La Morte balla il Tango

di 13Sonne
(/viewuser.php?uid=41146)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Layer 05: Bug

<< -Buongiorno, miei piccoli zuccherinosi aiutanti del diabete. Sono sempre io, Goth. Mi duole annunciarvi che nessuno è morto nel sonno e che quindi il vostro tempo di gioco non si è in alcun modo accorciato.- >> 

Sid aprì gli occhi, svegliato dalla voce dello (della?) speaker.
Alla fine era riuscito a superare l’attacco di panico, la sera prima. Era riuscito persino a trovare un posto dove dormire, e ad un ottimo prezzo.
Si alzò puntellandosi sui gomiti, trovandosi a fissare una finestra da cui filtrava la luce del sole.

“M’illumina sentire la tua voce di prima mattina, Goth.” 

Si stiracchiò, un gesto dettato più dall’abitudine che da un reale bisogno, quindi si sedette sulla sponda del letto, cercando con lo sguardo i propri vestiti.

<< -Se il videogioco avrà successo ti regalerò un auricolare con web-cam, così potrai sentirmi mentre commenterò la tua vita. Uh, cosa stavo… ah sì, Los sta ancora dormendo, il che vuol dire che siamo solo io e voi. Non è un problema, vero bambini miei?- >>

Nicolas avrebbe potuto rispondere qualcosa, se solo non fosse così occupato a stropicciarsi gli occhi senza far cadere il cappello.
Così a parlare fu Oliver, che se anche era occupato a stropicciarsi gli occhi come il fratello, per lo meno non doveva stare attento a nessun cappello.

“Hai avuto una promozione a madre, nell’ultima frase?”

<< -La cosa inquieterebbe me, psicologi e Dio allo stesso modo, tesorino impanato nel curry alle patate. Ad ogni modo, muri corrono alti nel cielo, segno della divisione, della dicotomia tra bene e male, delle barriere fra persone, della linea bianca nel PONG. Urgh, passo troppo tempo assieme a Los. Proposito per l’anno nuovo: farmi uno straccio d’amico. Anche se sono così seccanti. Sinceramente, qualcuno potrebbe spiegarmi perché le relazioni sociali implicano un tale spreco di tempo? Farsi un amico è come comprarsi un maledettissimo cane.- >>

“Quasi. Quanti amici conosci che ti sbavino sopra?”

Per qualche secondo Sid, occupato ad allacciarsi le stringhe degli anfibi, non ragionò completamente sulla frase che aveva appena detto: poi aggrottò la fronte, facendo una leggera smorfia.

“A meno che non stiamo metaforicamente parlando ed il tuo amico non sia del sesso opposto o omosessuale.”

Rimase per qualche secondo a fissare la maglietta buttata la sera prima sul pavimento, come se in quello straccio sporco di fango ci fosse una qualche risposta che non aveva ben considerato.

“O a meno che non sia ubriaco e si sia addormentato su di te.”

Arricciò le labbra, scotendo leggermente la testa nel tentativo di ricacciare un’immagine nella profondità della propria memoria, quindi si alzò in piedi, scrollando le spalle.

“Sai cosa? Dimentica quello che ho detto.”

<< -Tua madre deve essere felice di ospitare a casa sua i tuoi amici. Comunque, caramellose entità vanigliate alla frutta... aspettate, non c’era una bambina con voi due?- >>

Oliver non si guardò nemmeno attorno: chiuse gli occhi, strinse le labbra in una sottile linea e si maledì mentalmente, tentando di sopprimere sul nascere qualsiasi reazione nervosa.
Il fratello invece strabuzzò gli occhi, completamente preso alla sprovvista. Probabilmente, pensò Oliver, doveva aver completamente cancellato dalla mente il giorno prima.

“La bambina!” gridò Nicolas voltandosi verso il gemello, “è scomparsa la bambina! Ollie-”

Al solo sentire il proprio nomignolo tutte le difese di Oliver cedettero, facendolo diventare istantaneamente paonazzo. “Non ci provare neanche!”

Nicolas lo guardò a bocca aperta, sorpreso da quello scatto d’ira: per quanto fosse un’abitudine, quella di gridarsi reciprocamente addosso, c’erano sempre dei giorni in cui rimaneva sorpreso. Soprattutto quando Oliver esordiva con quella vocina stridula.

Non mi hai detto di tenere d’occhio la bambina, non me lo hai mai detto! Capito?! Mai! Tu hai deciso di prenderla, tu dovevi starle dietro!” Oliver incrociò le braccia sul petto, in un gesto rabbioso. “Hai mai pensato che forse la bambina non vuole stare con noi? Hai mai pensato che forse vuole andarsene? Forse non vuole più stare nella tua ombra! Forse non vuole più dover obbedire ai tuoi stupidi ordini! Forse la bambina non vuole stare con te!”

Nel breve silenzio che seguì Nicolas non riuscì a modificare l’espressione incredula sul suo volto, ma sentì le proprie guance sfumare lentamente dal rosato al rosso vivo. La risata dello speaker in sottofondo non lo aiutava particolarmente a concentrarsi, ma quell’ultimo discorso gli faceva venire, per un qualche strano motivo, i brividi.
Ridacchiò nervoso, giocherellando con la manica della giacca, quindi, dopo essersi schiarito la voce, si decise a tentare di parlare al fratello che continuava a guardarlo con uno sguardo di puro odio.

“Qui… non stiamo parlando solo della bambina, giusto?”

Oliver socchiuse gli occhi, inclinando leggermente la testa verso destra. “Non essere ridicolo, Nico. È ovvio che stia parlando della bambina.”

Nicolas s’inumidì nervosamente le labbra, aggiustandosi il cappello sulla testa nel vago tentativo di liberarsi dalla tensione.
Non che la continua risata di Goth stesse aiutando.

“Sì, ma, ehm. Metti caso tu non stia parlando della bambina, di cosa staresti parlando?” 

La risposta di Oliver fu un suono strozzato: la prima impressione di Nicolas fu di trovarsi di fronte alla madre.

“Perché devi sempre cercare di cambiare discorso? Perché! Stiamo parlando della bambina, di cos’altro dovrei parlare?! Sei un- bambina.”

Anche se ormai erano tre volte in neanche due giorni che uno dei due ripeteva quel gesto – indicare qualcosa alle spalle dell’altro e pronunciare un breve quanto criptico ‘bambina’ - , Nicolas ancora si poneva qualche dubbio sul cosa intendesse dire il fratello in quel modo.

<< -Mi illuminate sempre la giornata, adorabili cuccioletti della mamma! Comunque, allons-y mon chers petits. Il domani è oscuro, il futuro è nero e muri appaiono dal nulla, cosa che riesce persino ad essere più inquietante delle prime due cose che ho detto. Passiamo alle minacce: io vi guarderò, ed ogni minuto in cui non farete nulla un neurone a caso del mio cervello sarà ucciso. Sì, un povero, piccolo, innocente neurone con moglie e figli.- >>

Gwen sorrise, lo sguardo perso di fronte a se, trovandosi a fissare il volto ancora addormentato del marito.
La prima cosa che Dodger faceva, appena addormentatosi, era abbracciarla e stringersi contro di lei. Gwen non riusciva mai ad arrabbiarsi o a rimanere infastidita per più di cinque secondi: quel semplice movimento riusciva a risvegliarle qualcosa, all’altezza del petto, che, per un qualche strano motivo, la faceva sentire bene.
Di solito lei riusciva a sciogliersi dall’abbraccio con relativa facilità, senza nemmeno svegliarlo: tutte le volte Dodger si rannicchiava su se stesso, quasi stesse tentando di ripararsi dal freddo, e per qualche secondo si poteva notare un’ombra scura sul suo volto.
Quella mattina, invece, Gwen ancora non era riuscita a liberarsi. Il marito la stringeva a se con più forza del solito, tanto che, ne era convinta, se non fosse stato un videogioco avrebbe rischiato di soffocare.
Sospirò, tentando di tirarsi indietro: la presa non si allentò, anzi, Dodger l’abbracciava con ancora più forza.

<< -Ehi, petalo di rosa impanato nello zucchero d’avena, che sta succedendo? Non mi vorrai mica morire per un gesto d’amore, vero? Sarebbe stucchevole e decisamente fuori luogo. A meno che nessuno metta in sottofondo una canzone teen-emo-angst-rock-pop, almeno.- >>

Per una qualche strana ragione, il solo sentire Goth pronunciare le parole ‘gesto d’amore’ la fece arrossire violentemente.

“S-silenzio!” 

Dodger socchiuse le palpebre, mostrando a malapena le due iridi verdi: Gwen s’irrigidì di scatto, serrando le labbra e sgranando gli occhi in un espressione terrorizzata.

“…Dzien…” 

Gwen rimase a fissarlo, chiedendosi per qualche attimo se Dodger avesse cercato di dire qualcosa oppure se quello era stato solo un verso senza senso: poi, senza una particolare ragione o perché, lui si avvicinò e le appoggiò l’orecchio destro sul petto, chiudendo gli occhi e rimanendo in silenzio.

<< -Se mettiamo questa scena nel trailer la gente ucciderà per interpretare il suo personaggio.- >>

Gwen aprì e richiuse la bocca, arrossendo ad intermittenza: da una parte voleva strillare qualcosa contro Goth, dall’altra c’era la parte più insicura della sua mente che si sentiva semplicemente lusingata.
Così alla fine rimase in silenzio, tentando di capire perché Dodger tendeva a comportarsi come un bambino di tre anni alla ricerca di affetto ogni volta che si trovava vicino a lei.
Aprì nuovamente la bocca con l’intenzione di dire qualcosa, ma si ritrovò di nuovo senza parole.
D’altronde, che cosa diavolo poteva fare con un tizio che aveva deciso di appoggiare la testa sul suo petto?

Schioccò la lingua, tentando di risvegliarsi da quello strano stato di ipnosi in cui era caduta. “Sei sempre così appiccicoso.”

Alzò il busto, puntellandosi con le braccia prima di appoggiarsi allo schienale del letto, scrollandosi da dosso Dodger.
Lui reagì a malapena: si coprì gli occhi con un braccio, sospirando leggermente.

“Non sei per niente romantica.”

Gwen lo fisso per qualche secondo, tentando di ragionare su ciò che il marito aveva appena detto: poi, resasi conto che non aveva capito male, emise un verso strozzato.
Dodger fece una breve smorfia: quel… suono gli dava sempre l’impressione che la moglie avesse ingoiato un rospo.

 “Romantica?! Mi hai appena messo la testa fra le tette!”

<< -E mi sorprende che tu sia sopravvissuto a ciò!- >>

Gwen alzò la testa verso l’alto, sbattendo i pugni sul materasso. “Fa silenzio!”

<< -Calmati, o domani ti sveglierai non con il tuo maritino accanto ma con la testa di un cavallo.- >>

Dodger dovette mordersi le labbra per riuscire a soffocare le risate che quel breve scambio di battute gli stava procurando, ma fu comunque abbastanza veloce da riuscire ad assumere un’espressione esageratamente offesa quando, pochi secondi dopo, la moglie si voltò verso di lui.

“Mi reputo insultato! L’unica cosa che volevo fare era sentire il battito del tuo cuore attraverso la tua gabbia toracica.”

<< -Tenero e al contempo inquietante. Lo sapevo di aver fatto bene a nominarti mio mito intramontabile.- >>

Gwen sbuffò, tentando di ignorare il sorrisetto soddisfatto sul volto del marito e di concentrarsi sull’importante decisione del cosa mettersi quel giorno.
Agguantò in fretta un corsetto dalla borsa convincendosi che sì, era un indumento perfettamente normale, pizzo nero su stoffa rossa a prescindere.

<< -Tesorino alla crema di fragola e ribes, non so cosa ti abbia detto il responsabile delle pubbliche relazioni ma adesso puoi smetterla con il fanservice. L’abbiamo già catturata ieri sera, con lo scorcio della tua vestaglia, la popolazione maschile del globo.- >>

Gwen strinse i denti, trattenendosi dal gridare una terza volta allo speaker, quindi, dopo aver indossato la gonna, prese le calze e si accinse a infilarsele.
Non un’operazione semplice quando alla sua destra Dodger la fissava imbambolato con lo sguardo tipico di un fedele di fronte all’apparizione della Madonna.

“Che c’è?!” sbottò infine Gwen, risvegliandolo con un sussulto.

Dodger fece un leggero sorriso, in un disperato quanto patetico tentativo di tornare in se. “Perché non ti esibisci direttamente su un cubo, tesoro?”

La risposta di Gwen sarebbe sicuramente stata violenta se solo non fosse stata troppo occupata ad arrossire.

<< -Ooook, interrompiamo il collegamento con i due tesorini amorosi e passiamo a… a… oh, santo Cielo, avete tutti una vita meno intensa della mia e questo dovrebbe significare qualcosa. Risvegliatevi un po’! Sono morte tre persone, ci sono muri che dividono la città e siete in un maledetto videogioco, com’è possibile che continui a non accadere nulla?! Comincio a rimpiangere i giorni in cui rischiavamo lo stupro!- >>

Meredith camminava spavalda ma timida, quasi sfilando di fronte a quella folla che amava ma allo stesso tempo odiava. La sua bianca pelle color della luna in una notte di primavera con brezza leggera-leggera rendeva naturalmente più luminosi le due gemme blu incastonate al posto degli occhi, che brillavano ora di felicità, ora di altera freddezza, ora di feroce rabbia. I lunghi capelli biondi color del sole del mattino in una giornata di estate calda ma non troppo, ecco, diciamo abbastanza sui trenta gradi ricadevano con grazia sulle spalle, coperte da una trasgressiva ma firmata maglietta aderente, che mostrava la perfezione delle sue curve granitiche.

“Tutto ciò che faccio è importante ai fini della storia! La gente mi ama, mi teme, mi ricorda, mi… lovva!”

L’aria attorno alla ragazza sembrava essersi improvvisamente illuminata, come per mostrare con maggior grazia la perfezione del suo meraviglioso corpo.

<< -Mia cara, non uso molto spesso questo termine, anzi, tento di evitarlo sempre e comunque, ma, ecco, in questo momento io ho lollato. Ho lollato fino a ROTFLare, finendo dritto ne… nel… nel LMAO. ROKLMFN.- >>

Era a metà strada fra la sua stanza e la reception quando Sid sentì il commento dello speaker.
Dapprima si fermò, limitandosi ad aggrottare la fronte, confuso. Poi portò le mani alla fronte, emettendo un gemito di dolore mentre le parole di Goth riecheggiavano nella sua mente.

“La mia mente. L’hai appena violentata.”

<< -La nostra beneamata lingua madre è stata violentata, involtino all’eroina e ribes.- >>

Sid sorrise debolmente, tentando di scacciare quel briciolo di paranoia che continuava a roderlo dentro.
Era ovvio che Goth stesse scherzando. Goth scherzava in quel modo, con quella voce annoiata ed ironica. Goth non stava, in alcun modo, tentando di fargli rodere la coscienza o di prenderlo in giro.
Sorrise, soppresse l’ansia e tentò di sostenere la conversazione senza farsi tremare la voce.

“Non vorrei mai essere invitato a cena da te.”

<< -Oh, suvvia. Il brivido del mistero alla vista di un piatto, aromi inimmaginabili, sapori al limite del lecito… cosa puoi desiderare di più?- >>

Il sorriso nervoso che Sid aveva tentato di mantenere fino a quel momento si sciolse, formandone uno sicuramente più sincero.
Cosa poter desiderare di più? Rivedere ‘Dopodomani’ a scuola.
Il professore aveva deciso, un giorno, di portare il film a scuola e di mostrarlo alla classe. Era sembrata, ai tempi, una cosa ragionevole: molta gente appena uscita dal cinema aveva detto che era un film straordinario e che si vedeva che il regista aveva fatto le sue ricerche.
Probabilmente nessuna di quelle persone era un meteorologo. O aveva avuto una minima infarinatura circa il come funziona la fisica sul pianeta terra.
La pellicola durava due ore, ma riuscirono ad arrivare alla fine solo dopo tre ore e mezza: non solo il professore continuava a fermare il video per spiegare come mai ciò che stava avvenendo sullo schermo era una totale idiozia, ma l’intera classe non riusciva a smettere di ridere.
Poteva accettare che la premessa del film, ovvero un raffreddamento globale sulla base di quello avvenuto 8000 anni prima, fosse stata esagerata: nessuno sarebbe andato a vedere un film circa una leggera variazione climatica che avrebbe portato ad una drastica riduzione della vendita di piscine all’aperto, ma c’erano degli errori che avevano portato alcuni alunni a rischiare di soffocare per le risate.

<< -Deve essere stata una battuta fenomenale, la mia, se è riuscita a toglierti quella tua aria da cane bastonato che tanto ci ha convinti a sceglierti. Tanto per sapere, il giorno dei provini ti stavano minacciando con un fucile oppure eri semplicemente contento di vederci?- >>

Sid aggrottò la fronte, tentando di ricordare il giorno in cui si era presentato ai provini.
Doveva essere stato un lunedì, ma era abbastanza sicuro non si fosse trattato di una semplice depressione dovuta all’inizio di una nuova settimana di scuola. No, se lo ricordava quel provino: era nervoso, abbattuto, scontroso, tanto che poi, quando era arrivata la notizia che lo avevano preso, aveva dovuto richiamare due volte per esserne certo.
Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Cosa era successo qualche mese prima?
Oh. Oh già.

“Il… fine settimana non era stato esattamente idilliaco.”

Nominare quel sabato sera riusciva ad essere traumatizzante anche se non c’era praticamente nulla da ricordare. Il momento prima, in preda ai sintomi dell’astinenza, si stava iniettando una dose, il momento dopo si risvegliava strillando, con una siringa piantata nel cuore. Non era stata una cosa piacevole, ma, nonostante tutto, in poche ore aveva di nuovo sentito il bisogno di comprare dell’eroina.
La mattina dopo aveva tentato di entrare in casa senza farsi notare da nessuno, ma sfortunatamente i suoi genitori avevano deciso di aspettarlo perché preoccupati. Poche cose riuscivano a farti capire che tuo figlio ha ricominciato a drogarsi come vederlo apparire alla porta di casa alle sei di mattina con un’aria moribonda e la maglietta intrisa di vomito.
Inutile dirlo, il resto della domenica era stato da incubo.

<< -Nhn. Immagino. Alla tua età ero praticamente costretto ad andare a delle stupide feste. L’unico modo per riuscire a sopportare così tante persone in un posto solo era uccidere qualche neurone bevendo come una spugna. Poi c’era la domenica, in cui la casa si riempiva di gente e così, olé, altre ventiquattr’ore di bevute continue. Non era bello, il lunedì, dover vivisezionare una rana quando l’unica cosa che volevo fare era andare in bagno e vomitare.- >>

“Sono sorpreso il tuo fegato funzioni ancora.”

Non che avesse esattamente il diritto di dire qualcosa del genere visto che lo conosceva da circa un giorno e il loro rapporto era un semplice ‘tu fai qualcosa ed io la commento nel modo più spietato possibile’, tuttavia era ovvio che lo speaker avesse un qualche problema con l’alcool… e le persone in generale.
Sid ci pensò un secondo, raggiungendo il bancone della reception: da quanto aveva potuto carpire da alcuni mezzi commenti dei due speaker, doveva esserci anche qualcun altro con la stessa dipendenza.

<< -Tutto funziona sempre bene… fino a che non vai a fare una visita di controllo. Viene da chiedersi se non siano i dottori ad installare una qualche sorta di virus nel tuo corpo attraverso lo stetoscopio.- >>

Oliver si fermò, rivolgendo un sorriso verso l’alto.

“Indaga! Noi due siamo con te.”

Nicolas, al sentire le parole del gemello, fece del suo meglio per imitare l’espressione di Clint Eastwood, tentando miseramente di darsi un’aria importante.

 << -See, intanto fate attenzione alla bambina. Va bene che è piccola, ma non è esattamente un portachiavi che si può perdere ogni cinque minuti.- >>

Gwen, che in quel momento si stava aggiustando i capelli di fronte allo specchio dell’ascensore, non poté fare a meno di sogghignare.
Ah, i suoi bambini. Era difficile capire quando perdevano qualcosa e quando l’avevano meramente rubata e la stavano tenendo nascosta.
Insomma, non era una novità che ‘perdessero’ qualcosa: ciò che realmente la sorprendeva era quel continuo nominare una bambina.

“Tesoro, credimi, i tuoi capelli sono perfetti. Puoi smetterla di… torturarli.”

Alzò gli occhi al cielo, ringhiando sommessamente. Dodger, appoggiato contro la porta dell’ascensore, non riusciva a capire che ad una pettinatura come la sua bastava una sola ciocca fuori posto per ricordare i capelli di una persona che si è rotolata nel sonno senza alcuna tregua.
D’altronde, comunque, non poteva aspettarsi molta comprensione in quell’ambito quando parlava con un tizio che usava sempre un cappello.
Gwen aggrottò la fronte, perplessa.

“Dov’è il tuo cappello?” Lo fissò per qualche secondo, tentando di afferrare cos’altro fosse fuori posto nella figura del marito. “E dov’è il tuo impermeabile?”

Le porte dell’ascensore si aprirono e Dodger si rimise in piedi, scotendo la testa con aria cospiratrice.

“Ratti. Mai sottovalutare i ratti.”

E, come se la criptica frase non fosse già abbastanza, portò le mani, strette in pugnetti, al petto e mostrò gli incisivi, in una tipica imitazione di un roditore.
Gwen si morse le labbra, tentando disperatamene di non scoppiare a ridere.

<< -Ah, il sorriso di una bella donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è una buona probabilità che non me la sia inventata adesso. Comunque, ci sono un sacco di donne che sposano qualcuno dicendo che le faceva ridere. Bello vedere che per qualcuna è vero e non solo un altro modo di dire ‘non c’era nient’altro di meglio’.- >>

Gwen non parlò. Il suo improvviso perdere colore, assieme al sorriso congelato sul suo volto, furono una risposta più che eloquente.
Si voltò verso Dodger, affettandosi a dire qualcosa- non ci riuscì. Rimase a fissare il marito con la bocca aperta, senza parole, tentando di convincersi che non aveva visto quell’espressione triste sul suo volto e che lui non si era girato solamente per non guardarla negli occhi.

<< -Uh. Programmi per la giornata, involtini primavera alla rondine fucilata?”

Gwen si rilassò. Una conversazione con lo speaker era qualcosa che poteva sopportare con facilità. Se toccavano un argomento che interessava anche Dodger allora lui sarebbe tornato il solito, stupido se stesso, avrebbe cominciato a scherzare e lei avrebbe potuto ritornare a respirare senza sentire quel dolore al petto.

“Momentaneamente l’idea è di pagare la stanza.”

Una risatina la riscosse, facendole venire un mezzo colpo.

“Diciamo che è più esatto dire che l’idea è di fare un salto alla hall.”

Non fosse stato che il tono con cui aveva pronunciato quella frase era così… alla Dodger, Gwen avrebbe aggrottato la fronte per il fastidio.
Per quanto geniali, non sempre i piani del marito davano gli effetti sperati.

<< -Mhm. Bhè, se può minimamente aiutarvi, gli NPG sono modellati per agire come persone. Il che significa che non hanno un database completo circa tutti quelli che sono presenti nel hotel. Il che significa, in modo spiccio- >>

“Che, ad esempio, non sanno ancora che un passerottino ha sbattuto contro la finestra della stanza.” Concluse Dodger.

Si portò una mano la dove doveva esserci il cappello, con l’intenzione di calcarselo sulla testa e di darsi delle arie: purtroppo, poiché il cappello non c’era, la mano tastò per qualche secondo il vuoto, il volto congelato in una smorfia.

“Ratti, tesoro.”

Dodger si voltò verso di lei, sorpreso: poi si sciolse in un sorriso, lasciando cadere il braccio lungo il fianco.

"Mai fidarsi dei ratti.”

<< -Avete un curioso modo di riferirvi ai dodicenni. Undicenni. Quel che era. Certo, non posso dire che non sia appropriato.- >> 

Gwen aggrottò la fronte. “Dodicenni?"

<< -Sono i ratti della società moderna. Senza alcun dubbio.- >> 

Lei rivolse a Dodger uno sguardo interrogativo che lui ignorò, limitandosi a scrollare le spalle in quel modo che sembrava significare ‘sai benissimo di non volerlo sapere’.
Gwen non insistette. Se Dodger implicava che lei non volesse sapere qualcosa, di solito era così.

“Tesoro, questo è molto, molto, molto, molto importante. È quello il tizio che ha fatto il check-in, ieri sera?” 

Gwen tentò di ignorare il tono serio del marito – per un qualche strano motivo riusciva sempre a farle saltare i nervi – e si concentrò sull’uomo seduto dietro il bancone della hall.
Scosse brevemente la testa: quello non era il tizio che l’aveva accolta all’hotel. A dire il vero aveva l’orrendo presentimento che, vista l’estrema eleganza e il modo in cui rimaneva impettito ad aspettare i clienti, quello fosse il direttore dell’hotel.

“Perfetto. Tutto a posto. Sorridi.” 

Lei chiuse gli occhi per un secondo, deglutendo a fatica. Se lo sentiva che se ne sarebbe pentita, lo sentiva che doveva semplicemente pagare, lo sentiva che era una pessima idea seguire il piano del marito.

L’uomo li notò subito. Rimaneva serio e professionale eppure era possibile notare un impercettibile sollevamento del sopracciglio destro, unica spia della tempesta di pensieri che stava imperversando nella sua mente: primo fra tutti, probabilmente, dove avessero trovato i soldi per entrare.

“Buongiorno signori.”

Dodger si guardò attorno con fare furtivo, poi si appoggiò sul bancone, sporgendosi verso l’uomo.

“Buongiorno. Vorrei, uhm, pagare.” 

Gwen aveva sviluppato, dopo tanti anni, una perfetta faccia da poker. Era essenziale rimanere impassibili mentre tuo marito tirava avanti una recita di cui non ti aveva spiegato nulla e il receptionist di un hotel ti squadrava nel tentativo di capire qualcosa.

“Il nome, prego?”

Dodger schioccò la lingua, lanciando una veloce occhiata alla moglie. “Smith. La… signorina non è segnata, non so se mi spiego…”

Improvvisamente lei capì cosa stava facendo il marito e l’unico motivo per cui riuscì a rimanere impassibile fu il pensiero, rassicurante e piacevole come poche cose al mondo, che dopo l’avrebbe ucciso con le sue mani.
L’uomo non aggiunse parola e cercò il nome nel registro.

L’espressione sul suo viso quando tornò a guardare Dodger la fece sentire male.

“Qui la signorina è segnata...”

Lo sguardo sorpreso che Dodger le rivolse le fece mollare la maschera. D’altronde sembrava così convinto, così sincero che Gwen pensò davvero che il receptionist li avesse scoperti: così fissava il marito, terrorizzata, pregandolo di dargli un segnale per fuggire.

“Io… la signorina ha fatto un… errore, temo. Vede, abbiamo estremo bisogno di privacy e… ecco, se potrebbe… non so se mi spiego.”

<< -Padroneggi alla perfezione l’arte del parlare e non dire niente, mio mito inarrivabile.- >>

“I nostri clienti godono della massima privacy, signore."

Dodger chinò leggermente la testa, sorridendo. “Sapevo di poter contare su di voi. Posso sapere il conto…?”

Gwen non c’è la faceva più. Quello non era il suo modo di fare, lei era più per sfilare il portafoglio. O colpire la vittima e prendere i soldi mentre era svenuta. Non riusciva a sopportare l’idea di dover passare più del necessario con il tizio da rapinare.
Cominciavano a tremarle le gambe per il nervosismo e non riusciva a sopportarlo. Voleva solamente correre lontano da lì, maledizione, perché dovevano discutere?
Anzi, perché non aveva semplicemente pagato la maledettissima camera?

“350 crediti.”

Dodger annuì, allungando qualche credito in più rispetto al conto. “Per… il servizio.”
Ammiccò al receptionist con fare complice, quindi cominciò a marciare di fretta verso l’entrata seguito da Gwen che, finalmente, riusciva a riprendere fiato.

“Ti odio. Ti odio,” bisbigliò Gwen con calma, trattenendosi a stento dal mettersi a correre. “Per una volta che potevamo pagare, perché devi sempre complicare le cose?”

Dodger schioccò la lingua, guardandosi attorno con nonchalanche per assicurarsi che nessuno li stesse guardando. “Era una suite, Gwen. Una suite. Con un enorme finestra sfondata. E molto, molto, molto alcool sul conto.”

Gwen dovette prendersi un secondo per calmarsi: quando parlò, lo fece a voce così bassa che ricordava un sibilo. “Una finestra che tu hai rotto. Alcool che tu hai ordinato.”

Lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Oh, perché tu hai disprezzato, giusto?”

<< -Ha protestato. I primi cinque minuti. Parliamo di qualcosa di interessante, invece: la questione Smith. Immagino tu abbia sparato quel nome perché è molto comune. Ad ogni modo, come facevi a sapere che non avesse preso una suite?- >>

“Ah, lieto che tu me l’abbia chiesto!”

Dodger, ormai uscito dall’hotel, batté una mano contro l’altra, allegramente.

“ Vedi, è stato un semplice calcolo delle probabilità. Smith è usato più spesso degli altri cognomi come pseudonimo, ed in questi casi è piuttosto ovvio che la loro camera deve essere piuttosto economica. Se Smith era il cognome originale era comunque più probabile avesse preso una camera normale piuttosto che una suite- insomma, era una situazione in cui vincevo comunque!”

<< -Ora che mi ci fai pensare, ricordo che un posto dove ho vissuto per un po’ di tempo, una specie di… mi piange il cuore chiamarlo hotel, era abitato esclusivamente da John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe.- >>

Sid rabbrividì leggermente, tentando però di mantenere il sorrisetto nervoso che l’aveva contraddistinto negli ultimi venti minuti.

“Eri per caso uno spacciatore?”

La domanda, fatta con una forzata nota di allegria, era in realtà un tentativo di distrarsi dalla triste verità, ovvero che era probabilmente rinchiuso in un angolo di città con poco o niente da visitare, non sapeva dove andare a mangiare o dove prendere un lavoro per accumulare qualche credito e, soprattutto, che cominciava ad avvertire una sorta di fastidio.

<< -Diciamo che per un certo periodo ho avuto un ruolo attivo nel procurare alle persone cose che non facevano per niente bene alla salute.- >>

Schioccò la lingua. Goth stava parlando. Doveva rispondere e ignorare qualsiasi pensiero.

“Devi avere un po’ di gente sulla coscienza.”

<< -Lo spero. Comunque, raccontatemi cosa volete fare oggi e facciamo a finta che mi interessi, vi và?- >>

Oliver alzò le spalle, muto segno per dire che, per quanto lo riguardava, gli andava bene- e lasciando così al gemello l’onere di spiegare quali fossero i loro piani per la giornata.
All’inizio Nicolas aveva semplicemente deciso di fare una passeggiata, decidendo che andare in giro per il posto l’avrebbe aiutato a concentrarsi per ideare un piano per vincere.
La bambina li seguiva. Ancora non aveva detto una parola, ma ormai i due gemelli cominciavano ad affezionarsi: dopo averle trovato un nome avrebbero dovuto insegnarle qualche giochetto.
Oliver, ad ogni modo, seguiva il fratello per un motivo più pratico. Sapeva che Nicolas l’avrebbe spinto a fare qualcosa di molto stupido, tuttavia non poteva ignorare il fatto che dividersi era, solitamente, la prima regola per morire nei film horror. Senza contare che, davvero, non poteva andare in giro senza qualcuno da sacrificare per salvarsi.
Così Nicolas si ritrovava a guidare altre due persone. Era ovvio, quindi, che sarebbe stato quantomeno scortese alzare le spalle e rivelare che non aveva nessuna idea circa il come passare la giornata.

“L’idea principale è quella di, hm, studiare il territorio.”

Nicolas fece un sorriso, sicuro e affascinante, sfoggiando al massimo la sua espressione da ragazzo sveglio: in quel preciso istante Oliver comprese che il fratello non aveva la minima idea di cosa stesse facendo.
Tuttavia non fece nulla. Continuò a camminargli accanto, fingendo di non aver capito, lasciando Nicolas nell’illusione che sì, Oliver era davvero così idiota da credergli anche dopo sedici anni di coltellate alle spalle.
Ed insieme afferrarono la bambina, bloccandola prima che potesse allontanarsi per sparire un’ennesima volta.
 

Sid non riusciva a smettere di martoriarsi il braccio. Doveva riuscire a distrarsi.
Avrebbe dovuto aiutare il fatto che nella sua mente, di solito, girassero solo concetti di fisica assieme a partiture di canzoni, accompagnati da citazioni da film più disparati. Sarebbe stato normale non concentrarsi su qualcosa più di un secondo, almeno in teoria, eppure non era così.
Fra quei frammenti di pensieri, di musiche e di suoni che era la sua mente, delle immagini sembravano riproporsi con più frequenza, brevemente, quasi fossero solo dei messaggi subliminali con il solo scopo di farlo impazzire.

“Io… non lo so. Cioè, uh,” Sid si morse un labbro, guardandosi nervosamente attorno, “non so dove sono né se ci sia qualcosa di interessante qui attorno.”

Meredith si scostò una ciocca di capelli dagli occhi, con fare sbarazzino, ben sapendo che quel semplice gesto poteva essere abbastanza per attirare l’attenzione di Goth.
Sorrise, sfavillante come poche cose potevano essere, ancheggiando elegantemente per le strade della zona in cui si trovava in quel momento.
Si maledì internamente: sorridere? Era un segno di debolezza e si era ripromessa che mai e poi mai avrebbe lasciato cadere la spessa maschera che la salvava dalle minacce di quella vita crudele e senza scrupoli.

“I miei capelli sono rovinati.”

<< -Sei spettinata, involtino dorato al miele di rugiada. Ma, sì, effettivamente spettinarsi indossando una retina… una retina d’oro, per giunta… sicuramente il segno di un potere malvagio. Santo cielo, se non c’è qualcuno che vi insegue per uccidervi non vale la pena fare qualcosa di divertente, uh? Sto cominciando a sperare che il ragazzino si risvegli. Bonnie e Clyde, le mie speranze sono su di voi.- >>

“Bonnie e Clyde... ?” biascicò Gwen a bassa voce, tentando di non farsi notare dall’incauto cliente cui stava, ironia della sorte, infilando qualcosa in tasca. Chi avrebbe mai detto che un giorno avrebbe fatto qualcosa del genere?
Si allontanò con calma, facendo un cenno con la mano a Dodger.

<< -Ooh, nuovi meravigliosi trucchi? Lo sapevo che facevo bene a sperare in voi. Fra parentesi, temo che la polizia non sarà molto contenta di vedere queste scene, ma se siamo fortunati saranno troppo occupati sulla parte ‘muoiono delle persone’. Eh, vedo già soldi che si volatilizzano, cause su cause, avvocati… fortuna che pagano i genitori di Los.- >>

Dodger aveva sempre pensato di essere un tipo piuttosto rilassato, sul lavoro. C’era bisogno di prontezza di riflessi e savoir-fair: aveva bisogno di essere rilassato.
Gli piaceva pure pensare di avere una certa elasticità mentale: a diciotto anni era riuscito a scherzare con i dipendenti di una banca mentre teneva una bomba sul petto e cercava, allo stesso tempo, di scassinare la cassaforte, quello doveva pur dimostrare qualcosa. Oltre che a quei tempi era molto disperato, ovvio.
Eppure sentire Goth parlargli nell’orecchio gli aveva procurato un brivido lungo la spina dorsale. Non sapeva bene perché, visto che era così dal giorno prima, eppure in quel momento sentire la sua voce l’aveva completamente deconcentrato.
Appoggiò la rivista sul bancone, recuperando il proprio sorriso appena vide che il giornalaio si era accorto di lui.

“Giornale, grazie.”

<< -Ooh, qualcuno sta per essere ferito? Fra parentesi, così, pour-parler, ha un fucile sotto il bancone.- >>

Dodger si sistemò con calma gli occhiali, stringendo con forza i denti per trattenersi dall’esclamare quanto fosse felice di avere una vocina nella testa che continuava a renderlo nervoso- qualcosa che non era semplice, contando che era abbastanza rinomato per avere dei nervi d’acciaio.
A parte con Gwen. Anche se quello era abbastanza normale. Tornare a casa da una festa la mattina del giorno dopo con una sbronza terrificante non era esattamente un bel modo per calmare la moglie. Che diventava così molto nervosa. Che quindi cominciava a strillargli addosso e, occasionalmente, a dargli pugni. Molti pugni. 

“Cinque crediti.”

Di solito tendeva a distrarsi durante i colpi, ma quello era ridicolo. Dov’era il tipico flusso di pensieri che lo intratteneva? Dov’erano finiti Parmenide ed Eraclito, perché non stava pensando a favolosi mondi pieni di adorabili coniglietti saltellosi e dove diavolo erano finiti i versi di Goethe che aveva imparato a memoria anni prima? In poche parole, dov’era finita la sua anarchica sapienza?

“Sì, subito. Eh. Stavo per addormentarmi sul bancone.”

Sorrise, tentando di ammorbidire il commesso mentre si tastava i vestiti alla ricerca dei soldi nella speranza di tirare per le lunghe.
Dovette deviare da tale proposito appena vide lo sguardo che quello gli rivolse dopo appena dieci secondi di tentennamento- abbastanza per fargli desiderare di ritirarsi e ignorare il piano solo per fuggire il più lontano possibile.
Non c’è ne fu bisogno: l’allarme all’entrata scattò in quell’istante, lasciando l’opportunità a Dodger di poter vedere il commesso mentre imbracciava un fucile a canne mozze e correva verso il povero sfortunato, strillando qualcosa di indecifrabile. Fu un momento estremamente strano per Dodger, che per pochi secondi si sentì colto da uno strano dejà-vu: poi si riscosse, probabilmente grazie alle urla del povero sfortunato che aveva saggiamente deciso di fuggire a gambe levate, e saltò al di là del bancone, aprendo con un veloce gesto il registro di cassa.

<< -Non è una cosa che faccio molto spesso, quella di complimentarmi con qualcuno per più di cinque secondi, ma devo dirlo… è davvero brillante. Riesce ad essere un piano astuto ed allo stesso tempo estremamente divertente. Tuttavia vorrei ricordare che se questo videogioco uscirà nei negozi potrà essere usato contro di voi in tribunale.- >>

Oliver chiuse gli occhi, portando una mano alla tempia in un semplice quanto esaustivo gesto di profonda e completa disperazione- un movimento melodrammatico, certo, ma purtroppo rovinato dal fatto che il gemello doveva aver ingoiato un rospo, o almeno così sembrava dal suono che aveva prodotto.

“Avevi intenzione di dircelo oppure preferivi che lo comprendessimo da soli appena finiti in riformatorio?”

Quegli impulsi erano rari e molto lontani fra loro, nel tempo – l’ultima volta che era capitato doveva aver avuto circa quattordici anni - , ma in quell’istante Oliver sentì l’improvviso, inarrestabile stimolo di voltarsi verso il fratello e complimentarsi.

<< -Non ve l’ho detto perché poi non avreste commesso nessun reato, tesorini ai confetti e panna con riso. È stato già abbastanza noioso guardarvi mentre rubavate, immagina se non lo facevate. Potreste fare qualcosa di interessante e io non dovrei ricorrere a questi trucchetti, ma voi, noo, preferite trascinarvi come amebe nell’oceano della noia. Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’. Veo veo, santo Cielo! Perché volete mandare alla morte i miei neuroni ancora funzionanti, perché?- >>

Meredith incrociò le braccia al petto: gli occhi, socchiusi, emettevano lampi di furia e rabbia, eppure erano freddi, come se appartenessero ad un soldato che combatteva da quando era capace di camminare e non aveva più alcuna speranza al mondo.

“Tu non capisci. Non sai…”

Mantenne in sospeso l’ultima frase, pizzicandosi il braccio nel tentativo di farsi venire le lacrime agli occhi che, ovviamente, avrebbe fatto di tutto per nascondere, in quanto lei era superiore e non voleva la pietà di nessuno. 

<< -Avere un’età compresa fra i tredici e i diciotto anni deve essere una vera pena visto che non fate altro che lamentarvi. Piccole patetiche larve. Non capisco? È la vita, tesoro, e non sarà comportandoti come una prima donna che riuscirai a sopravvivere.- >>

Meredith era totalmente scandalizzata. Apriva e chiudeva la bocca, senza sapere come rispondere, presa alla sprovvista da quel fiume di parole rabbiose. Non era in quel modo che si aspettava andassero le cose: non sapeva precisamente cosa avrebbe dovuto rispondere Goth, ma sapeva che, qualsiasi cosa avesse dovuto essere, non era ciò che le aveva detto in quel momento.
Si gonfiò il petto, dimenticando qualsiasi stupore e ritrovando la parte più irascibile di se.

“Tu- cosa pensi di sapere? Tu non sai niente! Niente!”

<< -Io so che voi dovete essere sempre al centro dell’attenzione! Siete dei mocciosi viziati, dei->> 

“Non vorrei lamentarmi,” borbottò Sid con sguardo assente, “ma l’abuso è compreso o è un regalo per noi primi giocatori?”

L’esperienza avrebbe dovuto insegnargli che non era mai un bene scherzare sul modo di fare degli altri, soprattutto quando questi erano infuriati. Soprattutto quando questi erano cinici e sarcastici e avevano come lavoro quello di tenerlo d’occhio.

<< -Senti… Billy Idol. Non ne posso più. Siete delle piccole, irritanti sanguisughe che succhiano qualsiasi linfa vitale si trovino a tiro. Tentare di instillare in voi un po’ di senso è solo uno spreco. Farei qualsiasi cosa in mio potere, e credimi che non lo dico tanto per dire, per farvi smettere… o, al limite, farvi soffrire tentando.- >>

Un leggero sospiro le risuonò nelle orecchie.
Si fermò, senza più riuscire ad avanzare. La voce aveva sospirato.
Strinse a se l’orsacchiotto in un moto difensivo: non importava quale potesse essere la minaccia, non sapeva se fosse lei che difendeva il suo orsacchiotto o l’orsacchiotto che la difendeva.
La voce aveva sospirato e quello era strano. Non aveva mai pensato, fino a quel momento, che la voce potesse respirare- essere viva.
Ma respirava. E sospirava. Quindi era viva.
Stritolò l’orsacchiotto in un abbraccio ansioso.
La voce era viva. La voce la vedeva, vedeva tutto, sentiva tutto, ed era viva e lei non poteva vederla.
Strinse i pugni, sentendo la tensione divenire rabbia e la rabbia prendere il controllo del suo corpo.

“Ehi- Nico! Nico, la bambina! Abbiamo perso la bambina!” 

Era la Regina delle Bambole. Pretendeva quella voce. 

<< -Ironicamente è il fatto che non vi sopporto che vi salva. Non voglio avervi attorno, quindi non ho la possibilità di fare ciò che voglio. E mettetele uno stramaledetto campanellino, Mon Dieu, fosse un bebè ora lo alleverebbero i lupi! Io… ngh. Uff… Se la violenza fa fluire le onde, allora romperò ogni osso nel vostro corpo.- >>

“Se il silenzio fa soffiare il vento, allora ascolterò il suono del tuo cuore gelido?”

Per quanto, era vero, c’erano poche possibilità che Sid si fosse sbagliato, il diciassettenne non poté fare a meno di pizzicarsi nervosamente un braccio, tentando di scaricare la tensione. E se si fosse sbagliato?
Se la frase era solo simile per coincidenza ad una strofa di quella canzone sarebbe sembrato, come minimo, un idiota. E non poteva sembrare un idiota con uno il cui lavoro sembrava essere erodere l’anima umana.
Sid fece una leggera smorfia, massaggiandosi e pizzicandosi il braccio.

<< -Pensavo di essere solo io ad avere un gusto così deprimente in fatto di musica! Los a parte. Forse. A che posto sono i Nirvana e i The Cure nella classifica della tristezza? Oh, i Norvegesi riescono a stare in vetta a priori.- >>
<< -Intendi dire che esiste una specie di classifica della tristezza?- >>
<< -Los! Sono le undici e ti stai movendo… il letto sta andando a fuoco?- >>
<< -Non cambiare discorso. Cioè, tipo, ci sono queste band che si sfidano… a colpi di tristezza?- >>
<< -…Sì. Vincono quelli che raccolgono più lacrime di sangue dai fan.- >>
<< -Uha… siete troppo fuori…- >>
<< -…Los, stai male?- >>
<< -Eh?- >>
<< -Mi sembrava un po’… fiacco, questo commento…- >>
<< -…Eh?!- >>
<< -Ho capito, ho capito… ti sei svegliato troppo presto e ora sei una specie di morto vivente, vero? Dai, torna a dormire.- >>
<< -Ma non ne ho voglia…- >>
<< -Oh santo Cielo. Los!- >>
<< -Lasciami in pace! Neanche mia madre rompe in questo modo!- >>
<< -Lo credo bene, tua madre non è mai a casa!- >>
 

“Ehm,” cominciò Dodger, incerto sul come continuare e sul cosa dire. Fece un attimo di mente locale: era fuggito dalla cartoleria e sua moglie aveva cominciato a dare di matto, dicendo che voleva fare un qualcosa di più semplice e che non poteva sempre rischiare la vita e altre cose che, sinceramente, Dodger non ricordava, troppo occupato ad ignorarla e annuire per comprendere una sola parola.
Aveva così deciso di fare come voleva lei, con una piccola modifica: Gwen distraeva la vittima e lui sfilava il portafoglio.
Effettivamente non c’era niente da ricapitolare. Tuttavia aveva sperato che, nel pensare a come fossero andate le cose, Dodger potesse riprendere la sua proverbiale concentrazione.
Non fu così.

“Mi dispiace davvero disturbarvi ma, ecco…” Deglutì a fatica, abbassando la voce nell’avvicinarsi all’uomo, avverto del nervosismo.” 

<< -Oh. Oh sì.- >>
<< -Che sta facendo?- >>
<< -Rischia la vita.- >>
<< -Solo per noi? Sono commosso.- >>
<< -Egli è stata l’unica fonte di divertimento, fino adesso. L’unico motivo per cui non ho dato all’alcolismo una nuova, emozionante sfumatura.- >>
<< -Davvero? Bhè, allora tentiamo di rilassarlo. Cantiamo una canzone.- >>
<< -Los, ti ho già detto che non canteremo. Mai. E poi non conosco canzoni rilassanti.- >>
<< -Bhè, io sì.
Allooora… Oh! Heee’s the one who likes all our pretty songs, and he likes to sing along, and he likes to shoot his gun...- >>
<< -Los, Los, meglio di->>
<< -Oh giusto! Cosa vuol dire che non mi sopporti quando canto?!- >>
<< -Nngh! Non ti sopporto! Ti odio! Perché nessuno mi ha avvertito? Si nasce, si vive, si passano le pene dell’inferno, e poi cosa succede? Si diventa una specie di baby-sitter per un moccioso insopportabile! Dì ai tuoi genitori che devono almeno cominciare a pagarmi.- >>

<< -Goth, tu vivi a casa mia. Vivi e mangi a casa mia.- >>
<< -Cosa credi che faccia una baby-sitter di solito? “Cura i bambini”?- >>

Dodger strinse i denti, lanciando supplicanti occhiate verso la sua dolce consorte che, in quel momento, stava cominciando ad innervosirsi- non era mai stato il suo forte, quello di parlare con la vittima.
Socchiuse gli occhi, emettendo un gemito strozzato. Quelle due vocine lo stavano mandando nel panico, non riusciva ad avvicinarsi e, oddio, quanto era grosso il tizio che dovevano rapinare?
Agitò lievemente la mano destra, tentando di attirare l’attenzione dei due speaker. Nervosiiismooo…” 

<< -Oh sì, giusto. Ti faccio le mie più profonde scuse, mito inarrivabile. Cambiamo discorso, Los.- >>
<< -Non è ancora morto nessuno.- >>
<< -In qualcosa che non includa morte e distruzione, Los!- >>
<< -Pensi che oggi il servizio di questo posto sia migliorato abbastanza da avere una torta entro stasera?- >>
<< -Cioè, le tue scelte sono o morte e distruzione o cibo?- >>
<< -Che altro c’è d’importante?- >>
<< -Dipende da come la vedi. Il tramonto, il cosmo, la scintilla di speranza nello sguardo di un bambino… sono cose molto carine quando sei un idealista. Nel mio piccolo, penso che tutto sia ugualmente inutile appena è toccato da mano umana.- >>
<< -Il che si risolve in cosa? In noi che passiamo qualche minuto in silenzio a guardarci negli occhi nell’attesa che un dio misericordioso materializzi una pistola dal nulla?- >>
<< -Bhè, c’è un’emozionante buco, nel muro, chiamato “finestra”. Passando da quella “finestra” ci sono buone possibilità di ottenere lo stesso risultato della pistola.- >>
<< -Pensavo fosse un ascensore.- >>
<< -Uno molto veloce, anche. Certo, ci sono un po’ di problemi per salire, ma per scendere non lo batte nessuno.- >>

 
Non aveva voglia di andare a scuola.
Sentiva i suoi genitori parlare in cucina e sapeva che sua madre sarebbe presto venuto a svegliarlo, ma, davvero, non aveva voglia di andare a scuola.
Non ricordava una mattina in cui il suo primo pensiero non fosse stato ‘speriamo che si dimentichino di me e mi lascino rimanere a casa’. Il che, davvero, era piuttosto deprimente.
Aprì gli occhi per guardare la sveglia (sempre, quando si svegliava, leggeva l’ora per sperare che fosse troppo tardi per andare a scuola) ma, al suo posto, si ritrovò a fissare una solitaria buccia di banana marcia che lo osservava.
Curioso. 

<< -Goth, lo so benissimo che è una finestra! È solo che, sai… è… strana.- >>
<< -In che senso è strana, è una finestra!- >>

Quelli non erano i suoi genitori.
Corey si mise seduto, guardandosi attorno con aria vagamente interrogativa. Era in un vicolo. C’era della spazzatura sparsa attorno a lui. Si sentiva il vociare della folla, qualcosa che normalmente non sarebbe potuto accadere visto che abitava in un tranquillo paesino perso nella prateria.
Poi, finalmente, Corey collegò il tutto. Era nel videogioco, e le voci erano quelle dei due speaker, ed era in un vicolo perché aveva inseguito un tizio che gli era sfuggito.
Tempo di ricominciare la caccia, quindi.
 
<< -Ma non vedi che- >>
<< -Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra!- >>
<< -Che?- >>
<< -Il ragazzino si è svegliato.- >>
<< -Uh… ok…- >>
 

Ma prima avrebbe mangiato qualcosa. E magari avrebbe cambiato bersaglio. Non che avesse paura, ma, ecco, preferiva prima riscaldarsi un attimo.
Così era meglio se cambiava settore. Non aveva voglia di essere riconosciuto dal tizio della sera prima- che aveva lasciato lì il cappello. Corey aggrottò la fronte, afferrandolo.
C’era ancora il foro del ‘proiettile’. Il ragazzino sbuffò, ragionando che appena più in basso e avrebbe concluso la serata in bellezza.

<< -Oh, hai trovato il cappello del mio mito inarrivabile?- >>

E sentendo queste parole Dodger si rizzò in piedi, portafoglio in mano e occhi sgranati in un’espressione di sorpresa. 

“Chi ha il mio cappello?!"

L’esperienza assunta dopo anni di lavoro sul campo non bastò a ricordargli che esclamare qualcosa ad alta voce dietro ad un tizio il cui portafoglio si trova in bella vista fra le tue mani non è una bella idea.
L’armadio che aveva appena rapinato, infatti, si girò verso di lui, sorpreso da quelle criptiche quanto fuori luogo parole, e stava in quel momento ricollegando ciò che Dodger aveva in mano con ciò che mancava nella tasca dei suoi pantaloni.
Prima ancora che la vittima potesse mettere tutti i pezzi del puzzle al loro posto – o che Dodger potesse aprire la bocca per esordire con una scusa – , però, Gwen gli diede un preciso quanto potente pugno sui reni, facendolo ululare di dolore.
Il resto, nei ricordi di Dodger, fu solamente uno scatto di adrenalina e degli edifici, ai lati della strada, che scorrevano in modo troppo veloce per essere in un qualche modo identificati.

<< -Ouch.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Ti prego, ripetilo.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Eh!- >>
<< -…Già.- >>
 

Corey ignorò quei due esseri inquietanti che continuavano a parlare, relegandoli in un piccolo angolo della sua mente che, in un computer, sarebbe stato denominato ‘cestino’, e programmò la nuova destinazione.
Aveva dodici zone a sua disposizione. Quella in cui era in quel momento era di ‘media’ difficoltà, ovvero aveva due personaggi. C’era poi un’altra zona con tre personaggi- ma non aveva davvero voglia di sforzarsi troppo di prima mattina.
Così rimanevano due zone facili, ovvero con un solo Pg. Sì, era un buon piano, partire dal fondo.

<< -Ora che ci penso… hai presente quel cartone che guardavi una volta, con dei disegni strani e, sai, con due tizi che commentavano… qualcosa?- >>
<< -Come no, il cartone con disegni strani e due tizi che commentano qualcosa, come faccio a non ricordarlo.- >>
<< -Yup. Bhè- >>
<< -Los, re degli imbecilli, non so di che stai parlando!- >>
<< -Neanche io so di cosa sto parlando, se lo sapessi ti avrei detto il titolo, non credi?- >>
<< -…raggiungiamo picchi di intelligenza che servono solo a rendere i fossati di idiozia ancora più profondi.- >>
<< -Oh sì, erano due personaggi molto stupidi. Molto. Molto molto.-
>>
<< -Wow, continui a… Beavis and Butt-head?-
>>
<< -…Cosa?- >>
<< -Il cartone, idiota.- >>
<< -…Uh. Sssì… cioè, immagino che, sì… bhè, comunque. Non ci stiamo comportando come loro, più o meno?- >>
<< -Stai attento. Stai molto attento. La reazione che avrò sarà determinata dalla tua risposta a questa semplice domanda: è un complimento?- >>
<< -Ma non lo sssso, cioè, per adesso so solo che commentiamo le cose come loro e, insomma, in qualcosa siamo simili, no?- >>
<< -Fuoco! Fuoco!- >>
<< -Che ca- >>
<< -Cioè, vuoi dirmi che non l’hai capita?- >>
<< -Ehm?- >>
<< -Esci da questa stanza. Ora. Subito.- >>
 

Sid aveva, finalmente, trovato un luogo che potesse interessargli: il negozio di musica.
Per quanto avesse la vaga impressione che spendere soldi per un CD in un videogioco fosse estremamente stupido, non poteva comunque nascondere il fatto che due giorni senza musica lo stavano uccidendo dentro. Non che i due speaker non sapessero intrattenere, ma cominciava a sentirsi a disagio.
Senza contare che, comunque, la musica lo avrebbe aiutato a distrarsi da quei… sgradevoli pensieri.

“Se figo vuoi apparire un casino devi soffrire.”

<< -Eh?- >>
<< -Pretendo una spiegazione circa il come diavolo facevi a saperlo. Lo pretendo! Hai colto una citazione di Lovecraft e va bene, potrebbe piacerti il macabro. Poi cogli una citazione dei Seigmenn, gruppo norvegese praticamente sconosciuto alla massa ma, ehi, va bene, d’altronde avevamo già capito che ciò poteva rientrare nei tuoi gusti.
Ma Beavis and Butt-head? Cosa c'entra questo con tutto il resto?!- >>

Sid non sapeva realmente come rispondere, ed il principale motivo per quella mancanza di parole era da cercarsi sul fatto che stava guardando con sguardo insistente un basso, forse nella vana speranza che un passante si intenerisse e glielo comprasse.
Quel trucco non aveva mai funzionato quando era un adorabile bambino di dieci anni, figuriamoci a diciassette.
La triste verità era che Sid preferiva sempre passare le proprie giornate a casa, facendosi una spaventosa cultura su qualsiasi cosa esistesse di inutile in quel mondo. Era forse l’unica persona che potesse parlare di Haydn e poi citare Road House. Il che era, secondo il suo stesso parere, piuttosto triste.
Scrollò le spalle, ricordandosi forse in quel momento che i due speaker gli avevano parlato, e si affrettò a rispondere. 

“Chiedi ad Alice. Penso che lei sappia.”

<< -Alice? Ehi, gente, chi di voi è Alice?- >>
<< -When logic and proportion have fallen sloppy dead! And the White Knight is talking backwards, and the Red Queen’s ‘off with her head’!-
>>
<< -…White rabbit?- >>
<< -Ooh, hai riconosciuto una canzone della tua giovinezza?- >>
<< -Ciò che mi disturba è che tu l’abbia riconosciuta prima di me. Questo è un vero e proprio segno dell’Apocalisse.- >>
<< -O, semplicemente, un segno che la tua reattività si è inaridita col tempo.- >>
<< -Ogni tua parola mi dà l’impressione di un pugno allo stomaco. Sul serio. È proprio… hai presente, un concentrato di odio puro. E tu continui a parlare e l’odio dentro di me cresce, cresce, cresce, fino a che, un bel giorno, il mio stomaco non si squarcerà e un portale collegherà questo mondo al paese del Terrore. Da lì, mille angeli della morte inonderanno il pianeta con lacrime di sangue che inaridiranno il terreno, e poveri bambini innocenti moriranno di fame nel dolore più assoluto. Quando tutti i primogeniti saranno eliminati, i demoni e gli angeli si riuniranno in un'unica fila e cominceranno a cantare la canzone che porta la Fine del Mondo.- >>
<< -Perché tu puoi fare tutto sto casino e io non posso nemmeno finire di esporre la mia idea sulle persone che si scarnificano l’un l’altro usando solo le proprie nude mani, scavando poi nel teschio utilizzando una costola- >>
<< -Perché io detengo il portale del Terrore.- >>
<< -E io ho la Villa della Felicità Giocosa. Come la mettiamo?- >>
<< -Un giorno, tutti saranno annichiliti dal piano del Terrore.- >>
<< -Fino a quel giorno, tu continui ad abitare nella Villa della Felicità Giocosa.- >>

Forse, sembrava ragionare Sid, forse avrebbe potuto comprare il basso. Non doveva essere un’idea troppo idiota, d’altronde non aveva molto altro da fare. E poi avrebbe potuto guadagnare un po’ di soldi suonando per strada, il che era pur sempre una soluzione.
Sid schioccò la lingua, battendo la punta dello stivale contro la strada, tentando di decidersi. Quel basso era favoloso, ma era in una realtà virtuale e per quanto ne sapeva stava per morire. Non sarebbe stato quantomeno stupido fare una simile compera?
Sbuffò, lasciando cadere la propria testa sul petto, quasi pensare richiedesse troppa energia per potersi tenere dritto.

“Ehi? Ehi?”

Per pochi, irrazionali secondi, una vocina dentro Sid esplose in un grido di gioia. Poteva sentirla strillare ‘sì, sì, qualcuno si è fermato! Comprami un basso, misterioso benefattore!’- il che era abbastanza patetico, visto che la sua parte più razionale della sua mente sembrava non avere dubbi circa il fatto che nessuno si sarebbe mai fermato a fargli un regalo.

“Perfetto. Vorrei farle sapere che sto per pwnarla. Ka-ching!” 

Pwnarla. La sua mente era stata nuovamente violentata. 

<< -Oddio, sta succedendo qualcosa? Sarebbe una novità.- >>
<< -Ooh. Potrebbe formarsi un portale spazio-temporale formato da pura sorpresa.- >>
<< -Dove porterebbe un portale spazio temporale in un videogioco?- >>
<< -In un antivirus.- >>
<< -…Prego?- >>
<< -Antivirus. La meta ultima dei cybernauti.- >>
<< -Un giorno il buco nero che è nella tua testa ci distruggerà tutti.- >>

Il ragazzo che stava per eliminare aveva fatto un movimento strano, come fosse scosso da un brivido. Qualcosa, dentro Corey, sembrò illuminarsi: adorava instillare paura nei piccoli n00b che si trovava a tiro.
Il tizio gli stava ancora dando le spalle- un grave errore, davvero. Corey non era il tipo di aspettare di trovarsi a faccia a faccia con il nemico. A dire il vero, tutto il discorso che aveva fatto all’inizio era estremamente fuori carattere, per lui. Prima spara, poi parla- o, al massimo, spara mentre parli.
Tuttavia quella era una situazione straordinaria e Corey si sentiva di buon’umore, quindi avrebbe atteso una risposta dal tizio con i capelli tinti di biondo e con quei vestiti che sicuramente avevano visto dei momenti migliori.
Curiosamente, ciò gli era familiare.

“Che fantastico modo di morire. Ucciso da un baby-killer del linguaggio nella più noiosa delle vie di un videogioco.”

Il ragazzo, che era riuscito a mantenere un tono freddo fino alla fine della frase, si lascio sfuggire una risatina nervosa.

“La la la la la, lie lie lie…”

Curiosamente, quell’incredibilmente disturbante strofa gli era familiare.

<< -Non sta veramente bene con la testa, comunque.- >>
<< -Non vedo come tu possa dire una cosa del genere, visto che probabilmente sai anche cosa sta cantando.- >>
<< -…Devo ammettere che mi dispiacerà non poter più fare citazioni ignote con qualcuno che finalmente le capisce.- >>
<< -Potremmo farci una maglietta.- >>
<< -Inserisci citazione ignota qui?- >>
<< -Non c’è citazione più ignota di questa citazione?- >>
<< -Lo sai qual è la differenza fra me e te? Io, con questa citazione, sono uno schianto.- >>
<< -Stai citando una citazione usando una citazione? Ehi, neanche questa sarebbe male, come maglietta.- >>
<< -Tornando a noi, non che tifi per l’uno o per l’altro, ma avresti potuto sparargli cinquanta volte, bimbo.- >>
<< -Forse sta avendo un flashback.- >>
<< -Ciò che mi spaventa è che potrebbe anche essere vero.- >>
 

Sid si rese conto che, effettivamente, non era ancora morto. Non si faceva molte illusioni, fra un po’ sarebbe morto, ma c’era comunque da dire che quell’indecisione – se di ciò si trattava – era comunque insolita.
Si voltò, lentamente, temendo che fissare negli occhi il tizio potesse dargli la decisione che aveva bisogno per sparare: fortunatamente, così non fu.
All’inizio Sid si limitò a prendere atto che c’era un bambino, di fronte a lui. C’era di buono, se così si poteva dire, che prima aveva indovinato- era un ragazzino. C’era poco da festeggiare, comunque, contando che il suddetto bambino gli stava puntando addosso una pistola piuttosto strana.

Poi si trovò a guardarlo negli occhi, sbarrati per la sorpresa, e un’ombra di riconoscimento cominciò a farsi avanti nella sua mente. Lo conosceva, anzi, era sicuro di aver visto quel bambino, ma dove…?

Strabuzzò gli occhi, incredulo. Corey? Che ci fai qui?!”

<< -Non mi piace questa cosa del sapere i nomi delle persone. Sapere il nome è il primo passo verso l’affezionarsi.- >>
<< -Ah sì? Quindi saresti affezionato a me?- >>
<< -…Goth è il tuo vero nome?- >>
<< -…Mi piace sempre pensare che tu abbia una profondità di fondo. A volte ho questa idea che tu stia realmente pensandoci, che sia una sorta di filosofia… poi la realtà subentra e di nuovo mi ritrovo a strisciare nel letame.- >>
<< -Qualcuno è di buon’umore, oggi.- >>
 

Corey arretrò. Un gesto più che altro istintivo, in quanto il ragazzino era fermamente convinto di non avere paura di Sid. Insomma, come avrebbe potuto aver paura di Sid, era solamente il suo baby-sitter.
Quindi no, non era spaventato. Ovvio che non lo fosse. Perché mai avrebbe dovuto? Avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento, solo che… non ne aveva voglia. Ecco tutto.

“Ah, uh, ehi. Sid. No. Cioè,” Corey scosse la testa, tentando di riportare un ordine logico ai propri pensieri, non mi hai visto.”

<< -All together now: non hai visto niente! Rosabella era la sua slitta! La torta è una bugia!- >>
<< -Oh, sì, certo. Non sia mai che Sua Idiozia possa mantenere una parvenza di senso per più di cinque secondi.- >>

C’era di buono che gli speaker lo stavano commentando, quindi non era tutto un frutto della sua immaginazione.
Il che, davvero, non aiutava particolarmente Sid. In quel momento poteva solamente guardare Corey giocherellare frettolosamente con una specie di orologio - quel che era – e chiedersi come fosse possibile che i genitori del ragazzino, particolarmente tirannici per quanto riguardava i computer, gli avessero dato il permesso di saltare giorni di scuola per partecipare a quel videogioco.

“Cos…” Sid si bloccò, rendendosi conto di avere troppi pensieri per la testa per poterne esprimere soltanto uno- non stava aiutando poi la pistola che, per quanto prometteva di non dover essere utilizzata, il ragazzino continuava a tenere in mano. “Uh, aspetta, Corey, cosa ci fai…” 

E Corey scomparve.

<< -Puff!- >>
<< -Ti ho già detto che non faremo i rumori di sottofondo!-
>>
<< -…Te-te-teeen.- >>

Ci mise alcuni secondi per convincersi che sì, Corey era davvero scomparso di fronte ai suoi occhi. Una realtà piuttosto agghiacciante da considerare quando sapeva di non aver preso l’ultima pillola.
O forse l’aveva presa? No che non l’aveva presa. O forse sì?
Sid ficcò in fretta la mano destra nella tasca dei pantaloni, cercando disperatamente la pillola.

<< -Ad ogni modo, fantastico. La nostra unica fonte di divertimento è di nuovo scomparsa. Era un po’ troppo, in effetti, richiedere un po’ d’intrattenimento che durasse più di cinque secondi.- >>
<< -Goth, non posso fare a meno di sentire una distorsione della Forza, quando parli…- >>
<< -Di che stai parlando?- >>
<< -Uh… mettiamola così. Se tu l’avessi chiesto con lo stesso tono ad un camionista, il camionista si sarebbe rannicchiato in un angolo a piangere.- >>

Dodger, sdraiato su una panchina con gli occhi chiusi, fece un breve cenno con la testa.

“Vero. Stai inondando l’aria di nervosiiismo.” 

E Dodger, che era da poco riuscito a tranquillizzarsi, non aveva bisogno di nervosismo. L’unica cosa di cui aveva bisogno era il suo cappello, così almeno poteva coprirsi il volto e addormentarsi in pace, ma purtroppo non si era ancora trovato.
Tamburellò con le dita sull’addome, chiedendosi, per qualche istante, se ci fosse ancora, il suo cappello. Il bambino poteva averlo bruciato.
Piccolo moccioso infame, fu l’istantaneo pensiero di Dodger.
 
<< -Fra un po’ inonderai l’aria di sangue.- >>

Dodger aggrottò la fronte, perplesso. “Ehi, da quando minacciate i-”

Prima di poter terminare la frase scattò seduto. Era stata una reazione completamente involontaria, apparentemente causata da nessuna ragione.
Per qualche istante, Dodger si limitò a pensare che fosse solamente colpa di un qualche strano bug del sistema e che non vi fosse nulla di cui preoccuparsi: poi un pugno gli volò contro e il pover’uomo fece appena in tempo a coprirsi la testa con le braccia.

“Razza! Di! Idiota!”

Il fatto che la voce e i pugni appartenessero alla moglie non tranquillizzavano per nulla Dodger, che, anzi, si rannicchiò su se stesso, terrorizzato.
Che cosa aveva fatto? Non ne aveva idea. Aveva cominciato a correre, prima, e, certo, doveva averla persa di vista, ma non poteva essere quello il motivo per cui…
Oddio. Era quello il motivo per cui.

<< -E questo manda al diavolo tutti i miei pensieri su quanto carini fossero.- >>
<< -Bhè, lei è carina. Lui… forse non lo sarà più tanto.- >>
<< -Fra parentesi, appena questo videogioco tocca il mercato, noi siamo molto arrestati.- >>
<< -Guardando il lato positivo, un sacco di femministe verranno a supportarci.- >>
 

Meredith scostò una ciocca di capelli color del sole del mattino in una giornata di primavera dagli occhi blu mare profondo sotto il cielo di San Lorenzo in Russia. In quel momento si sentiva positivamente splendida, con le sue curve al posto giusto sottolineate dai comodi quanto trasgressivi abiti firmati.
Era, insomma, in pace con il mondo. Sentiva di poter perdonare quei due speaker, anche se erano incredibilmente rudi e molto maschilisti, come poteva perdonare tutta la gente che non le prestava sguardo e come voleva perdonare quella donna che aveva incontrato il giorno prima, la donna quasi avvenente come lei, per averla abbandonata. Non era colpa loro, e solo in quel momento, con quella borsa di Armani sotto gli occhi, al di là della vetrina, Meredith riusciva a rendersene conto.

<< -Goth, gioisci! Abbiamo ritrovato il bambino!- >>
<< -Voi due, in compenso, avete perso la bambina.- >>
<< -Spero non abbiano mai un figlio. Sapere dov’è il pargolo è una di quelle cose che le donne, curiosamente, guardano, quando devono decidere se chiedere il divorzio o no. Comunque, eccolo là!- >>
 

Corey era infuriato. Era cominciata la giornata e l’unica persona che avrebbe potuto uccidere era stata Sid, ovvero qualcuno che poteva riferire ai suoi genitori che non era a casa di amici, ma stava bensì provando un videogioco.
Quindi se Sid usciva dal gioco sarebbe, probabilmente, andato a riferire ai suoi genitori che cosa il figlio aveva fatto per quei due giorni. Ed, oltre a quello, non aveva ucciso nessuno.
Corey era ragionevolmente infuriato. E quando vide, di fronte a sé, una biondina che guardava con sguardo assente e sorriso incomprensibile una vetrina, decise che si sarebbe sfogato su quell’inutile ragazza.

<< - Morte time!- >>
<< -Come sei sopravvissuto fino ad adesso senza nessuno che morisse per il tuo solo divertimento?- >>
<< -Bhè, qualche volta avevo questo assurdo desiderio di scrivere storie su gente che moriva per motivi assurdi…- >>
<< -Uno dei primi segni degli psicopatici.- >>
<< -Assieme all’uccidere scoiattoli.- >>
 

Se c’era una cosa che Corey doveva ricordarsi, quella era di trovare un codice per diminuire il volume. Poche cose come due speaker riuscivano a rovinare un attacco a sorpresa.
La ragazza si voltò verso di lui, quasi sentendo che qualcosa non andava, e lo vide mentre le puntava contro una pistola.
Una situazione invero imbarazzante.

“Sparisci, infimo moccioso.”

Il sopracciglio sinistro di Corey si alzò di ben un centimetro a tale frase.
Abbassò lo sguardo verso la propria pistola, tanto per essere sicuro che, sì, era una pistola e sì, era puntata contro la ragazza. Quindi, se l’arma esisteva ed era puntata contro la ragazza non rimaneva altra possibile scelta se non l’aver sentito male.

“Sparisci. Voglio rimanere qui ed essere in pace con il mondo.”

<< -Ehi, Jerome, ma sei proprio sicuro di non voler visitare le tombe? Sono splendide.- >>
<< -…Scommetto che il drogatello sa di cosa stai parlando.- >>

Sid schioccò la lingua, scrollando leggermente le spalle.

“Preferirei, amici miei, dimenticare tale losca avventura: i compagni di viaggio tendevano dimenticare le più basilari regole di convivenza, e, per favore, tacciamo del cane.”

<< -Aah, non ci posso credere!- >>
<< -Mai come questo momento mi sono sentito così investito da energie Nerdiche.- >>
 

La ragazza era strana e probabilmente nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Non c’erano motivi per cui Corey non potesse spararle subito.
Eppure c’era qualcosa che lo bloccava, qualcosa che non riusciva ad afferrare. Gli sembrava – ma forse era solo una sua impressione – che la zona si fosse in un qualche modo incupita, come se qualcosa avesse coperto il sole. Il che era ridicolo, perché fino a cinque minuti prima non c’era una nuvola, in cielo.

“Sei così morto. Davvero. Punta la pistola su di me per altri cinque secondi e tu sei morto.”

Non era solo una sua impressione.
Tutto era divenuto più scuro e gli NPG erano strani. Sembravano scomparire e ricomparire, come fossero immagini di un film rovinato, e continuavano a cambiare. Erano piccoli dettagli, ma Corey non poteva fare a meno di notarli. Gli occhi degli NPG cambiavano colore, passando per tutte le gradazioni possibili; alcune piccole imperfezioni – tipo un neo sulla guancia – scomparivano; le ragazze sembravano diventare più avvenenti con il passare dei secondi. Senza contare che - Corey socchiuse gli occhi, tentando di capire se fosse vero oppure stesse solo immaginandoselo - gli NPG indossavano tutti vestiti di marca.

<< -I cinque secondi sono passati e la maledizione secolare è ora su di te. Se guardi alla tua destra puoi vedere la Morte: alla tua sinistra, invece, puoi vedere il ristorante cinese ‘mangia o muori’. Volevano scrivere ‘mangia o togliti dalla vetrina’, ma mancavano i soldi. Trovo che la scelta sia, ora, molto più semplice.- >>
<< -Vorrei dare una risposta pungente, ma per adesso preferisco prendere atto del fatto che Los ha fatto un discorso con più di cinque parole senza che gli esplodesse la testa.- >>
<< -Hai un’opinione ingiustificatamente bassa di me.- >>
<< -Sì sì, ora vai a mangiare la vernice.- >>

Corey emise un leggero ringhio, colto impreparato da quella valanga di idiozie che gli speaker, secondo lui, continuavano a spargere- senza rendersi conto, così, che la ragazza stava per saltargli addosso.

<< -Bella forza, anche io sono capace di predire che qualcuno morirà e poi ucciderlo.- >>
<< -No, tu non lo sei. Schioccheresti le dita e due camerieri di cui tu, ovviamente, non conosci il nome, procederebbero a ucciderlo.- >>
<< -Non è la mano che commette il gesto che devi guardare, quanto quella che le da lo stipendio a fine mese.- >>
<< -Los, ho una notizia speciale per te: quei soldi non sono tuoi. Sono di tuo padre. Un padre estremamente magnanimo, in quanto io ti avrei sacrificato alla prima partita di Dungeon’s and Dragons.- >>
 

Se Corey non fosse stato troppo occupato a lottare per la sua vita avrebbe sicuramente strillato di gioia nel sentir nominare il suo gioco preferito: purtroppo era occupato a lottare per la sua vita, quindi relegò nuovamente le parole degli speaker in un posto non troppo privilegiato della sua mente, tentando disperatamente di immettere il codice adatto per fuggire. Non facile, contando che la ragazza stava probabilmente tentando di strappargli gli occhi con le unghie- non si capiva perfettamente, sapeva solo che stava mirando il volto.

<< -Hm-hm, la cosa mi ferisce profondamente. Comunque, a quanto pare il nostro bassista aveva ragione: queste risse sono interessanti solo se fra donne.- >>
<< -Il tuo bassista non era quel tizio che è stato arrestato per molestie?- >>
<< -…Mi chiedevo che fine avesse fatto.- >>
 

Meredith non capiva cosa fosse successo, sapeva solo di aver rovinato le proprie unghie, quelle unghie appena smaltate, nel tentativo di uccidere il ragazzino e il ragazzino era scomparso.
E quello la rendeva molto, molto, molto nervosa.
E l’unico modo per far passare quel nervoso era lo shopping. Tipo, quella splendida borsa di Armani…

<< -Ti rendi conto che io so dov’è finito un tuo compagno di band mentre tu non ne hai idea? Non ti dà un qualche dubbio?- >>
<< -Sì, uno… dove sono finiti i sei bassisti che sono venuti prima?- >>
<< -…Erano cinque, Los. Il terzo aveva solo cambiato pettinatura.- >>
<< -Oh. Bhè, dove sono finiti?- >>
 

La prima cosa che Corey decise, appena materializzato in uno spazio relativamente pacifico e senza una ragazza fuori di testa che voleva scarnificargli il volto, fu di creare un altare celebrativo per quel piccolo computerino che aveva costruito e che gli aveva salvato la vita.
La seconda cosa fu di prendere una pistola e sparare all’indirizzo dei tre ignari Personaggi Giocanti, preso da furia omicida e carico di stress che, semplicemente, doveva sfogare in un qualche modo.

<< -Uno se n’è andato perché diceva che eravate degli incompetenti da paura. Non ho mai provato una reale pena per te, ma ho davvero odiato quel tizio: era la prova vivente che al di sotto di una certa età gli esseri umani andrebbero costretti ad avere una zip alla bocca. Il secondo era un tizio eccessivamente rilassato, doveva essere sotto costante marijuana. Credo che ad un certo punto si sia solo scordato di venire. Il terzo aveva manie da rockettaro e si divertiva a distruggere cose, il che lo ha portato ad un richiamo della polizia. La quarta ti ha mollato.- >>

Non fosse stato per il grido inumano che il ragazzino aveva emesso prima di sparare come un pazzo, Nicolas sarebbe stato sicuramente morto. E probabilmente anche suo fratello. Ma quello era un altro conto.
Il ragazzino aveva sparato, mirando contro di loro: Nicolas era abbastanza sicuro di non essere nella traiettoria, ma abbastanza era una di quelle parole che raramente portavano alla sopravvivenza.
Così era scattato verso la destra, dimenticando la bambina. E sì, anche Oliver, ma soprattutto la bambina- gli sarebbe davvero dispiaciuto, se questa fosse morta per colpa sua.
Fortunatamente il fratello aveva avuto il tempo di prendere la bambina e trascinarsela dietro nella sua folle corsa verso la salvezza- salvezza che credeva a sinistra, ovvero da tutt’altra parte rispetto a quella di Nicolas. Il che dava, secondo i calcoli di quest’ultimo, un cinquanta per cento di possibilità che il ragazzino lo seguisse- cosa incredibilmente seccante.

<< -Uh… mentre stavamo parlando della storia della mia emozionante band ci siamo persi un po’ di azione. In cui nessuno è ancora morto. Questo è veramente deludente.- >>
<< -Ad un certo punto cominci ad abituarti alla delusione e questa, semplicemente, non ti tocca più.- >>
<< -Senti, posso immaginare che tu sia stato amico intimo di Nietzsche, ma potresti per favore smetterla di tentare di portarci tutti al suicidio?- >>
<< -…Tu sai come si pronuncia Nietzsche? Tu sai chi è?!- >>
 

Sentiva di voler mitragliare i loro miseri corpi fino a quando non fosse rimasto altro che una poltiglia informe di carne ed ossa. Quella era una sensazione che provava solamente quando il suo computer si bloccava nel bel mezzo di una quest vitale in Impending Doom II ed era evidente che doveva riavviare, cosa che avrebbe portato a perdere cinque preziosissime ore di gioco.
Una rabbia devastante, insomma, che solo sua madre riusciva in un qualche modo a contenere.
Tuttavia la genitrice non sapeva neanche che lui fosse là, quindi Corey, ben lungi dal calmarsi, si limitò a sparare ripetutamente in direzione di quello, fra i tre, che indossava un cappello- cappello, fra l’altro, che gli scatenava altri assolutamente ingrati ricordi che nulla facevano per sedare la sua rabbia.
Così l’adolescente sarebbe sicuramente morto, se solo non fosse stato così maledettamente… sgusciante. Procedeva in modo imprevedibile, abbassandosi e poi saltando a destra, ondeggiando a sinistra, facendo di tutto per non prendere un solo proiettile.
Oh, quello era veramente seccante. Avrebbe dovuto creare proiettili che si dividevano in tanti frammenti, così da poter dominare un raggio più ampio. Non doveva essere tanto difficile.
Corey ringhiò quando l’ennesimo proiettile mancò il bersaglio, e stava per sparare un’altra volta quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Fu questione di un attimo, a dire il vero. Un’immagine che come era comparsa se n’era andata. Tuttavia era così orribile, così incredibilmente perversa che quel semplice attimo bastò a farla imprimere a fuoco nella sua mente- e, Cielo, lo sapeva che quella cosa l’avrebbe inseguito nei suoi incubi.

Puntò la pistola verso l’alto, piegando la testa d’un lato nel vago tentativo di razionalizzare. Quella… cosa orribile non poteva essere stata solo un parto della sua mente. Miseria, non poteva essere così perverso. Ma se non era solo sua immaginazione, allora che era stato?
Si guardò attorno, socchiudendo gli occhi. Gli NPG apparivano normali- non troppo perfetti, non sembrava che i seni stessero per scoppiare, e i loro vestiti non erano firmati Gucci. Erano piuttosto anonimi.
Forse un po’ troppo anonimi.
In quel momento un qualcosa che no, non era assolutamente panico, lo assalì: avrebbe sudato freddo, se fosse stato possibile farlo in quel momento.
Era solo che aveva la strana impressione che fossero tutti strani, quegli NPG. Ostili, poteva essere, ma soprattutto inquietanti. Ciò che lo preoccupava era che non c’era una reale ragione per cui potessero esserlo: da quanto vedeva erano tutti normali. Tutti, in un qualche spaventoso modo che Corey non riusciva ad afferrare, uguali- anche se, fisicamente, non lo erano.
Non erano tutti uguali, tentò di ricordarsi. Lì guardò, uno a uno.
C’era chi era nero, chi aveva i capelli biondi, chi aveva le lentiggini, chi aveva la bocca-

Corey trasalì, arretrando di qualche passo, inorridito. L’NPG stava scomparendo, stava per entrare in un pub ma ne era sicuro, l’aveva visto- 

Aveva la bocca cucita

<< -Nietzsche, sì. So come si legge. Come si scrive è tutt’altro conto…- >>
<< -Che tu sappia scrivere è un miracolo di per sé.- >>
<< -Goth, sei così… stancante.- >>

In un altro quadrante, pochi attimi dopo. Da quanto diceva il computer, quel quadrante era deserto: se c’era qualcosa che non andava, allora lì l’avrebbe sicuramente visto.
Corey si guardò attorno, tentando di registrare quante più informazioni possibili e notando, con suo grande sollievo, che nessuno aveva la bocca cucita. Era un grande passo in avanti: se non nel capire cosa stesse succedendo, di sicuro per la sua sanità mentale.

<< -Bambino, hai intenzione di smetterla di saltare di qua e di là oppure dobbiamo cominciare a scommettere sul dove comparirai la prossima volta?- >>
<< Senza contare che, davvero, non puoi costringerci a cercarti in ogni quadrante.- >>
<< -Giusto, lo sai che cosa è successo l’ultima volta che Los ha usato il cervello? Vuoi veramente distruggere il mondo?- >>

Ed ecco che “togliere il volume agli speaker” scivolava velocemente al primo posto della sua lista di cose da fare.
Corey ringhiò qualcosa a quell’NPG che stava ridendogli in faccia prima di tornare a guardarsi attorno, cercando qualcosa che fosse strano.
Una ricerca vana, a dire il vero: tutto sembrava abbastanza normale, anche se qualcosa, in sottofondo, continuava a limare con costante pazienza i suoi nervi.
Non riusciva perfettamente a capire cosa- era un rumore che non riusciva ad attribuire a qualcosa. Il che era strano, perché era piuttosto sicuro di averlo già sentito.
Chiuse gli occhi, riuscendo a malapena ad ignorare quella risatina che, ne era sicuro, era rivolta a lui, e tentò di concentrarsi su quell’odioso, fastidiosissimo rumore di sottofondo.

<< -Secondo te perché chiude gli occhi?- >>
<< -Forse deve azionare la Forza?- >>
<< -Ti immagini se gli viene un attacco d’asma?- >>
<< -Noi siamo qui a sognare Darth Vader mentre la triste verità è che… che…- >>
<< -Se vuoi piangere avvertimi, ho sinceramente paura delle tue lacrime.- >>
 

Una fotocopiatrice. Era il suono di una maledettissima fotocopiatrice. Che diavolo ci faceva quell’aggeggio malefico lì? E da quando era così irritante?
Corey scrollò le spalle, aprendo gli occhi e tornando a digitare qualcosa nel computer al suo polso: non era al livello di ‘gente con la bocca cucita’, ma era comunque qualcosa di strano.
Avrebbe dovuto andare in un altro quadrante e vedere com’era la situazione – quello era il suo piano, in effetti - , ma una risatina lo riscosse, ridestando parte di quella furia che si era svegliata, pochi minuti prima, al cospetto dei tre tizi.
Era nervoso, non aveva ancora ucciso nessuno e non aveva intenzione di sentire pure un NPG ridergli addosso.
Quindi si voltò, pronto a sparare- senza però trovarsi di fronte nessuno.

<< -Hhhm? Che stai facendo, si può sapere?- >>

Corey aggrottò la fronte, perplesso. Per quanto fosse evidente che non c’era nessuno, non poteva comunque credere di essersi immaginato quella risatina: era stata, semplicemente, così reale che aveva sentito l’impulso di voltarsi e crivellare di colpi chiunque avesse avuto la triste idea di prenderlo in giro.

Aveva cominciato, poco a poco, a convincersi che forse – forse – la risatina era stata solo un frutto della sua immaginazione quando questa si fece sentire, di nuovo, alle sue spalle.
Si voltò, più sorpreso che realmente infuriato – anche se prometteva di ristabilire l’equilibrio appena scoperto chi lo stava prendendo in giro – solo per rischiare un infarto quando si rese conto che non era solo una persona a ridere, ma un intero gruppo di NPG.

<< -…Goth, c’è qualcosa di buffo nel ragazzino?- >>
<< -A parte il fatto che ha una specie di pistola giocattolo lanciamissili?- >>
<< -Bhè, no. Intendo dire, qualcosa per cui lo guarderesti e scoppieresti a ridere.- >>
<< -Trovo esilarante l’idea che stia per friggersi il cervello grazie alla pubertà.- >>
<< -Io pensavo più all’altezza. È piccolino. È Piccolino mcPicciol. E bassissimo. Ehi, sei proprio tu Puffo Inventore?- >>
 

La risata degli speaker non lo stava aiutando.
Corey non riusciva ad immaginare cosa ci fosse di così divertente, in lui: e anche se a monte di quelle risa una ragione c’era, bhè, non lo sopportava comunque. Avrebbe potuto cancellarli tutti immettendo un semplice codice, non avevano il diritto di prenderlo in giro.
Alzò la pistola, puntandola contro la folla – non valeva la pena sceglierne uno specifico, l’importante era che capissero la lezione e stessero zitti - : nessuno sembrò notarlo.
Di nuovo, la sgradevole sensazione che, forse, non stava realmente puntando un’arma si impossessò di lui.

<< -Mi chiedo perché non stia sparando. Intendo dire, cosa sta aspettando, il permesso dei genitori?- >>
<< -Questa è la tua risposta a tutto, vero? Solo… “spara al problema”.- >>
<< -Uuuh… ssì… Senti, sai dirmi l’esatto momento in cui questo videogioco si è trasformato in una seduta per coppie in crisi?- >>
<< -…hhhnf…- >>
<< -No, la so, la so… ‘se mi ascoltassi, qualche volta, lo sapresti! Invece con te è sempre e solo lavoro, lavoro, lavoro!’- >>

Sparò due colpi, che, ne era certo, portarono alla morte di un uguale numero di NPG. Il loro sangue aveva persino macchiato qualcuna delle altre persone attorno a loro, miseria, era sicuro che fossero morti.
Eppure nessuno sembrò farci caso. Corey sgranò gli occhi, spostando lo sguardo dai due cadaveri al gruppo che continuava a guardarlo e ridere, e per qualche secondo pensò che fosse solo un sogno. Un incubo, forse. Un incubo esageratamente surreale ed incredibilmente inquietante.

“…Oh, al diavolo.”

<< -Di fronte alle difficoltà della vita, sparisci. Sparisci. E ti ritorna il sorriso.- >>
<< -Oh, siamo educativi, oggi.- >>

Nicolas non riusciva mai a capire per quale motivo Oliver fosse sempre così imbronciato. Tornava indietro dalla sua piccola fuga e lui era sempre lì, pronto a ringhiargli contro e a lanciargli occhiate di puro odio senza che avesse mai fatto qualcosa per meritarsele.
Tuttavia a Nicolas non importava molto. Una delle poche cose su cui poteva sempre contare, nella sua incerta vita fatta di figuri malfidati, era che suo fratello sarebbe sempre stato abbastanza idiota da rimanergli accanto: fosse imbronciato o allegro, bhè, non faceva alcuna differenza.
La bambina godeva di ottime condizioni, o almeno così sembrava ad uno sguardo superficiale. Era probabile, a dire il vero, che fosse in un qualche modo strana, ma a dirla tutta Nicolas aveva più paura dell’orsetto che questa stringeva al petto.

“Odioso bastardo. Continua a scappare, continua. Verrà il bel giorno che inciamperai. Vediamo se un branco di cani feroci non banchetterà con i tuoi resti.”

Nicolas si corresse: Oliver era un pochettino più spaventoso.
Non riusciva realmente a capire se quelle parole, mormorate a bassa voce, fossero un semplice mantra, se lo stesse minacciando oppure se il gemello stesse pensando ed, effettivamente, non sapesse che stava parlando.
Tutte ipotesi egualmente agghiaccianti.

<< -Uff… Ok, ricognizione generale.- >>
<< -I due sposini sono… hm… sono… occupati…- >>
<< -Ancora? Involtino al mandolino di crema e cedro, ma fai così anche nella vita reale? Qualcuno chiami la polizia!- >>

<< -Non credo sarebbe una buona idea, intendo dire, probabilmente metterebbero dentro anche lui e sai se li mettono in cella assieme?- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -…Ghgh!- >>

Così qualcosa di sbagliato c’era, evidentemente. Qualcosa che avrebbe potuto anche essere colpa sua- anche se ne dubitava fortemente.
Tuttavia era evidente che per aggiustare l’anomalia doveva collegarsi al videogioco. Per farlo doveva usare un internet point che era, ovviamente, nel quadrante con tre persone- proprio quelle tre persone che aveva attaccato e che probabilmente non si erano dimenticate di lui, già.
Il piano A di Corey era comparire e correre via prima che uno dei tre lo riconoscesse, così da non dover perdere tempo con inutili ‘sentite, c’è solo questo piccolo problema quindi se poteste lasciar perdere il fatto che vi ho ucciso fino a che non l’ho risolto ve ne sarei molto grato’. Il piano B era di sparare ai tre maledetti rompiscatole in caso avessero fatto resistenza.
Purtroppo, quando si materializzò nel quadrante non ebbe il tempo né per il piano A né per il piano B: i tre, infatti, erano di fronte a lui, stavano camminando verso di lui e sembravano discretamente inferociti.

“Oh, credimi. Ti squarterò e con la tua pelle farò- aspetta un secondo.”

Uno dei due gemelli – quello senza cappello – lo vide per primo e lo sguardo che gli rivolse avrebbe potuto uccidere un povero innocente.

<< -Poi ci sono i due gemellini… Oh. Ehi, bambino.- >>
<< -Ma tu guarda questi bambini, li ritrovi sempre nell’ultimo posto dove vorresti guardare.- >>

Corey aveva già alzato la pistola e l’aveva puntata verso i due gemelli, giusto per precauzione. Non aveva realmente voglia di sparargli, voleva solo tenerli lontani da lui.
Piegò la testa d’un lato, notando, in quel momento, che a dire il vero poteva semplicemente prendere un sacco di tempo e farli fuori tutti e tre: questi, infatti, anche se continuavano a guardarsi attorno alla ricerca di una via di fuga non sembravano essere riusciti a trovarne una ed erano immobili di fronte a lui.
Sarebbe stata un’idea geniale, se solo non gli fosse venuta così in ritardo.


Nicolas portò una mano al cappello, osservando con estrema attenzione il modo in cui l’espressione del bambino mutava: dapprima completamente terrorizzata, sembrava rilassarsi sempre di più, fino a quando non fece un piccolo ed inquietante ghigno.
Che cosa la perfida mente del moccioso stesse architettando, Nicolas poteva solo immaginarlo: sapeva solo di non essere armato e di essere, quindi, probabilmente alla fine della sua avventura.
Le sue dita affondarono nella stoffa della fedora, stringendola. 

C’erano poche cose che Nicolas amava: una di quelle era il suo cappello.
Tuttavia il sedicenne era arrivato ad uno stato di saggezza, principalmente ladresca, che bisognava essere capaci di sacrificare tutto, anche ciò che più si amava, per quel grande obiettivo che era il continuare a vivere. E non c’erano rimorsi di coscienza che valessero quando, cinque minuti dopo aver fatto il suo sacrificio, si ritrovava vivo, vegeto e fuori dalla prigione: una tripletta, quella, che poteva tirarlo su di morale in qualsiasi situazione.
Così, quando capì che il moccioso infame stava per sparargli contro, Nicolas non ebbe alcun dubbio su cosa fare.

Lanciò il cappello verso il bambino: questo, fedele alla sua parvenza di grande cacciatore, sparò alla fedora un paio di volte, convinto, come solo il panico riusciva, che quel povero straccio potesse in un qualche modo ucciderlo.
 

Oliver non aveva mai bisogno di farsi spiegare il piano. Lo capiva, era semplicemente ovvio.
Nicolas aveva distratto il bambino, ma quella era solo la prima azione, lo sapeva. Il fratello creava piani così semplici, così elementari: Oliver avrebbe sicuramente saputo fare di meglio, se solo l’altro non avesse continuato a batterlo sul tempo.
Il bambino era distratto, ma sarebbe durato poco: probabilmente, avendoci preso gusto, sarebbe passato direttamente a sparare contro di loro. Anche quello era ovvio.
Ciò che doveva fare, quindi, risultava istintivo: doveva solo gettarsi su di lui e colpirgli la mano che teneva la pistola, così da disarmarlo.
Era così semplice che riuscì a farlo prima ancora di averlo pensato. 

<< -Non è un po’ ingiusto? Intendo dire, sono due contro un bambino.- >>
<< -Il bambino però ha la pistola.- >>
<< -Ok, quindi, uh, esiste una specie di aritmetica di guerra? Tipo, bambino più pistola è uguale a quattro persone normali armate di cappello?- >>
<< -Mentre Metallaro più chitarra elettrica è uguale ad un plotone di uomini.- >>

<< -Sarà colpa nostra se gli omicidi perpetrati grazie a riff della morte saranno in aumento, quest’anno.- >>

Corey arretrò di qualche passo, portando la mano al micro-computer che portava al polso: i due non sembravano essersene accorti, troppo occupati a camminare verso di lui e, probabilmente, ad ucciderlo a botte.

“Fermi o…” Corey abbassò lo sguardo al computer, terrorizzato. “Faccio crashare il sistema!” 

I due si fermarono, anche se, molto probabilmente, non per via della minaccia quanto per il fatto che non sapevano cosa volesse dire ‘crashare’.

“Con questo” e dicendo ciò mostrò il simil-bracciale legato al polso, “posso modificare la realtà del videogioco. I muri sono stati una mia idea. E l’avete visto, posso teletrasportarmi, quindi non scherzate.”

I due gemelli si guardarono per qualche secondo, prima di tornare a fissarlo in uno sguardo di puro odio che Corey intese come un ‘sei momentaneamente salvo’.
Se non avesse rischiato la vita avrebbe di sicuro sorriso: non aveva mai creduto di riuscire a bluffare così bene.
Ad ogni modo non aveva tempo da perdere. La sua pistola era a qualche metro di distanza e quei due erano più grandi di lui: senza contare che Corey non voleva morire in quel momento, non senza aver ucciso almeno qualcuno. E no, i due NPG non contavano.
Doveva, quindi, uscirne a parole: spiegare cosa dovesse fare sembrava la soluzione migliore, anche se, minuto dopo minuto, cominciava a chiedersi se fosse effettivamente possibile parlare con quei due come tra normali esseri umani. Senza contare che era anche il quadrante in cui aveva visto quella… cosa, quindi non aveva la minima intenzione di spendere troppo tempo in giro per le strade. Non lì.

“Bene. Ora, parliamo seriamente, vi và?”

<< -Disse un ragazzino di dodici anni a due tizi di sedici mentre sventolava una specie di orologio da polso come fosse un’arma mortale.- >>

Oh, doveva assolutissimamente togliere il volume agli speaker.

“…Dicevo. Abbiamo cominciato con il piede sbagliato, vero? Intendo dire, io con tutta quella storia del tentare di uccidervi e voi con la cosa del non lasciarmi fare.”

Poté vedere una specie di ombra oscurare per pochi istanti i volti dei fratelli, ma nessuno dei due disse niente. Corey sorrise: non gli andava di litigare ogni cinque minuti, grazie tante.

“Tecnicamente parlando, ho avuto una brutta giornata, ma non ho voglia di discuterne. Tutto ciò che conta è che ho notato qualcosa di strano nel sistema. Sono delle interferenze… cose strane."

Sospirò, sperando che tale concetto avesse attecchito nelle menti dei due sedicenni: questi continuavano a fissarlo, senza dimostrare altro che enorme e terrificante insofferenza.
Avrebbero dovuto sopportare, temeva. Il discorso non era finito e Corey era estremamente infuriato.

“Devo risolvere il problema, ok? Capite? Devo risolvere il problema. E devo rimanere in pace, mentre lo faccio. Frignate e rompete le palle quanto vi pare, ma non vi azzardate a disturbarmi. Ho del lavoro da fare.”

Gli speaker ridacchiavano, divertiti da qualcosa- non aveva importanza. I fratellini non davano segno di voler reagire e a Corey bastava quel piccolo vantaggio.

Nessuno dei due agì quando Corey scattò verso destra e riprese la pistola: tutti e due erano rimasti sorpresi, lo si poteva capire dalla loro espressione, ma non sembravano aver mosso un solo muscolo.
Di nuovo, a Corey andava bene così: aveva una pistola, meglio non poteva andare.

“Ora voi starete buoni e in silenzio e mi lascerete trovare l’internet point dove riuscirò ad aggiustare la situazione. Suona bene, no?"

Di nuovo nessuna risposta. Andava bene, o almeno così pensava Corey: l’importante era che avessero capito.
Eppure era semplicemente troppo infuriato, troppo per capire che era tempo di andarsene, o per seguire quella maledetta vocina nella sua testa che continuava a ripetere ‘uccidili, uccidili’.
Puntò l’arma nella loro direzione, il sorriso mutato in una smorfia irata e il volto rosso per la collera, ovvio segno che, a quanto pareva, trattenere la rabbia non faceva bene. 

“Lasciatemi in pace o vi uccido!” Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole poco aveva di umano e, per qualche secondo, Corey sembrò sul punto di cedere e premere quel maledetto grilletto: era la soluzione migliore, era la soluzione più logica, maledizione, perché doveva continuare con quell’assurdo teatrino? Solo perché era infuriato?
Ma si calmò. La fronte si distese, anche se l’espressione non si addolcì, e quando parlò il suo tono era calmo, sebbene ugualmente spaventoso.

“Mi avete capito?”

Quella era la prima volta che Corey sentiva lo scorrere dei secondi come fossero intere ore.
I due gemelli continuavano a fissarlo senza pronunciare una sola parola, quasi stessero studiando una qualsiasi farfalla in vetrina: persino i due speaker, quelli che, grazie ai loro commenti decisamente fuori luogo, erano per la maggior parte responsabili per il modo in cui la sua giornata era diventata, in quel momento stavano zitti, aspettando qualcosa.
Per l’ennesima volta in meno di un’ora Corey si chiese se stesse realmente puntando una pistola a qualcuno: poi, dopo aver brevemente accertato che quella che teneva in mano era, effettivamente, un’arma da fuoco, decise che non poteva più sopportare quel silenzio.

Cosa?!” Sbottò infine il ragazzino, riottenendo parte del suo colorito porpora.

Oliver serrò le labbra in una linea sottile, unica spia di quanto realmente quella domanda lo avesse innervosito: poi si chinò verso di lui, quasi riuscendo a guardarlo negli occhi.

“Mi hai stancato.”

<< -Oddio, me lo vedo già: miglior momento ‘Sta zitto Hannibal!’ nella categoria di videogiochi dell’anno va a… Gemello senza cappello!- >>
<< -…Momento ‘Sta zitto Hannibal’?- >>
<< -Sai, quando il nemico tenta di convincere l’eroe che non sono tanto diversi, o che non dovrebbe parlare, o tenta di convincerlo di passare al male e l’eroe, invece di fare monologhi, gli dice di stare zitto. O… risponde con un “parla al pugno”.- >>

Oliver odiava i discorsi. I discorsi erano, di solito, un modo come un altro per convincere gli altri che avevano torto.
Nicolas continuava a fare discorsi, tentando di fargli credere che sapesse, che fosse più qualificato di lui. Suo padre continuava a fare discorsi, solitamente per tentare di fuggire dal pericolo. E, a volte, anche Oliver faceva dei discorsi, quando tentava di convincere Nicolas che lui era il più qualificato e lui avrebbe dovuto essere il ‘capo’.
Oliver odiava i discorsi e non sopportava che a tentare di prenderlo in giro fosse un moccioso. Poteva andare in giro armato quanto voleva, poteva essere un maledetto genio del computer, sempre moccioso rimaneva e no, non aveva il diritto di fargli dei discorsi.

“…Ho menzionato la parte dell’uccidere, giusto?”

Oliver si mise di nuovo ritto in piedi, fissando quel patetico bambino che lo fissava con stupore.

“Cazzate. Sei spaventato.”

Gli prese il polso con cui teneva la pistola, tirandolo verso di sé: il bambino, troppo occupato a tentare di trovare una risposta decente, non riuscì a frenarsi, rovesciandosi a terra.
Dietro di lui Nicolas rideva, probabilmente divertito da quella patetica scenetta: Oliver non riuscì a non sorridere all’idea che, per una volta, era stato lui il primo ad agire.

“Ooh, dov’è finita tutta la tua boria, adesso? Nicolas, passami la cintura.”

<< -Aww, che piccoli pervertiti.- >>
<< -In questi momenti la sgualdrina mi manca…- >>
<< -Ovunque tu sia, alla tua salute, piccolo involtino ripieno di kebab al succo di zucca.- >>

“Ora,” cominciò Oliver, bloccando la schiena del moccioso con un ginocchio e legandogli le mani con la cintura, “ascoltami tu. Non hai idea da quanto tempo una mia giornata non comincia bene e non ho neanche voglia di dirtelo.” 

Finito di legare le mani prese i piedi, tentando di legarli con l’altro capo della cintura- non troppo facile, contando che il maledetto continuava a dibattersi come un pesce che è stato appena pescato.

“Tuttavia oggi tu hai avuto un ruolo significativo nel rendere la mia mattina piuttosto insopportabile. E non mi piacciono le persone che mi rovinano la giornata.”

Fece una leggera smorfia, finalmente riuscendo a legare anche i piedi e immobilizzandolo quindi del tutto, prima di cominciare a frugare nelle sue tasche: e sì, per quanto gli riguardava poteva lamentarsi quanto voleva, ma doveva solo ringraziare il cielo che non lo uccidesse direttamente.

“Quindi, piccolo, rimarrai qui. Frigna e lamentati quanto ti pare, tanto non puoi liberarti. Ora…”

Oliver si alzò, prendendo la pistola e rivolgendo al bambino uno di quei sorrisi tanto gentili quanto perfidi. Questo suona bene.” 

<< -Ed ecco che, sull’altare di Goth, appare un nuovo dio da osannare.- >>
<< -Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth.- >>
<< -…Eh?- >>
<< -Non v’è dio più malvagio del vuoto cosmico nel tuo cervello.- >>

Corey era ragionevolmente infuriato.
Aveva pensato che, essendo figlio unico, fosse riuscito ad evitare tutti quegli inutili scherzetti tipo, per l’appunto, l’essere legato come una specie d’animale: a quanto pareva, invece, c’era sempre tempo per provare un po’ di tutto e, soprattutto, non aveva la minima idea di come diavolo liberarsi.
Aveva, tuttavia, ancora il computer al polso. Certo, era dietro la schiena, ma con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a immettere un codice utile- anche se dubitava che esistesse un codice per liberarsi da una specie di corda.
L’idea di rimanere da solo in quel quadrante – quello, ovvero, in cui aveva visto quella cosa e l’uomo con la bocca cucita – non lo entusiasmava.
Aveva già cominciato a provare a fare qualcosa con il computer quando qualcuno si fermò di fronte a lui: ebbe, per pochi secondi, il terrore che fosse stato uno dei due gemelli a tornare, ma scoprì ben presto che in realtà era solamente una bambina. Una bambina estremamente inquietante, sì, ma una bambina comunque.
Sorrise, tentando di mostrarsi più gentile di quanto l’umore potesse permettergli di essere.

“Oh, ehi. Ciao. Senti, ti andrebbe di liberarmi, magari?”

Dopo aver passato dieci minuti a parlare con due tizi che non avevano fatto altro che fissarlo in silenzio per poi legarlo, disarmarlo e derubarlo, Corey non reagiva più molto bene alle persone che non rispondevano.
Insomma, cominciò a balbettare, arrossendo e sbiancando ad intervalli regolari.

<< -Ah, il nostro divertimento è finito, temo. I due gemelli sono via e… aspetta un secondo. Goth, cos’è quello?- >>
<< -Quello cos… Uh-oh.- >>
<< -Ma dai, guarda che si rivede!- >>
 

Il momento dopo, Corey stava rotolando verso il centro della strada, senza sapere né come né perché. La bambina lo stava spingendo, dandogli dei piccoli calcetti che, se reali, avrebbero fatto sicuramente molto male, senza però dargli un semplice perché: sembrava, leggendo la sua espressione, che lo stesse facendo rotolare semplicemente per farlo rotolare.
Quando, finalmente, lei smise, Corey si sentì così buono e benevolente che lasciò perdere il fatto che la bambina stesse fuggendo per ringraziare il Cielo di aver fatto smettere quella tortura- ringraziamenti, quelli, un pochettino prematuri.

<< -Oh… Oh! Morte time!- >>
<< -Andiamo, così non vale. Intendo dire, che cosa potrebbe fare? Non è che possa rotolare, no?- >>

Qualcosa gli disse che gli speaker stavano parlando di lui, e ciò non gli piaceva per niente.
Si guardò attorno, tentando di capire che cosa ci fosse che non andava e notando solo in quel momento che c’era qualcosa di strano, in lontananza.
Era qualcosa di curioso: Corey dovette socchiudere gli occhi per mettere a fuoco che cosa fosse. Era un’immagine strana, come di animali, che però sparivano e tornavano come se fosse uno schermo vecchio che non riceve abbastanza: cosa, quella, che gli ricordava la biondina che per poco l’aveva ucciso. In poche parole, un pessimo auspicio.
L’immagine mutò per pochi secondi, divenendo un qualcosa di immateriale, quasi, nero: tornò subito normale, comunque, come se quella piccola trasformazione non fosse mai avvenuta. Non riusciva a capire che cosa avrebbe dovuto essere, ma riusciva a distinguere, oramai, un elefante e altri animali…

<< -Oh, andiaaamo. Questa morte è stata veramente triste.- >>
<< -Però è stato il grande ritorno del branco impazzito. Anche se ad un certo punto sembravano… nah… Bhè, la Morte si è ricordata di noi, finalmente! Che si ricordi di noi anche il cameriere con la mia torta?- >>

Quarta morte: Corey Patterson. Modus Operandi: è stato ucciso da una mandria di animali impazziti
Giocatori rimasti: 7

*-*-*

“Gli animali assassini!”

Ovunque fosse, Corey era ossessionato dalle vocine.

“Celia, sono solo animali. Non è che facciano apposta. Anche se è strano che siano ancora infuriati dopo un giorno.”

Due vocine. Gli speaker erano ovunque, sembrava.

“Io ancora non posso credere che mi abbiano salutato… cioè, aww!”

Tre vocine. A quanto pareva, era persino peggio che nel videogioco.
Corey sospirò, levandosi il casco di dosso: la vita vera, a quanto pareva, era piena di corrente fresche che si infilava nella maglietta sudaticcia e rischiava di farti venire una polmonite.
Si staccò la flebo dal braccio, dannandosi quando, subito dopo, si rese conto che faceva un male del diavolo: ecco un’altra cosa di cui non sentiva la mancanza, nella realtà virtuale.

“Ah, il cuccioletto si è svegliato!”

Il tempo di sentire quella frase e qualcosa lo strinse a sé: se per stritolarlo o per abbracciarlo, quello non era possibile capirlo.

“Aww, ciao piccolino! Siamo bloccati qui dentro, quindi, uh, ehilà, sono Celia!”

Corey agitò la mano destra, ancora chiuso nelle spire di chissà quale terribile mostro, in un gesto che Celia decise di prendere come un gesto di saluto.

“Io invece sono Daniel, mentre quello che ti sta stringendo è-”
“Shadi! Mi chiamo Shadi, tesoruccio!"

Corey si sedette sul letto, finalmente lasciato in pace dal tizio che, chinato di fronte a lui, continuava a sorridergli in quel modo strano.
A dire il vero fu solo dopo qualche secondo che lo riconobbe: nella stanza, in quel momento, era molto più luminoso, lo ricordava con più sangue ed un tizio accanto, ma Shadi- sì, doveva essere il nome della persona che aveva ucciso la sera prima. Ricordava il nome, anche se era apparso pochi attimi prima che anche Corey perdesse conoscenza.
Il ragazzino aggrottò la fronte, fissandolo.

“…Ma io ti ho ucciso, no?”

Shadi sorrise, tirandogli allegramente una guancia. “Sì, ma sai, bah. E poi sei così carino!”
E prima che Corey potesse realmente protestare per via della guancia – stava cominciando a perdere sensibilità – Shadi tornò ad abbracciarlo, quasi mozzandogli il respiro. 







----------------------------------------------------------

Chiedo scusa a tutti per il mio ignobile ritardo, e chiedo scusa per la grandezza dei caratteri... purtroppo, è l'unico modo per farli apparire bene ç_ç
Davvero, grazie a tutti quelli che mi hanno recensito e, perfavore, perdonatemi.

Ci sono un milione di citazioni, in questo capitolo. Ora proverò a riportarle tutte: se qualcuno ne nota altre che mi sono sfuggite, per favore, avvertitemi.

"Chiedi ad Alice, penso che lei sappia" = "Go ask Alice, I think she'll know" è una strofa di White Rabbit, dei Jefferson Airplane.
<< -Calmati, o domani ti sveglierai non con il tuo maritino accanto ma con la testa di un cavallo.- >> = Via, non avete mai sentito parlare del Padrino?
Ah, il sorriso di una bella donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è una buona probabilità che non me la sia inventata adesso. = Sono piuttosto sicuro che se lo sia inventato...
John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe = I primi due sono i più comuni nomi Inglesi, oltre che gli pseudonimi più usati. John e Jane Doe è, invece, come vengono chiamati i cadaveri senza nome.
Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’ = Gioco spagnolo, tradotto significherebbe "Vedo vedo". Si fa di solito in macchina: uno sceglie un oggetto fra quelli che vede attorno a sè e l'altro deve capire qual'è.
Se la violenza fa fluire le onde romperò ogni ossa nel vostro corpo. Se il silenzio fa soffiare il vento ascolterò il suono del tuo cuore gelido = Strofe tradotte della canzone 'Frost Bite', dei Seigmenn. O Seigmen. Il dibattito è ancora aperto, su ciò.
Heee’s the one who likes all our pretty songs, and he likes to sing along, and he likes to shoot his gun... = Una strofa della canzone "Bloom", dei Nirvana. Tradotta sarebbe "Lui è quello a cui piacciono tutte le nostre belle canzoni, e gli piace cantare a ritmo, e gli piace sparare con la sua pistola".
Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra = Citazione da 'Le regole della casa del Sidro".
Fuoco! Fuoco! - Se figo vuoi apparire, un casino devi soffrire.
= Da Beavis e Butt-head.
La torta è una bugia = "The cake is a lie" è una frase piuttosto famosa, nel mondo parlante Inglese. Significa, in pratica, che la ricompensa non esiste.
Ehi, Jerome, ma sei proprio sicuro di non voler visitare le tombe? Sono splendide. = Frase che si riferisce a "Tre uomini in barca". Jerome, il protagonista, stava guardando il panorama, colto da una gioia quasi divina, quando un vecchietto gli si è avvicinato per chiedergli se voleva visitare le tombe.
Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth. = Due 'mostri' di Lovecraft.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=331991