Layer 05: Bug
<< -Buongiorno, miei piccoli
zuccherinosi aiutanti del diabete. Sono sempre io, Goth. Mi duole annunciarvi
che nessuno è morto nel sonno e che quindi il vostro tempo di gioco non si è in
alcun modo accorciato.- >>
Sid aprì gli occhi, svegliato dalla voce dello
(della?) speaker.
Alla fine era riuscito a superare l’attacco di panico, la sera prima. Era
riuscito persino a trovare un posto dove dormire, e ad un ottimo prezzo.
Si alzò puntellandosi sui gomiti, trovandosi a fissare una finestra da cui
filtrava la luce del sole.
“M’illumina sentire la tua voce di prima
mattina, Goth.”
Si stiracchiò, un gesto dettato più
dall’abitudine che da un reale bisogno, quindi si sedette sulla sponda del
letto, cercando con lo sguardo i propri vestiti.
<< -Se il videogioco avrà successo
ti regalerò un auricolare con web-cam, così potrai sentirmi mentre commenterò
la tua vita. Uh, cosa stavo… ah sì, Los sta ancora dormendo, il che vuol dire
che siamo solo io e voi. Non è un problema, vero bambini miei?- >>
Nicolas avrebbe potuto rispondere
qualcosa, se solo non fosse così occupato a stropicciarsi gli occhi senza far
cadere il cappello.
Così a parlare fu Oliver, che se anche era occupato a stropicciarsi gli occhi
come il fratello, per lo meno non doveva stare attento a nessun cappello.
“Hai avuto una promozione a madre,
nell’ultima frase?”
<< -La cosa inquieterebbe me,
psicologi e Dio allo stesso modo, tesorino impanato nel curry alle patate. Ad
ogni modo, muri corrono alti nel cielo, segno della divisione, della dicotomia
tra bene e male, delle barriere fra persone, della linea bianca nel PONG. Urgh,
passo troppo tempo assieme a Los. Proposito per l’anno nuovo: farmi uno
straccio d’amico. Anche se sono così seccanti. Sinceramente, qualcuno potrebbe
spiegarmi perché le relazioni sociali implicano un tale spreco di tempo? Farsi
un amico è come comprarsi un maledettissimo cane.- >>
“Quasi. Quanti amici conosci che ti
sbavino sopra?”
Per qualche secondo Sid, occupato ad
allacciarsi le stringhe degli anfibi, non ragionò completamente sulla frase che
aveva appena detto: poi aggrottò la fronte, facendo una leggera smorfia.
“A meno che non stiamo metaforicamente
parlando ed il tuo amico non sia del sesso opposto o omosessuale.”
Rimase per qualche secondo a fissare la
maglietta buttata la sera prima sul pavimento, come se in quello straccio
sporco di fango ci fosse una qualche risposta che non aveva ben considerato.
“O a meno che non sia ubriaco e si sia
addormentato su di te.”
Arricciò le labbra, scotendo leggermente
la testa nel tentativo di ricacciare un’immagine nella profondità della propria
memoria, quindi si alzò in piedi, scrollando le spalle.
“Sai cosa? Dimentica quello che ho detto.”
<< -Tua madre deve essere felice di
ospitare a casa sua i tuoi amici. Comunque, caramellose entità vanigliate alla
frutta... aspettate, non c’era una bambina con voi due?- >>
Oliver non si guardò nemmeno attorno:
chiuse gli occhi, strinse le labbra in una sottile linea e si maledì
mentalmente, tentando di sopprimere sul nascere qualsiasi reazione nervosa.
Il fratello invece strabuzzò gli occhi, completamente preso alla sprovvista.
Probabilmente, pensò Oliver, doveva aver completamente cancellato dalla mente
il giorno prima.
“La bambina!” gridò Nicolas voltandosi verso il gemello,
“è scomparsa la bambina! Ollie-”
Al solo sentire il proprio nomignolo tutte
le difese di Oliver cedettero, facendolo diventare istantaneamente paonazzo. “Non
ci provare neanche!”
Nicolas lo guardò a bocca aperta, sorpreso
da quello scatto d’ira: per quanto fosse un’abitudine, quella di gridarsi
reciprocamente addosso, c’erano sempre dei giorni in cui rimaneva sorpreso.
Soprattutto quando Oliver esordiva con quella vocina stridula.
“Non mi hai detto di tenere d’occhio la
bambina, non me lo hai mai detto! Capito?! Mai! Tu hai deciso di prenderla, tu
dovevi starle dietro!” Oliver incrociò le braccia sul petto, in un gesto
rabbioso. “Hai mai pensato che forse la bambina non vuole stare con noi? Hai
mai pensato che forse vuole andarsene? Forse non vuole più stare nella tua
ombra! Forse non vuole più dover obbedire ai tuoi stupidi ordini! Forse la
bambina non vuole stare con te!”
Nel breve silenzio che seguì Nicolas non
riuscì a modificare l’espressione incredula sul suo volto, ma sentì le proprie
guance sfumare lentamente dal rosato al rosso vivo. La risata dello speaker in
sottofondo non lo aiutava particolarmente a concentrarsi, ma quell’ultimo
discorso gli faceva venire, per un qualche strano motivo, i brividi.
Ridacchiò nervoso, giocherellando con la manica della giacca, quindi, dopo
essersi schiarito la voce, si decise a tentare di parlare al fratello che
continuava a guardarlo con uno sguardo di puro odio.
“Qui… non stiamo parlando solo della
bambina, giusto?”
Oliver socchiuse gli occhi, inclinando
leggermente la testa verso destra. “Non essere ridicolo, Nico. È ovvio
che stia parlando della bambina.”
Nicolas s’inumidì nervosamente le labbra,
aggiustandosi il cappello sulla testa nel vago tentativo di liberarsi dalla
tensione.
Non che la continua risata di Goth stesse aiutando.
“Sì, ma, ehm. Metti caso tu non stia
parlando della bambina, di cosa staresti parlando?”
La risposta di Oliver fu un suono
strozzato: la prima impressione di Nicolas fu di trovarsi di fronte alla madre.
“Perché devi sempre cercare di cambiare
discorso? Perché! Stiamo parlando della bambina, di cos’altro dovrei parlare?!
Sei un- bambina.”
Anche se ormai erano tre volte in neanche
due giorni che uno dei due ripeteva quel gesto – indicare qualcosa alle spalle
dell’altro e pronunciare un breve quanto criptico ‘bambina’ - , Nicolas ancora
si poneva qualche dubbio sul cosa intendesse dire il fratello in quel modo.
<< -Mi illuminate sempre la
giornata, adorabili cuccioletti della mamma! Comunque, allons-y
mon chers petits. Il
domani è oscuro, il futuro è nero e muri appaiono dal nulla, cosa che riesce
persino ad essere più inquietante delle prime due cose che ho detto. Passiamo
alle minacce: io vi guarderò, ed ogni minuto in cui non farete nulla un neurone
a caso del mio cervello sarà ucciso. Sì, un povero, piccolo, innocente neurone
con moglie e figli.- >>
Gwen sorrise, lo sguardo perso di fronte a
se, trovandosi a fissare il volto ancora addormentato del marito.
La prima cosa che Dodger faceva, appena addormentatosi, era abbracciarla e
stringersi contro di lei. Gwen non riusciva mai ad arrabbiarsi o a rimanere
infastidita per più di cinque secondi: quel semplice movimento riusciva a
risvegliarle qualcosa, all’altezza del petto, che, per un qualche strano
motivo, la faceva sentire bene.
Di solito lei riusciva a sciogliersi dall’abbraccio con relativa facilità,
senza nemmeno svegliarlo: tutte le volte Dodger si rannicchiava su se stesso,
quasi stesse tentando di ripararsi dal freddo, e per qualche secondo si poteva
notare un’ombra scura sul suo volto.
Quella mattina, invece, Gwen ancora non era riuscita a liberarsi. Il marito la
stringeva a se con più forza del solito, tanto che, ne era convinta, se non
fosse stato un videogioco avrebbe rischiato di soffocare.
Sospirò, tentando di tirarsi indietro: la presa non si allentò, anzi, Dodger
l’abbracciava con ancora più forza.
<< -Ehi, petalo di rosa impanato
nello zucchero d’avena, che sta succedendo? Non mi vorrai mica morire per un
gesto d’amore, vero? Sarebbe stucchevole e decisamente fuori luogo. A meno che
nessuno metta in sottofondo una canzone teen-emo-angst-rock-pop, almeno.-
>>
Per una qualche strana
ragione, il solo sentire Goth pronunciare le parole ‘gesto d’amore’ la fece
arrossire violentemente.
“S-silenzio!”
Dodger socchiuse le palpebre, mostrando a
malapena le due iridi verdi: Gwen s’irrigidì di scatto, serrando le labbra e
sgranando gli occhi in un espressione terrorizzata.
“…Dzien…”
Gwen rimase a fissarlo, chiedendosi per
qualche attimo se Dodger avesse cercato di dire qualcosa oppure se quello era
stato solo un verso senza senso: poi, senza una particolare ragione o perché,
lui si avvicinò e le appoggiò l’orecchio destro sul petto, chiudendo gli occhi
e rimanendo in silenzio.
<< -Se mettiamo questa scena nel
trailer la gente ucciderà per interpretare il suo personaggio.- >>
Gwen aprì e richiuse la bocca, arrossendo
ad intermittenza: da una parte voleva strillare qualcosa contro Goth,
dall’altra c’era la parte più insicura della sua mente che si sentiva
semplicemente lusingata.
Così alla fine rimase in silenzio, tentando di capire perché Dodger tendeva a
comportarsi come un bambino di tre anni alla ricerca di affetto ogni volta che
si trovava vicino a lei.
Aprì nuovamente la bocca con l’intenzione di dire qualcosa, ma si ritrovò di
nuovo senza parole.
D’altronde, che cosa diavolo poteva fare con un tizio che aveva deciso di
appoggiare la testa sul suo petto?
Schioccò la lingua, tentando di
risvegliarsi da quello strano stato di ipnosi in cui era caduta. “Sei sempre
così appiccicoso.”
Alzò il busto, puntellandosi con le
braccia prima di appoggiarsi allo schienale del letto, scrollandosi da dosso
Dodger.
Lui reagì a malapena: si coprì gli occhi con un braccio, sospirando
leggermente.
“Non sei per niente romantica.”
Gwen lo fisso per qualche secondo,
tentando di ragionare su ciò che il marito aveva appena detto: poi, resasi
conto che non aveva capito male, emise un verso strozzato.
Dodger fece una breve smorfia: quel… suono gli dava sempre l’impressione
che la moglie avesse ingoiato un rospo.
“Romantica?! Mi hai appena messo
la testa fra le tette!”
<< -E mi sorprende che tu sia
sopravvissuto a ciò!- >>
Gwen alzò la testa verso l’alto, sbattendo
i pugni sul materasso. “Fa silenzio!”
<< -Calmati, o domani ti sveglierai
non con il tuo maritino accanto ma con la testa di un cavallo.- >>
Dodger dovette mordersi le labbra per
riuscire a soffocare le risate che quel breve scambio di battute gli stava
procurando, ma fu comunque abbastanza veloce da riuscire ad assumere
un’espressione esageratamente offesa quando, pochi secondi dopo, la moglie si
voltò verso di lui.
“Mi reputo insultato! L’unica cosa che
volevo fare era sentire il battito del tuo cuore attraverso la tua gabbia
toracica.”
<< -Tenero e al contempo
inquietante. Lo sapevo di aver fatto bene a nominarti mio mito intramontabile.-
>>
Gwen sbuffò, tentando di ignorare il
sorrisetto soddisfatto sul volto del marito e di concentrarsi sull’importante
decisione del cosa mettersi quel giorno.
Agguantò in fretta un corsetto dalla borsa convincendosi che sì, era un
indumento perfettamente normale, pizzo nero su stoffa rossa a prescindere.
<< -Tesorino alla crema di fragola e
ribes, non so cosa ti abbia detto il responsabile delle pubbliche relazioni ma
adesso puoi smetterla con il fanservice. L’abbiamo già catturata ieri sera, con
lo scorcio della tua vestaglia, la popolazione maschile del globo.- >>
Gwen strinse i denti, trattenendosi dal
gridare una terza volta allo speaker, quindi, dopo aver indossato la gonna,
prese le calze e si accinse a infilarsele.
Non un’operazione semplice quando alla sua destra Dodger la fissava imbambolato
con lo sguardo tipico di un fedele di fronte all’apparizione della Madonna.
“Che c’è?!” sbottò infine Gwen, risvegliandolo con un
sussulto.
Dodger fece un leggero sorriso, in un
disperato quanto patetico tentativo di tornare in se. “Perché non ti
esibisci direttamente su un cubo, tesoro?”
La risposta di Gwen sarebbe sicuramente
stata violenta se solo non fosse stata troppo occupata ad arrossire.
<< -Ooook, interrompiamo il
collegamento con i due tesorini amorosi e passiamo a… a… oh, santo Cielo, avete
tutti una vita meno intensa della mia e questo dovrebbe significare qualcosa.
Risvegliatevi un po’! Sono morte tre persone, ci sono muri che dividono la
città e siete in un maledetto videogioco, com’è possibile che continui a non
accadere nulla?! Comincio a rimpiangere i giorni in cui rischiavamo lo stupro!-
>>
Meredith camminava spavalda ma timida,
quasi sfilando di fronte a quella folla che amava ma allo stesso tempo odiava.
La sua bianca pelle color della luna in una notte di primavera con brezza
leggera-leggera rendeva naturalmente più luminosi le due gemme blu incastonate
al posto degli occhi, che brillavano ora di felicità, ora di altera freddezza,
ora di feroce rabbia. I lunghi capelli biondi color del sole del mattino in una
giornata di estate calda ma non troppo, ecco, diciamo abbastanza sui trenta
gradi ricadevano con grazia sulle spalle, coperte da una trasgressiva ma
firmata maglietta aderente, che mostrava la perfezione delle sue curve
granitiche.
“Tutto ciò che faccio è importante ai fini
della storia! La gente mi ama, mi teme, mi ricorda, mi… lovva!”
L’aria attorno alla ragazza sembrava
essersi improvvisamente illuminata, come per mostrare con maggior grazia la
perfezione del suo meraviglioso corpo.
<< -Mia cara, non uso molto spesso
questo termine, anzi, tento di evitarlo sempre e comunque, ma, ecco, in questo
momento io ho lollato. Ho lollato fino a ROTFLare, finendo
dritto ne… nel… nel LMAO. ROKLMFN.- >>
Era a metà strada fra la sua stanza e la
reception quando Sid sentì il commento dello speaker.
Dapprima si fermò, limitandosi ad aggrottare la fronte, confuso. Poi portò le
mani alla fronte, emettendo un gemito di dolore mentre le parole di Goth
riecheggiavano nella sua mente.
“La mia mente. L’hai appena violentata.”
<< -La nostra beneamata lingua madre
è stata violentata, involtino all’eroina e ribes.- >>
Sid sorrise debolmente, tentando di
scacciare quel briciolo di paranoia che continuava a roderlo dentro.
Era ovvio che Goth stesse scherzando. Goth scherzava in quel modo, con quella
voce annoiata ed ironica. Goth non stava, in alcun modo, tentando di fargli
rodere la coscienza o di prenderlo in giro.
Sorrise, soppresse l’ansia e tentò di sostenere la conversazione senza farsi
tremare la voce.
“Non vorrei mai essere invitato a cena da
te.”
<< -Oh, suvvia. Il brivido del
mistero alla vista di un piatto, aromi inimmaginabili, sapori al limite del
lecito… cosa puoi desiderare di più?- >>
Il sorriso nervoso che Sid aveva tentato
di mantenere fino a quel momento si sciolse, formandone uno sicuramente più
sincero.
Cosa poter desiderare di più? Rivedere ‘Dopodomani’ a scuola.
Il professore aveva deciso, un giorno, di portare il film a scuola e di
mostrarlo alla classe. Era sembrata, ai tempi, una cosa ragionevole: molta
gente appena uscita dal cinema aveva detto che era un film straordinario e che
si vedeva che il regista aveva fatto le sue ricerche.
Probabilmente nessuna di quelle persone era un meteorologo. O aveva avuto una
minima infarinatura circa il come funziona la fisica sul pianeta terra.
La pellicola durava due ore, ma riuscirono ad arrivare alla fine solo dopo tre
ore e mezza: non solo il professore continuava a fermare il video per spiegare
come mai ciò che stava avvenendo sullo schermo era una totale idiozia, ma
l’intera classe non riusciva a smettere di ridere.
Poteva accettare che la premessa del film, ovvero un raffreddamento globale
sulla base di quello avvenuto 8000 anni prima, fosse stata esagerata: nessuno
sarebbe andato a vedere un film circa una leggera variazione climatica che
avrebbe portato ad una drastica riduzione della vendita di piscine all’aperto,
ma c’erano degli errori che avevano portato alcuni alunni a rischiare di
soffocare per le risate.
<< -Deve essere stata una battuta fenomenale,
la mia, se è riuscita a toglierti quella tua aria da cane bastonato che tanto
ci ha convinti a sceglierti. Tanto per sapere, il giorno dei provini ti stavano
minacciando con un fucile oppure eri semplicemente contento di vederci?-
>>
Sid aggrottò la fronte, tentando di
ricordare il giorno in cui si era presentato ai provini.
Doveva essere stato un lunedì, ma era abbastanza sicuro non si fosse trattato
di una semplice depressione dovuta all’inizio di una nuova settimana di scuola.
No, se lo ricordava quel provino: era nervoso, abbattuto, scontroso, tanto che
poi, quando era arrivata la notizia che lo avevano preso, aveva dovuto
richiamare due volte per esserne certo.
Socchiuse gli occhi, concentrandosi. Cosa era successo qualche mese prima?
Oh. Oh già.
“Il… fine settimana non era stato
esattamente idilliaco.”
Nominare quel sabato sera riusciva ad
essere traumatizzante anche se non c’era praticamente nulla da ricordare. Il
momento prima, in preda ai sintomi dell’astinenza, si stava iniettando una dose,
il momento dopo si risvegliava strillando, con una siringa piantata nel cuore.
Non era stata una cosa piacevole, ma, nonostante tutto, in poche ore aveva di
nuovo sentito il bisogno di comprare dell’eroina.
La mattina dopo aveva tentato di entrare in casa senza farsi notare da nessuno,
ma sfortunatamente i suoi genitori avevano deciso di aspettarlo perché
preoccupati. Poche cose riuscivano a farti capire che tuo figlio ha
ricominciato a drogarsi come vederlo apparire alla porta di casa alle sei di
mattina con un’aria moribonda e la maglietta intrisa di vomito.
Inutile dirlo, il resto della domenica era stato da incubo.
<< -Nhn. Immagino. Alla tua età ero
praticamente costretto ad andare a delle stupide feste. L’unico modo per
riuscire a sopportare così tante persone in un posto solo era uccidere qualche
neurone bevendo come una spugna. Poi c’era la domenica, in cui la casa si
riempiva di gente e così, olé, altre ventiquattr’ore di bevute continue.
Non era bello, il lunedì, dover vivisezionare una rana quando l’unica cosa che
volevo fare era andare in bagno e vomitare.- >>
“Sono sorpreso il tuo fegato funzioni
ancora.”
Non che avesse esattamente il diritto di
dire qualcosa del genere visto che lo conosceva da circa un giorno e il loro
rapporto era un semplice ‘tu fai qualcosa ed io la commento nel modo più
spietato possibile’, tuttavia era ovvio che lo speaker avesse un qualche
problema con l’alcool… e le persone in generale.
Sid ci pensò un secondo, raggiungendo il bancone della reception: da quanto
aveva potuto carpire da alcuni mezzi commenti dei due speaker, doveva esserci
anche qualcun altro con la stessa dipendenza.
<< -Tutto funziona sempre bene… fino
a che non vai a fare una visita di controllo. Viene da chiedersi se non siano i
dottori ad installare una qualche sorta di virus nel tuo corpo attraverso lo
stetoscopio.- >>
Oliver si fermò, rivolgendo un sorriso
verso l’alto.
“Indaga! Noi due siamo con te.”
Nicolas, al sentire le parole del gemello,
fece del suo meglio per imitare l’espressione di Clint Eastwood, tentando
miseramente di darsi un’aria importante.
<< -See, intanto fate
attenzione alla bambina. Va bene che è piccola, ma non è esattamente un
portachiavi che si può perdere ogni cinque minuti.- >>
Gwen, che in quel momento si stava
aggiustando i capelli di fronte allo specchio dell’ascensore, non poté fare a
meno di sogghignare.
Ah, i suoi bambini. Era difficile capire quando perdevano qualcosa e quando
l’avevano meramente rubata e la stavano tenendo nascosta.
Insomma, non era una novità che ‘perdessero’ qualcosa: ciò che realmente la
sorprendeva era quel continuo nominare una bambina.
“Tesoro, credimi, i tuoi capelli sono
perfetti. Puoi smetterla di… torturarli.”
Alzò gli occhi al cielo, ringhiando
sommessamente. Dodger, appoggiato contro la porta dell’ascensore, non riusciva
a capire che ad una pettinatura come la sua bastava una sola ciocca fuori posto
per ricordare i capelli di una persona che si è rotolata nel sonno senza alcuna
tregua.
D’altronde, comunque, non poteva aspettarsi molta comprensione in quell’ambito
quando parlava con un tizio che usava sempre un cappello.
Gwen aggrottò la fronte, perplessa.
“Dov’è il tuo cappello?” Lo fissò per qualche secondo, tentando di
afferrare cos’altro fosse fuori posto nella figura del marito. “E dov’è il
tuo impermeabile?”
Le porte dell’ascensore si aprirono e
Dodger si rimise in piedi, scotendo la testa con aria cospiratrice.
“Ratti. Mai sottovalutare i ratti.”
E, come se la criptica frase non fosse già
abbastanza, portò le mani, strette in pugnetti, al petto e mostrò gli incisivi,
in una tipica imitazione di un roditore.
Gwen si morse le labbra, tentando disperatamene di non scoppiare a ridere.
<< -Ah, il sorriso di una bella
donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è una buona probabilità che non
me la sia inventata adesso. Comunque, ci sono un sacco di donne che sposano
qualcuno dicendo che le faceva ridere. Bello vedere che per qualcuna è vero e
non solo un altro modo di dire ‘non c’era nient’altro di meglio’.- >>
Gwen non parlò. Il suo improvviso perdere
colore, assieme al sorriso congelato sul suo volto, furono una risposta più che
eloquente.
Si voltò verso Dodger, affettandosi a dire qualcosa- non ci riuscì. Rimase a
fissare il marito con la bocca aperta, senza parole, tentando di convincersi
che non aveva visto quell’espressione triste sul suo volto e che lui non si era
girato solamente per non guardarla negli occhi.
<< -Uh. Programmi per la giornata,
involtini primavera alla rondine fucilata?”
Gwen si rilassò. Una conversazione con lo
speaker era qualcosa che poteva sopportare con facilità. Se toccavano un
argomento che interessava anche Dodger allora lui sarebbe tornato il solito,
stupido se stesso, avrebbe cominciato a scherzare e lei avrebbe potuto
ritornare a respirare senza sentire quel dolore al petto.
“Momentaneamente l’idea è di pagare la
stanza.”
Una risatina la riscosse, facendole venire
un mezzo colpo.
“Diciamo che è più esatto dire che l’idea
è di fare un salto alla hall.”
Non fosse stato che il tono con cui aveva
pronunciato quella frase era così… alla Dodger, Gwen avrebbe aggrottato
la fronte per il fastidio.
Per quanto geniali, non sempre i piani del marito davano gli effetti sperati.
<< -Mhm. Bhè, se può minimamente
aiutarvi, gli NPG sono modellati per agire come persone. Il che significa che
non hanno un database completo circa tutti quelli che sono presenti nel hotel.
Il che significa, in modo spiccio- >>
“Che, ad esempio, non sanno ancora che un
passerottino ha sbattuto contro la finestra della stanza.” Concluse Dodger.
Si portò una mano la dove doveva esserci
il cappello, con l’intenzione di calcarselo sulla testa e di darsi delle arie:
purtroppo, poiché il cappello non c’era, la mano tastò per qualche secondo il
vuoto, il volto congelato in una smorfia.
“Ratti, tesoro.”
Dodger si voltò verso di lei, sorpreso:
poi si sciolse in un sorriso, lasciando cadere il braccio lungo il fianco.
"Mai fidarsi dei ratti.”
<< -Avete un curioso modo di
riferirvi ai dodicenni. Undicenni. Quel che era. Certo, non posso dire che non
sia appropriato.- >>
Gwen aggrottò la fronte. “Dodicenni?"
<< -Sono i ratti della società
moderna. Senza alcun dubbio.- >>
Lei rivolse a Dodger uno sguardo
interrogativo che lui ignorò, limitandosi a scrollare le spalle in quel modo
che sembrava significare ‘sai benissimo di non volerlo sapere’.
Gwen non insistette. Se Dodger implicava che lei non volesse sapere qualcosa,
di solito era così.
“Tesoro, questo è molto, molto, molto,
molto importante. È quello il tizio che ha fatto il check-in, ieri sera?”
Gwen tentò di ignorare il tono serio del
marito – per un qualche strano motivo riusciva sempre a farle saltare i nervi –
e si concentrò sull’uomo seduto dietro il bancone della hall.
Scosse brevemente la testa: quello non era il tizio che l’aveva accolta
all’hotel. A dire il vero aveva l’orrendo presentimento che, vista l’estrema
eleganza e il modo in cui rimaneva impettito ad aspettare i clienti, quello
fosse il direttore dell’hotel.
“Perfetto. Tutto a posto. Sorridi.”
Lei chiuse gli occhi per un secondo,
deglutendo a fatica. Se lo sentiva che se ne sarebbe pentita, lo sentiva che
doveva semplicemente pagare, lo sentiva che era una pessima idea seguire il
piano del marito.
L’uomo li notò subito. Rimaneva serio e
professionale eppure era possibile notare un impercettibile sollevamento del
sopracciglio destro, unica spia della tempesta di pensieri che stava
imperversando nella sua mente: primo fra tutti, probabilmente, dove avessero
trovato i soldi per entrare.
“Buongiorno signori.”
Dodger si guardò attorno con fare furtivo,
poi si appoggiò sul bancone, sporgendosi verso l’uomo.
“Buongiorno. Vorrei, uhm, pagare.”
Gwen aveva sviluppato, dopo tanti anni,
una perfetta faccia da poker. Era essenziale rimanere impassibili mentre tuo
marito tirava avanti una recita di cui non ti aveva spiegato nulla e il
receptionist di un hotel ti squadrava nel tentativo di capire qualcosa.
“Il nome, prego?”
Dodger schioccò la lingua, lanciando una
veloce occhiata alla moglie. “Smith. La… signorina non è segnata, non so se
mi spiego…”
Improvvisamente lei capì cosa stava
facendo il marito e l’unico motivo per cui riuscì a rimanere impassibile fu il
pensiero, rassicurante e piacevole come poche cose al mondo, che dopo l’avrebbe
ucciso con le sue mani.
L’uomo non aggiunse parola e cercò il nome nel registro.
L’espressione sul suo viso quando tornò a
guardare Dodger la fece sentire male.
“Qui la signorina è segnata...”
Lo sguardo sorpreso che Dodger le rivolse
le fece mollare la maschera. D’altronde sembrava così convinto, così sincero
che Gwen pensò davvero che il receptionist li avesse scoperti: così fissava il
marito, terrorizzata, pregandolo di dargli un segnale per fuggire.
“Io… la signorina ha fatto un… errore,
temo. Vede, abbiamo estremo bisogno di privacy e… ecco, se potrebbe… non so se
mi spiego.”
<< -Padroneggi alla perfezione
l’arte del parlare e non dire niente, mio mito inarrivabile.- >>
“I nostri clienti godono della massima
privacy, signore."
Dodger chinò leggermente la testa,
sorridendo. “Sapevo di poter contare su di voi. Posso sapere il conto…?”
Gwen non c’è la faceva più. Quello non era
il suo modo di fare, lei era più per sfilare il portafoglio. O colpire la
vittima e prendere i soldi mentre era svenuta. Non riusciva a sopportare l’idea
di dover passare più del necessario con il tizio da rapinare.
Cominciavano a tremarle le gambe per il nervosismo e non riusciva a
sopportarlo. Voleva solamente correre lontano da lì, maledizione, perché
dovevano discutere?
Anzi, perché non aveva semplicemente pagato la maledettissima camera?
“350 crediti.”
Dodger annuì, allungando qualche credito
in più rispetto al conto. “Per… il servizio.”
Ammiccò al receptionist con fare complice, quindi cominciò a marciare di fretta
verso l’entrata seguito da Gwen che, finalmente, riusciva a riprendere fiato.
“Ti odio. Ti odio,” bisbigliò Gwen con calma, trattenendosi a
stento dal mettersi a correre. “Per una volta che potevamo pagare, perché
devi sempre complicare le cose?”
Dodger schioccò la lingua, guardandosi
attorno con nonchalanche per assicurarsi che nessuno li stesse guardando. “Era
una suite, Gwen. Una suite. Con un enorme finestra sfondata. E molto,
molto, molto alcool sul conto.”
Gwen dovette prendersi un secondo per
calmarsi: quando parlò, lo fece a voce così bassa che ricordava un sibilo. “Una
finestra che tu hai rotto. Alcool che tu hai ordinato.”
Lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Oh,
perché tu hai disprezzato, giusto?”
<< -Ha protestato. I primi cinque
minuti. Parliamo di qualcosa di interessante, invece: la questione Smith.
Immagino tu abbia sparato quel nome perché è molto comune. Ad ogni modo, come
facevi a sapere che non avesse preso una suite?- >>
“Ah, lieto che tu me l’abbia chiesto!”
Dodger, ormai uscito dall’hotel, batté una
mano contro l’altra, allegramente.
“ Vedi, è
stato un semplice calcolo delle probabilità. Smith è usato più spesso degli
altri cognomi come pseudonimo, ed in questi casi è piuttosto ovvio che la loro
camera deve essere piuttosto economica. Se Smith era il cognome originale era
comunque più probabile avesse preso una camera normale piuttosto che una suite-
insomma, era una situazione in cui vincevo comunque!”
<<
-Ora che mi ci fai pensare, ricordo che un posto dove ho vissuto per un po’ di
tempo, una specie di… mi piange il cuore chiamarlo hotel, era abitato
esclusivamente da John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe.- >>
Sid rabbrividì leggermente, tentando però
di mantenere il sorrisetto nervoso che l’aveva contraddistinto negli ultimi
venti minuti.
“Eri per caso uno spacciatore?”
La domanda, fatta con una forzata nota di
allegria, era in realtà un tentativo di distrarsi dalla triste verità, ovvero
che era probabilmente rinchiuso in un angolo di città con poco o niente da
visitare, non sapeva dove andare a mangiare o dove prendere un lavoro per
accumulare qualche credito e, soprattutto, che cominciava ad avvertire una
sorta di fastidio.
<< -Diciamo che per un certo periodo
ho avuto un ruolo attivo nel procurare alle persone cose che non facevano per
niente bene alla salute.- >>
Schioccò la lingua. Goth stava parlando.
Doveva rispondere e ignorare qualsiasi pensiero.
“Devi avere un po’ di gente sulla
coscienza.”
<< -Lo spero. Comunque, raccontatemi
cosa volete fare oggi e facciamo a finta che mi interessi, vi và?- >>
Oliver alzò le spalle, muto segno per dire
che, per quanto lo riguardava, gli andava bene- e lasciando così al gemello
l’onere di spiegare quali fossero i loro piani per la giornata.
All’inizio Nicolas aveva semplicemente deciso di fare una passeggiata,
decidendo che andare in giro per il posto l’avrebbe aiutato a concentrarsi per
ideare un piano per vincere.
La bambina li seguiva. Ancora non aveva detto una parola, ma ormai i due
gemelli cominciavano ad affezionarsi: dopo averle trovato un nome avrebbero
dovuto insegnarle qualche giochetto.
Oliver, ad ogni modo, seguiva il fratello per un motivo più pratico. Sapeva che
Nicolas l’avrebbe spinto a fare qualcosa di molto stupido, tuttavia non poteva
ignorare il fatto che dividersi era, solitamente, la prima regola per morire
nei film horror. Senza contare che, davvero, non poteva andare in giro senza
qualcuno da sacrificare per salvarsi.
Così Nicolas si ritrovava a guidare altre due persone. Era ovvio, quindi, che
sarebbe stato quantomeno scortese alzare le spalle e rivelare che non aveva
nessuna idea circa il come passare la giornata.
“L’idea principale è quella di, hm,
studiare il territorio.”
Nicolas fece un sorriso, sicuro e
affascinante, sfoggiando al massimo la sua espressione da ragazzo sveglio: in
quel preciso istante Oliver comprese che il fratello non aveva la minima idea
di cosa stesse facendo.
Tuttavia non fece nulla. Continuò a camminargli accanto, fingendo di non aver
capito, lasciando Nicolas nell’illusione che sì, Oliver era davvero così idiota
da credergli anche dopo sedici anni di coltellate alle spalle.
Ed insieme afferrarono la bambina, bloccandola prima che potesse allontanarsi
per sparire un’ennesima volta.
Sid non riusciva a smettere di martoriarsi
il braccio. Doveva riuscire a distrarsi.
Avrebbe dovuto aiutare il fatto che nella sua mente, di solito, girassero solo
concetti di fisica assieme a partiture di canzoni, accompagnati da citazioni da
film più disparati. Sarebbe stato normale non concentrarsi su qualcosa più di
un secondo, almeno in teoria, eppure non era così.
Fra quei frammenti di pensieri, di musiche e di suoni che era la sua mente,
delle immagini sembravano riproporsi con più frequenza, brevemente, quasi
fossero solo dei messaggi subliminali con il solo scopo di farlo impazzire.
“Io… non lo so. Cioè, uh,” Sid si morse un labbro, guardandosi
nervosamente attorno, “non so dove sono né se ci sia qualcosa di
interessante qui attorno.”
Meredith si scostò una ciocca di capelli
dagli occhi, con fare sbarazzino, ben sapendo che quel semplice gesto poteva
essere abbastanza per attirare l’attenzione di Goth.
Sorrise, sfavillante come poche cose potevano essere, ancheggiando
elegantemente per le strade della zona in cui si trovava in quel momento.
Si maledì internamente: sorridere? Era un segno di debolezza e si era
ripromessa che mai e poi mai avrebbe lasciato cadere la spessa maschera che la
salvava dalle minacce di quella vita crudele e senza scrupoli.
“I miei capelli sono rovinati.”
<< -Sei spettinata, involtino dorato
al miele di rugiada. Ma, sì, effettivamente spettinarsi indossando una retina…
una retina d’oro, per giunta… sicuramente il segno di un potere
malvagio. Santo cielo, se non c’è qualcuno che vi insegue per uccidervi non
vale la pena fare qualcosa di divertente, uh? Sto cominciando a sperare che il
ragazzino si risvegli. Bonnie e Clyde, le mie speranze sono su di voi.-
>>
“Bonnie e Clyde... ?” biascicò Gwen a bassa voce, tentando di
non farsi notare dall’incauto cliente cui stava, ironia della sorte, infilando
qualcosa in tasca. Chi avrebbe mai detto che un giorno avrebbe fatto qualcosa
del genere?
Si allontanò con calma, facendo un cenno con la mano a Dodger.
<<
-Ooh, nuovi meravigliosi trucchi? Lo sapevo che facevo bene a sperare in voi.
Fra parentesi, temo che la polizia non sarà molto contenta di vedere queste
scene, ma se siamo fortunati saranno troppo occupati sulla parte ‘muoiono delle
persone’. Eh, vedo già soldi che si volatilizzano, cause su cause, avvocati…
fortuna che pagano i genitori di Los.- >>
Dodger aveva sempre pensato di essere un
tipo piuttosto rilassato, sul lavoro. C’era bisogno di prontezza di riflessi e
savoir-fair: aveva bisogno di essere rilassato.
Gli piaceva pure pensare di avere una certa elasticità mentale: a diciotto anni
era riuscito a scherzare con i dipendenti di una banca mentre teneva una bomba
sul petto e cercava, allo stesso tempo, di scassinare la cassaforte, quello
doveva pur dimostrare qualcosa. Oltre che a quei tempi era molto disperato,
ovvio.
Eppure sentire Goth parlargli nell’orecchio gli aveva procurato un brivido
lungo la spina dorsale. Non sapeva bene perché, visto che era così dal giorno
prima, eppure in quel momento sentire la sua voce l’aveva completamente
deconcentrato.
Appoggiò la rivista sul bancone, recuperando il proprio sorriso appena vide che
il giornalaio si era accorto di lui.
“Giornale, grazie.”
<<
-Ooh, qualcuno sta per essere ferito? Fra parentesi, così, pour-parler, ha un
fucile sotto il bancone.- >>
Dodger si sistemò con calma gli occhiali,
stringendo con forza i denti per trattenersi dall’esclamare quanto fosse felice
di avere una vocina nella testa che continuava a renderlo nervoso- qualcosa che
non era semplice, contando che era abbastanza rinomato per avere dei nervi
d’acciaio.
A parte con Gwen. Anche se quello era abbastanza normale. Tornare a casa da una
festa la mattina del giorno dopo con una sbronza terrificante non era
esattamente un bel modo per calmare la moglie. Che diventava così molto
nervosa. Che quindi cominciava a strillargli addosso e, occasionalmente, a
dargli pugni. Molti pugni.
“Cinque crediti.”
Di solito tendeva a distrarsi durante i
colpi, ma quello era ridicolo. Dov’era il tipico flusso di pensieri che lo
intratteneva? Dov’erano finiti Parmenide ed Eraclito, perché non stava pensando
a favolosi mondi pieni di adorabili coniglietti saltellosi e dove diavolo erano
finiti i versi di Goethe che aveva imparato a memoria anni prima? In poche
parole, dov’era finita la sua anarchica sapienza?
“Sì, subito. Eh. Stavo per addormentarmi
sul bancone.”
Sorrise, tentando di ammorbidire il
commesso mentre si tastava i vestiti alla ricerca dei soldi nella speranza di
tirare per le lunghe.
Dovette deviare da tale proposito appena vide lo sguardo che quello gli rivolse
dopo appena dieci secondi di tentennamento- abbastanza per fargli desiderare di
ritirarsi e ignorare il piano solo per fuggire il più lontano possibile.
Non c’è ne fu bisogno: l’allarme all’entrata scattò in quell’istante, lasciando
l’opportunità a Dodger di poter vedere il commesso mentre imbracciava un fucile
a canne mozze e correva verso il povero sfortunato, strillando qualcosa di
indecifrabile. Fu un momento estremamente strano per Dodger, che per pochi
secondi si sentì colto da uno strano dejà-vu: poi si riscosse, probabilmente
grazie alle urla del povero sfortunato che aveva saggiamente deciso di fuggire
a gambe levate, e saltò al di là del bancone, aprendo con un veloce gesto il
registro di cassa.
<< -Non è una cosa che faccio molto
spesso, quella di complimentarmi con qualcuno per più di cinque secondi, ma
devo dirlo… è davvero brillante. Riesce ad essere un piano astuto ed allo
stesso tempo estremamente divertente. Tuttavia vorrei ricordare che se questo
videogioco uscirà nei negozi potrà essere usato contro di voi in tribunale.-
>>
Oliver chiuse gli occhi, portando una mano
alla tempia in un semplice quanto esaustivo gesto di profonda e completa
disperazione- un movimento melodrammatico, certo, ma purtroppo rovinato dal
fatto che il gemello doveva aver ingoiato un rospo, o almeno così sembrava dal
suono che aveva prodotto.
“Avevi intenzione di dircelo oppure
preferivi che lo comprendessimo da soli appena finiti in riformatorio?”
Quegli impulsi erano rari e molto lontani fra loro, nel tempo – l’ultima volta
che era capitato doveva aver avuto circa quattordici anni - , ma in
quell’istante Oliver sentì l’improvviso, inarrestabile stimolo di voltarsi
verso il fratello e complimentarsi.
<< -Non ve l’ho detto perché poi non
avreste commesso nessun reato, tesorini ai confetti e panna con riso. È stato
già abbastanza noioso guardarvi mentre rubavate, immagina se non lo facevate.
Potreste fare qualcosa di interessante e io non dovrei ricorrere a questi
trucchetti, ma voi, noo, preferite trascinarvi come amebe nell’oceano della
noia. Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’. Veo
veo, santo Cielo! Perché volete mandare alla morte i miei neuroni ancora
funzionanti, perché?- >>
Meredith incrociò le braccia al petto: gli
occhi, socchiusi, emettevano lampi di furia e rabbia, eppure erano freddi, come
se appartenessero ad un soldato che combatteva da quando era capace di
camminare e non aveva più alcuna speranza al mondo.
“Tu non capisci. Non sai…”
Mantenne in sospeso l’ultima frase,
pizzicandosi il braccio nel tentativo di farsi venire le lacrime agli occhi
che, ovviamente, avrebbe fatto di tutto per nascondere, in quanto lei era
superiore e non voleva la pietà di nessuno.
<<
-Avere un’età compresa fra i tredici e i diciotto anni deve essere una vera
pena visto che non fate altro che lamentarvi. Piccole patetiche larve. Non
capisco? È la vita, tesoro, e non sarà comportandoti come una prima donna che
riuscirai a sopravvivere.- >>
Meredith era totalmente scandalizzata.
Apriva e chiudeva la bocca, senza sapere come rispondere, presa alla sprovvista
da quel fiume di parole rabbiose. Non era in quel modo che si aspettava
andassero le cose: non sapeva precisamente cosa avrebbe dovuto rispondere Goth,
ma sapeva che, qualsiasi cosa avesse dovuto essere, non era ciò che le aveva
detto in quel momento.
Si gonfiò il petto, dimenticando qualsiasi stupore e ritrovando la parte più
irascibile di se.
“Tu- cosa pensi di sapere? Tu non sai
niente! Niente!”
<< -Io so che voi dovete essere
sempre al centro dell’attenzione! Siete dei mocciosi viziati, dei->>
“Non vorrei lamentarmi,” borbottò Sid con sguardo assente, “ma
l’abuso è compreso o è un regalo per noi primi giocatori?”
L’esperienza avrebbe dovuto insegnargli
che non era mai un bene scherzare sul modo di fare degli altri, soprattutto
quando questi erano infuriati. Soprattutto quando questi erano cinici e sarcastici
e avevano come lavoro quello di tenerlo d’occhio.
<< -Senti… Billy Idol. Non ne posso
più. Siete delle piccole, irritanti sanguisughe che succhiano qualsiasi linfa
vitale si trovino a tiro. Tentare di instillare in voi un po’ di senso è solo
uno spreco. Farei qualsiasi cosa in mio potere, e credimi che non lo dico tanto
per dire, per farvi smettere… o, al limite, farvi soffrire tentando.-
>>
Un leggero sospiro le risuonò nelle
orecchie.
Si fermò, senza più riuscire ad avanzare. La voce aveva sospirato.
Strinse a se l’orsacchiotto in un moto difensivo: non importava quale potesse
essere la minaccia, non sapeva se fosse lei che difendeva il suo orsacchiotto o
l’orsacchiotto che la difendeva.
La voce aveva sospirato e quello era strano. Non aveva mai pensato, fino
a quel momento, che la voce potesse respirare- essere viva.
Ma respirava. E sospirava. Quindi era viva.
Stritolò l’orsacchiotto in un abbraccio ansioso.
La voce era viva. La voce la vedeva, vedeva tutto, sentiva tutto, ed era viva e
lei non poteva vederla.
Strinse i pugni, sentendo la tensione divenire rabbia e la rabbia prendere il
controllo del suo corpo.
“Ehi- Nico! Nico, la bambina! Abbiamo
perso la bambina!”
Era la Regina delle Bambole. Pretendeva
quella voce.
<< -Ironicamente è il fatto che non
vi sopporto che vi salva. Non voglio avervi attorno, quindi non ho la
possibilità di fare ciò che voglio. E mettetele uno stramaledetto campanellino,
Mon Dieu, fosse un bebè ora lo alleverebbero i lupi! Io… ngh. Uff… Se la
violenza fa fluire le onde, allora romperò ogni osso nel vostro corpo.-
>>
“Se il silenzio fa soffiare il
vento, allora ascolterò il suono del tuo cuore gelido?”
Per quanto, era vero, c’erano poche
possibilità che Sid si fosse sbagliato, il diciassettenne non poté fare a meno
di pizzicarsi nervosamente un braccio, tentando di scaricare la tensione. E
se si fosse sbagliato?
Se la frase era solo simile per coincidenza ad una strofa di quella canzone
sarebbe sembrato, come minimo, un idiota. E non poteva sembrare un idiota con
uno il cui lavoro sembrava essere erodere l’anima umana.
Sid fece una leggera smorfia, massaggiandosi e pizzicandosi il braccio.
<< -Pensavo di essere solo io ad
avere un gusto così deprimente in fatto di musica! Los a parte. Forse. A che
posto sono i Nirvana e i The Cure nella classifica della tristezza? Oh, i
Norvegesi riescono a stare in vetta a priori.- >>
<< -Intendi dire che esiste una specie di classifica della tristezza?-
>>
<< -Los! Sono le undici e ti stai movendo… il letto sta andando a fuoco?-
>>
<< -Non cambiare discorso. Cioè, tipo, ci sono queste band che si
sfidano… a colpi di tristezza?- >>
<< -…Sì. Vincono quelli che raccolgono più lacrime di sangue dai fan.-
>>
<< -Uha… siete troppo fuori…- >>
<< -…Los, stai male?- >>
<< -Eh?- >>
<< -Mi sembrava un po’… fiacco, questo commento…- >>
<< -…Eh?!- >>
<< -Ho capito, ho capito… ti sei svegliato troppo presto e ora sei una
specie di morto vivente, vero? Dai, torna a dormire.- >>
<< -Ma non ne ho voglia…- >>
<< -Oh santo Cielo. Los!- >>
<< -Lasciami in pace! Neanche mia madre rompe in questo modo!- >>
<< -Lo credo bene, tua madre non è mai a casa!- >>
“Ehm,” cominciò Dodger, incerto sul come continuare e sul cosa
dire. Fece un attimo di mente locale: era fuggito dalla cartoleria e sua moglie
aveva cominciato a dare di matto, dicendo che voleva fare un qualcosa di più
semplice e che non poteva sempre rischiare la vita e altre cose che,
sinceramente, Dodger non ricordava, troppo occupato ad ignorarla e annuire per
comprendere una sola parola.
Aveva così deciso di fare come voleva lei, con una piccola modifica: Gwen
distraeva la vittima e lui sfilava il portafoglio.
Effettivamente non c’era niente da ricapitolare. Tuttavia aveva sperato che,
nel pensare a come fossero andate le cose, Dodger potesse riprendere la sua
proverbiale concentrazione.
Non fu così.
“Mi dispiace davvero disturbarvi ma,
ecco…” Deglutì a fatica,
abbassando la voce nell’avvicinarsi all’uomo, “avverto del nervosismo.”
<< -Oh. Oh sì.- >>
<< -Che sta facendo?- >>
<< -Rischia la vita.- >>
<< -Solo per noi? Sono commosso.- >>
<< -Egli è stata l’unica fonte di divertimento, fino adesso. L’unico
motivo per cui non ho dato all’alcolismo una nuova, emozionante sfumatura.-
>>
<< -Davvero? Bhè, allora tentiamo di rilassarlo. Cantiamo una canzone.-
>>
<< -Los, ti ho già detto che non canteremo. Mai. E poi non conosco
canzoni rilassanti.- >>
<< -Bhè, io sì. Allooora… Oh! Heee’s the one who likes
all our pretty songs, and he likes to sing along, and he likes to shoot his gun...-
>>
<< -Los, Los, meglio di->>
<< -Oh giusto! Cosa vuol dire che non mi sopporti quando canto?!-
>>
<< -Nngh! Non ti sopporto! Ti odio! Perché nessuno mi ha avvertito? Si
nasce, si vive, si passano le pene dell’inferno, e poi cosa succede? Si diventa
una specie di baby-sitter per un moccioso insopportabile! Dì ai tuoi genitori
che devono almeno cominciare a pagarmi.- >>
<< -Goth, tu vivi a casa mia. Vivi e
mangi a casa mia.- >>
<< -Cosa credi che faccia una baby-sitter di solito? “Cura i bambini”?-
>>
Dodger strinse i denti, lanciando
supplicanti occhiate verso la sua dolce consorte che, in quel momento, stava
cominciando ad innervosirsi- non era mai stato il suo forte, quello di parlare
con la vittima.
Socchiuse gli occhi, emettendo un gemito strozzato. Quelle due vocine lo
stavano mandando nel panico, non riusciva ad avvicinarsi e, oddio, quanto era
grosso il tizio che dovevano rapinare?
Agitò lievemente la mano destra, tentando di attirare l’attenzione dei due
speaker. “Nervosiiismooo…”
<< -Oh sì, giusto. Ti faccio le mie
più profonde scuse, mito inarrivabile. Cambiamo discorso, Los.- >>
<< -Non è ancora morto nessuno.- >>
<< -In qualcosa che non includa morte e distruzione, Los!- >>
<< -Pensi che oggi il servizio di questo posto sia migliorato abbastanza
da avere una torta entro stasera?- >>
<< -Cioè, le tue scelte sono o morte e distruzione o cibo?- >>
<< -Che altro c’è d’importante?- >>
<< -Dipende da come la vedi. Il tramonto, il cosmo, la scintilla di
speranza nello sguardo di un bambino… sono cose molto carine quando sei un
idealista. Nel mio piccolo, penso che tutto sia ugualmente inutile appena è
toccato da mano umana.- >>
<< -Il che si risolve in cosa? In noi che passiamo qualche minuto in
silenzio a guardarci negli occhi nell’attesa che un dio misericordioso
materializzi una pistola dal nulla?- >>
<< -Bhè, c’è un’emozionante buco, nel muro, chiamato “finestra”. Passando
da quella “finestra” ci sono buone possibilità di ottenere lo stesso
risultato della pistola.- >>
<< -Pensavo fosse un ascensore.- >>
<< -Uno molto veloce, anche. Certo, ci sono un po’ di problemi per
salire, ma per scendere non lo batte nessuno.- >>
Non aveva voglia di andare a scuola.
Sentiva i suoi genitori parlare in cucina e sapeva che sua madre sarebbe presto
venuto a svegliarlo, ma, davvero, non aveva voglia di andare a scuola.
Non ricordava una mattina in cui il suo primo pensiero non fosse stato
‘speriamo che si dimentichino di me e mi lascino rimanere a casa’. Il che,
davvero, era piuttosto deprimente.
Aprì gli occhi per guardare la sveglia (sempre, quando si svegliava, leggeva
l’ora per sperare che fosse troppo tardi per andare a scuola) ma, al suo posto,
si ritrovò a fissare una solitaria buccia di banana marcia che lo osservava.
Curioso.
<< -Goth, lo so benissimo che è una
finestra! È solo che, sai… è… strana.- >>
<< -In che senso è strana, è una finestra!- >>
Quelli non erano i suoi genitori.
Corey si mise seduto, guardandosi attorno con aria vagamente interrogativa. Era
in un vicolo. C’era della spazzatura sparsa attorno a lui. Si sentiva il
vociare della folla, qualcosa che normalmente non sarebbe potuto accadere visto
che abitava in un tranquillo paesino perso nella prateria.
Poi, finalmente, Corey collegò il tutto. Era nel videogioco, e le voci erano
quelle dei due speaker, ed era in un vicolo perché aveva inseguito un tizio che
gli era sfuggito.
Tempo di ricominciare la caccia, quindi.
<< -Ma non vedi che- >>
<< -Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra!-
>>
<< -Che?- >>
<< -Il ragazzino si è svegliato.- >>
<< -Uh… ok…- >>
Ma prima avrebbe mangiato qualcosa. E
magari avrebbe cambiato bersaglio. Non che avesse paura, ma, ecco, preferiva
prima riscaldarsi un attimo.
Così era meglio se cambiava settore. Non aveva voglia di essere riconosciuto
dal tizio della sera prima- che aveva lasciato lì il cappello. Corey aggrottò
la fronte, afferrandolo.
C’era ancora il foro del ‘proiettile’. Il ragazzino sbuffò, ragionando che
appena più in basso e avrebbe concluso la serata in bellezza.
<< -Oh, hai trovato il cappello del
mio mito inarrivabile?- >>
E sentendo queste parole Dodger si rizzò
in piedi, portafoglio in mano e occhi sgranati in un’espressione di
sorpresa.
“Chi ha il mio cappello?!"
L’esperienza assunta dopo anni di lavoro
sul campo non bastò a ricordargli che esclamare qualcosa ad alta voce dietro ad
un tizio il cui portafoglio si trova in bella vista fra le tue mani non è una
bella idea.
L’armadio che aveva appena rapinato, infatti, si girò verso di lui, sorpreso da
quelle criptiche quanto fuori luogo parole, e stava in quel momento
ricollegando ciò che Dodger aveva in mano con ciò che mancava nella tasca dei
suoi pantaloni.
Prima ancora che la vittima potesse mettere tutti i pezzi del puzzle al loro
posto – o che Dodger potesse aprire la bocca per esordire con una scusa – ,
però, Gwen gli diede un preciso quanto potente pugno sui reni, facendolo
ululare di dolore.
Il resto, nei ricordi di Dodger, fu solamente uno scatto di adrenalina e degli
edifici, ai lati della strada, che scorrevano in modo troppo veloce per essere
in un qualche modo identificati.
<< -Ouch.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Ti prego, ripetilo.- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -Eh!- >>
<< -…Già.- >>
Corey ignorò quei due esseri inquietanti
che continuavano a parlare, relegandoli in un piccolo angolo della sua mente
che, in un computer, sarebbe stato denominato ‘cestino’, e programmò la nuova
destinazione.
Aveva dodici zone a sua disposizione. Quella in cui era in quel momento era di
‘media’ difficoltà, ovvero aveva due personaggi. C’era poi un’altra zona con
tre personaggi- ma non aveva davvero voglia di sforzarsi troppo di prima
mattina.
Così rimanevano due zone facili, ovvero con un solo Pg. Sì, era un buon piano,
partire dal fondo.
<< -Ora che ci penso… hai presente
quel cartone che guardavi una volta, con dei disegni strani e, sai, con due
tizi che commentavano… qualcosa?- >>
<< -Come no, il cartone con disegni strani e due tizi che commentano
qualcosa, come faccio a non ricordarlo.- >>
<< -Yup. Bhè- >>
<< -Los, re degli imbecilli, non so di che stai parlando!- >>
<< -Neanche io so di cosa sto parlando, se lo sapessi ti avrei detto il
titolo, non credi?- >>
<< -…raggiungiamo picchi di intelligenza che servono solo a rendere i
fossati di idiozia ancora più profondi.- >>
<< -Oh sì, erano due personaggi molto stupidi. Molto. Molto molto.- >>
<< -Wow, continui a… Beavis and Butt-head?- >>
<< -…Cosa?- >>
<< -Il cartone, idiota.- >>
<< -…Uh. Sssì… cioè, immagino che, sì… bhè, comunque. Non ci stiamo
comportando come loro, più o meno?- >>
<< -Stai attento. Stai molto attento. La reazione che avrò sarà
determinata dalla tua risposta a questa semplice domanda: è un complimento?-
>>
<< -Ma non lo sssso, cioè, per adesso so solo che commentiamo le cose
come loro e, insomma, in qualcosa siamo simili, no?- >>
<< -Fuoco! Fuoco!- >>
<< -Che ca- >>
<< -Cioè, vuoi dirmi che non l’hai capita?- >>
<< -Ehm?- >>
<< -Esci da questa stanza. Ora. Subito.- >>
Sid aveva, finalmente, trovato un luogo
che potesse interessargli: il negozio di musica.
Per quanto avesse la vaga impressione che spendere soldi per un CD in un
videogioco fosse estremamente stupido, non poteva comunque nascondere il fatto
che due giorni senza musica lo stavano uccidendo dentro. Non che i due speaker
non sapessero intrattenere, ma cominciava a sentirsi a disagio.
Senza contare che, comunque, la musica lo avrebbe aiutato a distrarsi da quei…
sgradevoli pensieri.
“Se figo vuoi apparire un casino devi
soffrire.”
<< -Eh?- >>
<< -Pretendo una spiegazione circa il come diavolo facevi a saperlo. Lo
pretendo! Hai colto una citazione di Lovecraft e va bene, potrebbe piacerti il
macabro. Poi cogli una citazione dei Seigmenn, gruppo norvegese praticamente
sconosciuto alla massa ma, ehi, va bene, d’altronde avevamo già capito che
ciò poteva rientrare nei tuoi gusti. Ma Beavis and
Butt-head? Cosa
c'entra questo con tutto il resto?!- >>
Sid non sapeva realmente come rispondere,
ed il principale motivo per quella mancanza di parole era da cercarsi sul fatto
che stava guardando con sguardo insistente un basso, forse nella vana speranza
che un passante si intenerisse e glielo comprasse.
Quel trucco non aveva mai funzionato quando era un adorabile bambino di dieci
anni, figuriamoci a diciassette.
La triste verità era che Sid preferiva sempre passare le proprie giornate a
casa, facendosi una spaventosa cultura su qualsiasi cosa esistesse di inutile
in quel mondo. Era forse l’unica persona che potesse parlare di Haydn e poi
citare Road House. Il che era, secondo il suo stesso parere, piuttosto triste.
Scrollò le spalle, ricordandosi forse in quel momento che i due speaker gli
avevano parlato, e si affrettò a rispondere.
“Chiedi ad Alice. Penso che lei sappia.”
<< -Alice? Ehi, gente, chi di voi è
Alice?- >>
<< -When logic and proportion have fallen sloppy dead! And the White
Knight is talking backwards, and the Red Queen’s ‘off with her head’!- >>
<< -…White rabbit?- >>
<< -Ooh, hai riconosciuto una canzone della tua giovinezza?- >>
<< -Ciò che mi disturba è che tu l’abbia riconosciuta prima di me. Questo
è un vero e proprio segno dell’Apocalisse.- >>
<< -O, semplicemente, un segno che la tua reattività si è inaridita col
tempo.- >>
<< -Ogni tua parola mi dà l’impressione di un pugno allo stomaco. Sul
serio. È proprio… hai presente, un concentrato di odio puro. E tu continui a
parlare e l’odio dentro di me cresce, cresce, cresce, fino a che, un bel
giorno, il mio stomaco non si squarcerà e un portale collegherà questo mondo al
paese del Terrore. Da lì, mille angeli della morte inonderanno il pianeta con
lacrime di sangue che inaridiranno il terreno, e poveri bambini innocenti
moriranno di fame nel dolore più assoluto. Quando tutti i primogeniti saranno
eliminati, i demoni e gli angeli si riuniranno in un'unica fila e cominceranno
a cantare la canzone che porta la Fine del Mondo.- >>
<< -Perché tu puoi fare tutto sto casino e io non posso nemmeno finire di
esporre la mia idea sulle persone che si scarnificano l’un l’altro usando solo
le proprie nude mani, scavando poi nel teschio utilizzando una costola-
>>
<< -Perché io detengo il portale del Terrore.- >>
<< -E io ho la Villa della Felicità Giocosa. Come la mettiamo?- >>
<< -Un giorno, tutti saranno annichiliti dal piano del Terrore.- >>
<< -Fino a quel giorno, tu continui ad abitare nella Villa della Felicità
Giocosa.- >>
Forse, sembrava ragionare Sid, forse
avrebbe potuto comprare il basso. Non doveva essere un’idea troppo idiota,
d’altronde non aveva molto altro da fare. E poi avrebbe potuto guadagnare un
po’ di soldi suonando per strada, il che era pur sempre una soluzione.
Sid schioccò la lingua, battendo la punta dello stivale contro la strada,
tentando di decidersi. Quel basso era favoloso, ma era in una realtà virtuale e
per quanto ne sapeva stava per morire. Non sarebbe stato quantomeno stupido
fare una simile compera?
Sbuffò, lasciando cadere la propria testa sul petto, quasi pensare richiedesse
troppa energia per potersi tenere dritto.
“Ehi? Ehi?”
Per pochi, irrazionali secondi, una vocina
dentro Sid esplose in un grido di gioia. Poteva sentirla strillare ‘sì, sì,
qualcuno si è fermato! Comprami un basso, misterioso benefattore!’- il che
era abbastanza patetico, visto che la sua parte più razionale della sua mente
sembrava non avere dubbi circa il fatto che nessuno si sarebbe mai fermato a
fargli un regalo.
“Perfetto. Vorrei farle sapere
che sto per pwnarla. Ka-ching!”
Pwnarla. La sua mente era stata nuovamente violentata.
<< -Oddio, sta succedendo qualcosa?
Sarebbe una novità.- >>
<< -Ooh. Potrebbe formarsi un portale spazio-temporale formato da pura
sorpresa.- >>
<< -Dove porterebbe un portale spazio temporale in un videogioco?-
>>
<< -In un antivirus.- >>
<< -…Prego?- >>
<< -Antivirus. La meta ultima dei cybernauti.- >>
<< -Un giorno il buco nero che è nella tua testa ci distruggerà tutti.-
>>
Il ragazzo che stava per eliminare aveva
fatto un movimento strano, come fosse scosso da un brivido. Qualcosa, dentro
Corey, sembrò illuminarsi: adorava instillare paura nei piccoli n00b che si
trovava a tiro.
Il tizio gli stava ancora dando le spalle- un grave errore, davvero. Corey non
era il tipo di aspettare di trovarsi a faccia a faccia con il nemico. A dire il
vero, tutto il discorso che aveva fatto all’inizio era estremamente fuori
carattere, per lui. Prima spara, poi parla- o, al massimo, spara mentre
parli.
Tuttavia quella era una situazione straordinaria e Corey si sentiva di
buon’umore, quindi avrebbe atteso una risposta dal tizio con i capelli tinti di
biondo e con quei vestiti che sicuramente avevano visto dei momenti migliori.
Curiosamente, ciò gli era familiare.
“Che
fantastico modo di morire. Ucciso da un baby-killer del linguaggio nella più
noiosa delle vie di un videogioco.”
Il ragazzo, che era riuscito a mantenere
un tono freddo fino alla fine della frase, si lascio sfuggire una risatina
nervosa.
“La la la la la, lie lie lie…”
Curiosamente, quell’incredibilmente
disturbante strofa gli era familiare.
<< -Non sta veramente bene con la testa, comunque.- >>
<< -Non vedo come tu possa dire una cosa del genere, visto che
probabilmente sai anche cosa sta cantando.- >>
<< -…Devo ammettere che mi dispiacerà non poter più fare citazioni ignote
con qualcuno che finalmente le capisce.- >>
<< -Potremmo farci una maglietta.- >>
<< -Inserisci citazione ignota qui?- >>
<< -Non c’è citazione più ignota di questa citazione?- >>
<< -Lo sai qual è la differenza fra me e te? Io, con questa citazione,
sono uno schianto.- >>
<< -Stai citando una citazione usando una citazione? Ehi, neanche questa
sarebbe male, come maglietta.- >>
<< -Tornando a noi, non che tifi per l’uno o per l’altro, ma avresti
potuto sparargli cinquanta volte, bimbo.- >>
<< -Forse sta avendo un flashback.- >>
<< -Ciò che mi spaventa è che potrebbe anche essere vero.- >>
Sid si rese conto che, effettivamente, non
era ancora morto. Non si faceva molte illusioni, fra un po’ sarebbe morto, ma
c’era comunque da dire che quell’indecisione – se di ciò si trattava – era
comunque insolita.
Si voltò, lentamente, temendo che fissare negli occhi il tizio potesse dargli
la decisione che aveva bisogno per sparare: fortunatamente, così non fu.
All’inizio Sid si limitò a prendere atto che c’era un bambino, di fronte a lui.
C’era di buono, se così si poteva dire, che prima aveva indovinato- era
un ragazzino. C’era poco da festeggiare, comunque, contando che il suddetto
bambino gli stava puntando addosso una pistola piuttosto strana.
Poi si trovò a guardarlo negli occhi,
sbarrati per la sorpresa, e un’ombra di riconoscimento cominciò a farsi avanti
nella sua mente. Lo conosceva, anzi, era sicuro di aver visto quel bambino, ma
dove…?
Strabuzzò gli occhi, incredulo. “Corey?
Che ci fai qui?!”
<< -Non mi piace questa cosa del
sapere i nomi delle persone. Sapere il nome è il primo passo verso
l’affezionarsi.- >>
<< -Ah sì? Quindi saresti affezionato a me?- >>
<< -…Goth è il tuo vero nome?- >>
<< -…Mi piace sempre pensare che tu abbia una profondità di fondo. A
volte ho questa idea che tu stia realmente pensandoci, che sia una sorta
di filosofia… poi la realtà subentra e di nuovo mi ritrovo a strisciare nel
letame.- >>
<< -Qualcuno è di buon’umore, oggi.- >>
Corey arretrò. Un gesto più che altro
istintivo, in quanto il ragazzino era fermamente convinto di non avere paura di
Sid. Insomma, come avrebbe potuto aver paura di Sid, era solamente il suo
baby-sitter.
Quindi no, non era spaventato. Ovvio che non lo fosse. Perché mai avrebbe
dovuto? Avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento, solo che… non ne aveva
voglia. Ecco tutto.
“Ah, uh, ehi. Sid. No. Cioè,” Corey scosse la testa, tentando di
riportare un ordine logico ai propri pensieri, “non mi hai visto.”
<< -All together now: non hai visto
niente! Rosabella era la sua slitta! La torta è una bugia!- >>
<< -Oh, sì, certo. Non sia mai che Sua Idiozia possa mantenere una
parvenza di senso per più di cinque secondi.- >>
C’era di buono che gli speaker lo stavano
commentando, quindi non era tutto un frutto della sua immaginazione.
Il che, davvero, non aiutava particolarmente Sid. In quel momento poteva
solamente guardare Corey giocherellare frettolosamente con una specie di
orologio - quel che era – e chiedersi come fosse possibile che i
genitori del ragazzino, particolarmente tirannici per quanto riguardava i
computer, gli avessero dato il permesso di saltare giorni di scuola per
partecipare a quel videogioco.
“Cos…” Sid si bloccò, rendendosi conto di avere troppi pensieri
per la testa per poterne esprimere soltanto uno- non stava aiutando poi la
pistola che, per quanto prometteva di non dover essere utilizzata, il ragazzino
continuava a tenere in mano. “Uh, aspetta, Corey, cosa ci fai…”
E Corey scomparve.
<< -Puff!- >>
<< -Ti ho già detto che non faremo i rumori di sottofondo!- >>
<< -…Te-te-teeen.- >>
Ci mise alcuni secondi per convincersi che
sì, Corey era davvero scomparso di fronte ai suoi occhi. Una realtà piuttosto
agghiacciante da considerare quando sapeva di non aver preso l’ultima pillola.
O forse l’aveva presa? No che non l’aveva presa. O forse sì?
Sid ficcò in fretta la mano destra nella tasca dei pantaloni, cercando
disperatamente la pillola.
<< -Ad ogni modo, fantastico. La
nostra unica fonte di divertimento è di nuovo scomparsa. Era un po’ troppo, in
effetti, richiedere un po’ d’intrattenimento che durasse più di cinque
secondi.- >>
<< -Goth, non posso fare a meno di sentire una distorsione della Forza,
quando parli…- >>
<< -Di che stai parlando?- >>
<< -Uh… mettiamola così. Se tu l’avessi chiesto con lo stesso tono ad un
camionista, il camionista si sarebbe rannicchiato in un angolo a piangere.-
>>
Dodger, sdraiato su una panchina con gli
occhi chiusi, fece un breve cenno con la testa.
“Vero. Stai inondando l’aria di nervosiiismo.”
E Dodger, che era da poco riuscito a
tranquillizzarsi, non aveva bisogno di nervosismo. L’unica cosa di cui aveva
bisogno era il suo cappello, così almeno poteva coprirsi il volto e
addormentarsi in pace, ma purtroppo non si era ancora trovato.
Tamburellò con le dita sull’addome, chiedendosi, per qualche istante, se ci
fosse ancora, il suo cappello. Il bambino poteva averlo bruciato.
Piccolo moccioso infame, fu l’istantaneo pensiero di Dodger.
<< -Fra un po’ inonderai l’aria di sangue.- >>
Dodger aggrottò la fronte, perplesso. “Ehi,
da quando minacciate i-”
Prima di poter terminare la frase scattò
seduto. Era stata una reazione completamente involontaria, apparentemente
causata da nessuna ragione.
Per qualche istante, Dodger si limitò a pensare che fosse solamente colpa di un
qualche strano bug del sistema e che non vi fosse nulla di cui preoccuparsi:
poi un pugno gli volò contro e il pover’uomo fece appena in tempo a coprirsi la
testa con le braccia.
“Razza! Di! Idiota!”
Il fatto che la voce e i pugni
appartenessero alla moglie non tranquillizzavano per nulla Dodger, che, anzi,
si rannicchiò su se stesso, terrorizzato.
Che cosa aveva fatto? Non ne aveva idea. Aveva cominciato a correre, prima, e,
certo, doveva averla persa di vista, ma non poteva essere quello il motivo per
cui…
Oddio. Era quello il motivo per cui.
<< -E questo manda al diavolo tutti
i miei pensieri su quanto carini fossero.- >>
<< -Bhè, lei è carina. Lui… forse non lo sarà più tanto.- >>
<< -Fra parentesi, appena questo videogioco tocca il mercato, noi siamo
molto arrestati.- >>
<< -Guardando il lato positivo, un sacco di femministe verranno a
supportarci.- >>
Meredith scostò una ciocca di capelli
color del sole del mattino in una giornata di primavera dagli occhi blu mare
profondo sotto il cielo di San Lorenzo in Russia. In quel momento si sentiva
positivamente splendida, con le sue curve al posto giusto sottolineate dai
comodi quanto trasgressivi abiti firmati.
Era, insomma, in pace con il mondo. Sentiva di poter perdonare quei due
speaker, anche se erano incredibilmente rudi e molto maschilisti, come poteva
perdonare tutta la gente che non le prestava sguardo e come voleva perdonare
quella donna che aveva incontrato il giorno prima, la donna quasi
avvenente come lei, per averla abbandonata. Non era colpa loro, e solo in quel
momento, con quella borsa di Armani sotto gli occhi, al di là della vetrina,
Meredith riusciva a rendersene conto.
<< -Goth, gioisci! Abbiamo ritrovato
il bambino!- >>
<< -Voi due, in compenso, avete perso la bambina.- >>
<< -Spero non abbiano mai un figlio. Sapere dov’è il pargolo è una di
quelle cose che le donne, curiosamente, guardano, quando devono decidere se
chiedere il divorzio o no. Comunque, eccolo là!- >>
Corey era infuriato. Era cominciata la
giornata e l’unica persona che avrebbe potuto uccidere era stata Sid, ovvero
qualcuno che poteva riferire ai suoi genitori che non era a casa di
amici, ma stava bensì provando un videogioco.
Quindi se Sid usciva dal gioco sarebbe, probabilmente, andato a riferire ai
suoi genitori che cosa il figlio aveva fatto per quei due giorni. Ed, oltre a
quello, non aveva ucciso nessuno.
Corey era ragionevolmente infuriato. E quando vide, di fronte a sé, una
biondina che guardava con sguardo assente e sorriso incomprensibile una
vetrina, decise che si sarebbe sfogato su quell’inutile ragazza.
<< - Morte time!- >>
<< -Come sei sopravvissuto fino ad adesso senza nessuno che morisse per
il tuo solo divertimento?- >>
<< -Bhè, qualche volta avevo questo assurdo desiderio di scrivere storie
su gente che moriva per motivi assurdi…- >>
<< -Uno dei primi segni degli psicopatici.- >>
<< -Assieme all’uccidere scoiattoli.- >>
Se c’era una cosa che Corey doveva ricordarsi,
quella era di trovare un codice per diminuire il volume. Poche cose come due
speaker riuscivano a rovinare un attacco a sorpresa.
La ragazza si voltò verso di lui, quasi sentendo che qualcosa non andava, e lo
vide mentre le puntava contro una pistola.
Una situazione invero imbarazzante.
“Sparisci,
infimo moccioso.”
Il sopracciglio sinistro di Corey si alzò
di ben un centimetro a tale frase.
Abbassò lo sguardo verso la propria pistola, tanto per essere sicuro che, sì,
era una pistola e sì, era puntata contro la ragazza. Quindi, se l’arma esisteva
ed era puntata contro la ragazza non rimaneva altra possibile scelta se non
l’aver sentito male.
“Sparisci. Voglio rimanere qui ed essere
in pace con il mondo.”
<< -Ehi, Jerome, ma sei proprio
sicuro di non voler visitare le tombe? Sono splendide.- >>
<< -…Scommetto che il drogatello sa di cosa stai parlando.- >>
Sid schioccò la lingua, scrollando
leggermente le spalle.
“Preferirei,
amici miei, dimenticare tale losca avventura: i compagni di viaggio tendevano
dimenticare le più basilari regole di convivenza, e, per favore, tacciamo del
cane.”
<< -Aah, non ci posso credere!-
>>
<< -Mai come questo momento mi sono sentito così investito da energie Nerdiche.-
>>
La ragazza era strana e probabilmente
nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Non c’erano motivi per cui Corey non
potesse spararle subito.
Eppure c’era qualcosa che lo bloccava, qualcosa che non riusciva ad afferrare.
Gli sembrava – ma forse era solo una sua impressione – che la zona si fosse in
un qualche modo incupita, come se qualcosa avesse coperto il sole. Il che era
ridicolo, perché fino a cinque minuti prima non c’era una nuvola, in cielo.
“Sei così
morto. Davvero. Punta la pistola su di me per altri cinque secondi e tu sei
morto.”
Non era solo una sua impressione.
Tutto era divenuto più scuro e gli NPG erano strani. Sembravano
scomparire e ricomparire, come fossero immagini di un film rovinato, e
continuavano a cambiare. Erano piccoli dettagli, ma Corey non poteva fare a
meno di notarli. Gli occhi degli NPG cambiavano colore, passando per tutte le
gradazioni possibili; alcune piccole imperfezioni – tipo un neo sulla guancia –
scomparivano; le ragazze sembravano diventare più avvenenti con il passare dei
secondi. Senza contare che - Corey socchiuse gli occhi, tentando di capire se
fosse vero oppure stesse solo immaginandoselo - gli NPG indossavano tutti vestiti
di marca.
<< -I cinque secondi sono passati e
la maledizione secolare è ora su di te. Se guardi alla tua destra puoi vedere
la Morte: alla tua sinistra, invece, puoi vedere il ristorante cinese ‘mangia o
muori’. Volevano scrivere ‘mangia o togliti dalla vetrina’, ma mancavano i
soldi. Trovo che la scelta sia, ora, molto più semplice.- >>
<< -Vorrei dare una risposta pungente, ma per adesso preferisco
prendere atto del fatto che Los ha fatto un discorso con più di cinque parole
senza che gli esplodesse la testa.- >>
<< -Hai un’opinione ingiustificatamente bassa di me.- >>
<< -Sì sì, ora vai a mangiare la vernice.- >>
Corey emise un leggero ringhio, colto
impreparato da quella valanga di idiozie che gli speaker, secondo lui,
continuavano a spargere- senza rendersi conto, così, che la ragazza stava per
saltargli addosso.
<< -Bella forza, anche io sono
capace di predire che qualcuno morirà e poi ucciderlo.- >>
<< -No, tu non lo sei. Schioccheresti le dita e due camerieri di cui tu,
ovviamente, non conosci il nome, procederebbero a ucciderlo.- >>
<< -Non è la mano che commette il gesto che devi guardare, quanto quella
che le da lo stipendio a fine mese.- >>
<< -Los, ho una notizia speciale per te: quei soldi non sono tuoi. Sono
di tuo padre. Un padre estremamente magnanimo, in quanto io ti avrei
sacrificato alla prima partita di Dungeon’s and Dragons.- >>
Se Corey non fosse stato troppo occupato a
lottare per la sua vita avrebbe sicuramente strillato di gioia nel sentir
nominare il suo gioco preferito: purtroppo era occupato a lottare per la
sua vita, quindi relegò nuovamente le parole degli speaker in un posto non
troppo privilegiato della sua mente, tentando disperatamente di immettere il
codice adatto per fuggire. Non facile, contando che la ragazza stava
probabilmente tentando di strappargli gli occhi con le unghie- non si capiva
perfettamente, sapeva solo che stava mirando il volto.
<< -Hm-hm, la cosa mi ferisce
profondamente. Comunque, a quanto pare il nostro bassista aveva ragione: queste
risse sono interessanti solo se fra donne.- >>
<< -Il tuo bassista non era quel tizio che è stato arrestato per
molestie?- >>
<< -…Mi chiedevo che fine avesse fatto.- >>
Meredith non capiva cosa fosse successo,
sapeva solo di aver rovinato le proprie unghie, quelle unghie appena smaltate,
nel tentativo di uccidere il ragazzino e il ragazzino era scomparso.
E quello la rendeva molto, molto, molto nervosa.
E l’unico modo per far passare quel nervoso era lo shopping. Tipo, quella
splendida borsa di Armani…
<< -Ti rendi conto che io so dov’è
finito un tuo compagno di band mentre tu non ne hai idea? Non ti dà un
qualche dubbio?- >>
<< -Sì, uno… dove sono finiti i sei bassisti che sono venuti prima?-
>>
<< -…Erano cinque, Los. Il terzo aveva solo cambiato pettinatura.-
>>
<< -Oh. Bhè, dove sono finiti?- >>
La prima cosa che Corey decise, appena
materializzato in uno spazio relativamente pacifico e senza una ragazza fuori
di testa che voleva scarnificargli il volto, fu di creare un altare celebrativo
per quel piccolo computerino che aveva costruito e che gli aveva salvato la
vita.
La seconda cosa fu di prendere una pistola e sparare all’indirizzo dei tre
ignari Personaggi Giocanti, preso da furia omicida e carico di stress che,
semplicemente, doveva sfogare in un qualche modo.
<<
-Uno se n’è andato perché diceva che eravate degli incompetenti da paura. Non
ho mai provato una reale pena per te, ma ho davvero odiato quel tizio: era la
prova vivente che al di sotto di una certa età gli esseri umani andrebbero
costretti ad avere una zip alla bocca. Il secondo era un tizio eccessivamente
rilassato, doveva essere sotto costante marijuana. Credo che ad un certo punto
si sia solo scordato di venire. Il terzo aveva manie da rockettaro e si
divertiva a distruggere cose, il che lo ha portato ad un richiamo della
polizia. La quarta ti ha mollato.- >>
Non fosse stato per il grido inumano che
il ragazzino aveva emesso prima di sparare come un pazzo, Nicolas sarebbe stato
sicuramente morto. E probabilmente anche suo fratello. Ma quello era un altro
conto.
Il ragazzino aveva sparato, mirando contro di loro: Nicolas era abbastanza
sicuro di non essere nella traiettoria, ma abbastanza era una di quelle
parole che raramente portavano alla sopravvivenza.
Così era scattato verso la destra, dimenticando la bambina. E sì, anche Oliver,
ma soprattutto la bambina- gli sarebbe davvero dispiaciuto, se questa fosse
morta per colpa sua.
Fortunatamente il fratello aveva avuto il tempo di prendere la bambina e
trascinarsela dietro nella sua folle corsa verso la salvezza- salvezza che
credeva a sinistra, ovvero da tutt’altra parte rispetto a quella di Nicolas. Il
che dava, secondo i calcoli di quest’ultimo, un cinquanta per cento di
possibilità che il ragazzino lo seguisse- cosa incredibilmente seccante.
<< -Uh… mentre stavamo parlando
della storia della mia emozionante band ci siamo persi un po’ di azione. In cui
nessuno è ancora morto. Questo è veramente deludente.- >>
<< -Ad un certo punto cominci ad abituarti alla delusione e questa,
semplicemente, non ti tocca più.- >>
<< -Senti, posso immaginare che tu sia stato amico intimo di Nietzsche,
ma potresti per favore smetterla di tentare di portarci tutti al suicidio?-
>>
<< -…Tu sai come si pronuncia Nietzsche? Tu sai chi è?!- >>
Sentiva di voler mitragliare i loro miseri
corpi fino a quando non fosse rimasto altro che una poltiglia informe di carne
ed ossa. Quella era una sensazione che provava solamente quando il suo computer
si bloccava nel bel mezzo di una quest vitale in Impending Doom II ed era
evidente che doveva riavviare, cosa che avrebbe portato a perdere cinque
preziosissime ore di gioco.
Una rabbia devastante, insomma, che solo sua madre riusciva in un qualche modo
a contenere.
Tuttavia la genitrice non sapeva neanche che lui fosse là, quindi Corey, ben
lungi dal calmarsi, si limitò a sparare ripetutamente in direzione di quello,
fra i tre, che indossava un cappello- cappello, fra l’altro, che gli scatenava
altri assolutamente ingrati ricordi che nulla facevano per sedare la sua
rabbia.
Così l’adolescente sarebbe sicuramente morto, se solo non fosse stato così
maledettamente… sgusciante. Procedeva in modo imprevedibile,
abbassandosi e poi saltando a destra, ondeggiando a sinistra, facendo di tutto
per non prendere un solo proiettile.
Oh, quello era veramente seccante. Avrebbe dovuto creare proiettili che si
dividevano in tanti frammenti, così da poter dominare un raggio più ampio. Non
doveva essere tanto difficile.
Corey ringhiò quando l’ennesimo proiettile mancò il bersaglio, e stava per
sparare un’altra volta quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Fu questione di un attimo, a dire il vero. Un’immagine che come era comparsa se
n’era andata. Tuttavia era così orribile, così incredibilmente perversa
che quel semplice attimo bastò a farla imprimere a fuoco nella sua mente- e,
Cielo, lo sapeva che quella cosa l’avrebbe inseguito nei suoi incubi.
Puntò la pistola verso l’alto, piegando la
testa d’un lato nel vago tentativo di razionalizzare. Quella… cosa orribile
non poteva essere stata solo un parto della sua mente. Miseria, non poteva
essere così perverso. Ma se non era solo sua immaginazione, allora che era
stato?
Si guardò attorno, socchiudendo gli occhi. Gli NPG apparivano normali- non
troppo perfetti, non sembrava che i seni stessero per scoppiare, e i loro
vestiti non erano firmati Gucci. Erano piuttosto anonimi.
Forse un po’ troppo anonimi.
In quel momento un qualcosa che no, non era assolutamente panico, lo
assalì: avrebbe sudato freddo, se fosse stato possibile farlo in quel momento.
Era solo che aveva la strana impressione che fossero tutti strani, quegli NPG.
Ostili, poteva essere, ma soprattutto inquietanti. Ciò che lo preoccupava era
che non c’era una reale ragione per cui potessero esserlo: da quanto vedeva
erano tutti normali. Tutti, in un qualche spaventoso modo che Corey non
riusciva ad afferrare, uguali- anche se, fisicamente, non lo erano.
Non erano tutti uguali, tentò di ricordarsi. Lì guardò, uno a uno.
C’era chi era nero, chi aveva i capelli biondi, chi aveva le lentiggini, chi
aveva la bocca-
Corey trasalì, arretrando di qualche passo, inorridito. L’NPG stava
scomparendo, stava per entrare in un pub ma ne era sicuro, l’aveva visto-
Aveva la bocca cucita.
<< -Nietzsche, sì. So come si legge.
Come si scrive è tutt’altro conto…- >>
<< -Che tu sappia scrivere è un miracolo di per sé.- >>
<< -Goth, sei così… stancante.- >>
In un altro quadrante, pochi attimi dopo.
Da quanto diceva il computer, quel quadrante era deserto: se c’era qualcosa che
non andava, allora lì l’avrebbe sicuramente visto.
Corey si guardò attorno, tentando di registrare quante più informazioni
possibili e notando, con suo grande sollievo, che nessuno aveva la bocca
cucita. Era un grande passo in avanti: se non nel capire cosa stesse
succedendo, di sicuro per la sua sanità mentale.
<<
-Bambino, hai intenzione di smetterla di saltare di qua e di là oppure dobbiamo
cominciare a scommettere sul dove comparirai la prossima volta?- >>
<< Senza contare che, davvero, non puoi costringerci a cercarti in ogni
quadrante.- >>
<< -Giusto, lo sai che cosa è successo l’ultima volta che Los ha usato il
cervello? Vuoi veramente distruggere il mondo?- >>
Ed ecco che “togliere il volume agli speaker”
scivolava velocemente al primo posto della sua lista di cose da fare.
Corey ringhiò qualcosa a quell’NPG che stava ridendogli in faccia prima di
tornare a guardarsi attorno, cercando qualcosa che fosse strano.
Una ricerca vana, a dire il vero: tutto sembrava abbastanza normale, anche se
qualcosa, in sottofondo, continuava a limare con costante pazienza i suoi
nervi.
Non riusciva perfettamente a capire cosa- era un rumore che non riusciva ad
attribuire a qualcosa. Il che era strano, perché era piuttosto sicuro di averlo
già sentito.
Chiuse gli occhi, riuscendo a malapena ad ignorare quella risatina che, ne era
sicuro, era rivolta a lui, e tentò di concentrarsi su quell’odioso,
fastidiosissimo rumore di sottofondo.
<< -Secondo te perché chiude gli
occhi?- >>
<< -Forse deve azionare la Forza?- >>
<< -Ti immagini se gli viene un attacco d’asma?- >>
<< -Noi siamo qui a sognare Darth Vader mentre la triste verità è che…
che…- >>
<< -Se vuoi piangere avvertimi, ho sinceramente paura delle tue lacrime.-
>>
Una fotocopiatrice. Era il suono di
una maledettissima fotocopiatrice. Che diavolo ci faceva quell’aggeggio
malefico lì? E da quando era così irritante?
Corey scrollò le spalle, aprendo gli occhi e tornando a digitare qualcosa nel
computer al suo polso: non era al livello di ‘gente con la bocca cucita’,
ma era comunque qualcosa di strano.
Avrebbe dovuto andare in un altro quadrante e vedere com’era la situazione –
quello era il suo piano, in effetti - , ma una risatina lo riscosse, ridestando
parte di quella furia che si era svegliata, pochi minuti prima, al cospetto dei
tre tizi.
Era nervoso, non aveva ancora ucciso nessuno e non aveva intenzione di sentire
pure un NPG ridergli addosso.
Quindi si voltò, pronto a sparare- senza però trovarsi di fronte nessuno.
<< -Hhhm? Che stai facendo, si può
sapere?- >>
Corey aggrottò la fronte, perplesso. Per
quanto fosse evidente che non c’era nessuno, non poteva comunque credere di
essersi immaginato quella risatina: era stata, semplicemente, così reale che
aveva sentito l’impulso di voltarsi e crivellare di colpi chiunque avesse avuto
la triste idea di prenderlo in giro.
Aveva cominciato, poco a poco, a
convincersi che forse – forse – la risatina era stata solo un frutto
della sua immaginazione quando questa si fece sentire, di nuovo, alle sue
spalle.
Si voltò, più sorpreso che realmente infuriato – anche se prometteva di
ristabilire l’equilibrio appena scoperto chi lo stava prendendo in giro
– solo per rischiare un infarto quando si rese conto che non era solo una
persona a ridere, ma un intero gruppo di NPG.
<< -…Goth, c’è qualcosa di buffo nel
ragazzino?- >>
<< -A parte il fatto che ha una specie di pistola giocattolo
lanciamissili?- >>
<< -Bhè, no. Intendo dire, qualcosa per cui lo guarderesti e scoppieresti
a ridere.- >>
<< -Trovo esilarante l’idea che stia per friggersi il cervello grazie
alla pubertà.- >>
<< -Io pensavo più all’altezza. È piccolino. È Piccolino mcPicciol. E
bassissimo. Ehi, sei proprio tu Puffo Inventore?- >>
La risata degli speaker non lo
stava aiutando.
Corey non riusciva ad immaginare cosa ci fosse di così divertente, in lui: e
anche se a monte di quelle risa una ragione c’era, bhè, non lo sopportava
comunque. Avrebbe potuto cancellarli tutti immettendo un semplice codice, non
avevano il diritto di prenderlo in giro.
Alzò la pistola, puntandola contro la folla – non valeva la pena sceglierne uno
specifico, l’importante era che capissero la lezione e stessero zitti - :
nessuno sembrò notarlo.
Di nuovo, la sgradevole sensazione che, forse, non stava realmente puntando
un’arma si impossessò di lui.
<< -Mi chiedo perché non stia
sparando. Intendo dire, cosa sta aspettando, il permesso dei genitori?-
>>
<< -Questa è la tua risposta a tutto, vero? Solo… “spara al problema”.-
>>
<< -Uuuh… ssì… Senti, sai dirmi l’esatto momento in cui questo videogioco
si è trasformato in una seduta per coppie in crisi?- >>
<< -…hhhnf…- >>
<< -No, la so, la so… ‘se mi ascoltassi, qualche volta, lo sapresti!
Invece con te è sempre e solo lavoro, lavoro, lavoro!’- >>
Sparò due colpi, che, ne era certo,
portarono alla morte di un uguale numero di NPG. Il loro sangue aveva persino
macchiato qualcuna delle altre persone attorno a loro, miseria, era sicuro
che fossero morti.
Eppure nessuno sembrò farci caso. Corey sgranò gli occhi, spostando lo sguardo
dai due cadaveri al gruppo che continuava a guardarlo e ridere, e per qualche
secondo pensò che fosse solo un sogno. Un incubo, forse. Un incubo
esageratamente surreale ed incredibilmente inquietante.
“…Oh, al diavolo.”
<< -Di fronte alle difficoltà della
vita, sparisci. Sparisci. E ti ritorna il sorriso.- >>
<< -Oh, siamo educativi, oggi.- >>
Nicolas non riusciva mai a capire per
quale motivo Oliver fosse sempre così imbronciato. Tornava indietro dalla sua
piccola fuga e lui era sempre lì, pronto a ringhiargli contro e a lanciargli
occhiate di puro odio senza che avesse mai fatto qualcosa per meritarsele.
Tuttavia a Nicolas non importava molto. Una delle poche cose su cui poteva
sempre contare, nella sua incerta vita fatta di figuri malfidati, era che suo
fratello sarebbe sempre stato abbastanza idiota da rimanergli accanto: fosse
imbronciato o allegro, bhè, non faceva alcuna differenza.
La bambina godeva di ottime condizioni, o almeno così sembrava ad uno sguardo
superficiale. Era probabile, a dire il vero, che fosse in un qualche modo
strana, ma a dirla tutta Nicolas aveva più paura dell’orsetto che questa
stringeva al petto.
“Odioso
bastardo. Continua a scappare, continua. Verrà il bel giorno che inciamperai.
Vediamo se un branco di cani feroci non banchetterà con i tuoi resti.”
Nicolas si corresse: Oliver era un
pochettino più spaventoso.
Non riusciva realmente a capire se quelle parole, mormorate a bassa voce,
fossero un semplice mantra, se lo stesse minacciando oppure se il gemello
stesse pensando ed, effettivamente, non sapesse che stava parlando.
Tutte ipotesi egualmente agghiaccianti.
<< -Uff… Ok, ricognizione generale.-
>>
<< -I due sposini sono… hm… sono… occupati…- >>
<< -Ancora? Involtino al mandolino di crema e cedro, ma fai così anche
nella vita reale? Qualcuno chiami la polizia!- >>
<< -Non credo sarebbe una buona idea, intendo dire, probabilmente
metterebbero dentro anche lui e sai se li mettono in cella assieme?- >>
<< -Oooh, il dolore.- >>
<< -…Ghgh!- >>
Così qualcosa di sbagliato c’era,
evidentemente. Qualcosa che avrebbe potuto anche essere colpa sua- anche se ne
dubitava fortemente.
Tuttavia era evidente che per aggiustare l’anomalia doveva collegarsi al
videogioco. Per farlo doveva usare un internet point che era, ovviamente, nel
quadrante con tre persone- proprio quelle tre persone che aveva attaccato e che
probabilmente non si erano dimenticate di lui, già.
Il piano A di Corey era comparire e correre via prima che uno dei tre lo
riconoscesse, così da non dover perdere tempo con inutili ‘sentite, c’è solo
questo piccolo problema quindi se poteste lasciar perdere il fatto che vi ho
ucciso fino a che non l’ho risolto ve ne sarei molto grato’. Il piano B era di
sparare ai tre maledetti rompiscatole in caso avessero fatto resistenza.
Purtroppo, quando si materializzò nel quadrante non ebbe il tempo né per il
piano A né per il piano B: i tre, infatti, erano di fronte a lui, stavano
camminando verso di lui e sembravano discretamente inferociti.
“Oh, credimi. Ti squarterò e con la tua
pelle farò- aspetta un secondo.”
Uno dei due gemelli – quello senza
cappello – lo vide per primo e lo sguardo che gli rivolse avrebbe potuto
uccidere un povero innocente.
<<
-Poi ci sono i due gemellini… Oh. Ehi, bambino.- >>
<< -Ma tu guarda questi bambini, li ritrovi sempre nell’ultimo posto dove
vorresti guardare.- >>
Corey aveva già alzato la pistola e
l’aveva puntata verso i due gemelli, giusto per precauzione. Non aveva
realmente voglia di sparargli, voleva solo tenerli lontani da lui.
Piegò la testa d’un lato, notando, in quel momento, che a dire il vero poteva
semplicemente prendere un sacco di tempo e farli fuori tutti e tre: questi,
infatti, anche se continuavano a guardarsi attorno alla ricerca di una via di
fuga non sembravano essere riusciti a trovarne una ed erano immobili di fronte
a lui.
Sarebbe stata un’idea geniale, se solo non gli fosse venuta così in ritardo.
Nicolas portò una mano al cappello, osservando con estrema attenzione il modo
in cui l’espressione del bambino mutava: dapprima completamente terrorizzata,
sembrava rilassarsi sempre di più, fino a quando non fece un piccolo ed
inquietante ghigno.
Che cosa la perfida mente del moccioso stesse architettando, Nicolas poteva
solo immaginarlo: sapeva solo di non essere armato e di essere, quindi,
probabilmente alla fine della sua avventura.
Le sue dita affondarono nella stoffa della fedora, stringendola.
C’erano poche cose che Nicolas amava: una
di quelle era il suo cappello.
Tuttavia il sedicenne era arrivato ad uno stato di saggezza, principalmente
ladresca, che bisognava essere capaci di sacrificare tutto, anche ciò che più
si amava, per quel grande obiettivo che era il continuare a vivere. E
non c’erano rimorsi di coscienza che valessero quando, cinque minuti dopo aver
fatto il suo sacrificio, si ritrovava vivo, vegeto e fuori dalla prigione: una
tripletta, quella, che poteva tirarlo su di morale in qualsiasi situazione.
Così, quando capì che il moccioso infame stava per sparargli contro, Nicolas
non ebbe alcun dubbio su cosa fare.
Lanciò il cappello verso il bambino:
questo, fedele alla sua parvenza di grande cacciatore, sparò alla fedora un
paio di volte, convinto, come solo il panico riusciva, che quel povero straccio
potesse in un qualche modo ucciderlo.
Oliver non aveva mai bisogno di farsi
spiegare il piano. Lo capiva, era semplicemente ovvio.
Nicolas aveva distratto il bambino, ma quella era solo la prima azione, lo
sapeva. Il fratello creava piani così semplici, così elementari: Oliver avrebbe
sicuramente saputo fare di meglio, se solo l’altro non avesse continuato a
batterlo sul tempo.
Il bambino era distratto, ma sarebbe durato poco: probabilmente, avendoci preso
gusto, sarebbe passato direttamente a sparare contro di loro. Anche quello era
ovvio.
Ciò che doveva fare, quindi, risultava istintivo: doveva solo gettarsi su di
lui e colpirgli la mano che teneva la pistola, così da disarmarlo.
Era così semplice che riuscì a farlo prima ancora di averlo
pensato.
<<
-Non è un po’ ingiusto? Intendo dire, sono due contro un bambino.- >>
<< -Il bambino però ha la pistola.- >>
<< -Ok, quindi, uh, esiste una specie di aritmetica di guerra? Tipo,
bambino più pistola è uguale a quattro persone normali armate di cappello?-
>>
<< -Mentre Metallaro più chitarra elettrica è uguale ad un plotone di
uomini.- >>
<< -Sarà colpa nostra se gli omicidi perpetrati grazie a riff della
morte saranno in aumento, quest’anno.- >>
Corey arretrò di qualche passo, portando
la mano al micro-computer che portava al polso: i due non sembravano essersene
accorti, troppo occupati a camminare verso di lui e, probabilmente, ad
ucciderlo a botte.
“Fermi o…” Corey abbassò lo sguardo al computer,
terrorizzato. “Faccio crashare il sistema!”
I due si fermarono, anche se, molto
probabilmente, non per via della minaccia quanto per il fatto che non sapevano
cosa volesse dire ‘crashare’.
“Con questo” e dicendo ciò mostrò il simil-bracciale
legato al polso, “posso modificare la realtà del videogioco. I muri sono
stati una mia idea. E l’avete visto, posso teletrasportarmi, quindi non
scherzate.”
I due gemelli si guardarono per qualche
secondo, prima di tornare a fissarlo in uno sguardo di puro odio che Corey
intese come un ‘sei momentaneamente salvo’.
Se non avesse rischiato la vita avrebbe di sicuro sorriso: non aveva mai
creduto di riuscire a bluffare così bene.
Ad ogni modo non aveva tempo da perdere. La sua pistola era a qualche metro di
distanza e quei due erano più grandi di lui: senza contare che Corey non voleva
morire in quel momento, non senza aver ucciso almeno qualcuno. E no, i due NPG
non contavano.
Doveva, quindi, uscirne a parole: spiegare cosa dovesse fare sembrava la
soluzione migliore, anche se, minuto dopo minuto, cominciava a chiedersi se
fosse effettivamente possibile parlare con quei due come tra normali esseri
umani. Senza contare che era anche il quadrante in cui aveva visto quella… cosa,
quindi non aveva la minima intenzione di spendere troppo tempo in giro per le
strade. Non lì.
“Bene. Ora, parliamo seriamente, vi và?”
<< -Disse un ragazzino di dodici
anni a due tizi di sedici mentre sventolava una specie di orologio da polso
come fosse un’arma mortale.- >>
Oh, doveva assolutissimamente togliere il
volume agli speaker.
“…Dicevo.
Abbiamo cominciato con il piede sbagliato, vero? Intendo dire, io con tutta
quella storia del tentare di uccidervi e voi con la cosa del non lasciarmi
fare.”
Poté vedere una specie di ombra oscurare
per pochi istanti i volti dei fratelli, ma nessuno dei due disse niente. Corey
sorrise: non gli andava di litigare ogni cinque minuti, grazie tante.
“Tecnicamente parlando, ho avuto una
brutta giornata, ma non ho voglia di discuterne. Tutto ciò che conta è che ho
notato qualcosa di strano nel sistema. Sono delle interferenze… cose strane."
Sospirò, sperando che tale concetto avesse
attecchito nelle menti dei due sedicenni: questi continuavano a fissarlo, senza
dimostrare altro che enorme e terrificante insofferenza.
Avrebbero dovuto sopportare, temeva. Il discorso non era finito e Corey era
estremamente infuriato.
“Devo risolvere il problema, ok? Capite?
Devo risolvere il problema. E devo rimanere in pace, mentre lo faccio. Frignate
e rompete le palle quanto vi pare, ma non vi azzardate a disturbarmi. Ho del
lavoro da fare.”
Gli speaker ridacchiavano, divertiti da
qualcosa- non aveva importanza. I fratellini non davano segno di voler reagire
e a Corey bastava quel piccolo vantaggio.
Nessuno dei due agì quando Corey scattò
verso destra e riprese la pistola: tutti e due erano rimasti sorpresi, lo si
poteva capire dalla loro espressione, ma non sembravano aver mosso un solo
muscolo.
Di nuovo, a Corey andava bene così: aveva una pistola, meglio non poteva
andare.
“Ora voi
starete buoni e in silenzio e mi lascerete trovare l’internet point dove
riuscirò ad aggiustare la situazione. Suona bene, no?"
Di nuovo nessuna risposta. Andava bene, o
almeno così pensava Corey: l’importante era che avessero capito.
Eppure era semplicemente troppo infuriato, troppo per capire che era
tempo di andarsene, o per seguire quella maledetta vocina nella sua testa che
continuava a ripetere ‘uccidili, uccidili’.
Puntò l’arma nella loro direzione, il sorriso mutato in una smorfia irata e il
volto rosso per la collera, ovvio segno che, a quanto pareva, trattenere la
rabbia non faceva bene.
“Lasciatemi in pace o vi uccido!” Il tono con cui aveva pronunciato quelle
parole poco aveva di umano e, per qualche secondo, Corey sembrò sul punto di
cedere e premere quel maledetto grilletto: era la soluzione migliore, era la
soluzione più logica, maledizione, perché doveva continuare con quell’assurdo
teatrino? Solo perché era infuriato?
Ma si calmò. La fronte si distese, anche se l’espressione non si addolcì, e
quando parlò il suo tono era calmo, sebbene ugualmente spaventoso.
“Mi avete capito?”
Quella era la prima volta che Corey
sentiva lo scorrere dei secondi come fossero intere ore.
I due gemelli continuavano a fissarlo senza pronunciare una sola parola,
quasi stessero studiando una qualsiasi farfalla in vetrina: persino i due
speaker, quelli che, grazie ai loro commenti decisamente fuori luogo, erano per
la maggior parte responsabili per il modo in cui la sua giornata era diventata,
in quel momento stavano zitti, aspettando qualcosa.
Per l’ennesima volta in meno di un’ora Corey si chiese se stesse realmente
puntando una pistola a qualcuno: poi, dopo aver brevemente accertato che quella
che teneva in mano era, effettivamente, un’arma da fuoco, decise che non poteva
più sopportare quel silenzio.
“Cosa?!” Sbottò infine il ragazzino, riottenendo
parte del suo colorito porpora.
Oliver serrò le labbra in una linea
sottile, unica spia di quanto realmente quella domanda lo avesse innervosito:
poi si chinò verso di lui, quasi riuscendo a guardarlo negli occhi.
“Mi hai stancato.”
<< -Oddio, me lo vedo già: miglior
momento ‘Sta zitto Hannibal!’ nella categoria di videogiochi dell’anno va a…
Gemello senza cappello!- >>
<< -…Momento ‘Sta zitto Hannibal’?- >>
<< -Sai, quando il nemico tenta di convincere l’eroe che non sono tanto
diversi, o che non dovrebbe parlare, o tenta di convincerlo di passare al male
e l’eroe, invece di fare monologhi, gli dice di stare zitto. O… risponde con un
“parla al pugno”.- >>
Oliver odiava i discorsi. I discorsi
erano, di solito, un modo come un altro per convincere gli altri che avevano
torto.
Nicolas continuava a fare discorsi, tentando di fargli credere che sapesse, che
fosse più qualificato di lui. Suo padre continuava a fare discorsi, solitamente
per tentare di fuggire dal pericolo. E, a volte, anche Oliver faceva dei
discorsi, quando tentava di convincere Nicolas che lui era il più
qualificato e lui avrebbe dovuto essere il ‘capo’.
Oliver odiava i discorsi e non sopportava che a tentare di prenderlo in giro
fosse un moccioso. Poteva andare in giro armato quanto voleva, poteva essere un
maledetto genio del computer, sempre moccioso rimaneva e no, non aveva il
diritto di fargli dei discorsi.
“…Ho
menzionato la parte dell’uccidere, giusto?”
Oliver si mise di nuovo ritto in piedi,
fissando quel patetico bambino che lo fissava con stupore.
“Cazzate.
Sei spaventato.”
Gli prese il polso con cui teneva la
pistola, tirandolo verso di sé: il bambino, troppo occupato a tentare di
trovare una risposta decente, non riuscì a frenarsi, rovesciandosi a terra.
Dietro di lui Nicolas rideva, probabilmente divertito da quella patetica
scenetta: Oliver non riuscì a non sorridere all’idea che, per una volta, era
stato lui il primo ad agire.
“Ooh, dov’è finita tutta la tua boria,
adesso? Nicolas, passami la cintura.”
<< -Aww, che piccoli pervertiti.-
>>
<< -In questi momenti la sgualdrina mi manca…- >>
<< -Ovunque tu sia, alla tua salute, piccolo involtino ripieno di kebab
al succo di zucca.- >>
“Ora,” cominciò Oliver, bloccando la schiena del moccioso con un
ginocchio e legandogli le mani con la cintura, “ascoltami tu. Non hai idea
da quanto tempo una mia giornata non comincia bene e non ho neanche voglia di
dirtelo.”
Finito di legare le mani prese i piedi,
tentando di legarli con l’altro capo della cintura- non troppo facile, contando
che il maledetto continuava a dibattersi come un pesce che è stato appena
pescato.
“Tuttavia
oggi tu hai avuto un ruolo significativo nel rendere la mia mattina piuttosto
insopportabile. E non mi piacciono le persone che mi rovinano la giornata.”
Fece una leggera smorfia, finalmente
riuscendo a legare anche i piedi e immobilizzandolo quindi del tutto, prima di
cominciare a frugare nelle sue tasche: e sì, per quanto gli riguardava poteva
lamentarsi quanto voleva, ma doveva solo ringraziare il cielo che non lo
uccidesse direttamente.
“Quindi,
piccolo, rimarrai qui. Frigna e lamentati quanto ti pare, tanto non puoi
liberarti. Ora…”
Oliver si alzò, prendendo la pistola e
rivolgendo al bambino uno di quei sorrisi tanto gentili quanto perfidi. “Questo
suona bene.”
<< -Ed ecco che, sull’altare di
Goth, appare un nuovo dio da osannare.- >>
<< -Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth.- >>
<< -…Eh?- >>
<< -Non v’è dio più malvagio del vuoto cosmico nel tuo cervello.-
>>
Corey era ragionevolmente infuriato.
Aveva pensato che, essendo figlio unico, fosse riuscito ad evitare tutti quegli
inutili scherzetti tipo, per l’appunto, l’essere legato come una specie d’animale:
a quanto pareva, invece, c’era sempre tempo per provare un po’ di tutto e,
soprattutto, non aveva la minima idea di come diavolo liberarsi.
Aveva, tuttavia, ancora il computer al polso. Certo, era dietro la schiena,
ma con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a immettere un codice utile- anche se
dubitava che esistesse un codice per liberarsi da una specie di corda.
L’idea di rimanere da solo in quel quadrante – quello, ovvero, in cui aveva
visto quella cosa e l’uomo con la bocca cucita – non lo entusiasmava.
Aveva già cominciato a provare a fare qualcosa con il computer quando qualcuno
si fermò di fronte a lui: ebbe, per pochi secondi, il terrore che fosse stato
uno dei due gemelli a tornare, ma scoprì ben presto che in realtà era solamente
una bambina. Una bambina estremamente inquietante, sì, ma una bambina comunque.
Sorrise, tentando di mostrarsi più gentile di quanto l’umore potesse
permettergli di essere.
“Oh, ehi. Ciao. Senti, ti
andrebbe di liberarmi, magari?”
Dopo aver passato dieci minuti a parlare
con due tizi che non avevano fatto altro che fissarlo in silenzio per poi
legarlo, disarmarlo e derubarlo, Corey non reagiva più molto bene alle persone
che non rispondevano.
Insomma, cominciò a balbettare, arrossendo e sbiancando ad intervalli regolari.
<< -Ah, il nostro divertimento è
finito, temo. I due gemelli sono via e… aspetta un secondo. Goth, cos’è
quello?- >>
<< -Quello cos… Uh-oh.- >>
<< -Ma dai, guarda che si rivede!- >>
Il momento dopo, Corey stava rotolando
verso il centro della strada, senza sapere né come né perché. La bambina lo
stava spingendo, dandogli dei piccoli calcetti che, se reali, avrebbero fatto
sicuramente molto male, senza però dargli un semplice perché: sembrava,
leggendo la sua espressione, che lo stesse facendo rotolare semplicemente per farlo
rotolare.
Quando, finalmente, lei smise, Corey si sentì così buono e benevolente che
lasciò perdere il fatto che la bambina stesse fuggendo per ringraziare il Cielo
di aver fatto smettere quella tortura- ringraziamenti, quelli, un pochettino
prematuri.
<<
-Oh… Oh! Morte time!- >>
<< -Andiamo, così non vale. Intendo dire, che cosa potrebbe fare? Non è
che possa rotolare, no?- >>
Qualcosa gli disse che gli speaker stavano
parlando di lui, e ciò non gli piaceva per niente.
Si guardò attorno, tentando di capire che cosa ci fosse che non andava e
notando solo in quel momento che c’era qualcosa di strano, in lontananza.
Era qualcosa di curioso: Corey dovette socchiudere gli occhi per mettere a
fuoco che cosa fosse. Era un’immagine strana, come di animali, che però
sparivano e tornavano come se fosse uno schermo vecchio che non riceve
abbastanza: cosa, quella, che gli ricordava la biondina che per poco l’aveva
ucciso. In poche parole, un pessimo auspicio.
L’immagine mutò per pochi secondi, divenendo un qualcosa di immateriale, quasi,
nero: tornò subito normale, comunque, come se quella piccola trasformazione non
fosse mai avvenuta. Non riusciva a capire che cosa avrebbe dovuto essere, ma
riusciva a distinguere, oramai, un elefante e altri animali…
<<
-Oh, andiaaamo. Questa morte è stata veramente triste.- >>
<< -Però è stato il grande ritorno del branco impazzito. Anche se ad un
certo punto sembravano… nah… Bhè, la Morte si è ricordata di noi, finalmente!
Che si ricordi di noi anche il cameriere con la mia torta?- >>
Quarta
morte: Corey Patterson. Modus Operandi: è stato ucciso da una mandria di
animali impazziti
Giocatori rimasti: 7
*-*-*
“Gli animali assassini!”
Ovunque fosse, Corey era ossessionato
dalle vocine.
“Celia, sono
solo animali. Non è che facciano apposta. Anche se è strano che siano ancora
infuriati dopo un giorno.”
Due vocine. Gli speaker erano ovunque,
sembrava.
“Io ancora non posso credere che
mi abbiano salutato… cioè, aww!”
Tre vocine. A quanto pareva, era persino
peggio che nel videogioco.
Corey sospirò, levandosi il casco di dosso: la vita vera, a quanto pareva, era
piena di corrente fresche che si infilava nella maglietta sudaticcia e
rischiava di farti venire una polmonite.
Si staccò la flebo dal braccio, dannandosi quando, subito dopo, si rese conto
che faceva un male del diavolo: ecco un’altra cosa di cui non sentiva la
mancanza, nella realtà virtuale.
“Ah, il cuccioletto si è
svegliato!”
Il tempo di sentire quella frase e
qualcosa lo strinse a sé: se per stritolarlo o per abbracciarlo, quello non era
possibile capirlo.
“Aww, ciao piccolino! Siamo
bloccati qui dentro, quindi, uh, ehilà, sono Celia!”
Corey agitò la mano destra, ancora chiuso
nelle spire di chissà quale terribile mostro, in un gesto che Celia decise di
prendere come un gesto di saluto.
“Io invece sono Daniel, mentre quello che
ti sta stringendo è-”
“Shadi! Mi chiamo Shadi,
tesoruccio!"
Corey si sedette sul letto, finalmente
lasciato in pace dal tizio che, chinato di fronte a lui, continuava a
sorridergli in quel modo strano.
A dire il vero fu solo dopo qualche secondo che lo riconobbe: nella stanza, in
quel momento, era molto più luminoso, lo ricordava con più sangue ed un tizio
accanto, ma Shadi- sì, doveva essere il nome della persona che aveva ucciso la
sera prima. Ricordava il nome, anche se era apparso pochi attimi prima che
anche Corey perdesse conoscenza.
Il ragazzino aggrottò la fronte, fissandolo.
“…Ma io ti ho ucciso, no?”
Shadi sorrise, tirandogli allegramente una
guancia. “Sì, ma sai, bah. E poi sei così carino!”
E prima che Corey potesse realmente protestare per via della guancia – stava
cominciando a perdere sensibilità – Shadi tornò ad abbracciarlo, quasi
mozzandogli il respiro.
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Chiedo scusa a tutti per il mio ignobile ritardo, e chiedo scusa per la
grandezza dei caratteri... purtroppo, è l'unico modo per farli apparire bene
ç_ç
Davvero, grazie a tutti quelli che mi hanno recensito e, perfavore,
perdonatemi.
Ci sono un milione di citazioni, in questo capitolo. Ora proverò a riportarle
tutte: se qualcuno ne nota altre che mi sono sfuggite, per favore, avvertitemi.
"Chiedi ad Alice, penso che lei sappia" = "Go ask Alice, I think
she'll know" è una strofa di White Rabbit, dei Jefferson Airplane.
<< -Calmati, o domani ti sveglierai non con il tuo maritino accanto ma
con la testa di un cavallo.- >> = Via, non avete mai sentito parlare del
Padrino?
Ah, il sorriso di una bella donna allieta l’animo disse… qualcuno. Forse. C’è
una buona probabilità che non me la sia inventata adesso. = Sono piuttosto
sicuro che se lo sia inventato...
John e Jane Smith. E una coppia di John e Jane Doe = I primi due sono i più
comuni nomi Inglesi, oltre che gli pseudonimi più usati. John e Jane Doe è,
invece, come vengono chiamati i cadaveri senza nome.
Se continuate così dovrò mettermi a giocare a ‘veo veo’ = Gioco spagnolo,
tradotto significherebbe "Vedo vedo". Si fa di solito in macchina:
uno sceglie un oggetto fra quelli che vede attorno a sè e l'altro deve capire
qual'è.
Se la violenza fa fluire le onde romperò ogni ossa nel vostro corpo. Se il
silenzio fa soffiare il vento ascolterò il suono del tuo cuore gelido = Strofe
tradotte della canzone 'Frost Bite', dei Seigmenn. O Seigmen. Il dibattito è
ancora aperto, su ciò.
Heee’s
the one who likes all our pretty songs, and he likes to sing along, and he
likes to shoot his gun... = Una strofa della canzone "Bloom", dei Nirvana. Tradotta
sarebbe "Lui è quello a cui piacciono tutte le nostre belle canzoni, e gli
piace cantare a ritmo, e gli piace sparare con la sua pistola".
Buongiorno principe del Maine, futuro re della nuova Inghilterra = Citazione da
'Le regole della casa del Sidro".
Fuoco! Fuoco! - Se figo vuoi apparire, un casino devi soffrire. = Da
Beavis e Butt-head.
La torta
è una bugia = "The cake is a lie" è una frase piuttosto famosa, nel
mondo parlante Inglese. Significa, in pratica, che la ricompensa non esiste.
Ehi, Jerome, ma sei proprio sicuro di non voler visitare le tombe? Sono
splendide. = Frase che si riferisce a "Tre uomini in barca". Jerome,
il protagonista, stava guardando il panorama, colto da una gioia quasi divina,
quando un vecchietto gli si è avvicinato per chiedergli se voleva visitare le
tombe.
Ehi, è proprio fra Cthulhu e Shoggoth. = Due 'mostri' di Lovecraft.
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