“A
lonely place without love”
La
mano si avvicinò alla cornice
dello specchio per poi ritrarsi all’improvviso.
Il
gesto era rimasto silente, un’incertezza
taciuta che si era esternata restando sospesa nell’aria della
stanza.
Regina
osservò i suoi stessi occhi
riflessi nel pallido vetro, un paio di fessure che intrappolavano
un’emozione
fatta di delusione e di amarezza, una rabbia che albergava sopita in un
angolo
vivo e reattivo della sua mente.
I
recenti avvenimenti l’avevano
privata di qualsiasi cosa avesse mai desiderato. Aveva perso quello che
rimaneva di una famiglia, un surrogato che in qualche modo aveva finito
per
consumarla, perché Re Leopoldo non era un uomo che avrebbe
potuto amare e Snow
White si era rivelata la più sbagliata delle alleate. Le
confessioni e i
segreti svelati avevano intorpidito la realtà fino a che sua
madre non si era manifestata
in tutta la sua crudeltà ed esigenza. E dopo di lei aveva
perso anche suo
padre, l’unico che le era rimasto accanto quando
l’oscurità aveva invaso il suo
cuore stanco, un sacrificio necessario per arrivare dove sarebbe dovuta
arrivare: alla vendetta verso colei che ne aveva innescato il rapido
declino.
Dentro
di lei riaffioravano momenti
dimenticati dal tempo. Le memorie tornavano a galla come ogni
verità faceva da
sempre. Perché il potere aveva un prezzo, uno scotto da
pagare che alla lunga
consumava ciò che restava dell’anima. Era stato
l’Oscuro ad insegnarglielo,
così come aveva alimentato le sue arti magiche, allo stesso
modo aveva nutrito
il suo lato malvagio.
Rumpelstiltskin
aveva un dono più
unico che raro. Egli riusciva ad insinuarsi nella testa delle persone,
era una
voce sibilante che scavava le paure e su di esse costruiva il
trampolino per il
futuro, una porta che conduceva esattamente dove lui voleva.
-Non
credo che questo sia il tuo posto, cara.
La
risata del Signore Oscuro era giunta alle sue orecchie come un qualcosa
di
graffiante, un sogghigno beffardo e pieno di freddezza
perché lui sapeva cosa
diceva e cosa voleva.
Regina
lo aveva guardato solo per un attimo, prima di abbassare lo sguardo.
Aveva
fatto scorrere gli occhi sul pavimento e il fiato le si era annodato
alla gola,
un malessere che pungeva all’interno del suo petto e che non
accennava la
minima resa. Quelle parole l’avevano attraversata e lei si
era chiesta se non
fossero il frutto della sua immaginazione. Ma Rumple era a pochi passi
e
sembrava leggerne i dubbi e le oppressioni. Rumple sapeva di aver
ragione e
voleva che anche lei se ne convincesse.
-Oh,
mia cara, non è neppure con lo stalliere!
Il
ricordo l’aveva fatta sussultare e il nodo si era fatto
ancora più stretto, un’evidenza
che ne aveva scurito l’espressione.
-Ecco!
Questo lo è! Questo odio è il posto
più sicuro dell’universo. Questa rabbia
è
ciò che di più vero potrai mai assaggiare.
Nessuno potrà mai privartene. Perché
questo male è la conseguenza diretta dell’amore.
Ed
era così, niente di meno e niente di diverso. Daniel era
morto e non ci sarebbe
mai stato un lieto fine. Era come un circolo vizioso che terminava
inesorabilmente
in una languida pena, un tormento che l’Oscuro coltivava da
oltre i confini di
una ragione troppo spesso dimenticata.
-L’amore
ti solleva, ma non è certo un qualcosa di eterno. E quando
cadi è questo ciò
che ti rimane. Ma se scegli l’oscurità, lei
farà in modo che tu non debba mai più
sentirti così. Il potere, quello può essere
eterno, cara.
Regina
lasciò andare un lamento
contemplando quello che aveva imparato e quello che rimaneva di se
stessa.
Ispirò chiudendo le palpebre e ascoltò con
fermezza l’essenza di un respiro che
scendeva dentro al suo corpo come fosse un qualcosa di leggero, un
qualcosa d’infinitamente
più puro di quel che potesse ricordare.
-Specchio
–sussurrò con un filo di
voce prima di riaprire gli occhi, prima che un’immagine del
tutto nuova s’impadronisse
di quella superficie riflettente, spezzando in un solo insignificante
istante
ogni più profonda e salda volontà.
Si
era voltata con un cenno di maliziosa
sfida cercando la figura sconosciuta. E quando l’aveva
trovata aveva sorriso. L’uomo
dietro alle sue spalle era un connubio di sofferenza, di delusione e di
bellezza.
Era una rosa che sfioriva ogni secondo che passava. La sua pelle era
chiara e
portava con sé i segni della sconfitta. Il contorno dei suoi
occhi era quello
di chi non aveva ceduto alla stanchezza, quello di chi aveva perso la
ragione,
quello di chi aveva trascorso notti insonni alla ricerca di un
improbabile
senso di esistenza.
-Chi
siete? –aveva chiesto sicura,
con un tono che si addiceva alla fama di un titolo che la precedeva.
-Io
sono Loki. Da Asgard.
Il
volto si era alzato con fierezza
mentre il suono della sua voce scambiava l’emozione in
amarezza. Una differenza
che probabilmente il suo stesso stato d’animo non tradiva.
-Da
Asgard? Davvero? –Regina aveva
fatto qualche passo nella sua direzione, un modo come un altro per
comprendere
l’entità e le intensioni di ciò che le
si parava davanti.
-Ovunque
si trovi, non credo sia quello
il tuo posto, straniero.
-Bè,
è possibile. Tuttavia, io sono
un Dio. Il mio posto è ovunque io voglia che sia.
-E
dove vorresti che fosse?
Un
gesto della mano e una nube
viola l’aveva avvolta. E un istante dopo era di fronte al dio.
-Magia?
Non credevo ce ne fosse traccia
su Midgard.
I
tratti dell’uomo si fecero sempre
più sfumati fino a scomparire mentre il vero Loki faceva il
suo ingresso sotto
lo sguardo compiaciuto di Regina.
-Midgard?
–aveva domandato allargando
lievemente le labbra rosse. Un piacere che ben presto aveva invaso il
resto del
suo volto.
-Chiamasi
anche Terra, come voi esseri
mortali amate
definirla!
Loki
aveva camminato lentamente
fino ad essere nuovamente a una spanna da lei, questa volta per davvero.
-Qualcosa
mi suggerisce che tu ti sia
perso, piccolo dio, più di quanto tu non sia già
sperduto –aveva sussurrato
compiaciuta lasciando quella considerazione sospesa. –Questa non
è la tua Midgard. Questa è la foresta
incantata.
-E
quale sarebbe la differenza?
Loki
si era chinato verso di lei offrendole
un riso schernevole, una derisione che si andava ad imprimere persino
nel suo
sguardo.
-Una
e nessuna, in realtà.
Un’irrisione
che Regina aveva
ricambiato e mascherato all’interno di un bisbiglio. Un
sibilo struggente che
il dio non aveva accolto con piacere.
-È
come un luogo nascosto, un luogo
che non è un luogo. Un luogo dove ben presto, ad ognuno,
sarà negato il lieto
fine.
Al
seguito di quella spiegazione, Loki
sembrò gradire di nuovo le sue parole, alzò le
sopracciglia e si allontanò di
qualche metro per elaborarne la confessione. In lei riusciva a vedere
qualcosa
di simile, forse una parte di se stesso. Rivedeva il dolore e la
delusione, la
rabbia e il rancore. La giusta determinazione per ritrovare il posto
che le
spettava all’interno del suo mondo.
-E dimmi, essere mortale, cosa ti
porta ad usufruire di una così meschina soluzione?
Lei
lo aveva cercato e aveva posato
le mani sulle sue spalle, lasciva aveva sussurrato alle sue orecchie la
più
vera tra tutte le risposte.
-La
stessa ragione per cui tu non
puoi fare ritorno dal luogo da cui provieni.
Regina
era tornata a fissarlo e sul
suo volto aveva scorto un po’ di quel dispiacere portato solo
dalla realtà
delle sue parole. Le insinuazioni si erano dissolte nell’aria
e al suo posto c’erano
le disillusioni di un presente fatto schiavo dal passato. E quando i
lineamenti
dell’uomo si erano ammorbiditi, in un modo lievemente
percepibile, aveva
compreso di poter proseguire.
-Veniamo
tutti più o meno usati da
chi pensiamo possa amarci. Una madre, un amante, un fratello. Non fa
differenza
quale sia la sua natura. Perché quando crediamo di aver
trovato il nostro posto,
tutto ci viene portato via in nome di un qualcosa di ben più
meritevole. È
sorprendente quanto le storie degli uomini si somiglino, se guardate da
una
certa prospettiva, non credi? Siamo tutti diversi, eppure siamo tutti
uguali di
fronte alla fine di un amore. Ed è solo quando tutto va in frantumi che si
comprende quanto i sentimenti siano sopravvalutati. E sai cosa non lo
è, invece? -Regina aveva
fatto un passo avanti riducendo a poco a poco la loro distanza
–Il potere. Il potere non lo è mai.
Le
dita del dio si erano fatte
strada nell’incavo della sua spalla. Avevano accennato ad un
tocco leggero e
poi avevano trovato la sua guancia.
-Anche
la vendetta, oserei. Ma
suppongo che ti sfugga il punto.
Un attimo più tardi e con un gesto più
deciso, Loki aveva afferrato il mento della donna. Un movimento dettato da un'asprezza improvvisa e poco conforme al precedente riguardo. Lo aveva sollevato in alto e
aveva
costretto le sue iridi ad osservare tutta la disapprovazione di cui era capace.
-E
così anche tu saresti poco più
di una reliquia? Un tacito errore portato a galla dalle fulgide
speranze di un
futuro dorato?
La
stretta si era fatta più intensa
e lei aveva sussultato.
Dopo
un periodo di tempo
imprecisato, Regina stava provando nuovamente il gusto amaro della
sottomissione.
La
sua mano si era alzata di rimando, nella
speranza di evocare un incantesimo, un qualcosa che riuscisse a
liberarla dalla
presa del dio. Ma tutto ciò che ebbe in cambio fu solo uno
scintillio di colore
verde, un sapore di smeraldo che imprigionava il suo corpo e la sua
mente. Una
sensazione che fino ad allora solo l’Oscuro le aveva
impunemente provocato.
-Te
l’ho detto, sono un dio. E tu
non sei altro che una donna sconfitta in cerca di un barlume di
vendetta.
Niente di più e niente di diverso. E se solo ti fosse
concesso di intravedere i
miei dolori… non oseresti paragonarli ai tuoi. Io volevo
ciò che volevo. E tu?
Cosa mai potevi volere?
Il
silenzio cadde su di loro senza
spezzare alcun pensiero.
Regina
non aveva smesso di scrutare
i suoi occhi e lo guardava come se non lo vedesse, come se la sua mente
stesse
elaborando una debolezza non del tutto contemplata.
Loki
aveva fatto scendere la presa
attorno alla sua gola. Aveva ascoltato il suo respiro infrangersi sulla sua
pelle, le
sue vene pulsare al contatto della sua mano.
E
poi lei aveva parlato.
-Snow
–aveva esalato con un alito
di voce smorzato da una sofferenza inaspettata –lei
era… io ero… io volevo solo
che fossimo uguali.
Al
seguito di quella confessione la
presa si era allentata e la donna era scivolata ai suoi piedi
annaspando alla
ricerca di un po’ di ossigeno. Sotto gli occhi incupiti
dell’asgardiano si era
concessa una frazione di secondo per schiarirsi la voce, un atto dovuto
mentre
nella sua testa prendeva forma quello che sarebbe stato il prossimo
futuro.
-Il
sortilegio che ho lanciato arriverà
tra poco, piccolo dio. Tutti noi saremo catapultati nel mondo degli
esseri
umani, un luogo dove il lieto fine verrà dimenticato e tu,
invece, sarai libero
di andare in qualunque mondo tu voglia andare.
Regina
aveva afferrato la mano che
l’uomo le aveva offerto, si era rialzata e aveva cercato il
suo sguardo
riscoprendolo macchiato di una solitudine debilitante. Aveva esitato
quello che
bastava per allontanare il senso di disagio e aveva lasciato che il
calore di
quella sensazione la sfiorasse.
-Qualsiasi
luogo possa darti la
vendetta che meriti, quello è il tuo posto, Loki di Asgard.
Dopo
quel velato augurio il tempo
si era come fermato, finché alla fine il sortilegio era
arrivato. Era giunto come
a volte giunge una fine, magari un intermezzo fra due storie,
perché in quella
oscurità si scriveva un nuovo inizio, qualcosa di molto
simile a una sorpresa.
E per quanto potesse essere buia, quell’oscurità,
non era quello l’importante.
L’importante era il proseguo. Era la strada ancora da
percorrere. La via per un
posto forse migliore.
N.d.A.
Salve a tutti! Se siete qui probabilmente siete appassionati sia di
Once, sia
della saga degli Avengers, o magari solo di Loki o solo di Regina. Non
so come
mi sia venuto in mente questo crossover, devo essere onesta! Lavavo i
piatti e
mi è venuto come un flash. Quindi ecco il risultato. Spero
possa essere
apprezzato e che non risulti troppo forzato. Ringrazio in anticipo
tutti quelli
che lo leggeranno. A presto. Giulia
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