Always

di LaMusaCalliope
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~~Sono di nuovo nell’Arena dei 75^ Hunger Games, Peeta è davanti a me, sdraiato a terra, il corpo inerme tra le mie braccia. Finnick si avvicina, cerca di rianimarlo, ma il suo volto cambia, trasformandosi in una miriade di pezzi deformi senza senso. Non è più Finnick ma l’ibrido che l’ha ucciso, il corpo da lucertola, i tratti umani, l’odore troppo forte delle rose di Capitol City. L’ibrido che era Finnick si avvicina a Peeta e lo morde, io sono immobile e guardo la scena, non faccio nulla. Sento il mio nome, qualcuno da un ramo appena sopra di me mi sta chiamando. Alzo lo sguardo e sono lì, nella loro giovinezza, che mi accusano. Rue e Prim, che non sono riuscita a proteggerle, che sono morte a causa mia. Urlano le loro accuse, sputano il mio nome con disprezzo, mi ricordano le loro tragiche morti.
Tutto sparisce in un attimo, all’improvviso. Era solo un incubo. Apro gli occhi. Sono nella mia stanza nel Villaggio dei Vincitori, Peeta è chino su di me, il volto preoccupato. Nei suoi occhi, alla lieve luce di una candela accesa sul comodino, vedo un’ombra di smarrimento, come se ci fosse ancora qualcosa che non riesce a distinguere dalla realtà. Ma sono puntati nei miei e questo mi basta.
- Un altro incubo. – mi rassicura con la sua voce gentile che pensavo non poter più sentire. Mi accarezza una guancia e glielo lascio fare. Mi sorprendo nel pensare a quanto questi gesti mi siano mancati, in tutto questo tempo in cui lui è stato così lontano da me. Annuisco mentre continuo a guardare i suoi occhi che cercano di ricordare.
- Li facevi anche dopo i primi Hunger Games. Vero o falso? – sorrido, questo gioco tra di noi non si è interrotto nonostante il fatto che molti ricordi di Peeta ormai siano chiari. Ma rispondo comunque alla sua domanda.
- Vero. Li facevi anche tu ma li affrontavamo insieme. – sembra capire cosa stia tentando di dirgli. Scosta leggermente le coperte e si sdraia accanto a me, mi abbraccia come faceva tanto tempo fa, con quella sua dolcezza che Capitol City ha provato a portarmi via. Proprio come allora, poggio l’orecchio sul suo petto e ascolto il ritmo regolare del suo cuore. Ed è con questa melodia, più bella del canto della ghiandaie imitatrici, più dolce della voce di mio padre, che chiudo gli occhi. Sono in quello stato di dormiveglia durante il quale non si è ancora profondamente addormentati, ma nemmeno totalmente svegli, quando sento la voce di Peeta sussurrare: - Per sempre, Katniss. -




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