Never Steal a Soul Cake

di eugeal
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Guy guardò il medico con uno sguardo talmente minaccioso da far arretrare l'uomo di qualche passo.
- Se lo sceriffo è ridotto così per una forte perdita di sangue, volete spiegarmi che senso ha voler usare delle sanguisughe su di lui?! - Ringhiò. - Portate subito via quelle schifezze immonde e sparite!
Il medico afferrò il vaso di vetro che conteneva le sanguisughe e infilò la porta di corsa, senza osare protestare.
Rimasta sola con lui, Marian guardò Guy.
- Siete sicuro che vada bene così? Forse sarebbe stato meglio farlo restare con lo sceriffo.
Gisborne alzò le spalle.
- Gli ha ricucito la ferita, l'ha medicata con un unguento per evitare un'infezione e gli ha dato un tonico, qualsiasi altra cosa che potesse fargli avrebbe causato più danni che altro. Non mi fido troppo delle teorie di quel ciarlatano. E le sanguisughe sono assolutamente disgustose. - Disse Guy con un brivido.
Marian si ritrovò a pensare rabbiosamente che Guy non le era sembrato così disgustato quando invece era stata una bella donna a succhiare il sangue dalla sua ferita, poi si sorprese per quel pensiero.
Anche se quella Lady Millacra si fosse offerta sfacciatamente a Guy, perché la cosa avrebbe dovuto riguardarla? Lei amava Robin, Gisborne al massimo poteva essere un amico e un alleato.
- Cosa facciamo, ora? - Chiese, preoccupata.
- Vi riaccompagnerò ai vostri alloggi. È meglio che vi chiudiate dentro e non apriate a nessuno, almeno finché non avrò trovato il responsabile di queste aggressioni. Lascerò degli uomini di guardia davanti alla vostra porta, non avrete nulla da temere.
Guy le porse il braccio e Marian lo prese, ma prima di uscire dalla stanza dello sceriffo si fermò a prendere la rapa lanterna. Forse era sciocco da parte sua, ma se l'avesse messa sul davanzale della finestra si sarebbe sentita più sicura.
Gisborne ordinò ai suoi uomini di sorvegliare a vista lo sceriffo e di proteggerlo da qualunque minaccia, poi accompagnò Marian attraverso i corridoi del castello. La ragazza sembrava essere nervosa e spaventata e sobbalzava a ogni minimo rumore e Guy si ritrovò a sorridere tra sé.
Marian era sempre così ostinata e indipendente e a lui faceva piacere vedere che per una volta sembrasse aver bisogno della sua protezione.
Le sfiorò la mano appoggiata al suo braccio con un gesto rassicurante e le sorrise.
- Sarete perfettamente al sicuro e se avrete bisogno di me ditelo a una delle guardie, mi chiameranno immediatamente e accorrerò per proteggervi.
Marian si sentì arrossire suo malgrado.
- Grazie.
Arrivati davanti alla porta delle sue stanze, Guy entrò insieme a lei, scusandosi per quell'intrusione ed esaminò velocemente il suo alloggio, accertandosi che nessuno potesse nascondersi in qualche nicchia, dietro una tenda o sotto al letto.
- Visto? Chiudete la porta e nessuno potrà farvi del male.
Tranne le anime dei morti. Pensò Marian, ma non disse nulla, vergognandosi di poter sembrare superstiziosa agli occhi di Guy.
Gisborne si congedò da lei, indugiando per qualche attimo prima di salutarla e Marian ebbe l'impressione che fosse sul punto di baciarla.
Era pronta a respingerlo, indignata, ma Guy non fece nulla e si limitò a uscire dalla porta dopo un ultimo sorriso rassicurante.
Marian lo guardò andare via. Avrebbe dovuto essere sollevata dal fatto che non avesse preso alcuna iniziativa per corteggiarla, ma inspiegabilmente si sentiva delusa.
Con un sospiro mise la lanterna sul davanzale della finestra e rimase a guardarla per un po'.
Gisborne aveva messo tanta cura per intagliarla, col solo scopo di rassicurarla e allontanare le sue sciocche paure e, guardando la rapa, a Marian sembrava di vedere Guy, seduto accanto al camino e concentrato su quel lavoro, che faceva guizzare il coltello per incidere una faccia mostruosa.
Nei suoi pensieri, Marian si vide sfiorargli le dita per interrompere il suo lavoro e chinarsi su di lui per baciarlo.
Sussultò, arrossendo furiosamente.
Cosa le veniva in mente? Perché avrebbe dovuto desiderare di baciare Gisborne?
Furiosa per quei pensieri inopportuni si diresse al catino e si bagnò il viso con l'acqua gelida, poi rabbrividì e decise che forse avrebbe fatto meglio a cambiarsi e a indossare un abito più caldo.

Guy si allontanò dalla stanza di Marian, compiaciuto per il proprio comportamento. Si era mostrato sicuro e protettivo con la ragazza e per una volta si era trattenuto dal supplicare un qualsiasi gesto di affetto da parte sua. Dentro di sé si sentiva un po' come un eroico cavaliere pronto a difenderla da qualsiasi cosa.
La sua sicurezza scemò gradualmente man mano che si inoltrava per i corridoi deserti. Sentiva un ululato spettrale che proveniva dal cortile e rabbrividì pensando all'enorme cane nero che aveva visto poco prima.
Quella belva mostruosa aveva fissato proprio lui e Guy non poteva fare a meno di chiedersi se il suo destino fosse segnato, se era davvero condannato a morire e a essere trascinato all'inferno.
Il castello, come tutte le dimore antiche, era pieno di fruscii e scricchiolii e ognuno di quei rumori faceva sobbalzare Guy, inquieto.
Mentre camminava aveva l'impressione di sentire il suono di altri passi che lo seguivano, ma, non appena si fermava. tutto taceva e Guy non poteva capire se fosse solo l'eco che risuonava nei corridoi di pietra o se qualcuno lo stesse davvero seguendo.
Era tentato di mettersi a correre, ma si costrinse a non farlo.
Non avrei dovuto prendermi gioco degli spiriti dei morti e non avrei dovuto mangiare un'offerta destinata a loro.
Odiava sentirsi spaventato dalle ombre come uno degli ignoranti contadini di Locksley, ma continuava a pensare alla “soul cake” che aveva mangiato con tanta superficialità e aveva il terrore di essersi attirato addosso l'ira dei morti.
L'ululato si fece sentire di nuovo e Guy affrettò il passo.
Avrebbe voluto avere qualcosa da fare che lo distogliesse da quei pensieri, ma aveva già impartito alle guardie l'ordine di controllare il castello da cima a fondo e doveva aspettare che tornassero a fargli rapporto.
Passando davanti alle cucine si fermò, colto da un'idea improvvisa. Era assurda e si vergognava solo ad averla pensata, ma forse sarebbe stata utile ad allontanare quelle paure irrazionali.
Entrò nelle cucine e notò con sollievo che era presente solo una delle donne che vi lavoravano. La ragazza lo guardò, preoccupata: Guy di Gisborne era un uomo pericoloso e i servitori lo temevano, anche se, volendo essere onesta, lei non lo aveva mai visto comportarsi in modo crudele o ingiusto come invece lo sceriffo faceva spesso.
- Signore? - Chiese, guardandolo. - Posso fare qualcosa per voi?
Guy la fissò e la donna si stupì di vederlo esitare. Se non fosse stato impossibile, avrebbe pensato di averlo visto arrossire.
- Sì, forse potete aiutarmi. - Disse Guy, un po' impacciato, poi la guardò, minaccioso. - Ma se ne parlerete a qualcuno ve ne pentirete amaramente.
La donna sussultò. Sapeva di non essere particolarmente attraente, ma cosa avrebbe dovuto fare se Gisborne avesse voluto approfittarsi di lei? Non aveva alcun modo di difendersi e avrebbe dovuto piegarsi ai suoi desideri, per quanto potessero essere immorali.
- Ditemi cosa posso fare per voi, mio signore. - Balbettò e Guy chiuse la porta, sbarrandola alle proprie spalle. Si avvicinò a lei e la donna rabbrividì.
- Sapete preparare le “soul cake”? - Chiese Guy, palesemente imbarazzato e la donna lo fissò, allibita.
- Le “soul cake”, signore?
Guy la guardò, rabbioso.
- Sì, cosa c'è di tanto strano?! - Ringhiò. - Ora rispondete!
La donna sobbalzò.
- Sì signore, tutti le sanno fare!
- Beh, io no e voglio che mi insegniate a farlo.
La sguattera lo guardò pensando che fosse impazzito o che volesse prendersi gioco di lei.
- Voi, signore? Se volete posso prepararne un po' per voi.
Guy sembrò riflettere su quell'offerta, poi scosse la testa.
- No, credo che per rimediare debba essere io a prepararle. - Disse, parlando tra sé, poi tornò a guardare la ragazza. - Fatemi vedere come si fa. E ricordate che se ne parlerete ad anima viva, ve ne farò pentire.
La giovane gli lanciò uno sguardo perplesso, poi decise che era meglio non fare domande e assecondarlo. Le sembrava assurdo che il braccio destro dello sceriffo potesse essere interessato a pasticciare in cucina, ma se era quello che desiderava, lei gli avrebbe insegnato a preparare le “soul cake”.
Prese il sacchetto della farina e lo appoggiò sul tavolo, poi guardò Guy.
- Forse fareste meglio a togliere la giacca, Sir Guy. Rischiate di sporcarvi e sul nero le tracce di farina si noterebbero subito.
Gisborne la guardò, cercando di capire se la donna lo stesse prendendo in giro, ma sembrava seria.
Si tolse la giacca, la appoggiò su una sedia e tornò a guardare la sguattera in attesa di altre istruzioni.
La giovane trattenne un sorriso: il potente e feroce Guy di Gisborne aveva appena obbedito a un suo consiglio e ora stava aspettando che lei gliene desse altri. Era una sensazione a cui avrebbe anche potuto abituarsi, pensò la donna, iniziando a prendere un po' di sicurezza.
- Bene, ora tiratevi su le maniche della maglia e lavatevi le mani con l'acqua di quel secchio, poi tornate qui, misurate tre ciotole di farina e mettetele in quel contenitore più grande…

Robin scosse la testa, afflitto, spiando i servitori che si facevano il segno della croce prima di portare via il cadavere di uno dei loro colleghi.
C'era qualcosa che non andava al castello e Robin aveva paura che anche Marian potesse essere in pericolo. Le guardie di Gisborne si affannavano a cercare in tutto il castello, ma se non erano riuscite a scorgere lui, come potevano sperare di trovare un assassino spietato e senza scrupoli?
Le vittime di quelle aggressioni sembravano essere state dissanguate e Robin aveva sentito dire ai servitori e agli stessi soldati che quella doveva essere l'opera del diavolo in persona. Lui ovviamente non credeva a nulla del genere, era certo che il colpevole dovesse essere un essere umano e aveva sospettato che si trattasse di un piano dello sceriffo, ma poi anche Vaisey era stato aggredito.
Passò davanti alla stanza di Marian, soddisfatto di vedere che almeno per quella volta Gisborne sembrava aver fatto qualcosa di buono: gli alloggi della ragazza erano ben sorvegliati e Allan in persona era al comando delle guardie appostate davanti alla porta.
Chiunque fosse l'assassino, almeno Marian era ben protetta.
Robin Hood proseguì e sussultò nel sentire una mano che gli toccava la spalla. Si girò di scatto e si trovò faccia a faccia con la sconosciuta che era arrivata al castello nel pomeriggio.
La donna lo guardava senza alcun timore e non sembrava intenzionata a dare l'allarme.
Gli sorrise e Robin si trovò a rispondere a quel sorriso, incantato dalla profondità dei suoi occhi.
- Ho paura. - Disse Lady Millacra e la sua voce musicale incatenò l'attenzione di Robin alle sue parole. - Vi prego, restate con me e proteggetemi.
La giovane gli porse una mano e Robin la prese: la pelle che sentiva sotto le dita era gelida, ma lui non se ne accorse nemmeno, lasciandosi guidare lungo i corridoi, verso i sotterranei del castello.

Guy tirò indietro la mano e si portò alle labbra il dito che si era scottato, per alleviare il dolore.
La sguattera, ora molto meno intimorita da lui, sorrise apertamente e gli porse un pesante panno piegato in quattro.
- Usate questo, signore, altrimenti vi scotterete.
- Potevate dirmelo prima. - Brontolò Guy, afferrando il panno, ma alla fine riuscì a sfornare la teglia di “soul cakes” senza altri incidenti.
La ragazza gli sorrise e iniziò a mettere i dolci in un cestino, poi ne porse uno a Guy.
- Non volete assaggiarli, signore?
Guy sussultò, a disagio. Temeva che i suoi guai fossero iniziati per colpa della tortina che aveva mangiato qualche ora prima e non aveva intenzione di ripetere quell'errore.
- Non sono un'offerta per le anime dei morti? Non è di cattivo auspicio?
- Ma no, signore. E di certo non se vi vengono offerte. Anzi, vi proteggeranno e se domani le donerete ai bambini poveri, vi porteranno fortuna. Prendetene una e poi offritene una a me, se volete.
Guy annuì e accettò il dolce dalle mani della giovane e poi ricambiò l'offerta, con un mezzo sorriso.
La ragazza masticò il dolce e annuì.
- Non ve la siete cavata male, Sir Guy, considerando che è la prima volta.
Gisborne prese il cestino dal tavolo.
- Se dite anche una sola parola ve ne farò pentire, ricordatevene.
La ragazza annuì e lo salutò rispettosamente. Non avrebbe spettegolato per non metterlo in imbarazzo, ma ora Sir Guy le faceva molta meno paura rispetto a poche ore prima.

Una volta uscito dalle cucine, Gisborne si guardò intorno, cautamente: si sentiva uno sciocco per ciò che aveva appena fatto e non voleva che i suoi soldati potessero scoprire che il loro comandante si era messo a sfornare tortine come una contadinella superstiziosa. In tal caso non sarebbe stato mai più rispettato dai suoi uomini.
Entrò rapidamente nella sala dove aveva lasciato la rapa incisa da Marian e mise anche quella nel cestino dopo averne spento la candela. Decise di raggiungere i propri alloggi e nascondere tutto lì prima che qualcuno potesse scoprirlo.
Aveva due possibili strade per giungervi: attraversando il cortile e rientrando da una porta laterale oppure tramite un percorso più lungo attraverso i corridoi del castello.
Guy inorridiva al pensiero di passare nel cortile dove aveva visto aggirarsi il Bargest, ma passando all'interno del castello avrebbe sicuramente incontrato le pattuglie di soldati e avrebbero potuto chiedergli cosa ci fosse nel cestino che aveva in mano.
Si affacciò alla porta che dava sul cortile e si guardò intorno: ormai si era fatto buio, ma il cortile sembrava deserto. Le parole della sguattera a proposito delle “soul cake” erano riuscite ad attenuare le sue paure e Guy aveva cercato di convincersi che mangiandone una non poteva essersi attirato l'ira dei morti.
Fece un respiro e iniziò ad attraversare il cortile, cercando di non guardare la sagoma oscura e spettrale della carrozza di Lady Millacra. Era arrivato circa a metà strada, superando il veicolo fermo su un lato del cortile, quando un'ombra scura si staccò dall'ombra della carrozza, muovendosi verso di lui.
Guy si sentì gelare: era il cane nero, il Bargest, che veniva a prendere la sua anima.
Fece un passo indietro, alla cieca, inciampò su una pietra smossa del selciato del cortile e cadde pesantemente a terra.
Si disse freneticamente che avrebbe dovuto estrarre la spada per cercare di difendersi, ma non poteva, era completamente paralizzato dal terrore.
Il cane nero si avvicinava a lui, inesorabile.
Quando fu a pochi centimetri da lui, Guy riuscì a sbloccarsi, ma ormai non aveva più tempo di scappare, né di estrarre la spada. Mosse una mano, infilandola accidentalmente nel cestino e si trovò una “soul cake” tra le dita.
Istintivamente la porse al cane e chiuse gli occhi per non vedere il momento in cui sarebbe stato sbranato.
- Mi dispiace! Non volevo prendermi gioco dei morti, non lo farò mai più! Prendila! L'ho fatta per sostituire quella che ho rubato alle anime inquiete! Non uccidermi, ti prego!
Guy sentì un respiro caldo sulla mano, poi qualcosa di umido lo toccò, facendo sparire la tortina.
Guy strinse i denti, aspettandosi di essere massacrato da un momento all'altro, ma l'unica cosa che sentì fu una lingua calda che gli leccava la mano.
Stupito, si azzardò ad aprire gli occhi e si trovò a fissare il Bargest, scoprendo che non era affatto un segugio infernale, ma un normalissimo cane randagio dall'aria innocua.
Il cane era nero e piuttosto grosso, ma tutta la sua aria minacciosa finiva lì: era seduto davanti a Guy con un orecchio dritto e uno piegato e scodinzolava, battendo a terra la grossa coda, senza smettere di leccare la mano di Gisborne mentre lo fissava con aria speranzosa.
Guy lo guardò e si sentì un idiota per essersi lasciato spaventare da quel cucciolone inoffensivo.
Si guardò rapidamente intorno per accertarsi che nessuno avesse assistito alla scena, poi fissò di nuovo il cane e gli venne da ridere.
Raccolse il cestino da terra e porse altre due o tre tortine al cane affamato, pensando che di certo i morti non se la sarebbero presa, poi si tolse un guanto e accarezzò l'animale tra le orecchie, sorridendo del proprio terrore, ma segretamente sollevato che si trattasse solo di un cane e non di un presagio di morte.
Più tardi, decise, avrebbe ordinato alla sguattera delle cucine di portargli qualche avanzo.




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