HoE chap 1
Euheueheuh,
eccomi qui con la nuova fic! Spero vi piaccia. I capitoli sono più
corti di PF e questa è un po' una grazia dal cielo, dato che con la
scuola mi trovo meglio così. Grazie alla brevità di essi potrei
riuscire a postarne anche due a settimana, ma sicuramente non sarà
la regola. Questa volta non mi do un giorno preciso per
l'aggiornamento, perché tra i compiti per casa e lo studio non penso
riuscirò ad aggiornare regolarmente. Comunque se mi capiterà di
dover saltare anche l'aggiornamento settimanale lo scriverò nel
gruppo facebook che trovate qui.
Al prossimo capitolo!
Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione :3
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Tick,
tock, tick fanno le stanghette dell'orologio appeso sopra porte
blindate.
Uno, due, tre secondi
passati per sempre, mentre siede sospeso nel vuoto, ad aspettare
l'inevitabile.
Questo non lo aveva
mai preoccupato mentre scappava e si nascondeva, mentre era al
volante e seguiva il comando di un fantasma. La vita è
insignificante. Il mondo è insignificante. Gli umani non sono altro
che atomi su un granello di sabbia, in confronto alla vastità del
cosmo.
La morte non importa. Nulla
importa.
Canticchia a bassa voce,
riempiendo il silenzio della cella isolata. Canta, quando le porte
sotto al rumoroso orologio si aprono.
"They
used to be sweet little boys, but something went horribly
askew..."
Il ritmico
ticchettio di tacchi contro il pavimento in linoleum si scontra
spiacevolmente con il ritmo della sua canzone.
"Now
killing is their only source of joy."
Da
sbarre di ferro e una stanza grigio chiaro, la vista cambia al biondo
rossiccio dei capelli della nuova arrivata. Un sorriso triste
intrappolato nei confini di un completo blu.
"The
Shankill Butchers on the rise, they're waiting 'till the dead of
night."
"Levi,"
Dice la donna, attenta a stare dietro le linee bianche distanti tre
metri dalla porta della cella.
"They're
picking at their fingers with their knives, and wiping off their
cleavers on their thigh."
"Per
favore, smettila di cantare quella canzone." Dice, prendendosi
la sedia della guardia per sé. Non c'è nulla nelle sue mani, nessun
block notes o registratore, al contrario di altri psichiatrici o
procuratori che hanno varcato quelle porte.
"'Cause
everybody knows..."
"Non
te lo chiederò un'altra volta."
L'uomo
permette alla sua bocca di incurvarsi in un mezzo sorriso, può
vedere il brivido di disagio della donna anche in quella luce
fievole. Le cose erano diverse tra loro due, tempo fa. Una fiamma
spenta ancor prima che avesse la possibilità di bruciare. Ora, la
persona davanti a lui non è altro che un avvocato, la donna che
aveva il compito di non farlo finire in prigione.
La
donna che aveva fallito il proprio compito.
Ora
quello che restava era fare ricorso.
Con
la fortuna di Smith e l'abilità di Ral nel fare provare pietà alle
persone, erano certi che in qualche modo lo avrebbero fatto uscire da
lì.
"Ci hanno dato la
possibilità di riaprire il caso. Potremmo riuscire a tirarti fuori
da qui." Gli dice Petra, con un'espressione scura in
volto.
"Avrei dovuto dare
ascolto alle parole di mia madre," Dice Levi, incrociando le
gambe e piegandole alle ginocchia. "Un vento malvagio mi ha
scompigliato le ciocche fin da piccolo."
Petra
sospira e le sue mani vanno a torturare l'orlo della gonna. "Possiamo
ancora cercare di farti passare con l'infermità mentale, Levi. Ti
faremo aiutare, se è quello di cui hai bisogno, se è quello che
vuoi. Per favore, non buttare via questa tua possibilità. Viene
concessa così raramente."
L'uomo
misura il tempo che gli ci vuole per sbattere le ciglia, le volte che
il cuore gli batte sotto la giacca arancione. Aria condizionata o
meno, il sudore gli bagna le ascelle. Se non altro, scambierebbe il
suo ultimo pasto con una bella doccia.
La
testa contro il muro in cemento, Levi porta gli occhi di fianco a sé,
verso il suo letto precedentemente vuoto. Lì siede un giovane uomo
con un tiepido sorriso che gli incurva le labbra. Diversamente da
Levi, lui non sta indossando la divisa da prigione. Un paio di
pantaloni eleganti assieme ad una bella camicia bianca coprono il suo
corpo.
"Che ne pensi?"
Gli chiede il carcerato.
"Beh-"
"Non
tu." Dice a Petra, rivolgendole uno sguardo severo, ma che non è
cattivo. Semplicemente non gli piace quando la gente risponde a
domande che non sono riservate a loro. Torna nuovamente a rivolgere
il suo sguardo al letto. "Eren?"
Il
giovane inclina la testa di lato e il suo sorriso si allarga,
trasformando la sua espressione da annoiata a gioiosa. Fa un versetto
e gli offre una scrollata di spalle. "E' solo tua la decisione.
Io sono solo qui per seguirti."
Levi
ragiona per un lungo momento, prima di rivolgere gli occhi ad
un'allarmata Petra. "Non sono pazzo," Risponde, pieno di
noia. "Preferirei che la mia ultima azione non sia
mentire."
Petra lo fissa
dritto negli occhi, incontrando i suoi prima di rivolgerli al
lettino. "Lo vedi là?" Le sue parole sono un sussurro e
Levi può sentire esitazione nel suo tono.
Lo
vedi là?
Sei mesi a dover
sentire la stessa domanda ed ogni volta l'uomo aveva dato ogni
risposta immaginabile, ognuna di essa respinta. Se mente, gli viene
fatto notare che sta mentendo. Se dice la verità, viene chiamato
pazzo ed obbligato a cambiare la sua storia. Se tace, riceve lo
stesso sguardo che Petra gli sta riservando in quel momento.
Levi
lo vede sempre: la rovina della sua esistenza, l'ingranaggio della
macchina che è il suo corpo.
"Lascia
che mi gassino," Dice, evitando gli occhi verdi che lo guardano
con tenerezza. "Non sarebbe giusto per Erwin lasciarmi uscire.
Non dopo aver ammazzato il suo compagno, averlo fatto a pezzi e
chiuso in sacchi neri."
Il
colore lascia le guance rosee della donna e, per qualcuno
professionale come lei, è sorprendente vederla trattare l'uomo come
un amico, piuttosto che un cliente. "Perché?" Gli chiede,
muovendo a malapena le labbra. "E' stato Eren che ti ha portato
a fare questo?"
Levi
intreccia le dita, mettendosi comodo per la lunga conversazione che
lo aspetta. "Non nel modo che ti aspetteresti."
Da
una tasca interna del suo completo, Petra prende un piccolo
registratore. Alzandosi dalla sedia, si avvicina al tavolo ed
appoggia su di esso il piccolo oggetto, premendone il bottone rosso
prima di tornare a rivolgersi verso la gabbia di Levi.
Con
le mani strette tra loro, prende a camminare avanti e indietro nella
stanza. Nonostante la sua sottile vena di professionalità, è facile
vederla dibattere la sua prossima mossa. Petra sceglie con attenzione
le sue parole, cercando di prevedere i possibili risultati e
manipolarli in suo favore. Nonostante lo scenario, Levi sente un
senso di orgoglio per la sua ex collega.
"Mercoledì
16 aprile, 2014. 22.00" Si ferma giusto prima della striscia
bianca, al sicuro dalla presa dell'uomo. "Dimmi, Levi."
Facendo un lungo passo, afferra le sbarre in metallo. Il rosso delle
sue unghie contrasta magnificamente col metallo. "Dimmi
cos'è successo. Se vuoi morire, bene, sarà
quello che accadrà - so fin troppo bene che è inutile cercare di
fermarti." Amarezza. "Ma almeno dimmi perché l'hai
fatto."
"Questa storia
sta iniziando a diventare noiosa, se posso dirlo." Grugnisce
Eren, rigirandosi sul letto, tirando su col naso. Si gratta appena
sotto di esso. "E pensare che dovrebbero semplicemente crederti,
dopo tutto questo tempo. Cioè, l'evidenza c'era."
"Non
sta chiedendo degli omicidi. Sta chiedendo di te."
"Sì,
beh, cosa vuole sapere di me? Non c'è nulla che possiamo fare per
fargli credere a quello che dici, quindi perché continuano a
chiederti le stesse cose in continuazione?"
Levi
schiude la bocca per replicare, ma Petra si schiarisce la gola. C'è
disagio nel suo viso, ma non si scosta dalle sbarre. "Voglio
sentire quello che hai da dire." Dice. Per la verità, Levi non
è sorpreso dal suo tentativo di farlo parlare. "Non te lo sto
chiedendo da avvocato."
"Le
mie ultime dodici ore e vuoi che le passi a raccontarti una storia di
fantasmi?"
"Voglio
sapere perché un mio amico è così deciso a morire, quando in
passato era molto più forte di così."
"Non
siamo mai funzionati assieme perché tutto quello che eri capace di
fare era presupporre. Non è il prospetto di morire che mi trattiene
dal chiedere innocenza per infermità mentale."
La
sua frase fa voltare lo sguardo a Petra, ma non c'è imbarazzo nel
suo volto. Nessun arrossimento o sorriso timido. Non c'è
nulla.
"Pensi che riuscirai a
vederlo di nuovo, quando morirai?" La donna alza le spalle e fa
ricadere le mani dalle sbarre della cella.
Circa,
ma non esattamente. Levi può vedere Eren, ogni momento. Eren cammina
lungo i freddi corridoi di casa sua, siede al suo tavolino da caffè
e si sdraia sul pavimento del suo salotto per guardare i film. Ma c'è
di più che l'uomo vorrebbe ottenere.
Uno
sbadiglio porta la sua attenzione verso il ragazzo, che vede
sistemarsi meglio nel lettino. Si acciambella su sé stesso, pronto a
dormire.
"Cos'è esattamente
che vuoi sentire?" Parlare di cos'è successo, circa i fatti
tangibili accaduti per mano sua, è più semplice che pensare a come
potrebbe ottenere l'infermità mentale, per quanto questo possa
essere vero.
"Tutto."
Gli risponde Petra, con voce ferma e improvvisamente alta e chiara.
"Senza trattenerti, senza omettere informazioni che potresti
trovare compromettenti. Se vuoi veramente fare questa fine, almeno
dirci com'è andata per davvero ce lo devi."
Divertente,
pensa. E' sicuro che non deve niente a nessuno.
Portando
gli occhi al soffitto crepato, Levi sospira. "Non ti piaceranno
metà delle cose che ti dirò."
"Ho
sopportato di peggio."
"Io
mi ci sono masturbato."
L'ammissione
porta silenzio nella stanza, eccetto per un verso interessato da
parte di Eren. C'è calore nei suoi occhi, lo stesso calore che ha
portato Levi a premere il proverbiale grilletto.
L'uomo
scosta lo sguardo, quando vede il ragazzo accarezzarsi il petto in un
chiaro invito del quale nessuno dei due potrebbe approfittarne.
"Non
m'interessa." Le parole di Petra non sono altro che un sussurro
esitante.
"Mi sono fatto il
tè col loro sangue, l'ho mescolato coi loro metacarpi."
"Erwin
non ti incolpa per la morte di Mike," Lo interrompe la donna.
"Onestamente crede che tu sia malato-"
"No,
non è vero." La interrompe Levi, quasi ridendo, perché Erwin
sa meglio di chiunque altro. Diamine, tutti loro lo sanno. Tutti loro
conoscono Levi troppo bene per credere davvero che ciò che ha fatto
sia stato causato da un colpo di pazzia, è semplicemente più facile
abbracciare la scusa più conveniente. "Erwin lo sa perché l'ho
fatto."
Il movimento di un
sopracciglio della donna gli dice che anche lei lo sa. "Voglio
solo sentire la verità."
Il
ticchettio dell'orologio non c'è più, soffocato dal rumore dei suoi
pensieri. Raccontare nuovamente gli avvenimenti degli ultimi mesi
sarebbe stato come raccontare le sue ultime memorie. Si chiede se
Petra le avrebbe scritte, se ne avrebbe fatto un best seller. Spera
lo faccia. Il nome di Eren merita di essere reso immortale e lui non
può pensare ad un metodo migliore per farlo, al posto di portarselo
semplicemente nella tomba.
Che
questo sia il suo ultimo atto di vanità.
"Va
bene, allora." Dice, rivolgendo un'occhiata al giovane di fianco
a lui. "Ti dirò tutto."
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