Not Gay!
Not
Gay!
L'assoluta, totale quiete, al londinese 221b di Baker Street, era
un'ospite tanto gradita quanto rara e questo la Signora Hudson - la
padrona di casa, nient'affatto la domestica - e il Dottor Watson -
medico e soldato con la prontezza di salvare vite umane o stroncarle
all'occorrenza - lo sapevano. E ci avevano bene o male fatto il callo.
Non era Natale quel giorno, né coincideva con altre
festività che avrebbero arrecato scompiglio alle strambe
non-abitudini di Sherlock Holmes.
Era esattamente un giorno come tanti altri e come in ognuno dei tanti
giorni vissuti al 221b, il Dottor Watson stava leggendo le notizie di
rilievo comodamente affondato nella poltrona divenuta sua, consapevole
che prima o poi l'uomo che condivideva con lui l'affitto
dell'appartamento avrebbe fatto un ingresso creativo in quella stessa
stanza. John Watson non si sarebbe scomposto più di tanto
nemmeno se il suo coinquilino e amico Sherlock Holmes fosse spuntato
senza preavviso dal cassetto della biancheria, ritenendolo capace di
questo ed altro.
Non si può dire che il Dottor Watson stesse propriamente
aspettando il consulente investigativo suo amico, ma quando ne
sentì gli inconfondibili passi leggeri sulle scale che
conducevano al primo piano da loro abitato si accorse del sorriso che
spontaneamente gli si era dipinto sulle labbra. Che gli facesse piacere
trascorrere del tempo con Sherlock Holmes e che lo trovasse stimolante
non era una novità per nessuno.
Una tacita consapevolezza generale aleggiava perennemente attorno a
John e Sherlock, tanto che in fin dei conti il primo tra i due ci si
era quasi abituato.
L'uscio si aprì senza emettere alcun suono ed un
altrettanto
silenzioso Sherlock Holmes si infilò nel disordine
accogliente
della sua abitazione. Un lieve scatto attestò che l'uomo si
era
chiuso la porta alle spalle.
Mosse qualche passo in direzione di John Watson, poi si
arrestò
elegantemente come soltanto lui sapeva fare. Si voltò verso
la finestra, poi volse gli
occhi
limpidi al caminetto spento, al divano in pelle nera. Osservava.
Il Dottor Watson non mosse un muscolo, aspettando pazientemente che
Sherlock prendesse posto di fronte a lui anche soltanto per condividere
ore di riflessivo mutismo.
Un suono simile ad uno scricchiolio tradì la presenza del
consulente investigativo.
John ebbe la sensazione che l'imponente figura di Sherlock torreggiasse
su di lui, così - improvvisamente a disagio - si
girò e
ciò che vide fu un uomo di una serietà disarmante
che lo
scrutava come in attesa di quel dettaglio che avrebbe dato
definitivamente senso e conferma ad un esperimento. John Watson si
sentì al pari di un composto chimico e, per una questione di
coerenza con se stesso ed il nuovo stato in cui si era venuto a
trovare, reagì. Saltò in piedi neanche avesse un
paio di
molle incollate alla suola delle scarpe, dischiuse le labbra come a
voler proferir parola e scoprì così che le sue
corde
vocali non intendevano collaborare, puntò gli occhi in
quelli
dell'amico e si sentì avvampare tanto intensi erano quelli
di
lui. Ricordò all'improvviso che la Signora Hudson non era in
casa e realizzò solo in quell'istante che lui e Sherlock
erano
dunque completamente soli. Non che fosse la prima volta. Non che
significasse qualcosa in particolare. Contrasse le dita a formare due
pugni stretti, si irrigidì piantandosi sul posto e assumendo
involontariamente la posa di un soldato troppo teso. Abbassò
lo
sguardo e si schiarì la voce, preambolo del fallimentare
tentativo di rivolgere un saluto all'uomo che gli stava di fronte.
Non una scalfitura a minare la compostezza di Sherlock il quale
scivolò lateralmente con un movimento fluido soltanto per
potersi avvicinare a John. Allungare le dita diafane e sottili sul
volto dell'amico sembrò un gesto del tutto naturale, uno di
quelli che si compiono di frequente e con immenso piacere. Un tocco
che, seppur delicatissimo, su una scena del crimine avrebbe certamente
incastrato l'assassino rivelando inappropriate impronte digitali sulla
guancia della vittima. Ma John Watson non era una vittima e Sherlock
Holmes non era l'assassino.
Riguardo al crimine, forse qualche nostalgico puritano avrebbe potuto
storcere il naso e arricciare le labbra in segno di disapprovazione
scuotendo intanto un capo troppo leggero per pensare che possa davvero
contenere un cervello non già quasi totalmente atrofizzato.
Il colorito del medico virò quasi istantaneamente verso un
rosso acceso che sapeva di imbarazzo e stupore. Se solo gli occhi del
celebre consulente investigativo fossero stati in cerca di particolari
utili alla risoluzione di un caso, avrebbero di certo riconosciuto sul
volto di John Watson tutti i segnali tipici di chi è stato
scoperto. Eppure, in quel lungo momento di inattesa
intimità, la trasparenza del suo sguardo era rivolta a
qualcosa che andava oltre la professione, oltre un palazzo mentale in
continua evoluzione, oltre l'ossessione per il crimine e
l'investigazione. Puntava dritto all'anima di colui che lo aveva
seguito sempre e comunque senza porsi troppe domande. Spilli infuocati
a dispetto della glaciale sfumatura, gli occhi di Sherlock trapassarono
gli abiti e la pelle fino a pungere il martellante cuore di uno
spaesato Watson.
Le dita si fecero palmo sulla guancia dell'uomo, un palmo piacevolmente
caldo.
I pensieri nella mente di John avevano toccato invece temperature ben
più elevate causando in lui confusione e paura insieme a
qualcosa che non voleva identificare. Da che aveva memoria non si era
mai interessato, sessualmente parlando, a qualcuno che non fosse una
donna. Oggettivamente belle o meno, in carriera oppure no, coetanee o
con qualche anno in meno o in più, tutte le sue
accompagnatrici avevano in comune la fisicità tipica di un
essere umano di sesso femminile. Provare dunque brividi in serie lungo
la schiena in seguito alla carezza di un uomo, lo allarmava. Ed
eccitava.
Se essere un uomo adulto non gli fosse bastato per rendersi
conto del significato di certe reazioni corporee, il medico che era in
lui sarebbe stato ben lieto di illustrargli passo dopo passo con
dovizia di particolari il perché del battito cardiaco
accelerato, del calore diffuso, dello stomaco stretto in una sequenza
di fastidiosi nodi immaginari, della scarsa salivazione e di una
pronunciata tensione nell'area pubica.
John Watson infine si ritrasse da ciò che provava e da
Sherlock Holmes, lasciando sospesa a mezz'aria la mano di quest'ultimo.
Non fu però in grado di dire alcunché,
autorizzando così l'amico e compagno di tante avventure a
non darsi per vinto.
Quale che fosse il suo nuovo esperimento, ammesso che di questo si
trattasse, stava senza alcun dubbio minando seriamente la
stabilità di John il quale tanto più
indietreggiava quanto più l'altro avanzava verso di lui
senza proferir parola.
Ciò di cui il medico non aveva tenuto conto
nell'allontanarsi dalla propria poltrona - stordito dal caos di
emozioni che gli sconvolgevano mente e animo - e di cui invece il
consulente investigativo era perfettamente conscio, era la presenza di
una seconda poltrona che accolse lui e la sua goffa caduta come meglio
poté.
L'ombra di un sorriso sulle labbra di Sherlock Holmes il quale in un
attimo si fece spazio con le ginocchia ai lati delle gambe dell'amico.
Entrambe le mani adesso sul viso di lui ad esercitare una leggera
pressione atta ad impedire a Watson di distogliere lo sguardo.
Nessuno dei due si preoccupò di contare i secondi di
quell'immobilità, preludio del definitivo sconvolgimento di
entrambi.
Benché Sherlock Holmes sembrasse indossare la solita
maschera inespressiva, a guardarlo bene negli occhi Watson si accorse
di quanto anche lui fosse preda delle proprie sensazioni. Si
domandò se pure l'amico le ritenesse assurde. Si chiese come
entrambi fossero finiti in quella situazione surreale e soprattutto
perché. Prima di poter passare al quesito successivo,
però, l'uomo perse di nuovo il controllo di ogni cosa.
Le labbra di Sherlock Holmes si posarono su quelle di John Watson.
Dapprima gentile e lenta a reclamare uno scandaloso bacio omosessuale,
la bocca del consulente investigativo tentò poi di prevalere
con forza quasi violenta su quella dell'altro, restia a schiudersi. Le
mani sottili ed eleganti, portato a termine il compito di imprigionare
Watson in una posa favorevole, avevano poi conquistato nuovi
centimetri di quel corpo che tante volte era stato così
vicino
al proprio da poterne sentire distintamente l'odore. Dita affusolate
sgattaiolarono oltre la barriera imposta dalla consuetudine non sempre
condivisa da Sherlock di indossare degli abiti in ogni momento della
giornata.
John Watson sentì la pelle infiammarsi sebbene il suo corpo
tremasse ad ogni contatto; in quanto alla mente era così
affollata che neanche l'intervento dell'esercito sarebbe servito a
rimettere un po' d'ordine tra le strade affollatissime di pensieri in
corsa. Il dottore riuscì soltanto a rendersi conto che da un
certo momento in poi smise di opporre resistenza, ricambiò
il bacio, cercò e trovò il controllo delle mani
che utilizzò per toccare Sherlock senza porsi troppe domande
- come del resto aveva sempre fatto con lui -
realizzando di provare un intenso ed innegabile piacere.
L'insistenza di Sherlock lo accendeva. La bocca di Sherlock gli
rimescolava il sangue e gli ormoni. Il peso del corpo di Sherlock sulle
gambe lo eccitava liberando le fantasie sessuali più oscene
che qualcuno fosse mai riuscito a rievocare durante un rapporto.
Proprio lui, che tra i due era sempre stato il più
equilibrato, si sbilanciò volontariamente oltre la linea di
confine che separa il lecito dall'illecito, il casto dall'osceno e si
alzò di scatto sollevando entrambi. Fece presa sui glutei
del consulente investigativo e senza pensarci due volte si
trascinò fino alla camera da letto in mezzo al groviglio di
lenzuola sfatte, segno evidente che non era trascorso molto tempo da
quando la notte aveva ceduto il passo al giorno.
Tra le candide lenzuola scomposte John Watson prese a dimenarsi
sentendo il respiro venirgli meno. Strinse tra le dita un lembo di
tessuto, tirò indietro la testa affondandola nel
cuscino e poi voltandola da un lato e dall'altro tentando di arginare
l'intensità delle emozioni e delle sensazioni in circolo.
Scalciò, si morse il labbro inferiore fino a provare dolore,
riempì di
pugni il materasso e infine urlò.
«Non sono
gay!»
Ancora ansante, John Watson si
scoprì seduto sul proprio letto, in pigiama e completamente
solo, svegliato di soprassalto da
quello che era fin troppo movimentato per essere un sogno e
così poco terrificante da non meritare la definizione di
incubo, perciò convenne con se stesso che doveva
semplicemente essere il risultato della propria immaginazione combinata
con una cena troppo abbondante e la mancata attività
sessuale dell'ultimo periodo.
Non si rese conto di aver gridato davvero forte fin quando vide
apparire sull'ingresso della stanza uno Sherlock Holmes spettinato ed
assonnato nella sua vaga espressione preoccupata.
«E quando te ne sei
accorto? Prima o dopo il sogno erotico su di me?»
domandò retorico l'uomo sulla porta. Poi
sbadigliò e scomparve dalla vista di Watson con la grazia
che caratterizzava ogni suo singolo
movimento perfino quando era avvolto malamente in un lenzuolo,
lasciando il dottore in preda allo sconcerto.
N.d.A.
Dopo tante OS a rating verde in questo fandom ho voluto cimentarmi in
qualcosa che potesse avvicinarsi quanto più possibile ad una
Johnlock. Un
esperimento che ha preso il via con l'intento di meritare un rating
rosso ha preteso invece di diventare quanto avete appena finito di
leggere. Non si può dire che io non ci abbia provato! Quindi
spero che, tutto sommato, il risultato abbia ugualmente soddisfatto le
eventuali aspettative.
È doveroso ringraziare la paziente e geniale Amalia che non solo
si è sottoposta alla lettura in anteprima dello scritto, ma
mi ha anche
gentilmente regalato la battuta di Sherlock che lo conclude. Grazie!
E grazie anche a voi lettori sia che decidiate di lasciare un segno del
vostro passaggio, sia che preferiate il silenzio.
|