Scuse
Charles
spesso utilizzava la sua telepatia per capire se qualcuno fosse
interessato a lui; non era un metodo particolarmente onesto, per questo
cercava di non essere mai invasivo, per quanto possibile.
Nel
caso di Erik, però, non era necessaria la telepatia per
capire che lo guardava come un tacchino farcito il giorno del
Ringraziamento. Frequentavano due dipartimenti diversi, per questo i
loro incontri erano sporadici e perlopiù formali, ma quando
capitava che s'incrociassero nei corridoi la tensione fra loro era
palpabile.
Tuttavia,
Erik aveva anche la fama di essere una persona particolarmente rigida,
e per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi Charles non voleva
spaventarlo con un approccio diretto. Era sicuro che avrebbe prima o
poi fatto la sua mossa, così, dopo alcune settimane passate
a maledersi, decise che la cosa migliore sarebbe stata aspettare i
tempi e i modi di Erik.
Non
si stupì quindi quando, nei bagni
dell'università, un giorno Erik lo approcciò con
una scusa stupida.
"Mi
dispiace, so che può sembrare una scusa, ma-"
indicò la caffetteria poco lontano "ho fatto una scommessa
con dei miei amici, e ho perso."
Charles
avrebbe riso forte, se l'espressione di Erik non fosse stata un
dolcissimo (dolcissimo?)
mix di imbarazzo e frustrazione. Mantenne l'espressione più
giovale e pacifica che riuscì a mostrare, e, asciugatosi le
mani con un panno, gli rivolse un breve sorriso. "Uhm, certo, figurati,
dimmi tutto. Come posso aiutarti?"
Farti
il pompino migliore della tua vita potrebbe essere una valida
alternativa? Avrebbe
voluto aggiungere, ma, per buona grazia, non lo fece. Dopo mesi di
mordi e fuggi, non aveva intenzione di spaventarlo proprio ora.
Erik
si schiarì la voce e abbassò lo sguardo.
"Dovresti darmi il tuo numero di telefono. Per favore."
Charles
poté quasi sentire fisicamente il
proprio stupore. Si era aspettato qualcosa di un po' più
ardito: un bacio, o una sega nei bagni... anche un abbraccio sarebbe
stata una valida alternativa. Neanche al liceo i ragazzini facevano
scommesse tanto stupide! Si vedeva da lontano un miglio che voleva
entrare nei suoi pantaloni... avrebbe potuto inventarsene una un po'
più credibile, ecco.
Probabilmente
il suo disappunto doveva essere evidente, perché Erik
sgranò gli occhi. "Mi dispiace, scusa," borbottò,
pensando di averlo offeso "so che è una pessima idea - la
farò pagare alla Frost - ma se non torno col tuo numero di
telefono al tavolo, quella mi renderà il resto del semestre
un vero inferno."
Emma
Frost studiava nel dipartimento di psicologia, tuttavia Charles la
conosceva bene: aveva imparato a sue spese che quando quella ragazza si
metteva in testa qualcosa non c'era proprio nulla che si potesse fare
per distoglierla dai suoi propositi.
A
dispetto dell'idiozia della scommessa, forse non era una scusa; Charles
provò un po' di pietà per Erik, ma, forse, se
giocava bene le sue carte riusciva a girare la situazione a suo favore.
"Tranquillo,"
ridacchiò "puoi avere tutto quello che vuoi da me." Si
inumidì le labbra e alzò lo sguardo, in cerca di
un qualche tipo di conferma da parte dell'altro. Per la prima volta
notò la bellezza dei suoi occhi, e arrossì
brevemente: nonostante il colore molto particolare, ciò che
attirò la sua attenzione furono la sincerità e
l'intensità del suo sguardo, adesso velato da un filo di
imbarazzo.
Nonostante
il doppio senso, Erik non sembrava particolarmente stupito. Si
guardò brevemente attorno, controllando che non ci fosse
nessun testimone per quella scena, poi chinò la schiena fino
a trovarsi faccia a faccia con Charles.
"Non
promettere ciò che non mi puoi dare." Mormorò con
voce impassibile. Con un gesto esitante, allungò la mano
verso il suo viso, posandola su una sua guancia. Charles trattenne il
fiato, sorpreso, ma rimase immobile.
"E'
tutto da vedere."
I
loro volti erano vicinissimi. Charles poteva sentire il respiro di Erik
sulle sue labbra, vedere le piccole imperfezioni sul suo volto sotto la
barbetta ispida. Accarezzò a sua volta il suo viso,
concentrando tutta la sua attenzione su quegli occhi tanto singolari.
Il
suono della campana interruppe quel momento tanto singolare, ma nessuno
dei due si mosse da quella posizione.
"Vieni
stasera nella mia stanza, la n° 24." Gli disse Charles
sottovoce, il tono involontariamente roco "Ti darò il mio
numero."
Erik
annuì mestamente, lo sguardo che brillava, colmo di promesse
non dette e qualcos'altro.
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