Premessa. Questa one-shot
è un missing moment del primo libro, ambientato a qualche settimana di distanza
dalla partenza di Katniss per i primi Hunger Games. Vick è uno dei fratellini
di Gale, il penultimo, e Prim… Beh, la conoscete tutti. Come nella one-shot “Se tu mi
addomestichi”, nella one-shot le frasi in corsivo sono passaggi tratti
dal libro “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry.
Quarantatrè Tramonti
“Mi piacciono tanto i tramonti.
Andiamo a vedere un tramonto.”
L’aveva esclamato Vick, una sera, avvolto
dall’ingenuità dei suoi sei anni; non sapeva che era piuttosto difficile
assistere a dei bei tramonti, nel Dodici: il cielo era spesso nuvoloso e reso
opaco da strati di nebbia mista a polvere di carbone.
Un pomeriggio di qualche anno più tardi,
tuttavia, Vick riuscì finalmente a vedere il suo tramonto.
Gale aveva trovato lui e Prim
accovacciati al centro del Prato, schiena contro schiena, gli occhi umidi
rivolti verso l’alto.
Li aveva cercati in lungo e in largo per
il Giacimento, preoccupato al pensiero che potessero essersi cacciati nei guai;
era trascorsa una sola settimana dalla partenza di Katniss per gli Hunger Games
e stava facendo del suo meglio per adempiere alla promessa fatta alla ragazza.
Si prendeva cura di Prim e sua madre,
portava loro la maggior parte di quello che cacciava e spediva sempre i suoi
due fratelli a far compagnia alla piccola di casa Everdeen.
Nonostante i suoi sforzi, tuttavia, non
passava giorno senza che Prim non piangesse almeno una volta.
Per quello non si sorprese nel trovarla
con gli occhi lucidi. Ciò che invece lo stupì fu il lieve sorriso che
arricciava le sue labbra; un sorriso debole, malinconico, ma pur sempre un
sorriso.
“Sai, quando si è tristi si amano i
tramonti” spiegò la ragazzina a Gale,
quando si accorse che li aveva raggiunti.
Il ragazzo si limitò a scuotere la testa.
“Preferisco l’alba” replicò, mettendosi a
braccia conserte.
Ed era vero: il tramonto aveva un
retrogusto di resa, di abbandono. Di addio. Era il cielo che portava via il
sole, obbligando il mondo a brancolare nel buio.
L’alba invece lo restituiva.
Cambiò idea qualche sera più tardi, la
prima senza bottino di caccia da quando Katniss era partita.
Aveva trascorso il pomeriggio a
controllare trappole, ma senza risultati; aveva fallito perfino con la pesca.
Per la rabbia aveva scagliato un sasso contro una poiana, ma l’aveva mancata e
lei non si era nemmeno mossa. L’immagine della poiana immobile aveva accentuato
la sensazione di solitudine che sentiva.
La foresta non gli sembrava più libera e
vibrante di vita; le foglie cadevano in silenzio come se non volessero
illuderlo di stargli accanto. Gli animali, anche quelli più piccoli, erano
svaniti.
Si era spento tutto, al di fuori di lui;
del suo nervosismo cronico che emergeva quando sbuffava e del fruscio dei suoi
vestiti contro gli alberi.
Quella solitudine pesante, che mai aveva
avvertito nei boschi prima di perdere Katniss, stava incominciando a farsi più
insistente.
Per scrollarsela di dosso raggiunse lo
sperone di roccia che dominava la valle – il loro punto di ritrovo.
Il primo tramonto lo vide per caso,
mentre abbandonava la schiena al freddo della pietra.
La luce arancione che filtrò attraverso
le fronde degli alberi donò un po’ di vita alla foresta, pur non smorzandone il
silenzio.
Subito, una vaga sensazione di tristezza
gli schiacciò lo stomaco; la sua solitudine gli sembrò tutto a un tratto più
immensa, come se le ghiandaie avessero trovato il modo di cantarla, facendola
echeggiare per la distesa di alberi.
La sensazione, tuttavia, venne presto
mitigata da una punta di calore, generata dai colori accesi del cielo: si
sentiva tiepido. Non più solo freddo, ma scaldato dalla presenza di qualcuno
oltre a se stesso. Qualcuno che, come lui, era stato costretto più volte a dire
addio.
Forse, si sorprese a pensare quella sera,
non era il tramonto che portava via i raggi; forse le striature rossastre che
precedevano la notte erano i segni di lotta lasciati da chi, come lui, non si
rassegnava a vedersi portare via le cose che amava. Nemmeno il sole.
Da quel giorno Gale tornò spesso alla
roccia per guardare il tramonto, specialmente nelle sere in cui si sentiva
triste.
Non fu un rituale duraturo: dopo qualche
mese decise di darci un taglio, convincendosi che la sua fosse un’abitudine
troppo sentimentale per un ragazzo del Giacimento come lui.
Prima di tornare in sé, tuttavia, riuscì
a contarne quarantatré.
“Un giorno ho visto il sole
tramontare quarantatré volte!”
E più tardi hai
soggiunto:
“Sai… Quando si è molto tristi, si amano i tramonti…”
“Il giorno delle
quarantatré volte eri tanto triste?”
Ma il piccolo principe
non rispose.
Il Piccolo Principe. Antoine de
Saint-Exupéry.