Cinque cose del suo coinquilino che John Watson odiava

di madelifje
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Titolo: "Cinque cose che John Watson odiava del suo coinquilino"
Autore: madelifje aka idkrugens
Fandom: Sherlock BBC
Rating: verde





 
Cinque cose del suo coinquilino che John Watson odiava



 
Se qualcuno avesse chiesto a John Watson di elencare tutti i particolari di Sherlock Holmes che non sopportava, probabilmente sarebbe stato in grado di parlare per due ore di orologio. Non è un'esagerazione. Una volta aveva provato a far valere le sue ragioni con Lestrade, ma quello aveva avuto il coraggio di fare commenti su quanto a John in realtà piacesse parlare di Sherlock Holmes. Desideroso di non ripetere mai più una simile esperienza, John era riuscito a sintetizzare quella lista apparentemente infinita in cinque semplici punti.
 



1. Non gli si poteva nascondere niente.

Era inutile. John ci aveva provato dozzine, anzi, centinaia di volte. Era sempre stato beccato. Non solo, era sempre stato beccato nell’arco di due minuti. Era umanamente impossibile, nemmeno Sherlock Holmes poteva essere così bravo. John usciva con una ragazza? Non appena varcava la soglia di casa, Sherlock gli si precipitava addosso, annusandolo come un cane da caccia, fino a captare un profumo che poteva essere solo femminile. John decideva di concedersi una fetta di torta in quella fantastica pasticceria in fondo alla strada? Sherlock trovava accidentalmente lo scontrino, oppure notava delle briciole rimaste sullo scollo del gilet di John, o ancora chiedeva a voce alta come mai l’alito del suo coinquilino sapesse così tanto di cioccolato. Per non parlare poi di quando John aveva malauguratamente deciso di organizzargli una festa a sorpresa per il suo compleanno!
(Ripensandoci, quella volta era stata la signora Hudson a confessare tutto)
In un modo o nell’altro, Sherlock Holmes veniva sempre a sapere tutto. E questo John non lo sopportava.


Ci sono giorni in cui lo mette alla prova. Semina indizi in giro per il 221B di Baker Street, così, per vedere se Sherlock sia in grado di battere il suo stesso record.
Di solito ci riesce.




 
2. Era totalmente incapace nelle relazioni sociali.

Sherlock trattava a pesci in faccia Molly. Si comportava da cani con Lestrade. Rispondeva male alla signora Hudson. Si azzuffava in continuazione con Sally Donovan. Terrorizzava Anderson. Faceva i dispetti a Mycroft con la frequenza con cui un normale essere umano respira. Non riusciva a non insultare chiunque gli capitasse a tiro, soprattutto se quel qualcuno era John. Lui, a differenza degli altri, ormai c’era abituato. Sapeva leggere tra quegli insulti, le continue frecciatine, i riferimenti alla stupidità del genere umano e la totale, completa, assoluta mancanza di tatto. Sapeva come prendere Sherlock e si incazzava quando il suo coinquilino oltrepassava il limite. Le altre persone no. Sperava sempre che un caratteraccio potesse migliorare. Come no. John poteva provarci quanto voleva, non avrebbe mai ottenuto niente.
Avrebbe ricordato per sempre quella volta in cui si era presentato alla festa di compleanno della sorella della signora Hudson con una confezione da dieci pacchetti di kleenex come regalo, dicendo che sarebbero tornati utili quando la festeggiata avrebbe scoperto i continui tradimenti del marito. La signora Hudson non gli aveva rivolto la parola per tre settimane.
 

C’è poi una piccolissima parte di John – e quella è la cosa peggiore di tutte – a cui tutto ciò fa quasi piacere.
Perché significa che quei sorrisi, quelle risate sincere, quegli sguardi sono solo ed esclusivamente riservati a lui.

 



3. La sua totale mancanza di ordine.

Era una persona molto precisa, John. Quando era alle elementari le maestre gli facevano sempre i complimenti, lo prendevano come esempio per i suoi compagni, “Fate come John” dicevano. Crescendo, il suo ordine aveva raggiunto picchi quasi maniacali. Se ne rendeva conto anche lui, ma ovviamente non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura. John era stato un soldato, non usava il termine “tortura” a casaccio.
Ogni cosa doveva avere il suo posto, ogni momento aveva un orario ben preciso, guai a sgarrare, e pretendeva che anche gli altri rispettassero le sue abitudini. Non ci si poteva lamentare della signora Hudson, il grande problema era Sherlock.
Lasciava il tubetto del dentifricio aperto sul lavandino. Calciava via le scarpe e le abbandonava anche nel bel mezzo del salotto. Si dimenticava sempre che il frigorifero fosse stato inventato per la conservazione del cibo e che, certe cose, era meglio tenerle da un’altra parte. Una volta John aveva aperto per sbaglio uno dei suoi cassetti. Aveva giurato su sua madre di non farlo mai più.



"'John, non ho messo la spesa in frigorifero'. Ma davvero?! Ci sono volte in cui, invece, lo fai? Elencamele, Sherlock, forza. Ma come, non ti vengono in mente? Te lo dico io perché, maledizione, perché non ci sono!" Una donna che porta a spasso il cane gli lancia un'occhiata perplessa. Fantastico, adesso John ha iniziato anche a parlare da solo. È stata una pessima giornata. Dopo interminabili ore passate a visitare londinesi, è tornato a casa solo per scoprire che il suo coinquilino ha fatto andare a male tutta la spesa di quella mattina. Così eccolo lì, a comprare due pizze che avrebbe pure dovuto pagare, visto che Lui era al verde. Come al solito.
Ordinerà la pizza più disgustosa che gli verrà in mente, oh sì.

Sulla strada di ritorno, mentre regge due cartoni che emanano un odore preoccupante, John si ferma davanti a una vetrina. Riflette, giusto per un paio di secondi, prima di masticare un'imprecazione ed entrare.
A quanto pare quella sera mangeranno anche gelato alla vaniglia.
È il preferito di Sherlock.



 

4. Tendeva a far fare a John un numero incalcolabile di figure di merda

Dall'inizio della sua permanenza a Baker Street, John era stato coinvolto in un certo numero di relazioni amorose. Quasi tutte avevano funzionato abbastanza bene, fino al momento in cui la sventurata di turno non aveva incontrato Sherlock. Janice era svenuta dopo aver trovato due occhi di alce nel frigorifero. Nicole si era sentita elencare tutti i pro e contro delle protesi in silicone - "Non ti preoccupare, Nick, sta scherzando" "Mi dispiace deluderti, John, ma io sono serissimo" - e Sophia, per finire, aveva assistito a un'imbarazzante scena che aveva per protagonisti John, Sherlock, un domatore di elefanti che parlava solo islandese e uno scimpanzé. Quella era stata l'ultima volta che John l'aveva vista. A ciò si aggiungeva la lista infinita di violenze psicologiche contro il povero Anderson, di cui John si ritrovava inconsapevolmente complice. C'era stata quella volta in cui John aveva consegnato al poliziotto quello che credeva essere un regalo di compleanno, pacco che poi era esploso in faccia al malcapitato, in una nuvola di glitter e colla vinilica. O quella in cui Sherlock l'aveva obbligato a consegnare un enorme mazzo di rose bianche, esattamente ventiquattro ore dopo la morte del porcellino d'India di Anderson.
Nella maggior parte dei casi, John non sapeva nemmeno come scusarsi.

Sherlock fa finta di niente. Lo avvicina proprio fuori da Scotland Yard, con le mani nelle tasche del giaccone e lo sguardo rivolto da un'altra parte.
"Allora?"
"Allora?" ripete John.
"Come ha reagito?"
L'ex soldato si sforza di mantenere un'espressione contrariata. L'ex soldato fallisce.
"Dài, John".
"Ha iniziato a gridare di avere la fobia dei glitter".
"Ah sì?"
"Aveva un tic al collo".
Sente Sherlock ridere.
 
***
 
 
Faceva abbastanza caldo anche quel giorno, come i quarantadue precedenti. John si stava recando allo stesso posto, come ogni mattina, alle dieci in punto – persona precisa, lui. Ci andava così spesso che il vecchio che vendeva i fiori aveva preso a salutarlo con una certa confidenza, neanche fossero amici di vecchia data.
Trentasette giorni prima la signora Hudson aveva smesso di fare domande, sostituendole con un’occhiata triste che aveva la stessa potenza di una pugnalata. Era stato un soldato, John, conosceva bene gli effetti delle armi.
Quel giorno era uscito di casa cinque minuti prima del solito, stranamente desideroso di lasciare il 221B di Baker Street.
(C’era la sorella della signora Hudson che piangeva in soggiorno. Pare che il marito la tradisse da anni)
Si era fermato alla pasticceria in fondo alla strada, ordinando una fetta di torta al cioccolato e dimenticandosi di togliere le briciole dallo scollo del gilet. Sperava che qualcuno glielo facesse notare.
Sulla strada aveva incrociato Molly. Si erano salutati brevemente, un cenno del capo di lui e uno “Scusa ma sono di fretta” di lei – di cui John era stato segretamente felice.
Aveva camminato lentamente, però, in modo da arrivare al solito posto alle dieci in punto.
Aveva salutato il tizio che vendeva i fiori, che oggi sembrava stranamente di buon umore. Chissà perché. Avrebbe dovuto chiedere a Sherlock, lui sicuramente sarebbe stato in grado di capirlo.
John gli avrebbe detto anche che poteva non mettere il tappo al dentifricio, se voleva. Poteva lasciare le scarpe dove gli pareva e piaceva. Poteva riempire il frigorifero di oggetti macabri che non avrebbero fatto dormire John la notte. Poteva mandare Anderson in manicomio. Poteva fare sì che John restasse single per i prossimi vent'anni. Poteva continuare a dargli dell’idiota. Poteva fumare tonnellate di sigarette, anche in casa.
Poteva fare qualsiasi cosa, davvero, John non se la sarebbe presa. Ok, magari un po’ sì, ma mica si arrabbiava sul serio. Sherlock doveva saperlo.
Poteva fare ciò che voleva, lui, solo… non quello.
John appoggiò i fiori appena comprati per terra, insieme a un pacchetto di sigarette e a un stupido cappello a quadretti.
Soltanto quello, maledizione.
 


5. Non la smetteva di essere morto.





 




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