Il paradosso del cavallo

di Francine
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La strategia è la via del paradosso.
(Sun-Tsu)




I ricordi sono zucchero impalpabile che si scioglie sulla lingua. Tabacco cubano. Naftalina che fruscia. Il cuoio delle poltrone. Se chiude gli occhi, può vedere suo nonno seduto di fronte a lei. A dividerli, la scacchiera di madreperla, i pezzi d’avorio lucidi e schierati e pronti alla battaglia.

«Pensa, bambina mia. Non fare mai nulla che non possa essere disfatto», le ripeteva in quei pomeriggi passati ad insegnarle quel gioco così complicato. C’era un cavallo, sì. Due. Ma non erano come César. Erano buffi. Erano piccoli. Si muovevano ad L. E non le facevano il solletico mentre tentavano di rubarle gli zuccherini dalla manina chiusa a pugno.
Eppure le piaceva spendere il tempo alla ricerca della mossa successiva. Quali pezzi avrebbe sacrificato? Gli alfieri? Le torri? I pedoni?

A volte, per vincere una partita, bisogna avere il coraggio di rinunciare ad un cavallo.

Un paradosso. Ma il vecchio Mitsumasa ne era convintissimo, il sorriso traboccante di rughe e di quell’affinità spirituale che lega nonno e nipotino.
Io ho già perduto un cavallo, nonno.
Te ne resta pur sempre un altro.


Affacciata alla finestra delle nuvole, Saori sorride e trema e piange mentre la daga d’oro affonda nel suo collo. Athena si ritrova con un pugno di guerrieri da sacrificare – due Torri. Due Alfieri. Un Re. Quattro pedoni. Il Cavallo. La Doppia Regina – nella speranza di strappare qualche altro guerriero – qualche altra pedina – all’avversario.
Giocatore stupido è per metà battuto, pensa Athena, mentre il corpo senza vita di Saori crolla tra le braccia di Saga.
La prossima mossa tocca al Nero. E se conosce Ade quanto basta, le converrà pensare a chi possa essere la sua Doppia Regina. E a come neutralizzarla.
E tra lacrime e grida e pianti e bestemmie, Athena s’avvia. Il suo avversario l’attende. Sarebbe scortese farlo aspettare.
 
 
 
 
 




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