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ATTO
PRIMO: DISCORSO
"They'll
try to push drugs,
to
keep us all dumbed down
and
hope that we will never see the truth around."
Muse
Settembre
2015
Quando
il taxi si fermò, l'autista emise un fischio ammirato. Non
le
interessava sapere se fosse dovuto all'armonica struttura in vetro,
incastonata nel verde e che brillava al sole di inizio autunno; o
alla bella donna dai capelli vermigli, sciolti in morbide onde lungo
le spalle, che stava in piedi sul ciglio della strada. Aspettandola,
un sorriso enigmatico sulle labbra e le braccia icrociate sul petto,
sopra alla morbida giacca di panno verde militare.
"Avvisatemi,
la prossima volta che cercate personale in questo posto!"
Commentò smaliziato l'indiano, voltandosi verso i sedili
posteriori
con un ghigno divertito.
Elle
rispose con una smorfia sorniona, pagando la cifra indicata sul
tachimetro in silenzio, una mano portata al viso per scostare i
lunghi capelli biondi dagli occhi. Scese dall'auto in silenzio,
trascinando leggermente la gamba sinistra e trascinandosi dietro il
fedele borsone nero, compagno di tanti viaggi .
Natasha
Romanoff era molto cambiata dopo gli ultimi eventi che l'avevano
vista tra i protagonisti di non una, ma due probabili fini del mondo.
I capelli si erano allungati, rispetto al taglio corto che portava
solitamente, e l'espressione si era indurita maggiormente, rispetto a
come la ricordava all'inizio della loro conoscenza. Gli occhi scuri,
di una particolare tonalità di verde, erano leggermente
stanchi. La
fronte diafana era solcata da alcune sottilissime rughe
d'espressione, quasi come se il temperamento disincantato della donna
avesse trovato un modo per esprimersi attraverso quelle pieghe quasi
impercettibili.
Non
erano mai state persone da saluti espansivi: bastò uno
sguardo, da
sopra la spalla, appena accennato. Quasi come due sconosciute che si
vedono ai due lati di una strada. Se non fosse stato che, quella
strada, le due l'avevano percorsa insieme. Stiracchiò le
labbra in
un sorriso pigro, mentre l'amica apriva il baule della vettura
gialla, estraendo il primo di due pesanti scatoloni.
Due
uomini in uniforme blu arrivarono alle loro spalle, preceduti dal
rumore dei loro passi decisamente non felpati, a prelevare gli
oggetti della donna. Li guardò per un secondo, ammettendo
con sé
stessa che era troppo tardi per cambiare idea, e che una buona parte
dei suoi averi stavano in quel momento viaggiando verso la stanza che
le era stata assegnata all'Avengers Facility.
Natasha
seguì con lei il percorso dei suoi sottoposti, senza
emettere un
fiato. Attirò la sua attenzione con un leggero tocco al
braccio,
facendole strada verso l'ingresso del grande complesso. Le
aprì la
porta con i fianchi, facendo un ampio gesto con il braccio. "Elle
Selvig, benvenuta al Quartier Generale degli Avengers."
Elle
fece un fischio di ammirazione, voltandosi a guardare oltre le
vetrate il prato ben curato ed, oltre questo, il bosco che circondava
tutta la struttura.
"Anche
tuo padre ha molto apprezzato la costruzione..." Commentò
sarcasticamente la rossa, guardandosi attorno con aria vaga.
"Non
cominciare, Natasha. Sono appena arrivata."
Nell'
ampia hall, animata da un via vai di agenti in divisa e personale di
varia natura, le due si affiancarono. Natasha alzò una mano,
mimando
un gesto di resa. Elle sospirò, sorridendole. "Dopo la sede
dell'FBI, questo posto mi sembrerà un resort."
Natasha
ridacchiò, facendole segno di seguirla verso l'interno
dell'edificio.
"Ti
piacerà: palestra, uffici con l'aria condizionata, piscina
interna e
un meraviglioso parco. Se decidessimo di cambiare settore, potremmo
aprire un albergo di lusso."
Elle
si guardò intorno, leggermente infastidita da tutto il
chiacchericcio della Hall, dalla confusione generata dalla mente
vigile di un centinaio di persone, tutte attorno a lei. Si
sofferò a
guardare l'architettura dell'edificio, illuminato da ampie vetrate,
le colonne in acciaio che formavano uno strano ed accogliente
contrasto con il banco in legno.
"Tienilo
a mente per la nostra vecchiaia. Ci starebbe anche un ricovero per i
randagi, vista la presenza di questo immenso parco." Rispose
automaticamente Elle, indicando dietro di loro con un gesto del capo.
Nat accennò una smorfia divertita, cominciando a salire
delle ampie
scale.
"Di
qui ci sono gli uffici." Indicò un lungo corridoio al primo
piano, dritto dopo le scale. "Il tuo dovrebbe essere prima del
settore blu, in fondo."
Proseguì
poi lungo un mezzo piano esposto sull'ingresso. "Di qui si va
alla mensa comune..." Fece un ampio gesto verso destra. "E
da queste scale, si arriva agli alloggi. Terzo piano, sei tre camere
più in giù di me." Elle fischiò di
nuovo, sapendo di dare
fastidio all'amica, che infatti si voltò con le labbra
strette in
una smorfia.
"Sono
vicino agli alloggi dei celebri Avengers!" Esclamò,
fingendosi
entusiasta la bionda. "Spero di essere la vicina di stanza di
Tony Stark!" Natasha la guardò con un sorriso sarcastico,
senza
assentire né negare, lasciando l'esclamazione dell'amica a
cadere
nel vago. Elle, fermatasi a pochi passi, si voltò lentamente
verso
di lei, gli occhi socchiusi e le mani giunte davanti al viso.
"Non
c'è Anthony, vero?" chiese con un'espressione funebre.
Natasha
scoppiò a ridere. "Se vuoi ti lascio il suo indirizzo di
Malibu..."
xxx
"La
signorina Selvig starà con noi per diversi mesi. E' qui per
una mia
direttiva, e chiunque verrà chiamato a colloquio da lei
è obbligato
a presentarsi, come se a chiamarlo fossi stato io."
Fury
aveva pronunciato quel discorso nell'interfono, a reti unificate. Nei
corridoi vuoti, nella grande mensa comune, nella hall piena di
operatori, era sceso un silenzio glaciale. Tutti potevano immaginarsi
la sua espressione dura, il modo in cui il suo occhio sano si era
acceso, la postura rigida tipica di quando l'uomo dava un comando,
non aspettandosi di essere disubbidito. Mai.
Lo
sguardo accigliato di Fury andò a posarsi sull'individuo che
aveva
davanti, l'unico che era stato chiamato per assistere dal vivo al suo
messaggio. Tolse il dito dal tasto del microfono, allontanandosi
dalla scrivania lentamente, l'aria accigliata.
"Questo
vale anche per lei, Capitano. E per la sua squadra." Il suo
occhio buono si assottigliò ancora di più, mentre
Steve Rogers
rispondeva alla sua occhiata, mantenendosi intespressivo. "Elle
Selvig è una dei migliori agenti dell'FBI. Ha collaborato
più volte
con lo S.H.I.E.L.D., una volta anche con quella che a suo tempo era
la squadra Strike, affiancando Rumlow nella sua ultima missione."
Rogers annuì appena. "Intuisco il perché sia
stata l'ultima,
Rumlow era...difficile anche quando sembrava uno dei
nostri."
Fury
appoggiò un gomito sul piano di vetro della scrivania, e si
tenne la
testa con la mano. "Se avesse intuito qualcosa dell'Hydra
allora, non sono sicuro che sarebbe venuta a riferirmelo. Nonostante
questo dubbio, ha la mia piena fiducia. Le ho chiesto favori molto
grossi, negli ultimi anni. E non mi ha mai deluso.". Allungò
la
mano libera sulla scrivania, facendo strisciare la cartella di
cartoncino, misura standard e con il simbolo dell'ex S.H.I.E.L.D. verso
l'altro. Rogers fece un passo avanti, prendendola in silenzio.
Arretrò, iniziando a sfogliarla lentamente, le sopracciglia
aggrottate. Fury rimase a guardarlo, mentre la sorpresa si faceva
largo sul volto del Capitano.
"Elle
ha svolto lavori anche per NSA, e per la Marina. Ha effettuato alcune
complesse operazioni in territori molto caldi. Iraq. Sud-Est
Asiatico. Corea. Di solito accompagna una squadra di Special Air
Service, la Sessantaseiesima."
Rogers
pensò che Sam avrebbe emesso uno dei suoi fischi
sorpresi-ma-positivamente, se fosse stato con lui a
leggere
quella cartella. "Perché non i Navy Seals o qualcuno dei
nostri?" chiese spontaneamente.
"Selvig
odia gli americani. Ci trova grossolani."
Commentò Fury
tranquillamente, quasi ghignando. Rogers alzò gli occhi di
scatto,
dal faldone a Fury, incredulo.
"Lei
è svedese, nata e cresciuta là con la madre. Si
è trasferita qui
solo quando questa è morta, per raggiungere il padre che era
docente
alla Culver Univesity."
"Erik
Selvig... quello di Loki." Esclamò improvviamente Rogers,
alzando istintivamente gli occhi su Fury, che annuì appena
con il
capo.
"Esatto,
Capitano. Lei è la figlia."
Rogers
deglutì. Aveva visto recentemente Erik Selvig proprio
lì al
quartier generale, ma non poteva non ricordarlo come un uomo molto
confuso e molto trascurato per un incantesimo della gemma della
mente. Uno scienziato pazzo, insomma. Nonché il collega
della
fidanzata di Thor. Si appuntò di chiedere al dio, la
prossima volta
che lo avresse incontrato, se magari gli avesse accennato ad una
figlia.
"Per
quale motivo una donna si sporcherebbe le mani con lavori di questo
genere?" Chiese curioso, guardando il fascicolo. Dopo Natasha,
non avrebbe più dovuto stupirsi di certe cose. Ma il suo
spirito
Vintage era duro a morire. Incontrò degli
occhi azzurri che
lo scrutavano, senza una particolare espressione. La foto ritraeva il
viso di una ragazza molto pallida, con i capelli di un biondo molto
chiaro e le ciglia dello stesso colore. Gli occhi erano gli stessi
del dottor Selvig, di un azzurro quasi irreale, sormontati da delle
sopracciglia molto decise. Aveva un naso dritto, piccolo e molto a
punta, al centro di un viso piuttosto scavato. Guardava dritta
nell'obiettivo, con un'espressione molto professionale e poco
informativa.
"Elle
è specializzata in indagini, anche di guerra, e nella
negoziazione e
recupero di ostaggi civili. " Fury riprese la cartella che
l'uomo gli stava ritornando, con un sospiro. "L'ultimo favore
che le ho chiesto, un'indagine particolare, le ha quasi fatto
rischiare la pelle e non potrà tornare sul campo per diversi
mesi.
Qui si occuperà di questioni puramente d'ufficio, sedute
terapeutiche e valutazioni del personale. In particolare, spero
riesca a rintracciare se vi sono altri agenti Hydra rimasti fra le
nostre fila. Abbiamo reclutato parecchia gente dall'Ex S.H.I.E.L.D."
Rogers
lo guardò, in attesa. Fury alzò gli occhi al
cielo. "Visto che
era sotto alle mie direttive quando è incorsa in
quell'incidente,
dovevo trovarle qualcosa da fare durante la riabilitazione. Inoltre,
penso che stare vicino agli Avengers possa essere utile ad entrambi."
Rogers
fece uno sguardo interrogativo, ma Fury lo fermò subito con
una
mano.
"Ora
vada a spiegare al resto della squadra quello che le ho detto,
Capitano." Concluse Fury, alzandosi improvviamente, i palmi
appoggiati alla scrivania.
Questa
interruzione secca del discorso, da parte di un uomo come Nick Fury,
non presagiva niente di buono. Rogers decise che avrebbe approfondito
più tardi, e con la sua squadra. Si alzò,
mimò un saluto formale
ed uscì dalla stanza, valutando velocemente la situazione
nella sua
testa.
xxx
Quando
le era stato proposto da Fury un lavoro a New York, fisso, Elle aveva
accettato subito. Prima di tutto, perchè era vicino a casa,
anche se
durante la settimana avrebbe dovuto soggiornare alla base. In secondo
luogo, perchè la Selvig non aveva molte amicizie. Qualche
collega,
qualche conoscenza in giro per il mondo. Ma, quelle poche persone con
le quali si sentiva a proprio agio, erano proprio in quell'edificio.
In primis, la sua amica del College, Maria. Le due avevano diviso la
stanza per tre anni, e dopo erano rimaste spesso in contatto. Poi,
Natasha. Un'amica che la aveva accompagnata, da pochi anni a questa
parte, durante alcune delle peggiori missioni. Ora che la rossa aveva
bisogno di lei, anche se non lo avrebbe mai ammesso, Elle non si
sarebbe tirata idietro per nessun motivo dal suo fianco.
Maria
Hill non le lasciò nemmeno un secondo di pace durante la sua
prima
sera nella nuova sistemazione.
La
sala mensa era molto grande, con lunghi tavoli di metallo ed
altrettanto lunghe panchine, un bancone che dava sulla cucina ed un
grosso scaldavivande posti lungo la parete ad est. Non dava
sull'esterno, e la luce al neon faceva sembrare tutti più
emaciati e
smunti di quanto non fossero in realtà.
Maria
le stava raccontando il favoloso After Party da Stark qualche mese
prima, la festa durante la quale si era palesato Ultron: i bicchieri
di cristallo, la vista sulla città dalle mille luci, i robot
assassini. Li aveva trovati particolarmente decorativi.
Le
parlò dei nuovi arrivi nella squadra, in particolare di un
tizio
piuttosto inquietante di nome Visione e della sua amica, che dalle
parole di Maria sembrava uscita da un film di Dario Argento.
"E
così Nosferatu arriva da me e mi fa con
un terribile accento
da est Europa: Noi siamo abituati ad abbattere i muri!"
Maria si mise a ridere da sola. Elle la guardò
interrogativa, senza
nemmeno un guizzo divertito negli occhi. "Maria, dovresti sapere
che non è facile abituarsi ad una nuova sistemazione,
soprattutto
quando sei in una base militare dall'altra parte del mondo."
"Era
una storia fantastica, raccontata agli altri. Non dai soddisfazione,
ti hanno programmata senza senso dell'umorismo." Esclamò
Hill,
prendendo un bel sorso dalla sua bottiglietta.
"Maria,
ho fatto un viaggio quasi eterno da Londra, sono stata a casa due ore
scarse e parlato della mia sistemazione con Fury per quasi tre... A
vederti così, poi, mi sembra di essere tornata al dormitorio
Ovest..."
Elle
sogghignò, l'amica che la guardava con espressione arcigna.
"Ricordi
la prima volta che ti hanno relegato in stanza con me? Nessuna del
nostro anno voleva condividere la camera con un'attaccagrane come
te."
"E
così anche Hill ha dei lati oscuri!" Natasha si sedette con
un
movimento aggraziato sulla panca vicino ad Elle, appoggiando un
braccio alla spalla dell'amica.
"Mi
sento un po Burton adesso..." Elle osservò la posizione che
avevano, ridacchiando.
"E'
bello vedere un po di facce amiche..." Affermò poi la nuova
arrivata "Non trovo nessun altro che mi sopporti, là fuori.
Maledetta deformazione professionale." Sorrise
timidamente alle due, le guancie che avevano preso una leggera
sfumatura rosata.
"Adesso
sei a casa." Commentò Maria, indicando ciò che le
circondava
con la forchetta. Elle, quasi in risposta, sbadigliò
sonoramente.
“Casa, eh?”. Sbadigliò di nuovo.
"Jet
Lag.
Mi ritiro nella
mia magione. Stanza. Cella.Sov
så gott!
" Si alzò
con una smorfia,
tenendosi una mano sulla schiena. "Välkommen
tillbaka!"
Sorrise
Natasha, voltandosi a guardarla con un sorriso. Elle annì,
sorridendo, e si
diresse verso il fondo della stanza, sperando di non perdersi in quel
labirinto di corridoi e androni.
"Non
so tu..." Commentò Natasha ad Hill, prima di alzarsi
anch'ella.
"Ma mi è sembrata ancora più magra dell'ultima
volta che l'ho
vista. E..." Indicò la direzione in cui era sparita l'amica
con
l'indice, unghie smaltate di nero. “Zoppica ancora.”
Maria
fece un sorriso tirato. "Non so quale è stata la sua ultima
missione. Ma si muove in modo strano. So che è stata a lungo
ricoverata.”
Natasha
prese il vassoio dell'amica per andarlo a svuotare. "E non hai
visto le foto del referto..." commentò triste,
allontanandosi.
xxx
Il
terzo giorno della settimana era sempre il peggiore.
Si
sfregò una manica della felpa grigia sul viso, asciugando il
sudore
caldo, che diventava freddo appena toccava l'aria frizzante di
settembre. L'altra mano andò automaticamente al fianco
destro, dove
sentiva un dolore sordo e palpitante, un bruciare sopportabile, che
sapeva per certo non essere dovuto alla milza fin troppo allenata
agli sforzi di una corsetta mattutina.
Il
boschetto intorno al Quartier Generale degli Avengers stava iniziando
a diradarsi, seguendo il sentiero di terra brulla e sassosa;
così
lei aveva deciso di fermarsi in un punto dove questo era più
largo,
ma vi erano ancora alberi a coprirla dal cielo aperto. Come se
potessero esserci dei cecchini sul tetto, i fucili imbracciati a
minacciare il suo cammino. Era proprio una stupida.
Alzò
le braccia e tirò verso l'alto finché riusciva,
sentendo le cosce
ed i polpacci bruciare e tendersi seguendo le ossa sottili. La coda
di cavallo che le teneva lontani dal volto tutti i capelli biondi
dondolava ad ogni suo movimento, accarezzandole la schiena. Le ossa
delle scapole, eccessivamente magre, sembravano poter bucare la
pesante felpa accollata, lo stemma dell'FBI ben visibile sul petto.
Una provocazione, tanto per avvicinarsi ai nuovi
colleghi.
Sospirò, respirando ampie boccate di aria fredda.
"Mi
hanno detto che correte nella foresta per trentacinque chilometri,
quando fa bel tempo."
Sentì
arrivare la battuta prima che questa uscisse effettivamente dalla
bocca dell'uomo, che arrivava a buon passo dal sentiero dietro di
lei. Afroamericano, stazza normale,sulla trentina, occhi vispi ed un
sorriso piuttosto amichevole.
Elle
strizzò gli occhi, a metà fra essere offesa per
il tono sarcastico,
quasi come a voler svalutare le sue capacità, oppure
contenta che la
voce si fosse già diffusa fra i corridoi della Facility. Si
piegò
in avanti, tenendosi la caviglia sinistra, fingendo di pensare alla
sua affermazione. "Solo durante la selezione SAS. E le
selezioni sono solo per maschi fino ai 32 anni."
"E'
vero, negli uffici dell'FBI sono tutti piuttosto in carne a dire il
vero." Ridacchiò lui, indicando la sua felpa con un gesto
della
mano.
"In
America sono tutti piuttosto in carne. A dire il vero."
Sentenziò lei, passando con le braccia verso la destra, con
una
smorfia.
'Che
caratterino.'
Come
se lo avesse urlato, il pensiero di lui si conficcò nella
sua mente.
Elle sospirò, rialzandosi, e isolandosi dal vortice di voci
circostante. Non sapeva ancora spiegarsi se fosse un desiderio di
dare a chiunque la sua privacy, oppure se fosse perchè, in
realtà,
non le importava poi molto di cosa pensassero gli altri. In generale.
"Piacere,
Elle Selvig." Disse, allungando una mano all'uomo, che ancora la
fissava tenendo le mani sui fianchi.
"Samuel
Wilson." Rispose lui, gioviale, guardandola dritta negli occhi.
Fece per aprire la bocca, ma lei lo anticipò.
"Si, mio padre
è l'astrofisico, Erik Selvig." Esclamò
automaticamente lei.
Lui la fissò accigliato. "Sicuramente stavi per chiedermelo,
ci
sono abituata." Si schermò lei, facendo un sorriso di
circostanza e guardandosi intorno. "Invece no!" Ammise lui
ridendo, le braccia alzate in segno di resa.
Sembrava
simpatico, l'uomo che correva. Senza volerlo, Elle si distrasse.
'Rogers
l'ha descritta come un mostro bolscevico, ma davanti a me vedo una
ragazzina timida.'
Elle
faticò a non ridacchiare, piegando una gamba all'indietro e
tenendola con la mano, facendo tendere il muscolo della coscia.
Così
Captain America era già bendisposto nei suoi confronti?
Bene, perché
la simpatia per il bambolotto americano era
corrisposta.
"Oggi
verrai a vedere gli allenamenti degli Avengers?" Chiese lui
improvvisamente, allungando prima un braccio e poi l'altro sopra il
capo, con i piedi ben piantati a terra.
"Sto
già vedendo gli allenamenti degli Avengers,
perché sei un Avenger,
no?" Rispose prontamente lei. In fondo, quel ragazzone le
sembrava simpatico.
"Comunque
penso di si. In giornata. Speravo che sarebbe venuto Fury, con me, ma
pare che dovrò affrontarvi tutti da sola."
"Tranquilla,
non abbiamo ancora mangiato nessuno."
La
voce arrivò da dietro di lei, profonda e poco amichevole.
Elle
sapeva chi era anche prima di girarsi a verificare. Osservò
da capo
a piedi l'uomo che era appena sbucato dal sentiero, t-shirt sportiva
aderente ed espressione accigliata. Aprì la mente,
mettendosi sulla
difensiva.
'Che
ragazzina minuscola.'
Ancora
c'era gente che la valutava secondo la sua altezza? Oltretutto, Elle
si valutava di un'altezza medio-alta, un metro e settanta.
Statisticamente non era lei quella minuta, era quel Rogers ad essere
fin troppo alto. E muscoloso.
"Immagino
che ti sarei indigesta. Ti davano latte e steroidi, all'asilo?"
Chiese scocciata lei, alzando il viso per affrontarlo.
'Che
occhi glaciali che ha questa ragazzina.' Lei
strizzò le pupille
in due fessure, quasi in risposta.
Rogers
strinse le labbra, facendo un passo avanti verso di lei. "No, ma
immagino che a te abbiano dato il latte inacidito. Visto il
caratterino."
Elle
quasi scoppiò a ridere. Se voleva offenderla, avrebbe dovuto
impegnarsi decisamente di più.Quegli insulti non avrebbero
offeso
nessuno nemmeno negli anni '20.
'Questi
due fanno scintille insieme.' Samuel interruppe lo scambio di
gentilezze, frapponendosi fra i due con le braccia aperte.
“Time-out,
ragazzi! Palla al centro.”
Elle
abbassò lo sguardo su di lui, con un sopracciglio alzato,
l'irritazione che trapelava in modo palpabile.
"Fasiken!
Sono stufa di dover difendere il mio operato solo perché
sono una
donna, e perchè non sono pompata come il tuo amico
lì dietro."
Affermò con tono glaciale facendo un gesto verso i due.
Samuel la
guardava, le labbra dischiuse dalla sorpresa, mentre l'altro, dietro
di lui, si guardava intorno, la mascella contratta. Riportò
gli
occhi su dilei, mentre questa rilassava le spalle, lo sguardo sempre
arrabbiato. "Non sottovalutatemi. Voi fate il vostro lavoro, ed
io farò il mio."
Girò
i tacchi e ripartì verso il quartier generale, correndo ad
ampie
falcate.
"Cosa
hai combinato, Steve?" Chiese Samuel, incredulo."Non ti ho
mai visto così maldisposto." Rogers si
strinse nelle
spalle, girando su sé stesso e ripartendo correndo nella
direzione
opposta, in preda al nervosismo.
"Sei
stato un vero stronzo!" gli urlò dietro Wilson, agitando le
braccia.
"Ecco."
sospirò, rimanendo nella radura da solo.
xxx
Capitolo riformattato e
corretto in data 27/01.
Grazie ad Electricsoul, su
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