titolo:
of one's own
autrice:
ladradimiele (ex kiliaduicaps)
personaggi/pairing:
patrick stump, pete wentz, (+ andy hurley, joe trohman)
genere:
malinconico
avvertimenti:
slice of life, one-shot
parole:
1015 circa
note
autrice:
chi mi conosce sul twitter
sa bene che di questi tempi sono in crisi mistica col bandom, ossia
sono tornata a fissarmici. e di brutto. i fob hanno sempre avuto un
posto speciale nel mio cuore - lì, affianco ai blink, il che è tutto dire, per me - e mi sono cimentata in questo, perché la
peterick è la vita, perché il video di dead on arrival mi fa del male e avevo bisogno di scriverci su, perché erano almeno
quattro fottuti anni che cercavo di plottare su di loro e perché sì. also, chi ha bisogno delle maiuscole? non io.
of
one's own
in
sua difesa, e per la cronaca, ci sono molti modi per confrontarsi con
la mancanza di casa.
pete parla. ha cambiato posto con joe, affiancando andy al
volante, e sta agitando le mani in un discorso all'apparenza
impegnativo. nessuno lo sta ascoltando, ad eccezione del guidatore, a
giudicare da come annuisca di tanto in tanto, perché alcune volte
pete è come un libro aperto, e in quel momento sulle pagine del suo
c'è scritto troppa
caffeina,
e non sarebbe di alcun utilità fargli notare di essere l'unico ad
avere l'energia sufficiente a dargli corda, così lo lasciano
commentare qualsiasi argomento gli passi per la testa.
per quanto lo riguarda, con la sua pronuncia farfugliata e monocorde, gli dà la
sensazione di non essersi mai allontanato da chicago.
si
stropiccia gli occhi, scrollando il capo, le palpebre pesanti.
affianco a lui trohman ha abbandonato il libro sulle sue cosce e si sta
girando un drum, anche se non ne è sicuro. è sempre nuova, ma mai
noiosa o male accetta, la consapevolezza di non essere solo nel
provare certe sensazioni: ed è là, nella piega tra un
sopracciglio e l'altro sotto la sua fronte aggrottata, che ci legge
la sua stessa spossatezza, lo stesso bisogno una distrazione, di
solitudine, di un'abitudine da mantenere anche nei momenti in cui
la realtà pare scorrere troppo in fretta.
patrick,
così come buona parte del resto dei fall out boy, ha nostalgia di
casa, e la combatte dormendo.
quando
si sveglia la strada non è più buia come prima, e in lontananza
splende il nome di un motel di nicchia. il freddo causato
dall'apertura della portiera del van lo fa rabbrividire e
lamentare, e andy lo tira su prendendolo per un braccio. “stanotte
si dorme in un letto vero,” lo sente dire sognante, il braccio di
joe che lo circonda e il volto affondato nella manica della sua felpa
all'odore di nicotina, e patrick non è più stanco, ma un
letto vero, diavolo.
iniziava a credere non ne esistessero più.
c'è anche un altro motivo che li rende entusiasti, e se ne accorge solo
nel momento in cui finisce di trascinare il proprio bagaglio dietro
di sé e giunge davanti alla porta della propria stanza. “buon
divertimento,” gli sussurrano, sghignazzando e tirandogli pacche
sulla schiena, lasciandolo ad infilare la chiave nella toppa e ad
espirare, incredulo. una
singola.
un letto da dividere solo con sé stesso. un bagno da usare a
proprio piacimento.
(ah,
se solo il sesso gli provocasse lo stesso piacere di una notizia del
genere!)
comincia
col chiamare sua madre. si sentono con una frequenza tale -
solitamente per rassicurarla che nessuno lo ha drogato, rapito e
seviziato, per ripeterle che i soldi continuano ad essere quelli ma
no,
non gliene servono altri e per lamentarsi sulla vita in generale,
perché anche lui è umano - che non hanno molto da dirsi; la può immaginare stropicciarsi un occhio e sbadigliare, così, in un
momento di stallo, le augura la buonanotte, che lei ricambia,
soffocando uno sbadiglio e attaccando.
fatto ciò, non ha molto da fare. accende la televisione e si rassegna a
fare zapping per qualche minuto, trovando solo un film horror di
serie c che lo annoia e lo irrita dopo solo qualche minuto. il giorno
dopo devono ripartire solo nel pomeriggio, ma, dopo un breve istante
in cui medita se farsi una doccia e una sega, decide di andare a
dormire presto.
patrick
non è molto regolare nei propri bisogni: in tour non decide in
autonomia quando mangiare, bere o dormire, e questo comporta una
rottura con delle abitudini portate avanti da sempre, ma se ha una
sicurezza nella vita è quella che a lui non manca il sonno. mai. a
consacrare l'inside
joke all'interno
della band è bastato vederlo addormentarsi in piedi dopo 4 tazze di
caffè, ma non gli dispiace sentire battute al riguardo.
dopo
un'ora passata a rigirarsi fra le coperte stabilisce che per una
volta il suo corpo non ha ricevuto il promemoria.
e
la faccenda lo preoccuperebbe anche, perché sono le due di notte e
ha finito i libri da leggere e la birra, se non sentisse la porta
aprirsi e avesse altro di cui preoccuparsi. non che non sappia alla
perfezione di chi si tratti, avendogli messo in mano lui stesso una
copia in più delle chiavi della camera.
lo
sente scivolare sotto le coperte, con ancora addosso i jeans e la
maglia sudaticci che ha usato in concerto, e non esita ad allacciare
un braccio intorno alla sua vita e a stringerlo in un abbraccio.
“oh,
ti ho svegliato?” mormora pete.
“no,” replica, e pensa che se anche non fosse stato così gli avrebbe
mentito.
a
un palmo dal suo naso è inconfondibile il momento in cui il suo
respiro si incrina. patrick rimane in silenzio, sapendo di fare la
cosa migliore, e la verità è che non sa mai cosa dire. “devo
prenderti qualcosa?” gli chiede, alludendo al brontolio che sente
provenire dal suo stomaco.
“mi
sei mancato,” sussurra l'altro nel buio, e la presa sulla sua
maglia si stringe.
sospira.
“lo so,” gli risponde, anche se non era andato da nessuna parte.
conosce anche lui la sensazione di sentirsi soli in mezzo ad un mare
di folla, seppur per il suo migliore amico vada aldilà. “non hai
preso nulla?” domanda dopo qualche minuto, perché non è mai
abbastanza sicuro e ha bisogno di una conferma da parte del diretto
interessato.
passano
diversi secondi, in cui trattiene il respiro. “no, no,” sente replicare.
il suo tono è basso e sommesso. la prima volta che era stato in preda ad
una crisi ed era corso da lui gli aveva confessato come lo facesse
stare male dover affidarsi a qualcun altro, non essere emotivamente
autonomo, così a volte preferiva delle pillole all'umiliazione, e
patrick aveva pensato così
pete wentz è anche questo,
e si era ripromesso di tenerlo a mente.
è
per questo che lascia che la sua faccia affondi nell'incavo fra il
proprio collo e la spalla, chiudendo gli occhi.
spera
la notte passi in fretta.
|