er i
BUTTERFLIES
I
There is nothing
in a caterpillar that tells you it's going to be a butterfly.
...
E'
una giornata calda, di quelle che caratterizzano l'estate nel pieno
della sua bellezza, e una brezza piacevole soffia nella veranda in
legno bianco su cui Erich è seduto, spingendosi avanti e
indietro sul dondolo, tra i cuscini troppo grossi rivestiti di seta con
una bella fantasia di girasoli a contrastare con il bianco del tessuto.
Le sue gambe sono pallide e troppo lunghe per un bambino di soli cinque
anni; mamma dice sempre che diventerà il più alto
della classe, non appena inizierà la scuola elementare. Dice
anche che farà poca fatica rispetto ai suoi compagni,
perché sa già leggere e scrivere e il primo anno
sarà più che altro un ripasso.
Non
sono cose, tuttavia, a cui riesce a interessarsi, perché
l'idea di cambiare casa gli provoca un piccolo dolore al petto che,
anche nel piccolo della sua innocenza di bambino, sa che lo
tormenterà per tanti anni. Quella casa gli piace; una
spaziosa villetta alle porte di Berlino, vicino alla città,
ma abbastanza lontana da permettergli di leggere senza le distrazioni
offerte dal traffico e dal caos tipici delle grandi città.
Trasferirsi vorrà dire abbandonare la vista sul piccolo
campo di papaveri di cui può godere ora, seduto su quel
dondolo ad ascoltare il cinguettare dei passeri. Vorrà dire
non vedere più Annette, la bambina con le trecce ramate che
all'asilo si siede sempre vicino a lui, guardandolo ammirata mentre
disegna farfalle blu. Sono piccolezze, ma l'America è un
posto grande e lontano, come un mostro pronto a inghiottirlo.
Una
farfalla si va a posare sulla ringhiera in legno della veranda, a una
manciata di metri da lui, muovendo appena le sue ali bianche e gialle,
ampie e bellissime.
"Erich,
mi stai ascoltando?"
I
due grandi occhi azzurri si alzano, incontrando quelli identici, anche
se più maturi a causa delle leggere rughe che iniziano a
segnarne gli angoli esterni, di suo padre.
"Scusa,
papà. Stavo guardando quella farfalla."
Erich
parla incredibilmente bene per essere solamente un bambino di cinque
anni, e il merito più grande va dato proprio all'uomo seduto
al suo fianco. Alto, con capelli biondi tagliati corti, in modo
ordinato, con un paio di occhiali dalla montatura tonda perennemente
poggiati sulla punta del naso leggermente aquilino ma perfettamente
equilibrato col resto del suo viso, con i suoi lineamenti forti, severi
ma morbidi al tempo stesso. Sanno di casa, di una sicurezza che la
mamma non riesce a trasmettere al suo bambino.
"Ti
piacciono proprio tanto le farfalle, eh?"
Lui
annuisce, sorridendo a labbra chiuse con quella sua aria pacata,
abbassando lo sguardo sulle proprie gambe. Si è vestito da
solo stamattina, infilandosi un paio di morbidi calzini di cotone
bianco che gli avvolgono le caviglie e si tuffano nelle sue scarpe
preferite, blu, stringate, la copia più infantile di quelle
che indossa sempre il papà.
"Sì.
Sono leggere e bellissime, e possono volare. Sono libere."
Una
mano grande e forte gli accarezza i capelli biondissimi, pettinandogli
quella semi frangetta laterale che gli dona un'aria più
adulta.
"Sai
che le farfalle, prima di diventare tali, sono solamente dei semplici
bruchi? Un po' tozzi e goffi, direi. Poi, a un certo punto, il bruco
decide di avvolgersi in un involucro di seta, un bozzolo, e si
trasforma in farfalla. Da creatura bruttina e debole riesce a
svilupparsi in un emblema di libertà. Non è
bellissimo, Erich?"
Il
bambino lo guarda con occhi grandi e carichi di stupore, annuendo
appena, desiderando di poter essere come le farfalle, un giorno.
Non
sa cosa sia un emblema, ma il dizionario sì, lui sa sempre
tutto. Ma non ha importanza ora. Ora l'unica cosa che gli riempie la
testa è l'immagine di una bella farfalla blu, con le ali
grandi come quelle che immagina uscire dalla schiena del suo
papà quando lo guarda con occhi pieni di amore.
...
Il cuore gli
batte all'impazzata, direttamente in gola, quando apre gli occhi e si
ritrova a fissare il soffito del suo appartamento newyorkese.
Sente un peso
terribile opprimergli il petto, ed è quasi istintivo portare
una mano a posarsi all'altezza del proprio cuore, sulla pelle nuda
lasciata scoperta dalle lenzuola, arrotolate all'altezza delle sue
caviglie.
Un sogno.
L'ennesimo.
Piega il capo
di lato, lanciando un'occhiata all'orologio sul comodino, che con la
sua luce bluastra lampeggia le quattro e mezza del mattino.
La mano libera
va a posarsi sulla fronte, massaggiandola leggermente e lasciando
scivolare poi le dita tra i capelli, mentre un sospiro gli muore sulle
labbra.
Ormai sono
passati cinque anni dalla morte di Thomas Sharpe, eppure nella sua
testa e nel suo cuore sembrano essere trascorse solo poche ore, e il senso di
vuoto che prova è ancora opprimente come lo è
stato nel primo periodo, quello che tutti dicevano sarebbe stato il
peggiore.
Con gli anni,
Erich ha imparato che il tempo non guarisce le ferite, aiuta solamente
ad abituarsi al dolore.
Si gira su un
lato, certo che non riuscirà a riprendere sonno. Ormai
conosce a memoria il procedimento; si sveglia di soprassalto, impiega
diversi minuti a regolarizzare il proprio respiro, poi le immagini e i
ricordi iniziano a riempirgli la testa ed è costretto ad
alzarsi, andare in cucina, farsi un caffé e iniziare a
prepararsi, per ritrovarsi in ufficio alle sette precise,
più mattiniero ancora delle donne delle pulizie.
Il suo capo si
complimenta sempre con lui per la sua dedizione al lavoro, ma Erich sa
benissimo che se sta riuscendo a fare carriera così in
fretta non è solamente grazie al fatto che entri cosí presto a lavoro.
La sua
intelligenza è la sua arma più affilata, e da
quando ha deciso di mettere da parte una grande fetta dei piaceri della sua
vita, concentrandosi sul lavoro, ha imparato a ferire più
profondamente di quanto farebbe un uomo armato dalla testa ai piedi.
Sa che non
è quello che vorrebbe suo padre, ma al tempo stesso sa che
è il meglio che può fare per rincorrere un sogno,
per realizzarsi, sostenere quel che rimane della famiglia alla quale
era così attaccato da bambino.
A volte,
quando guarda i numeri analogici modificarsi e segnare il passare dei
minuti, si chiede se anche il bruco sia stato costretto a passare
attraverso questa fase, se anche lui si sia ritrovato a ferire per
evitare di rimanere ferito, a colpire prima che potesse farlo qualcun
altro, a guardare avanti, sognando le proprie ali di farfalla, pronto a
strappare quelle degli altri per accaparrarsi le proprie.
No, non
è quello che papà avrebbe voluto, ma è
tutto quello che ha.
In fondo, non
era stato proprio lui a dirgli che non c'è nulla
nell'aspetto e nell'essenza misera di un bruco a suggerire che un
giorno diventerà una creatura così bella e pura?
Spesso, quando
scalcia via le lenzuola e fa scivolare i piedi sul parquet del
pavimento, si chiede se riuscirà mai a trasformarsi in
farfalla, o se sarà costretto a tenersi addosso delle finte
ali per tutta la vita.
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Note:
Questo
è solo l'inizio di quelli che credo saranno una marea di
flashback, ricordi più o meno recenti di Erich Sharpe, il
mio personaggio sul gdr Heaven's Door Yaoi. Sono così
affezionata a lui, al suo carattere, alla sua storia (che per ora
è tutta nella mia testa) che non ho potuto resistere
all'idea di accodarmi a chi altri ha iniziato a scrivere qualcosa sulla
vita dei propri personaggi, in modo da rendere tutto quanto
più reale ancora.
Sperando impariate
ad apprezzarlo quanto me, vi ringrazio per aver letto almeno l'inizio!
n/a: i personaggi
all’interno di questa storia appartengono ai rispettivi
autori. Non vengono utilizzati con alcun scopo di lucro.
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Heaven's Door Yaoi GDR.
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