di carro.
“A
questo punto apriamo
noi la strada.” decretò Kidd, avvisando il resto
della compagnia e riprendendo
la marcia nel silenzio più totale. Già erano in
minoranza, un carro armato in
meno non ci voleva proprio, ma avrebbe raggiunto la prossima base a
tutti i
costi, fanculo i nazisti.
*
Gli spari
si udivano
forti e chiari persino a quella distanza. A coprire la radura dove i
loro
alleati erano incastrati e circondati, c’erano una fila
abbastanza folta di
piante e alberi, l’espediente perfetto per poter piazzare i
carri il più vicino
possibile al campo di battaglia senza essere avvistati troppo presto
dai
nemici.
“Allora,
chi è fuori si
allinei dietro i carri che apriranno la strada. Faranno fuoco non
appena ci
vedranno, dobbiamo solo individuare da dove puntano e colpirli fino a
distruggerli.” informò Kidd, parlando attraverso
una ricetrasmittente
posizionata in tutti e quattro i carri in modo da aggiornare anche gli
altri
tre Sergenti, mentre i soldati a piedi si posizionavano dietro i
veicoli per
non venire presi di mira prima del tempo.
“Saranno
nascosti al
limitare del bosco dall’altro lato della radura.”
sentenziò il Sergente
Phoenix, scambiandosi un’occhiata con Eustass, il quale
annuì, dandogli
ragione. La strategia, comunque rimaneva invariata, perciò
tutti si sistemarono
ai loro posti, i Sergenti rientrarono nei carri per impartire gli
ordini e le
torrette furono orientate.
“Forza
ragazzi, si
balla.”
Wire fece
partire Red Fury improvvisamente,
facendo
rimbalzare tutti all’indietro e strappando una risata a
Killer e un urlo di
battaglia a Ace, il quale si piazzò immediatamente alla sua
postazione, pronto
a caricare un bel po’ di pallottole formato carro armato.
I primi
colpi li
raggiunsero dopo circa trenta metri, provenienti da un punto in
particolare
davanti alloro, nascosto tra gli alberi.
“Killer,
lo vedi?”
chiese Kidd, osservando l’esterno e cercando di intravvedere
qualcosa di utile,
mentre i colpi continuavano a piovere su di loro ad intermittenza,
fortunatamente senza colpirli pesantemente.
“Aspetta,
aspetta.”
rispose il biondo, chiudendo un occhio e guardando meglio dal mirino.
Riusciva
ad adocchiare le scie dei missili, doveva solo orientare la torretta.
“
Beccato! Ace, carica!”
“Arriva!”
gridò il
moro, dando il segnale per iniziare a sparare a raffica contro il carro
armato
nemico. Un paio di colpi ben mirati e poterono vedere tutti chiaramente
una
nube scura alzarsi dal folto della vegetazione.
“Fuori
uno, ne mancano
due.”
“Siamo
a metà strada, Capitano.
Tra poco faranno fuoco di
nuovo.” fece Killer, tenendosi pronto a mirare.
Come
aveva predetto,
infatti, non passarono molti secondi prima che un secondo carro nemico
iniziasse a prenderli di mira. Quella volta era più spostato
rispetto al Red Fury,
perciò per loro era più
difficile individuarlo, ma ci pensarono i compagni
dell’ultimo carro, quello di
Monkey che, dopo uno scontro piuttosto pesante, riuscì a
neutralizzarlo,
rendendo libero il lato destro della radura.
Rimaneva
quello
centrale, ma ancora non avevano ricevuto un attacco e ormai si erano
avvicinati
alle trincee.
“Wire,
occhio a quelli
dentro alle buche.”
“Tranquillo
Ace.”
“Avanti
i soldati a
piedi.” ordinò Kidd, mobilitando gli uomini
appostati dietro i quattro carri, i
quali iniziarono ad avanzare lentamente, sondando il terreno e tenendo
alta la
guardia. Lungo l’attraversamento della radura erano riusciti
ad aumentare di
numero, dando modo ai loro alleati sparsi qua e la di aggregarsi e
riuscire a
venir fuori dalle buche dentro le quali si erano riparati. Si trattava
di un
paio di gruppi che erano andati in avanscoperta e che erano incappati
in una
trappola nazista che, dopo aver neutralizzato i due carri, li aveva
tenuti
bloccati lì, prendendoli costantemente di mira e sparando ad
ogni uomo che
aveva tentato di alzarsi per scappare.
Alcuni
mitra sbucarono
dal suolo e i tedeschi iniziarono a contrattaccare, bersagliando gli
americani
e i carri.
“Novellino,
tieniti
pronto a fare fuoco.” disse Wire, dando un colpo al braccio
di Law che, di
nuovo teso e nervoso, prendeva in mano i comandi della mitraglietta,
guardando
fuori.
“Killer,
fa un po’ di
piazza pulita per piacere.”
“Subito
Kidd. Ace,
carica.”
“Arriva!”
Law
poté vedere
chiaramente il terreno rompersi davanti ai suoi occhi, mentre zolle di
terra
schizzavano in aria assieme a corpi distrutti in mille pezzi. Si
trattava del
nemico, ma non riusciva a capacitarsi di come le persone potessero
sentirsi
tanto tranquille ed euforiche nel spegnere una vita in quel modo. Lui
era stato
abituato a salvare la gente, non a spedirla all’altro mondo.
Un colpo
particolarmente vicino fece sobbalzare il carro armato Foxtrot
e, anche se il Sergente Kidd si lasciò scappare un sorriso
compiaciuto, si mise subito in allerta per trovare l’ultimo
carro nazista e
mettere fine a quello scontro.
“Ehi,
Phoenix, lo
vedi?” domandò Eustass, parlando tranquillamente
alla radio.
“E’
più o meno davanti
a noi.” gracchiò la voce del Sergente del Blue
Flame dall’altro capo.
“Maledizione,
ma non sa
essere più preciso?” bofonchiò Ace con
dell’esplosivo in mano, voltando il capo
e fingendo di tornare al suo lavoro quando si accorse
dell’occhiataccia di
Kidd.
“Dammi
le coordinate e
facciamo fuoco assieme. Avvisa anche quell’idiota di
Apoo.”
“Ricevuto.”
Wire
avanzò di qualche
metro, svoltando a destra e Killer orientò la torretta dopo
che Ace ebbe
caricato il colpo, pronto per ricaricare ancora se fosse stato
necessario,
mentre anche Foxtrot e Blue Flame si misero in posizione.
Spararono
uno dopo
l’altro, mitragliando la stessa area ed esultando nei
rispettivi carri quando
notarono chiaramente l’ultimo nemico saltare in aria, poco
preoccupati dei
tedeschi rimanenti e disposti nel terreno davanti a loro.
“Ehi,
novellino, li
vedi quelli stesi a terra?”
Law
sussultò, spostando
lo sguardo verso il punto che Wire gli aveva indicato e vedendo solo
corpi
immobili.
“Sono
morti.” Gli fece
presente, guardando il compagno in modo stranito e con gli occhi
leggermente
più spalancati del solito per l’agitazione.
“No,
non ne siamo
certi. Spara di nuovo, avanti!”
“Ma
sono morti!” alzò
la voce Trafalgar, sentendosi sempre peggio e percependo il battito del
cuore
esplodergli nel petto. Cazzo, non si muoveva nessuno, erano trapassati,
che
bisogno c’era di infierire ulteriormente? Per quale motivo,
poi?
“Ehi,
moccioso, davanti
a te! Spara, spara!”
Law
avrebbe dovuto
accorgersene, invece lo aveva visto prima Ace, alle sue spalle e con
altri
compiti da eseguire, ma il novellino doveva ancora imparare il mestiere
e
sembrava non volersi concentrare più di tanto.
“Cosa
stai aspettando?”
lo sgridò Wire accanto a lui.
“Si
è inceppato, non
funziona!” strillò Law, preso dal panico, non
sapendo più che tasti premere e
dove mirare.
Fu Killer
a sistemare
il problema, vedendo che nessuno si decideva a fare qualcosa,
perciò mosse la
torretta, disse ad Ace di caricare un proiettile un
pochino più piccolo e fece praticamente esplodere
un nazista,
sfregandosi le mani e annuendo tra sé e sé per
l’ottima mira, incurante che
sotto di lui Wire scuoteva il capo esasperato, mentre Trafalgar era nel
bel
mezzo di un attacco isterico.
“Basta!
non ne posso
più, cazzo. Non ce la faccio!” gridava, tenendosi
la testa fra le mani e
mordendosi le labbra, cercando e sperando di scomparire, tappandosi le
orecchie
per non sentire più nulla.
“Copilota
fuori
controllo.” mormorò distrattamente Killer.
“Fuori di testa, vorrai dire.”
lo corresse il moro al suo fianco,
osservando la scenata con disgusto, mentre fuori i soldati eliminavano
il resto
dei nemici, rendendo libero e sicuro il campo.
I
Sergenti erano scesi
a terra, guardandosi attorno e guidando gli uomini verso le ultime
trincee,
smantellandole tutte e ottenendo una nuova vittoria. I carri vennero
spenti, i
fucili smisero di sparare e tutti poterono tirare un sospiro di
sollievo.
Furono
organizzati dei
piccoli gruppi per setacciare la zona e controllare che qualche tedesco
non
fosse riuscito a scappare, mentre il resto degli uomini facevano il
punto della
situazione, calcolando le vittime e contano i superstiti.
Fortunatamente,
nessuno ci aveva lasciato le penne e i feriti non erano poi tanto
gravi.
Qualche graffio, un paio di gambe rotte e alcuni fori di pallottole, ma
nulla
di critico o fatale.
Avevano
recuperato
quasi tutti gli alleati rimasti intrappolati. All’appello ne
mancavano una
decina, morti di stenti o a causa delle cannonate, ma nel complesso
avevano
fatto un ottimo lavoro ed Eustass Kidd poteva dirsi soddisfatto
dell’esito
della missione.
Stava
parlando di ciò
con il Sergente Phoenix e con Apoo, quando un gruppo di uomini uscirono
dalla
boscaglia spintonando un superstite che indossava la divisa americana,
ma che
biascicava parole tedesche.
Kidd, non
appena lo
vide, lasciò cadere il discorso che stava facendo e
avanzò tra i soldati, avvicinandosi
al nazista per parlargli, conoscendo lui la lingua.
“Wo
Sie herkommen?
Da
dove vieni?” gli domandò, parandosi
di fronte al poveraccio e fissandolo truce a braccia incrociate,
intimandogli
di rispondere quanto ottenne solo svariati farfugliamenti
incomprensibili.
Allora ripeté la domanda, più minaccioso di prima.
“Bitte,
ich habe Kinder.
Per
favore, ho dei figli.” piagnucolò
in risposta il tedesco, con le lacrime che ormai gli avevano annacquato
gli
occhi, rendendo difficile distinguerne il colore, anche se Kidd sapeva
per
certo che erano azzurri.
Il rosso
alzò gli occhi
al cielo. Non gliene fregava proprio un cazzo della vita di quel
bastardo.
Tutti loro avevano una patria, una casa, una famiglia e un cane da cui
fare
ritorno, invece erano bloccati lì, in mezzo a tutta quella
merda, in quello
schifo di paese e Dio solo sapeva se sarebbero mai tornati indietro.
Molti,
infatti, non ci riuscivano, perciò quelle lamentele non lo
scalfivano
minimamente.
“Anche
Heat ne aveva.”
sussurrò, stringendo i pugni e sputando ai piedi del
nazista. Per colpa della
sua gente, il suo amico non avrebbe più rivisto i suoi
eredi, quindi la sua
coscienza era più che a posto e quello che stava per fare
non lo preoccupava
minimamente.
Si
voltò verso il carro
con gli occhi che lanciavano saette, gridando a gran voce.
“Trafalgar, muovi il
culo e vieni qui!”
Il
diretto interessato
che aveva assistito alla scena da dietro le quinte, al sicuro, si
sentì gelare
il sangue, mentre Wire lo incitava gentilmente ad alzarsi e a non far
attendere
oltre il Sergente che, a quanto pareva, era piuttosto incazzato in quel
momento.
“Meglio
non tirare
troppo la corda.” gli suggerì, prima di vederlo
sparire all’esterno.
Law si
mosse piano,
scendendo dal carro con estrema lentezza, temendo che le sue gambe
avrebbero
ceduto da un momento all’altro, soprattutto alla vista dei
soldati che
obbligavano il prigioniero ad inginocchiarsi a terra, dando le spalle
ad Eustass
Kidd, il quale lo stava aspettando impaziente.
“Vieni,
ragazzo.”
disse, allungando un braccio verso di lui e passandoglielo attorno alle
spalle
quando lo ebbe a portata di mano. Non c’era nulla di
divertente o di
cameratesco in tutto ciò, non era un gesto amichevole, Kidd
non sorrideva e la
faccia di novellino era pallida. Non ridevano ed entrambi non erano
tranquilli,
ma era una cosa che andava fatta, si ripeteva il rosso.
“Lo
vedi quello?”
chiese, indicando il tedesco che continuava ad implorare
pietà.
Law
annuì piano e
deglutendo a fatica.
“E’
un bastardo. E’ il
nemico. Ergo, va eliminato.” concluse, estraendo una
rivoltella dalla cintura e
porgendola al moro, impietrito accanto a lui.
“Fallo.” gli ordinò, mettendolo
alla prova.
Se lo era
aspettato un
rifiuto, ma non di quelle dimensioni.
Law
iniziò ad
indietreggiare, negando con il capo e fremendo dalla testa ai piedi.
No, non
esisteva proprio che gli chiedesse di uccidere un uomo,
l’ultimo, un
prigioniero a sangue freddo. Non l’avrebbe fatto, anche a
costo di venire
punito. Non avrebbe premuto nessun grilletto, mai.
“No,
non posso farlo.”
decretò, fissando il condannato a morte piangere.
“Non voglio.”
“Non
vuoi?” sgranò gli
occhi Kidd. “Ti dico una cosa, Trafalgar: lui non si sarebbe
fatto problemi a
spararti, il contrario di quello che hai fatto tu fino ad ora,
perciò adesso
vieni qui, prendi questa pistola, e gli spari dritto nella
schiena.”
“No,
non lo farò!”
Kidd gli
fu di fronte
in un battito di ciglia, fulminandolo dall’alto della sua
stazza, piazzandogli
la pistola sul petto affinché la prendesse.
“Sparagli, adesso.”
“Uccidimi.”
Sbottò
allora Law, disperato, non sapendo più come andare avanti in
quel casino in cui
era finito. Si sentiva in trappola come un animale, senza via di fuga,
ma per nessuna
ragione voleva sporcarsi le mani, nemmeno se si trattava del loro
nemico. Lui
non era fatto per la guerra, non aveva mai voluto imparare a sparare e
non
desiderava affatto cominciare. Non era un assassino e non voleva
diventarlo,
ma, a quanto pareva, nessuno voleva starlo a sentire o dargli tregua.
Esattamente
ciò che
fece Kidd, stanco di quella giornata che stava diventando troppo lunga,
stanco
di quella vita, stanco di quello stupido ragazzino senza coraggio. Lo
afferrò
saldamente per un braccio, ignorando i suoi immediati tentativi di
ritrarsi e
si portò dietro di lui, stringendogli un polso dietro la
schiena per
immobilizzarlo e cercando di afferrargli l’altra mano,
incappando in una
disperata opposizione di ribellione.
“Forza
ragazzo, forza.”
Gli sussurrò all’orecchio, trovandosi costretto a
trascinare tutti e due sul
terreno, poggiando il mento sulla sua spalla e mollando la presa sul
braccio
per passarlo attorno al collo di Law, in modo da calmarlo facendogli
arrivare
meno ossigeno. Nel frattempo, usava le mani per fargli impugnare la
pistola.
“Dai, premi il grilletto.” disse ancora, fingendo
di non sentire i lamenti del
moro che, con le labbra spaccate a furia di morderle e gli occhi
spaventati
tentava in tutti i modi di opporsi a quella carneficina. “Un
colpo, uno solo.
Premi questo cazzo di grilletto.”
Ma non
c’era verso.
Nemmeno sotto tortura Trafalgar dava segno di voler obbedire. Era stato
una
spina nel fianco fin dall’inizio e continuava a dimostrarsi
tale. Una vera
perdita di tempo.
Al moro,
però, non
importava. Stava rantolando per respirare e cercava di allentare la
presa del
rosso attorno alla sua testa, ma era fatica sprecata. Quel bastardo era
forte,
molto più di lui, e toglierlo di dosso era
un’impresa che non era certo di
riuscire a compiere. Inoltre, iniziava a vedere le cose sfuocate. Non
sapeva se
per la mancanza d’aria o per il senso di nausea, ma per un
momento sperò di
svenire, lo sperò con tutto se stesso, ma non avvenne.
Rimase lucido, conscio dell’attenzione
di tutti puntata su di loro, notando il respiro spezzato da un fremito
di Wire,
con la testa fuori dal carro armato. Si accorse persino dello sguardo
preoccupato di Ace, i cui occhi si spostavano velocemente da lui al
tedesco
inginocchiato a pochi metri da loro. Killer, invece, era a braccia
conserte,
impassibile come sempre.
E lui?
Lui si
stava facendo
mettere i piedi in testa.
“Si
fa così,” sentenziò
a quel punto Kidd, bloccandogli la mano e premendo l’indice
sopra quello di
Law, facendo scattare il grilletto. “Un colpo e tutto
è finito.”
Lo sparo
riecheggiò
nell’aria, trapassando la schiena del prigioniero e facendolo
stramazzare al
suolo sotto allo sguardo dei soldati, dei Sergenti e di Law stesso,
immobile
tra le braccia di Kidd che, ansimando per lo sforzo di tenerlo fermo,
buttava
fuori l’aria con sollievo, maledicendo comunque il mondo
intero per tutta
quella merda di vita che si era ritrovato a vivere.
Respirando
a pieni
polmoni, si alzò da terra, lasciando che il ragazzo
scivolasse sul terreno,
reggendosi a stento sugli avambracci.
Gli
scompigliò i
capelli, senza una ragione precisa. “Bravo figliolo.
Bravo.”
Poi lo
lasciò lì, a
reggersi la testa fra le mani, singhiozzando silenziosamente e
graffiandosi le
tempie con le unghie.
*
“Ehi,
novellino? Forza,
bevi questo.”
Wire,
porgendo a Law
una tazza di caffè bollente, si sedette accanto a lui,
davanti al piccolo falò
che avevano acceso vicino al carro, esattamente come avevano fatto
tutti gli
altri, prendendosi una notte di meritato riposo prima di ripartire
l’indomani
successivo. Non faceva più tanto freddo in quella maniera e
il cibo che si
erano procurati anche grazie alle scorte dei tedeschi aveva reso tutto
molto
più facile, mettendo a molti addirittura il buonumore.
Il
giovane guardò di
sottecchi la tazza, afferrandola per non disturbare troppo Wire, ma
poggiandola
subito dopo sul terreno, ignorandola e tornando a fissare il fuoco,
stringendosi nelle spalle.
Rimasero
in silenzio e
Law ringraziò Dio per la silenziosa presenza del tizio
incappucciato, ma si
rese conto di averlo fatto troppo presto quando li raggiunse Killer, il
quale
aveva deciso di diventare gioviale tutto d’un tratto.
“Non
devi avercela con
il Capitano.” disse
casualmente, come
se quello che era successo nel pomeriggio non fosse stato poi
così grave, “Lo
fa perché ci tiene.” chiarì, mettendosi
comodo pure lui su una seggiola
sgangherata.
Le
sopracciglia di Law
si inarcarono tanto da strappare un sorriso al biondo, incitandolo a
continuare, consapevole che le sue parole potevano risultare molto,
molto
strane.
“A
modo suo, si prende
cura di noi. Potrà avere dei difetti, tanti
difetti, te lo concedo, ma non c’è
nessuna squadra unita come la nostra. E
il merito di questo è suo.”
Wire
annuì con
convinzione. “Esatto. Lui ci protegge, sempre.”
“Giusto!”
fece
improvvisamente la voce di Ace, cogliendoli di sorpresa e aggiungendosi
a loro,
accovacciandosi a gambe incrociate giusto vicino a Law, piazzando il
viso sotto
al suo naso e guardandolo dritto in faccia, fissandolo con
quell’espressione
strana, accompagnata dal suo sguardo un po’ folle.
“Siamo una famiglia, noi.”
“Vi
ricordate quella
volta in cui Killer è svenuto dopo che una mina gli era
esplosa affianco?”
domandò Wire, abbozzando un sorrisetto divertito.
“Cazzo,
Kidd stava
piangendo come un bambino!” strillò Ace con
entusiasmo, riuscendo a smuovere un
pochino anche Law dal suo torpore e facendo si che iniziasse a
partecipare al
loro cameratismo.
Sembrò
funzionare,
almeno fino a quando non sentirono qualcuno schiarirsi la voce alle
loro
spalle.
Voltandosi,
poterono
ammirare il Sergente Eustass, in piedi esattamente a pochi passi di
distanza,
una sigaretta tra le mani, un sopracciglio alzato in
un’espressione scazzata e
i piedi ben piazzati a terra. Dava la sensazione di essere imbattibile,
una
specie di eroe e metteva anche un certo timore nel guardarlo. Proprio
per
quello Ace aveva spostato lo sguardo altrove e Wire aveva finto di
stare
leggendo qualche passo della sua Bibbia tascabile. Killer, al
contrario, se ne
era fregato e aveva sogghignato in direzione del suo migliore amico con
i
capelli rossi.
Kidd
decise di ignorare
le balle stratosferiche che quei tre coglioni avevano iniziato a
raccontare, li
avrebbe puniti sul campo, ovviamente, ma al momento ciò che
lo premeva era
altro.
Osservò
Trafalgar, avvolto
in una coperta logora e sicuramente non confortevole. Sembrava
sciupato, con le
occhiaie profonde e gli occhi gonfi. Forse aveva frignato
più del previsto per
il modo irruento con cui era stato introdotto alla vita militare. Ad
ogni modo,
se voleva avere una possibilità di uscirne vivo, sia lui che
tutta la sua
squadra, moccioso compreso, doveva avere i suoi uomini dalla sua parte
e
dovevano avere fiducia in lui. Tutti, nessuno escluso.
“Trafalgar.”
lo chiamò,
mentre il ragazzo alzava di scatto il mento verso di lui, fissandolo
dal basso
con malcelato risentimento che, prontamente, Kidd fece finta di non
vedere.
“Non hai messo niente nello stomaco. Mangia qualcosa,
forza.”
Non
voleva vedere
nessuno arrancare per la fatica, gli serviva che ogni soldato fosse
fresco come
una rosa e pronto a ricominciare.
Si
scambiò un’occhiata
d’intesa con Killer prima di girare i tacchi e andarsene,
lasciandoli
tranquilli di alzare un po’ il gomito e tornando dal resto
dei Sergenti
appostanti accanto al Blue Flame.
Anche se Apoo gli stava sul cazzo e odiava la sua compagnia, aveva
alcune cose
in sospeso da chiarire con gli altri riguardanti la spedizione del
giorno
seguente. Più tardi avrebbe sicuramente concluso la serata
con la sua
squadriglia.
“Sentito
il capo?
Meglio se metti qualcosa sotto ai denti.” lo riprese
bonariamente Wire,
muovendosi per cercare qualcosa di commestibile nel campo improvvisato
che
avevano allestito. “Ah, e fa in modo che lui ti veda, farsi
imboccare non è una
bella esperienza. Ace te lo può assicurare.”
“Stronzo,
ti avevo
detto di lasciar stare quella storia!” si inalberò
il corvino, stappando una
bottiglia di birra da quattro soldi e attaccandosi al collo, bevendone
una
generosa sorsata.
Killer lo
osservò
accigliato per un po’ prima di illuminarsi come una lampada.
“Non dirmi che hai
deciso di farlo!” disse alzand la voce ad ogni sillaba,
indicando il compagno
con una mano e portandosi l’altra a scostarsi i capelli dal
collo.
Wire per
poco non fece
cadere il piatto che stava consegnando a Law. “Cosa? Sul
serio? Lo vuole fare?”
Per la
prima volta da quel
pomeriggio, Trafalgar decise di aprire bocca. “Fare
cosa?” chiese curioso,
afferrando la sua cena prima che finisse nel fango. Fanculo
l’orgoglio, aveva
una fame da lupo.
Wire si
riscosse e
tornò ad occupare il posto accanto al novellino, riflettendo
su come
spiegarglielo. Alla fine optò per esse pratico e chiaro,
così chiese a Killer
di afferrare saldamente Ace e di alzargli la maglia, dato che si era
tolto la
divisa per stare comodo. Tempo qualche secondo di zuffa durante la
quale il
corvino venne immobilizzato e Law poté spalancare gli occhi
davanti alla cosa
più affascinante che avesse mai visto nella sua, seppur
breve, carriera di
medico.
Sulla
schiena di Ace
spiccava un’orrenda cicatrice che aveva deturpato tutta la
pelle in superficie,
rendendola più scura rispetto a quella normale e in risalto.
Probabilmente, al
tocco sarebbe risultata ruvida, come la pelle di un anziano. Aveva una
forma
quasi circolare e copriva gran parte delle scapole. Per i suoi occhi
era uno
spettacolo inquietante.
Quando il
giovane
iniziò ad avere la pelle d’oca, Killer lo
lasciò andare, accettando senza
storie il dito medio che Ace gli rivolse per averlo mezzo spogliato.
“Sai
che non voglio che
la gente mi guardi.” gli sibilò.
“Non
ti ha visto
nessuno.” ribatté il biondo con calma.
“E comunque hai deciso di farlo, quindi
che problema c’è?”
Trafalgar
sbuffò e Wire
lo interpretò come un segnale per raccontargli la storia del
loro caricatore.
“E’
successo l’anno
scorso. Ace aveva da poco compiuto vent’anni e ci trovavamo
in missione,
diretti proprio qui, in Germania. Non si trattava di nulla di
impegnativo, solo
uno spostamento e ci affiancava il Blue
Flame. Sono in gamba quei ragazzi, anche se sono dei cazzoni
esaltati. Ad
ogni modo, quei cani dei nazisti ci hanno teso un agguato. Stavamo
procedendo a
piedi, eravamo circa venti persone e due carri, ma quegli schifosi
erano
ovunque. Hanno iniziato a bersagliare il suolo e avevano piazzato delle
mine
antiuomo. Eravamo quasi fuori dalla linea di tiro, quando questo
cretino decide
di tornare indietro.” disse pacato, gettando
un’occhiata intensa e veloce al
corvino di fronte a lui, intento a bere, forse per dimenticare,
rischiando di
strozzarsi quando Killer gli diede uno scappellotto sulla zucca, forse
per
ricordargli la sua imprudenza. “Me lo sono immaginato su una
bara, sepolto in
mezzo a un campo, quando tutto esplose e non vidi più nulla.
Lo credevamo morto!”
“Grazie
tante.”
farfugliò il diretto interessato, passando ad una seconda
bottiglia.
“E
poi, ecco che dai
fumogeni esce il Sergente Phoenix con lui tra le braccia. Grondante di
sangue,
con la schiena squarciata e più nell’altro mondo
che nel nostro, ma ancora
vivo.” concluse Wire, sospirando e sorridendo quasi con fare
fraterno al
ragazzo dai capelli neri e gli occhi sfuggenti.
Law
sbatté le palpebre
incredulo, con la forchetta a mezz’aria e la faccia di chi
non credeva alle sue
orecchie. Stranamente, però, si sentì tranquillo
e pure sollevato per la buona
sorte toccata ad Ace. Gli piaceva l’amicizia che li legava e
vederli tanto
uniti faceva sembrare tutto meno barbaro di come appariva da fuori.
Ace
ingoiò un altro
sorso e poi fece una smorfia schifata. Quella birra doveva essere
davvero
disgustosa. Alla fine, invece, Trafalgar scoprì che era solo
un riflesso per
quello che stava per dire.
“Stupido
Marco.”
*
“Quindi
il Sergente
Phoenix l’ha salvato.”
“Esatto.
E lui non lo
sopporta.” annuì Wire, osservando il caricatore
bere la quarta birra
consecutiva. “Dice che il suo orgoglio è
ferito.”
Killer
sbuffò, scuotendo
il capo. “Che stronzate.”
“Tu
n-non capisci,
vec-chio mio.” balbettò Ace, faticando a tenere
gli occhi aperti e tentando di
appoggiarsi alla spalla del biondo, mancandola di parecchi centimetri.
“E
cos’è che ha deciso
di fare?” domandò Trafalgar, incuriosito e
preoccupato, studiando gli effetti
che poteva comportare l’assunzione di alcool scadente. Si
chiedeva tra quanto
il corvino avrebbe iniziato a vomitare l’anima.
Wire
sogghignò con un
lampo di divertimento negli occhi. “Vuole
dichiararsi.”
Ace
sputò la birra,
Killer scoppiò a ridere e Law strabuzzò le iridi
grigie, più stupito che mai. Aveva
dimenticato l’accaduto delle ore precedenti e si stava
godendo la serata,
beandosi del calore del fuoco e dell’atmosfera pacifica che
lo circondava.
“Sai,”
continuò Wire,
dandogli una gomitata allusiva, “E’
innamorato.”
“Io
lo o-dio!” sbottò
un Ace furente, alzandosi in piedi troppo velocemente e ricadendo col
sedere
sulla polvere, scatenando l’ilarità generale.
Persino Law si trovò a stendere
le labbra in un piccolo sorriso. Sarebbe quasi stato credibile, se non
fosse
stato ubriaco.
“Certo,
certo.” lo liquidò
Killer, aiutandolo a rimettersi in equilibrio sulle sue gambe magre.
“E’
l’ennesima volta che si ubriaca per andare a parlargli, ma
ogni volta si ferma
a metà strada e scappa.”
“Questa
volta.” iniziò
a parlare il giovane con aria seria e solenne, prendendo un respiro
profondo.
Tutti attendevano il seguito della frase, ma anziché parole,
ne uscì fuori un
rutto tremendo che fece alzare gli occhi dei tre soldati al cielo.
“Il
serbat-oio è
p-pieno. Io vado. Auguratemi b-buona fortu-na!”
biascicò, ubriaco marcio e
instabile, avviandosi verso il Blue Flame
che sembrava deserto, probabilmente perché la squadra si era
spostata per stare
più vicina agli altri, staccando un po’ dalla
solita monotonia.
“Dieci
dollari che non
lo fa.” esclamò Wire, stiracchiandosi e srotolando
il suo sacco a pelo.
“Quindici
che vomita
sulle scarpe di Phoenix.” aggiunse il cannoniere, tranquillo.
Sembrava quasi
che scommettessero da tempo sulle intenzioni di Ace.
Law lo
osservò
camminare ostinato, incespicando spesso, ma continuando a puntare
dritto verso
la sua meta e ammirando un pochino il coraggio e
l’ostinazione che ci metteva.
Era troppo sicuro di sé per mollare sul più bello
e per lui le persone erano
libri aperti: le leggeva al volo.
Sogghignò.
“Venti che
ci riesce.”
*
Era buio
tutt’attorno a
loro e da quel dislivello sul terreno, dentro al quale si erano
accovacciati,
appoggiati l’uno alla spalla dell’altro, le luci
dell’accampamento non si
vedevano, ma si sentivano solo il vociare indistinto e qualche risata
troppo
sguaiata.
“Vorrei
sapere perché
sei sempre ubriaco ogni volta che vieni a parlarmi.”
sussurrò il Sergente
Phoenix, osservando il cielo quasi nero, ma puntellato da una miriade
di
stelle. Non faceva nemmeno tanto freddo; a dire la verità,
il calore che veniva
dal corpo di Ace era sufficiente a farlo sentire a suo agio.
Il moro
si accomodò
meglio sull’erba, soffiando una boccata d’aria che
sapeva di birra. “E’ più
facile sopportarti.” borbottò, un po’
scontroso come al solito, anche se era
sempre lui ad invitare il biondo a fare due passi, senza mai, tuttavia,
chiacchierare molto.
Marco si
voltò a
guardarlo e sorrise, sinceramente divertito. Gli piacevano quei momenti
passati
in compagnia di quel ragazzino un po’ pestifero e strano. Si
sentiva in pace e
spesso si trovava a ridere di gusto davanti al comportamento
incomprensibile di
Ace.
“E’
più facile
ammettere che ti piaccio.” lo punzecchiò,
osservando il suo viso voltarsi di
scatto verso il suo, mentre le pupille si dilatavano per la sorpresa.
Ma alla
fine Ace
sorrise, quasi con malizia, e alzò il mento con
altezzosità in segno di sfida,
come solo lui sapeva fare, risultando a volte fastidioso, altre
irritante e
altre ancora attraente. Non era poi tanto ubriaco, solo era bravo a
fingere. “Forse.”
mormorò, tornando a puntare il capo verso il cielo sopra di
loro.
Finiva
sempre in quel
modo, senza troppe parole o troppi gesti. Stavano bene e restavano in
silenzio,
il resto non serviva.
*
Trafalgar
se ne stava
rannicchiato accanto al falò con la mente in un dormiveglia
confortevole. Era
mezzo conscio di essere solo, mentre il suo corpo era rilassato, merito
anche
della schifosissima birra con cui Killer gli aveva corretto il
caffè, quel
bastardo infame.
Stava
quasi per
addormentarsi, cullato dal rumore non troppo esagerato delle
incitazioni che i
soldati stavano dando a due carri di distanza, piazzati davanti al
carro armato
Sunny, davanti dove due dei
subordinati del Sergente Monkey si stavano prendendo a scazzottate.
Wire gli
aveva spiegato che quella squadriglia era la più sgangherata
di tutte e alcuni
componenti non si erano nemmeno arruolati nell’esercito, ma
erano stati raccattati
a bordo per caso dal comandante perché gli erano sembrati
simpatici.
Quelli
che in quel
momento avevano deciso di dare spettacolo erano due giovani
dall’energia
inesauribile, visto e considerato che si menavano a suon di bastonate e
calci,
ma Law aveva comunque rifiutato l’invito di andarli a
guardare, preferendo
restarsene tranquillo a cercare di prendere sonno, sperando di dormire
fino al
mattino seguente senza incubi o tormenti.
Ad un
tratto, però,
alcuni passi lo disturbarono, riportandolo alla realtà con
un sussulto quando
una mano si posò sulla sua spalla, picchiettandola
leggermente.
“Tutto
a posto?” si
sentì domandare, ritrovandosi a sbattere le palpebre sugli
occhi assonnati
prima di mettere a fuoco la faccia conosciuta di Kidd, in piedi al suo
fianco
che lo guardava piegato su di lui.
Voltò
il viso
dall’altra parte, stringendosi meglio nella coperta e
annuendo poco convinto.
Non aveva
ancora voglia
di parlargli e non voleva nemmeno ricordare quello che era successo,
anche se
era ben consapevole che per quello ci sarebbe voluto molto tempo. Nella
sua
mente, comunque, aveva collegato la faccia del Sergente con quel
trauma, perciò
meno lo vedeva e meglio stava.
“Hai
mangiato?”
Annuì
di nuovo,
fissando il fuoco e mantenendo la calma. Sentiva il petto stringere,
come se
una morsa lo stesse stritolando da dentro. Aveva voglia di urlare, di
prendere
a pugni qualcosa, di sfogarsi.
“Non
tenermi il muso.”
fece con ironia Kidd, “Con me non funziona.”
Law
mollò la tazza e si
tolse di dosso la coperta nel giro di un paio di secondi e nel medesimo
tempo
il rosso si ritrovò faccia a faccia col novellino che,
nonostante fosse più
basso e decisamente più minuto, lo stava chiaramente
affrontando.
“Smettila
di darmi
ordini.” sibilò Law, pronunciando lentamente ogni
singola parola e facendo in
modo che grondassero di rabbia e minacce non espresse. Era una cosa che
aveva
sempre detestato, fin da quando era un bambino. La gente gli diceva
sempre cosa
fare, cosa non fare, dove andare, dove non andare, chi frequentare e
chi no, e
lui ne aveva fin piene le palle di permettere agli altri di decidere al
suo
posto. In ogni caso, aveva scelto un pessimo momento e il luogo meno
adatto
dove decidere di prendere in mano la situazione per capovolgerla.
Soprattutto
perché Kidd era il suo superiore ed era difficile che non
gli desse ordini, di
ciò ne era conscio, purtroppo, ma aveva ancora abbastanza
energie in corpo per
buttarsi in una sana discussione.
Non
sapeva sparare, ma
con le parole era capace di ferire chiunque.
“Mi
sembra che tu abbia
fatto comunque quello che hai voluto.” ribatté
Kidd, non rifiutando il piede di
guerra del moro, il quale si era aspettato una risposta differente e
molto,
molto più stupida. Forse lo aveva giudicato male: non era un
infame senza
cervello, ma solo un infame e basta.
“Beh,
allora piantala
di tormentarmi!”
Se prima
era stato lui
ad attaccare, toccò a Kidd la mossa seguente.
Afferrò
Law per il
bavero della giacca, strattonandolo ad un soffio dal suo viso e
piantando le
sue pupille di fuoco in quelle gelide del ragazzo. “Apri gli
occhi, Principessa, siamo in
guerra. E’
brutale, è ingiusta, fa schifo, ma è questo e
molto peggio. Facci l’abitudine e
impara a difenderti e a non avere pietà. Nessuno qui ce
l’avrà per te.”
Lo
lasciò andare,
facendolo tornare con i piedi per terra
e congedandolo con una spinta sul petto che quasi lo fece
cadere se non
fosse stato bravo a rimettersi in equilibrio.
“Buonanotte,
Trafalgar.” aggiunse, più per sfotterlo che per
buon augurio, prima di
scomparire nel campo.
“Ma
vaffanculo.” fu la
secca risposta del moro, completa di sguardo omicida e dito medio
rigorosamente
alzato.
Angolo
Autrice.
Buongiorno
a tutti!
Oh si,
avete ragione,
questo capitolo non ha proprio niente a che fare con tutto il resto,
è davvero
qualcosa di nuovo e malsano, giusto per movimentare gli animi e per
incasinare
ulteriormente la mia vita, visto che non so accontentarmi.
MA! Ma
c’è un ma. Per
bontà divina, -no, non è vero, è solo
perché mi sono presa quasi
per tempo- questa mini (LOL) long
l’ho praticamente, ripeto quasi,
conclusa, quindi non
passeranno secoli e secoli, amen,
prima
di vederla conclusa.
Il fatto
è che ho visto
un mesetto fa, circa, il film Fury
e,
beh, è inutile stare a dirvi che mi sono innamorata, che
l’interpretazione di
Logan Lerman è stata proprio bella, compresa quella di Pitt
che, anche se non
sono una fan di nessuno dei due, mi ha fatto tipo morire durante tutta
la
storia, ma pace. Da ciò l’idea di fare una One
Shot.
W-wait,
what?
Volevo
dire, ALL’INIZIO
doveva essere una ONE SHOT, ma dopo oggi ho capito che non sono capace
di scriverle
perché divento incredibilmente prolissa e non riesco a
concludere nulla con un
solo capitolo di dieci pagine e passa. Fanculo a me, ok? Già
mi sembra poco e
spero che ci abbiate afferrato qualcosa.
Si,
insomma, siamo in
guerra contro i nazisti e bisogna ucciderli, punto.
Quindi,
si ci saranno
altri capitoli. In teoria saranno tre, ma sto finendo ora il terzo e
non so ce
mi basteranno, perciò probabilmente concluderò
con un quarto. La tempistica per
la pubblicazione, invece, non la so ancora, dipende come va a finire
con le
ultime battute. Forse sarà una alla settimana, ma se finisco
prima accelero i
tempi anche. Sinceramente volevo aspettare a finirla, ma ci tenevo
tanto e
niente, volevo solo condividerla e consigliarvi il film se vi piace il
genere.
Ho preso
un po’ spunto
dalla linea temporale e dai personaggi, ma il resto l’ho un
po’ stravolto,
perciò non preoccupatevi degli spoiler, conto di modificare
un pochino pure il
finale, anche se sarebbe giusto non farlo, ma LOL, mi conoscete ormai.
Quasi dimenticavo: io non so il tedesco ok? Le frasi spero siano giuste e se qualcuno lo studia e trova degli errori è invitato ad avvisarmi che li correggo! Sono le uniche, ma preferisco che vadano bene, grazie ^^
E quindi
niente, buona
domenica e buona fine delle vacanze per chi ricomincia la scuola,
l’università
o il lavoro che sia.
Alla
prossima!
See
ya,
Ace.
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