Capitolo
4
Passato
Un nuovo giorno sorse su Ponyville e la vita nelle
strade, puntuale come un orologio, tornò a scorrere con un
largo sorriso scolpito nelle facce dei suoi abitanti. Senza
disordini, senza rumori, caratterizzati unicamente da una tempesta di
colori, tutti i pony della città si gettarono nelle strade
obbedienti alle loro mansioni.
Sebbene fossero molto diligenti e la loro fedeltà
al lavoro fosse indiscutibile, tutti quelli che passavano non
potevano fare a meno di gettare un'occhiata incuriosita alla casa
dove viveva la coppia di umani provenienti da un altro mondo. O
almeno, questo era quello che più si diceva sui nuovi, strani,
inquilini.
Princess Twilight Sparkle aveva dato precise istruzioni
e, guardando attentamente nei cieli, si potevano vedere alcune
guardie reali, prive di armatura ma sempre riconoscibili dal cipiglio
severo e distaccato, nascosti tra le nuvole che non perdevano
d'occhio ogni entrata, finestra o possibile via di fuga.
Se invece del cielo si studiavano le finestre, non era
rado vedere Aria Blaze o Alastor Sullivan -nomi e aspetto erano stati
dettagliatamente descritti ad ogni singolo abitante di Ponyville-
tirare le tende per curiosare all'esterno prima di ritirarle
frettolosamente e sparire nuovamente.
Dentro la casa, Aria Blaze imprecò mentre tirava
con rabbia malamente repressa le tende avanti a se, mascherando la
strada sterrata davanti alla loro casa prima di spostarsi in un'altra
sala.
«Stramaledetti
pony!» esclamò, cambiando sala ed entrando nella stanza
dove c'era una cucina. Al suo interno, Alastor rovistava la dispensa.
«Muffin,
biscotti e... cos'è questo, lecca
lecca di sale?
Fieno
fritto?»
«Pare
che dovrai abituarti presto ad una dieta molto
vegetariana.» ironizzò la sirena, prendendo con
decisione un frullato passando di fianco a lui prima di sedersi
altrove. Sebbene odiasse il fatto di essere bloccata in quattro mura,
non poteva negare che l'ingenuità di Alastor le offrisse un
divertente svago.
Il ragazzo,
ignorando lo sfottò, chiuse le ante della dispensa e sospirò
profondamente riflettendo a voce alta mentre si avvicinava alla
sirena «Non mi è mai mancato così tanto il Black
Canary!»
Aria bevve un lungo
sorso, prima di chiedere «Vuoi dirmi che hai intenzione di
accettare questa prigione dorata della principessina?»
Alastor sobbalzò,
guadando Aria dritta negli occhi viola «Diavolo, certo che no!»
La sirena si allungò
verso il ragazzo, appoggiando la confezione del frullato sul tavolo,
prima di aggiungere «Sai, mentre pensavo a cosa potremmo
fare... mi sono accorta di sapere proprio poco su di te.»
Il ragazzo incrociò
le braccia, inarcò un sopracciglio e si appoggiò con la
schiena ad un mobile, commentando quelle parole «Be', se per
questo anche io so molto poco su di te.»
«Ed è
proprio questo il punto!» esclamò Aria, scattando in
piedi e puntando una mano verso Alastor «Tu non mi conosci. Sai
quasi niente di me, eppure hai deciso di aiutarmi quasi senza battere
ciglio. Non solo, hai rischiato anche la tua pelle e hai minacciato
di mettere le mani addosso a chiunque ti capitasse a tiro, quando mi
credevi scomparsa!»
Alastor sembrò
anticipare dove voleva andare a parare e spostò lo sguardo,
difendendosi debolmente «Te l'ho detto, aiutarti è la
mia occasione per fare qualcosa di...»
«Che rapporti
avevi con la mia controparte del tuo mondo?» domandò,
quasi a tradimento, la sirena, prendendo il viso di Alastor con una
mano per portarlo a guardarla di nuovo negli occhi.
Alastor si liberò
dalla presa, diede le spalle ad Aria e allungò le mani verso i
fianchi «Non mi va di parlarne. Io non ti ho chiesto come sei
nata.»
Seguì un
silenzio piuttosto teso, che Aria interruppe dopo un paio di minuti
«Ho più di duemila anni.»
Alastor sembrò
sorprendersi di questa rivelazione e tornò a guardare Aria
sorpreso «Li porti piuttosto bene!»
Lei si sedette,
invitando il ragazzo a fare altrettanto. Una volta che furono uno di
fronte all'altra, Aria raccontò tutta la sua storia.
Non sapeva spiegarsi
il perché, forse voleva semplicemente conoscere meglio chi
voleva proteggerla e pensava di usare quella confidenza a suo
vantaggio, oppure aveva semplicemente bisogno di sfogarsi. O, ancora
più semplicemente, si fidava di Alastor.
Qualunque fosse la
verità, raccontò tutto senza alcun timore.
In
un tempo lontano, prima che i regni venissero segnati sulle mappe e
le varie culture del mondo si conoscessero, il mondo era preda di
quelle energie primordiali che in futuro sarebbero state raccolte
semplicemente con il nome di “Caos”.
Esseri onnipotenti trascorrevano le loro giornate
combattendo il tedio della routine quotidiana seminando il panico e
la confusione sulle altre specie inferiori alla loro. Uomini, donne e
bambini, di qualunque etnia e classe sociale, la loro vita quotidiana
era resa estrema e difficile dai capricci di queste divinità
che si raccoglievano sotto il nome di Draconequus.
In uno degli ultimi giorni di quel triste e oscuro
periodo, passato alla storia come l'Era del Caos, un gruppo composto
da soli due Draconequus avevano pensato che sarebbe stato divertente
organizzare un ballo in una delle città costruite poco lontane
dal loro rifugio; un monte che si alzava fino al cielo, nascondendo
la vetta tra le nuvole.
Nessuno di loro sapeva quali fossero le ragioni che
avessero portato i pony che si erano spostati in quelle terre a
costruire una casa proprio lì vicino e nemmeno li importava.
Ogni posto in tutto il pianeta, vicino o lontano che fosse, aveva
esattamente le stesse possibilità di trovarsi come bersaglio
per gli esseri divini che flagellavano quelle terre.
Così, assumendo le dimensioni di una montagna, i
due Draconequus si scatenarono sugli abitanti della città,
cantando, ridendo e danzando sulle rovine e la devastazione che
seminavano con i loro goffi passi, mentre le grida terrorizzate degli
abitanti sotto di loro venivano a volte schiacciate dalle enormi
zampe degli dei oppure finivano con il fare da sottofondo alla loro
danza, mentre tutto intorno a loro crollava.
Alla fine della giornata, più della metà
della popolazione originale della città era perduta e la
maggior parte dei superstiti non avrebbe superato la notte a causa
delle ferite e delle esalazioni. Chi invece era stato più
sfortunato ed era sopravvissuto si trovava costretto a ricominciare
da capo, senza una casa, cibo o mezzo per sopravvivere in quelle
terre così difficili.
Ma tra i superstiti più sani c'erano tre
giumente, tre pony di diverse etnie provenienti da una terra lontana,
che erano miracolosamente uscite quasi indenni dalla distruzione
della loro casa. Esse odiavano con tutta l'anima quegli dei che
godevano nella loro sofferenza.
«Creature maledette!» berciò una di
loro, Adagio Dazzle, osservando con una rabbia che non poteva più
a contenere lo scenario dell'ultima devastazione seminata dai
Draconequus.
Dietro di lei, Sonata usava i denti per levare alcune
schegge che si erano infilate nelle ali di Aria. Sul loro volto c'era
una grande preoccupazione, eppure non parlavano.
«Non dire blasfemie!» osservò un
altro pony, avvicinandosi al trio «È solo grazie alle
nostre preghiere che siamo vivi! Dobbiamo rendere gr...»
Incapace di resistere, Aria tirò una grossa
pietra alla testa del pony. Questi, colpito, barcollò mentre
una non troppo piccola ferita si apriva sulla sua fronte.
Prima che potesse dire qualunque cosa, Adagio giustificò
le azioni della compagna, allontanandosi assieme a loro dallo
stallone «Se i draconequss avessero udito le tue preghiere ti
avrebbero già schiacciato, solo per divertimento.»
«Tsk. E non li biasimerei!» aggiunse Aria,
dietro Adagio.
Sonata rimase in silenzio, attendendo il momento in cui
sarebbero state fuori dalla portata delle orecchie dello stallone che
avevano appena attaccato e offeso. Comprendeva i sentimenti delle sue
due compagne, alla fine vivevano insieme da molti anni.
Erano cresciute insieme e sempre insieme avevano
affrontato le difficoltà di un mondo privo di una guida
solida, dove città e popoli venivano bruciati da creature
onnipotenti per capriccio, ma una parte di lei si rifiutava di
accogliere quelle brutte sensazioni come invece Aria e Adagio avevano
fatto da tempo.
Anche con le difficoltà, loro erano rimaste
unite, assieme erano quello che più si avvicinava al concetto
di famiglia, perciò non era convinta che quei tempi fossero
oscuri come invece loro credevano.
«Non pensate di esagerare, almeno un poco?»
domandò lei, non appena furono abbastanza lontane da occhi e
orecchie indiscrete «Se continuate a sbraitare così
contro i Draconequus, attirerete su di noi qualche catastrofe!»
Seguì il silenzio. Se Sonata rifiutava la cupezza
di quegli anni, Aria e Adagio l'avevano invece accettata con modi
differenti: Aria si era incupita, diventando un pegaso taciturno ma
al tempo stesso acido, che sfogava il suo malumore offendendo e
attaccando indistintamente chi le stava intorno, un po' come uno Yak.
Adagio, invece, aveva trovato sfogo alle sue malinconie nella
conoscenza, sviluppando una mente sopraffina. E quelle parole di
Sonata, prese in malo modo da Aria, accesero in lei qualcosa.
Mentre Aria non si faceva problemi a far notare a Sonata
quanto la ritenesse stupida, Adagio rimase ad osservare la montagna
sopra il quale i Draconequus avevano stabilito la loro dimora.
Il sole calava e si stava avvicinando l'imbrunire,
poteva vedere le sagome serpentine di quei mostri avvicinarsi alla
cima del monte come sciami di calabroni che tornano al nido.
«Forse non è un'idea tanto malvagia.»
fu il suo commento, pronunciato con tono basso e assente, come se
stesse parlando senza alcun controllo, che riuscì comunque a
zittire Aria e Sonata.
E così, quella sera, le impavide e perfide
compagne si arrampicarono sulla montagna che nessun'altra creatura
mortale prima di loro aveva osato attraversare e una volta arrivate
in cima poterono ammirare i creatori e i distruttori di tutto quello
che conoscevano.
I Draconequus, folli miscugli di animali all'apparenza
ma dotati di poteri divini, capaci di alterare la realtà che
li circondava secondo i loro capricci. Nessuno sapeva quale fosse la
reale origine dei loro poteri, di quale peccato dovessero essersi
macchiati per ricevere un dono simile. E, in quel momento, nemmeno
importava.
Quando gli dei dormono, la natura a volte da vita ad
una... “anomalia”. Il serpente, la bestia,
l'ingannatore...
Sussurrando nelle enormi orecchie degli dei che avevano
giocato con il loro mondo fino a quel giorno, le tre giumente
instillarono nelle loro menti, rese deboli e vulnerabili dal sonno,
il dubbio e la paura dei loro stessi compagni.
Nessuno sa quali parole le tre sirene avessero usato
quella notte per raggiungere il loro scopo: forse le loro capacità
di seminare odio e zizzania risalivano da ancora prima della loro
magia, o forse i rapporti tra i Draconequus non sono mai stati rosei
come si poteva immaginare, fatto sta che presto cominciò una
guerra tra loro.
E quando gli dei combattono tra loro, l'unico risultato
che si può ottenere è la distruzione.
I Draconequus che un tempo dominavano incontrastati
cominciarono a scontrarsi tra loro ai quattro angoli del mondo, dando
vita a duelli sempre più cruenti, che squarciavano il tessuto
stesso della realtà e lasciavano dietro di se solo
distruzione.
E i mortali piansero, vedendo il loro mondo esplodere in
quella guerra e i loro cari perire per colpa degli attacchi privi di
controllo dei duellanti.
E mentre questi esseri, capaci di invertire la gravità,
modificare l'intera realtà e cancellare città con un
solo pensiero, giacevano a terra, indeboliti e a malapena in grado di
parlare, una nuova oscurità si avvicinò.
Con un sorriso sornione, le tre compagne che avevano
dato origine a tutto questo osservavano i corpi ancora fumanti dei
vinti, i quali in cambio di aiuto offrivano loro tutto quello che
avrebbero potuto desiderare.
«Chiedo
perdono, ma credo che lo prenderemo da
sole.»
fu sempre la loro lapidaria risposta, prima di affondare il loro
colpo fatale sulla nuova vittima, eliminando definitivamente la
creatura più vicina ad un dio che si potesse immaginare.
Ma
nessuno uccide un dio e la passa liscia. Cosa succede, però,
se uccidi due
dei?
O dieci? O tutti?
Le tre compagne affondarono in profondità le loro
zanne nelle carcasse dei loro antichi padroni, prosciugandoli di
tutti i loro poteri.
Addio,
tre piccoli pony, e benvenute... Sirene.
Grazie ai poteri rubati ai Draconequus le tre Dazzling,
appena evolute in qualcosa di unico e al tempo stesso terribile,
acquisirono nuovi e sorprendenti poteri.
Innanzitutto divennero eterne, incapaci di invecchiare e
in grado di passare le ere senza mai risentire gli anni. Poi, grazie
all'influenza dei Draconequus, acquisirono poteri virtualmente
infiniti. Per sfruttarli, tuttavia, avevano bisogno di alimentarsi
con le energie derivate dalle emozioni delle creature inferiori: i
precedenti proprietari di quei poteri erano manifestazioni incarnate
delle energie del caos, loro erano solo dei gusci in cui queste erano
convogliate, prive del contatto naturale alla loro sorgente.
Consce di questo decisero di usare le loro doti per
seminare zizzania e di nutrirsi con le energie negative che si
sarebbero create.
Come la loro voce aveva portato alla guerra i
Draconequus e dato loro quei poteri, così la loro voce avrebbe
generato nuovi scontri e garantito loro l'eternità.
Paradossalmente, la scomparsa dei Draconequus e l'arrivo
delle sirene fu una ottima occasione per i popoli della terra: tre
creature dotate di quei poteri, invece delle decine che prima
infestavano il globo, lasciavano zone d'ombra dove sviluppare le
civiltà molto più ampie e durature. Così, la
nascita di queste creature subdole coincise anche con una nuova era
per i mortali.
Un solo Draconequus era riuscito a salvarsi, Discord, ma
questo sembrava non provare rancore verso le sirene: vedendosi come
unico vincitore della guerra tra i suoi simili, passò molti
anni divertendosi combinando ogni sorta di scherzo infantile che
potesse passargli per la mente. E, dall'altra parte, le sirene si
sentivano già abbastanza soddisfatte con i loro attuali
poteri, per desiderarne altri.
Così, con l'ultimo dei Draconequus da una parte e
tre sirene in grado di seminare il caos con la musica dall'altra, la
vita sulla terra continuò, nuovi regni nacquero e nuove
società presero il posto che spettava loro di diritto nei
libri di storia.
Per gli esseri più potenti del mondo non poteva
esserci condizione migliore: sconvolgere intere civiltà con
infinite marachelle quando queste credono di aver trovato l'ordine, o
mettere gli uni contro gli altri quando l'unità è il
valore più lodato di una nazione, erano scenari ideali per
mettere alla prova i loro poteri.
Poi venne una nuova era ancora, che segnò un
nuovo cambio verso un mondo definitivamente migliore: l'Era degli
Alicorni.
Nessuno sapeva da dove fossero uscite, ma come le tre
tribù di pony si riunirono in un'unica nazione, la neonata
Equestria, e scelsero loro due come guida subito si scatenò
una rapidissima serie di eventi destinata a cambiare una volta per
tutte l'ordine del mondo.
Discord
venne sconfitto dalle principesse Celestia e Luna, le regnanti di
Equestria che nel frattempo avevano guadagnato una fama senza pari
risolvendo rapidamente molte altre minacce di stampo minore, e
Starswirl il Barbuto, fidato compagno delle governanti di Equestria,
bandì le sirene in un altro mondo, una volta compreso che non
avrebbe mai
potuto superare il loro potere.
Nel nuovo mondo dove si trovavano non esisteva la magia;
i loro medaglioni erano tutto quello che le legava al mondo mistico a
cui appartenevano, perciò anche i loro poteri erano
sensibilmente diminuiti: il massimo che potevano fare era accumulare
potere e sperare che, un giorno, questo sarebbe stato sufficiente per
farle tornare a casa.
Ovviamente questo potere non sarebbe mai arrivato, se
non fosse stato per una opportunità che si presentò
loro all'interno della Scuola Superiore di Canterlot: un artefatto di
Equestria era stato portato in quel luogo, lasciandogli un'impronta
magica che loro potevano sfruttare per riottenere i loro pieni
poteri.
Ma Twilight Sparkle e le sue alleate in quella scuola
riuscirono a stravolgere i loro piani, sconfiggendole e privandole
definitivamente della loro unica fonte di potere; i medaglioni.
Abbandonate e senza più poteri, le sirene
tentarono in ogni modo a loro disposizione per riavere anche quel
poco potere che possedevano inizialmente: tentarono di ricostruire i
medaglioni, di cantare... arrivarono persino a ingoiare le schegge,
ma ogni tentativo si rivelò vano.
Così, le
energie del caos, padroneggiate da queste quattro creature
semidivine, sembravano essere definitivamente scomparse, consegnando
tacitamente l'eco delle loro imprese ai libri di storia.
Alastor terminò
di ascoltare la storia come rapito. Trovava sorprendenti le origini
di quella graziosa ragazza che voleva aiutare.
«Avete davvero
ingoiato le schegge dei vostri medaglioni?» chiese subito «Non
era pericoloso?»
«Te l'ho
detto, Alastor: ho più di duemila anni.»
«E questo che
c'entra?»
Sebbene seccata che
il ragazzo non lo capisse da solo, Aria spiegò meglio «La
magia del caos, il fatto stesso di essere una sirena, mi ha sospeso
l'invecchiamento. Per quanto poca magia possedessimo, bastava a farci
restare per sempre giovani. Ora, senza magia, noi Dazzling siamo solo
esseri umani. Di più di duemila anni.»
Alastor, finalmente,
capì l'antifona «Vuoi dire che...»
«Anche
se in maniera irregolare, e in qualche modo la magia di Equestria ha
fermato il processo, oggi ho trenta
due
anni. Quando Trillyt
ci sconfisse, poco più di un mese fa, ne avevo quindici.»
Alastor immaginò
quanto dovesse essere stato terribile scoprire qualcosa di simile e
tra i due calò il silenzio per alcuni istanti: lui non sapeva
cosa dirle e lei aveva bisogno di qualche secondo per dimenticare lo
shock di quei momenti.
Quando ci riuscì,
Aria passò il testimone al suo coinquilino «Ora tocca a
te. Chi sei, veramente?»
Alastor sospirò,
passandosi le mani sui capelli per qualche secondo. Alla fine scelse
di svuotare il sacco, visto che Aria aveva fatto lo stesso con lui.
«Devi sapere
che sono nato in un posto molto lontano, rispetto a dove ci siamo
conosciuti. È per questo che ho un nome molto diverso dagli
altri abitanti.»
«E come ci sei
arrivato?»
«Non come
accadde di preciso, ero troppo giovane. Non ricordo nemmeno chi
fossero i miei genitori, a dirla tutta.»
Aria inarcò
un sopracciglio «So che sei molto affezionato a tua madre...
com'è possibile?»
«Lei è
uno dei motivi per cui non mi piace parlare di questa storia. Ma se
lo vuoi tu, farò uno sforzo.»
Così come
Aria aveva fatto prima di lui, anche Alastor svuotò il sacco e
le raccontò tutta la sua storia.
Veniva da un'altra
nazione, non volle specificarne il nome e fin dalla nascita la sua
vita era caratterizzata dalla solitudine. Non era molto intelligente
e aveva palesi difficoltà a capire cosa dicevano le persone
intorno a lui e inoltre la sua statura molto elevata e il fisico
massiccio lo rendevano un soggetto abbastanza temuto tra i coetanei.
Tutto quello che
Alastor ricorda della sua infanzia è che stava in un
orfanotrofio e c'è stato fino all'adolescenza, quando si fece
conoscere da Lucius Sullivan.
Lui stava nel
cortile della struttura, quando qualcuno cercò di fare il
bullo con un altra ragazzo più piccolo. Alastor, senza fare
troppi complimenti, lo aveva sollevato di peso e lanciato lontano
come un sacco di patate.
Casualmente, in quel
momento, passava proprio il potente capofamiglia. Vide nel ragazzo
del potenziale e, spacciandosi per un improbabile zio, lo prese con
se. Grazie ai suoi agganci l'affido durò non più di
dieci minuti.
Così,
Alastor venne adottato, ma Lucius Sullivan aveva un impero da
gestire, non poteva di certo perdere troppo tempo dietro “la
creatura”, come lo chiamava lui!
Così,
anche se sulla carta ne aveva una, in realtà Alastor non aveva
una vera famiglia su cui fare affidamento. E poi il suo carattere,
scostante e generalmente di poche parole, non gli lasciavano molto
tempo per le amicizie.
La
prima persona a cui legò fu una delle donne
dell'organizzazione dello zio, alla quale venne affidato poco dopo
essere stato adottato: Aria Blaze.
Alastor
non ricordava con esattezza quale fosse il ruolo della donna, ma
sapeva con estrema precisione che tutto quello che sapeva lo doveva a
lei: come muoversi nei loro ambienti, riconoscere le occhiate, tutti
i trucchi delle risse da bar... persino il Black Canary, quello
squallido locale, venne frequentato da Alastor solo grazie ad Aria.
Sebbene
non sapesse il suo ruolo principale, il ragazzo ricordava come la sua
mentore fosse la vecchia proprietaria del locale. Ma sembrava che con
il cambio di gestione, alcuni anni dopo, non ci furono grandi
cambiamenti.
Insomma,
Alastor e Aria legarono molto. Lei era stata incaricata di introdurre
Alastor nell'ambiente “di famiglia” e lei aveva obbedito
diligentemente.
Quello che forse non
si era accorta era che, per il giovane Alastor, lei era diventata
quello che lui aveva di più simile ad una figura genitoriale.
Lo zio semplicemente si limitava a dargli vitto e alloggio, cosa di
cui lui era molto grato, ma era la sua mentore quella che gli era
sempre accanto, che lo aiutava a crescere e che lo educava.
A volte i suoi modi
erano molto militareschi, ma a lui non importava. Per quanto potesse
saperne, stava solo cercando di educarlo. Lo cresceva per essere un
soldato, il classico scagnozzo da portare in mezzo a qualche inferno
per mollare sberle a destra e a manca fino a quando non veniva
ristabilito l'ordine.
E se lei, forse
l'unica persona che gli mostrava un minimo di affetto, voleva che
crescesse così il minimo che poteva fare era obbedirle.
Al Black Canary
venne presentato a quelli che poteva chiamare amici: Bulldog, Bobo,
El Bastardo e Susy, la figlia di suo zio che vedeva anche a casa.
Tutti obbedivano ciecamente agli ordini della padrona del locale, al
punto di fare squadra tutti e sei insieme.
Poi venne un giorno
in cui quel legame venne messo alla prova.
Una delle prime
lezioni che i ragazzi avevano imparato era che non erano mai gli
unici. Di tutte le attività possibili, quella illegale era
quella che non conosceva crisi e molti volevano una fetta della
torta; perciò era meglio restare sempre in campana.
Tra questi rivali
c'era una banda in particolare che voleva espandere la sua influenza
e per farlo si stava muovendo silenziosamente, facendosi notare da
nessuno.
Nessuno, eccetto
Aria.
Casualmente
lei era capitata in mezzo ai loro affari e questi, credendo fosse
giunto il momento per uscire dalla segretezza, l'avevano rapita
pensando che sarebbe stato un modo perfetto
per
iniziare la loro carriera criminale ufficiale.
Fu così che i
cinque ragazzi si unirono per la prima volta, per salvarla dai
rapitori. Loro e altri uomini dello zio: di fatto, quel recupero era
il primo vero incarico che Alastor ricevette.
Trovare i rapitori
fu meno complicato di quanto si potesse pensare e, una volta entrati,
scoppiò un vero e proprio massacro. Non che al ragazzo
importasse.
I proiettili
vagavano gettando fischi per tutta la stanza, ma lui andò
avanti deciso e liberò Aria dalle sue manette. L'aveva tirato
su lei, il minimo che potesse fare era rischiare la pellaccia per
salvarla.
E ci riuscì.
Lei era legata ad un palo con delle manette da quattro soldi che il
ragazzo spezzò come se fossero state fatte di alluminio.
Una volta in piedi,
Aria si voltò verso il ragazzone che aveva cresciuto per più
di dieci anni, gli appoggiò una mano sulla spalla e lo
ringraziò sorridente.
Poi, a tradimento,
un proiettile le entrò nel cranio passando dalla nuca e Aria
Blaze si accasciò a terra come un sacco vuoto. Mentre
raccontava questi eventi e di come riconobbe la pistola ancora
fumante che aveva sparato quel colpo, Alastor non smise di
massaggiarsi nervosamente le dita delle mani.
Nessuno
disse una parola, ma tutti capirono cosa era successo. Di questo
Alastor ne era sicuro, perché alla fine della sparatoria la
banda rivale era stata sgominata e l'unico ancora in piedi era il
verme
che aveva sparato.
Il racconto terminò
qui. Alla fine Alastor sentiva la bocca secca come se non bevesse da
settimane, ma lo stomaco si era ristretto fino ad assumere dimensioni
simili ad una pallina da golf, rendendo impossibile bere qualcosa.
Aria avvertiva una
strana sensazione a sentir parlare della propria morte, tuttavia si
impose di rompere il silenzio. Domandò «Cosa gli hai
fatto, di preciso?»
«Non voglio
che tu lo sappia.» rispose, lapidariamente, Alastor
«Perché?»
«Perché
neppure io lo voglio ricordare.»
Aria si prese
qualche secondo, prima di domandare «Perciò mi vuoi
aiutare per riconoscenza verso la mia controparte del tuo mondo?»
Alastor la guardò
con un sorriso triste, come se il fatto che lei non capisse lo
trovasse divertente «Tu non stai rischiando quanto me, per
trovare le tue amiche?»
La sirena tacque.
Forse le riusciva difficile comprendere quel legame che Alastor
mostrava anche nei suoi confronti e anche il paragone che aveva
appena usato non lo capiva a fondo: lei e le altre sirene erano
legate da un potere superiore, una forza mistica aldilà di
quanto un mortale possa comprendere... mentre come ci si dovesse
sentire ad affezionarsi con un'altra persona senza il legame magico
che già conosceva sembrava aldilà della sua
comprensione.
Dopo una breve
pausa, lei sorrise «Quando mi riunirò alle altre...
riprenderemo questa conversazione.»
Alastor prese quelle
parole come una promessa e ricambiò il sorriso. Era ancora
lontano dall'essere un'espressione rilassata, ma si vedeva lo sforzo
di apparire naturale e la sirena apprezzò comunque lo sforzo.
Più complici
che mai, insieme cominciarono ad elaborare un piano per liberarsi da
quella situazione.
Le
altre Dazzling erano ancora scomparse, nessuno dei due sapeva cosa
voleva fare Twilight Sparkle di loro e la famigerata Regina
era
ancora a piede libero. Se volevano ottenere delle risposte, potevano
contare solo su di loro. Come sempre.
E a loro andava
benissimo così.
Che lei fosse brava lo aveva sempre saputo. Anche senza preoccuparsi
di cadere nella vanità, Twilight sapeva di essere una mente
molto brillante e con una dote innata verso il campo magico, uno dei
campi più difficili in cui avventurarsi e con probabilmente la
maggiore quantità di informazioni da immagazzinare. Eppure a
lei non pesavano le ore di studio, poteva anche consultare più
libri alla volta in poche ore senza sentire nemmeno gli occhi farsi
pesanti.
Ma, in quella situazione, tutta la certezza accumulata nel tempo era
crollata come un castello di carte.
Nel buio dietro il sipario, mentre la musica dei vari gruppi in
competizione nella gara musicale del liceo di Canterlot riempiva la
sala, Twilight appuntava freneticamente sul suo quaderno qualcosa,
qualsiasi cosa che potesse
aiutarla.
Dal momento esatto in cui aveva compreso che le Sirene stavano
seminando il caos nella scuola aveva spolverato tutte le sue
conoscenze per venire a capo di un piano per sconfiggere questa nuova
minaccia.
E riuscì ad elaborarlo. Assieme a sei riserve in caso qualcosa
andasse storto.
Sei strategie differenti, più un attacco diretto con il
riflesso del potere degli Elementi dell'Armonia che impregnava i
doppioni delle sue amiche in quel luogo.
Tutti falliti miseramente.
Da quando era iniziata la competizione, poi, aveva ideato
innumerevoli decine di altri controincantesimi, combinazioni e
alchimie di ogni sorta per contrastare l'effetto del canto delle
Dazzling, ma ogni suo tentativo si era rivelato soltanto un buco
nell'acqua dopo l'altro.
Lei era Twilight Sparkle, Principessa dell'Amicizia, nota in tutta
Equestria e oltre per le sue capacità magiche, i suoi poteri e
le sue risorse virtualmente infinite. Eppure, di fronte a quel
maledetto trio, sembrava che stesse lanciando pietre contro il mare
in tempesta.
Nessuno, nemmeno Nightmare Moon, l'aveva mai lasciata con le spalle
al muro come in quella situazione.
Oh-whoa-oh,
oh-whoa-oh
You didn't know
that you fell
Oh-whoa-oh,
oh-whoa-oh
Now that you're
under our spell
Le note maledette delle sirene le trapanarono le orecchie come dardi
scoccati con precisione. Nessuna delle sirene poteva sentirla, eppure
per la principessa fu come sentirsi rinfacciare quanto
improvvisamente tutte le sue conoscenze, tutti i suoi poteri e tutte
le sue doti avevano, giunti a quel punto, meno valore dell'inchiostro
che stava sprecando alla ricerca di una soluzione.
E così, mentre lei sudava freddo cercando di mantenere la
concentrazione vicina e lontane le grida degli studenti,
improvvisamente furiosi gli uni con gli altri grazie al canto delle
Dazzling, un pensiero le balenò in testa, rapido ed evidente
come un lampo.
Un pensiero che la gettò nello sconforto.
Loro hanno perso quasi tutti i loro poteri.
«Twilight!» la voce
di Spike tuonò nella sala, destando la principessa dal suo
stato di trance.
Trasalì e, voltandosi
verso il draghetto suo fido assistente, la principessa cercò
di sorridere «Oh, Spike... da quanto tempo sei qui?»
Solo mentre pronunciava queste
parole si accorse di stare sudando.
Spike allargò le braccia
«Sono qui da dieci minuti, ma non è questo il punto. Che
ti è successo? Eri seduta là che guardavi la parete con
uno sguardo che sembrava ti avesse insultata e ti tremava una gamba;
ma quando hai cominciato ad ansimare ho cominciato a preoccuparmi.
Tutto bene?»
Twilight aprì la bocca,
cercando un modo per tranquillizzare il giovane drago. Ma alla fine,
con un lungo sospiro, scelse invece di essere sincera.
«No, Spike. Non va bene
proprio niente.» rispose, alzandosi e affacciandosi ad una
delle finestre che dava su Ponyville.
Era ormai calata la notte e le
luci fioche dei lampioni mostravano il paesaggio, puntellandolo come
il dorso di una cocinella, mentre sempre più case spegnevano
le luci.
«Le Dazzling sono ad
Equestria e il Cielo sa cosa potrebbe accadere, se rimettessero le
mani sul potere che avevano prima che Starswirl le bandisse.»
«Qualunque siano le
conseguenze, ce la faremo!» rispose Spike alla preoccupazione
della padroncina, battendosi un artiglio chiuso a pugno sul petto «Ne
abbiamo passate tante, supereremo anche questa.»
Purtroppo,
il pessimismo di Twilight era troppo alto per il drago «Non lo
so, Spike... stiamo parlando di tre creature che nemmeno Starswirl
il Barbuto,
uno dei più grandi e potenti unicorni della nostra storia, è
riuscito a sconfiggere del tutto. Le stesse sirene che hanno rubato i
poteri agli altri Draconequus! E ora, loro sono tornate... tutte
e tre!
Chissà cosa penserebbe Starswirl di me, se sapesse la
situazione in cui ci troviamo!»
A quelle parole, Spike non
rispose subito. Lentamente, si avvicinò a Twilight e le
appoggiò deciso una zampa sulla gamba.
Quando
i loro occhi si incrociarono, ripeté con una decisione che
sorprese la principessa «Te l'ho detto, Twilight. Qualunque
cosa succeda... noi
ce la faremo.
Sopravvivremo anche a questa.»
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