bascio alexia
Alexia
Un uomo dalle mille
risorse. Se, come no.
Un bambino che si atteggia da padrone del mondo, mi sembra
più appropriato.
Lo vedo, seduto sulle scalinate della scuola. Sta disegnando. I capelli
riccioluti gli coprono la fronte, e il suo corpo imponente è
rilassato, le lunghe gamnbe semi distese.
Le manica della felpa nera sono arrotolate, lasciano scoperti gli
avambracci sodi e mettono in risalto la sua pelle chiara.
Le mani si muovono con disinvoltura sul foglio e la matita segue i suoi
movimenti alla perfezione. Sorrido: entrambi abbiamo il nostro piccolo
mondo, io di parole, lui figure. Un universo personale che è
un'intimo segreto e rifugio.
Disegna, e le sue labbra stanno tremando dalla concentrazione.
Chissà che sapore hanno...Mi piacerebbe baciarlo. Tanto.
Troppo.
No. E
invece sì. No.
Perchè? Lo
sai perfettamente. Sì, lo so. Ma non me ne
frega più nulla.
Ma non farmi ridere, mocciosa. Non te ne frega nulla di soffrire? Non
credo soffrirò. Chi lo dice? Un bacio, credo non mi
ucciderebbe. Solo uno. E
se lui ti respingesse? Un bacio, piacerebbe anche a lui.
Kris. E lui? Non era per
lui, questo bacio? Kris qui non c'è. Lui non
c'è più. Io voglio lui. È un'illusione. E tu
lo sai. Non
è vero. Voglio lui, e tu morirai. Sono più forte
di te.
Su, vattene. Sei solo un fantasma, uno schifoso fantasma che tiene in
vita qualcosa che è morto da tempo. Un parassita nella mia
testa, che risucchia i miei pensieri e le mie emozioni da quando esse
hanno iniziato a disubbidire al suo volere. Tu vuoi distuggermi, mai io
sono più forte di te, e sarai tu a cadere. Sparisci!
Silenzio. Lo
cerco, ma intorno
a me è solo silenzio. Lui, non c'è
più. Sparito.
Morto. Io l'ho mandato via. Kris non c'è più.
E davanti a me, un ragazzo che conosco troppo e da troppo
poco
alza gli occhi e mi vede. I suoi occhi neri si incatenano ai miei, e
nessun demone viene a riprenderemi per riportarmi nei vecchi sogni. Lui, Diego,
appoggia i fogli su cui sta lavorando e mi sorride. Un sorriso
bellissimo e familiare, che morde la carne viva della mia anima e
scatena le emozioni più contrastanti nel mio cuore.
Nel mio
cuore che ora è libero, e batte selvaggiamente.
Si sta avvicinando, aggraziato e raggiante di gloria, un angelo un po'
bambino, malizioso e incantatore.
Siamo vicini, lui apre la bocca e parla, ma io non lo sento. Lo sto
fissando, rimpiendomi gli occhi della sua bellezza.
Imbambolata, mentre lui mi scuote infastidito, mi chiama:
" Alexia..."
Ecco, la sua voce è arriavata al mio cervello, che si bea
della
musicalità incantevole con cui il mio nome esce dalla sua
labbra.
Non ce la faccio più, penso, dispertata. Mi guarda, non
capisce. Non si accorge che muoio.
E l'istinto di sopravvivenza la fa da padrone. Reagisce, urlando e
trascinandomi verso la salvezza.
Prende il comando, e mi getta senza più dignità
nelle sue
braccia, mi costringe a baciarlo con foga, nell'ordine più
sublime ch' io abbia mai sentito.
Diego rimane un po' spiazzato, ma ci mette meno di mezzo secondo a
capire e a rispondere con trasporto, in un bacio antico e dolce e nuovo
e già vissuto e amaro e bellissimo.
In un moto di gioia, le mie mani si aggrappano ai suoi capelli, il mio
corpo si avvicina al suo in cerca di protezione. La scarica di
adrenalina mi rende stranamente lucida, e mi costringe a fare i conti
con qualcosa di inaspettato, qualcosa di strano e a cui non ero
assolutamente preparata.
Io lo conosco
già. Io conosco la sua bocca.
Nei miei movimenti impacciati, so
come lui voglia essere baciato, mi rendo conto di saperlo
da sempre.
Non è
un'illusione. La paura che il fantasma avesse ragione,
che fosse soltanto una finzione, si sgretola davanti a questa certezza.
Lo conosco. Le mie mani, che ora vagano sul suo viso, lo riconoscono,
e riprendono confidenza con i suoi lineamenti, troppo felici
e
frenetiche per essere tenere e pazienti.
Vengo travolta da questa verità, e le mie ginocchia cedono.
Lui mi prende, folgorato, come me, da quella che è
una consapevolezza impossibile.
Mi fissa negli occhi, le guance leggermente arrossate e il fiato
spezzato.
" Alexia..." ripete, dolcemente.
Solo quando mi sfiora le guance con le dita mi accorgo di star
piangendo.
" Diego."
" Sapevo avresti ceduto davanti al mio innegabile fascino." ride, il
suono più bello del mondo.
Non sono capace di creare così su due piedi una risposta
soddisfacente, e allora mi limito a sfiorargli il petto con un pugno.
Continua a ridere, e io, irritata, mi allontano.
Pessima mossa. Naturalmente, la gelatina che ho al posto delle gambe
non regge il mio peso, e Diego è costretto a riprendermi tra
le
braccia in un gesto fulmineo.
Sbuffo. E lui ride.
" Vedi? Sono io il responsabile della tua instabilità fisica
e
psicologica, ammetilo.é stato sicuramente il bacio
più
bello che ti sia stato mai dato."
" Mhm. Che mi sono presa, direi."
" Sì, in effetti mi sei più o meno saltata
addosso." Sento le guance arrossarsi
" Comunque hai ragione, è stato il bacio più
bello che mi sia capitato. E anche il primo."
Mi fissa ancora più intensamente, confuso.
" Sul serio?"
" Sul serio. Il primo. E ora vantati, dai. Prendimi un po' per il culo,
non vorrei che eccedessi con le sdolcinerie."
" No, non ti credo."
" Non crederci. "
Scuote la testa, incredulo.
" Certo che sei strana. Dai, sul serio, non prendertela. Sono contento,
anche se estereffatto."
" Bene. Anch'io sono contenta. Ma, adesso, mi faresti il piacere di
accrescere notevolmente la mia felicità?" chiedo
" Sono al suo servizio, signorina Alexia."
Sorrido.
" Baciami. Ancora. "
Dalila
Mi lascai cadere, sconvolta.
Il Templo.
Una stanza circolare, alta e con un unica finestra a lasciar entrare la
pallida luce lunare.
Ero riversa sul pavimento ricoperto da fogli e giornali, un
soffice e rumoroso tappetto scricchiolante sotto il mio peso.
Davanti a me, la luce della lampada che Lui aveva acceso illuminava le
pareti di quel luogo impossibile.
Pareti interamente affrescate, dipinte con stupefacente
perfezione. Pareti che forse una volta erano candide, ma ora erano
ricoperte da capo a piedi dalla follia geniale di quello che era
sicuramente un artista. Dalla follia di Adrien.
Adrien, Adrien, Adrien. Com'è
dolce il tuo nome. Da ripetere mille e mille volte.
Confusa, cercai di mettere a fuoco le figure che affollavano
chiassossamente quel luogo uscito dalle fiabe.
Riuscii ad intravedere un cavallo rampante circondato dal fuoco, poi un
drago orrendamente simile a quello di casa Tolè, il profilo
di
un'angelo, e tanti, tantissimi visi.
Visi deformati, scavati, allucinati, sorpresi, bellissimi, indefiniti,
cangianti. Sembrava mutassero ad ogni sguardo, che il cemento non
imprigionasse la loro espressione e, anzi, permettesse loro una
vitalità innaturale.
Uno in particolare catturò la mia attenzione. Era un poco
più grande rispetto agli altri, in disparte, attorniato come
da un'alone di rispetto reverenziale.
Era spiccatamente un viso di donna, dai lineamenti decisi, i capelli
lunghi e scurissimi, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
Sembrava così indifesa ed innocente, così
impaurita, così sola, così vera, che mi
avvicinai istintivamente per confortarla.
Percorsi con le dita le linee del dipinto, come avevo fatto la mattina
con il mostro( solo quella mattina? O mio Dio, pensai..solo quella
mattina? Non giorni, settimane, mesi, secoli fa? No?) e sfiorai le
forme delle labbra, le sopracciglia folte, il naso diritto e morbido,
gli zigomi, le... le mie mani si arrestarono, prese da un
fremito incontrollabile. Le orecchie.
O meglio, l'orecchino. Automaticamente, mi toccai il lobo per
accertarmi che il gioiello fosse ancora al suo posto e non si fosse
trasferito sull'affresco: sì, c'era. Eppure, lì,
sull'orecchio di quella ragazza immobile, c'era il mio orecchino.
E ora, ad osservare meglio, su di lei c'era anche il colore dei miei
occhi, e la forma delle mie guance, la piega del mio labbro inferiore.
Su di lei c'ero io.
Mi voltai spaesata, cercando l'autore del ritratto, ma lui
non c'era.
Il mio cuore batteva fortissimo, e l'ossigeno che entrava nel mio corpo
non bastava a dissetare i miei polmoni.
Tutto si fece scuro. Buio intorno a me.
Prima di perdere coscienza, udii il grido di Adrien che chiamava il mio
nome, e pensai a quanto esso fosse bello se pronunciato da lui.
Poi, più nulla.
Mi ritrovai catapultata in un posto che non conoscevo, circondata da
visi che non mi erano familiari.
Affogavo e volavo, in un cielo del colore dell'oceano e dei prati, e
accanto a me sentivo un galoppo indistinto.
Un cavallo. Enorme, dal mantello nero, correva accanto a me, nel mare
senz'acqua.
La sua presenza mi confortò, mi erano sempre piaciuti i
cavalli.
Il loro sguardo, così buono e sincero, mi aveva rassicurata
anche quando ero una bambina.
Poi, però, il cavallo scomparse.
Al suo posto, un abominbevole mostro ruggiva e scuoteva la sua lunga e
pericolosa coda.
Fuoco e sangue uscivano dalla sua bocca...urlai, più forte
che potevo, gridai più e più volte, ma nessuno
venne in mio soccorso.
Il drago si avvicinava sempre di più, e notai sulle sue
squame una stellina che mi ricordava qualcosa, o forse qualcuno,
mentre la paura e l'adrenalina mi facevano pensare molto
più lucidamente del solito. Vidi la piccola ed innocente
stellina sul corpo dell'incubo che mi divorava, sentivo ogni zanna
dilaniare la mia carne, vedevo distintamente i capelli
scarmigliati di Zia Cecilia mentre la saliva corrosiva delle fauci
ricopriva e bruciava il mio corpo.
Vidi casa Tolè, e Adelina, e graffiai le fauci del drago che
era solo un disegno, ma che qui era vero.
Poi, qualcosa mi strappò da lì e mi porto via,
lontano, in un regno di neve. Non c'era altro che neve. Bianco, e
freddo.
Troppo freddo.
Uno specchio, il riflesso di un viso...Era il mio? Eppure c'era solo la
faccia, il resto era svanito.
E ancora, un gran fuoco, e urla di bambini che morivano, e i visi che
ridevano, indifferenti.
C'ero anch'io in quell'incendio nella neve, in quell'inferno di bianco
e fiamme, e avevo solo un nome sulle labbra.
Tenevo in braccia un piccolo, un neonato, troppo piccolo per essere
vero, minuscolo, neanche un dito.
E urlavo il nome, dell'uomo che forse poteva salvare il bambino che
stringevo, o forse poteva salvare me, o forse poteva salvare solo se
stesso.
E la gola mi faceva male, ma continuavo a chiamare, e poi venni
strappata anche da lì e portata via..lontano...
" Dalila ". Una voce, la più bella, mi riportò al
mondo.
Aprii gli occhi, e vidi due pozzi neri e terribilmente profondi
fissarmi preoccupati, mentre due mani enormi e calde mi tenevano il
capo.
Poi vidi il suo naso, e le sue guance scavate, e i suoi capelli, e le
sue labbra.
Non pensai più ad altro. Adrien, Adrien, Adrien.
Muahahahahah! *Risata malefica* Eccomi qui, prima dello scadere dei 15
giorni!
Che brava, eh? * Pernacchia*
Ringrazio stellina per il suo appoggio incondizionato, e Lala per la
recnsione ù__ù
Alla prossima!
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