meddling with fireplaces ~
– 1992
All’età di dodici anni Hermione Granger era sicura al
novantasette percento di essere una strega razionale, obiettiva e pragmatica, e
che questo l’avrebbe portata dappertutto.
Certo, in quel preciso
istante stava studiando per l’ennesima volta nel cuore della notte gli ingredienti
della pozione proibita che l’indomani l’avrebbe trasformata in un’altra persona
– una cosa pericolosa, potenzialmente letale, che per giunta rischiava di farla espellere dalla più prestigiosa
scuola di magia europea seduta stante – ma a suo onore andava detto che,
davvero, lo riconosceva, se ne rendeva perfettamente
conto, e la sua lista di pro e contro (gli ultimi pro avevano i volti di Colin,
Justin e Nick) giaceva ancora accartocciata sotto il suo letto su nel
dormitorio femminile. Sul serio, quella era una cosa che teneva nella giusta
considerazione, ma che non sminuiva la realtà dei fatti: Hermione
Granger era una strega, una strega come si deve, non
certo una bambina da favole della buonanotte.
Comunque, l’uomo nel
caminetto non sembrava affatto una favola.
«Oh, ehm, ciao. Non sei
proprio la ragazza che mi aspettavo, ma... Aspetta, che anno è questo?»
Hermione s’impose di chiudere la
bocca e stringere gli occhi. D’accordo, una cosa alla volta.
Tanto per cominciare,
l’uomo non era davvero nel caminetto,
ma piuttosto dall’altra parte – non
aveva mai saputo di un passaggio che collegasse la sala comune di Grifondoro a... qualsiasi altra area della scuola, ma sì,
poteva avere senso. In fin dei conti in quello stesso periodo una certa Camera
leggendaria stava dimostrando di non essere poi tanto leggendaria. E a ben
rifletterci, le venivano in mente anche altre spiegazioni.
«Lei...» Si schiarì la
gola, lanciandosi un’occhiata intorno. Non c’era nessuno, ovviamente; perfetto,
nessuno le avrebbe fatto notare di star ignorando a bella posta l’aspetto più
irrazionale della situazione – la domanda assolutamente
irragionevole che l’uomo le aveva
appena rivolto. «Lei sta... sta usando la Metropolvere
in qualche modo?»
«Metrocosa?»
Lo sconosciuto sollevò le sopracciglia. Sembrava sulla quarantina, ma il suo
sguardo era vivace e curioso quanto poteva esserlo quello di uno dei fratelli Weasley. «No, uh, ho solo trovato un camino funzionante
e... Insomma, sapevo che non poteva essere quello che cercavo, ma ho pensato
che... potesse andar bene lo stesso.» Si passò una mano tra i capelli, sparandoli
in tutte le direzioni. «Non che mi lamenti. Sarebbe stato troppo facile, e le
cose troppo facili mi annoiano. Dove sei?»
Hermione chiuse di scatto il De Potentissimis Potionibus. «Se quella stanza non è collegata al
castello, non so proprio come lei possa aver fatto a...»
«Oh, è un castello?»
L’uomo si sporse quanto poteva verso il fuoco. «Mi piacciono i castelli.»
«Non dovrebbe essere qui» sibilò lei, nervosa e seccata dal suo
improvviso entusiasmo. «In nessun
modo. Hogwarts dovrebbe essere inaccessibile
all’esterno. È protetta. Non compare sulle mappe. Non ci si può materializzare
o smaterializzare entro i suoi...»
«Perdonami» la interruppe,
fissandola con crescente interesse, «ma non conosco il nome che hai appena
pronunciato e ti assicuro che è una delle cose più eccitanti che mi siano mai
successe. Hai detto Hogwarts? E dici che è un
castello? Perché si dovrebbe tenere segreto un castello? Oh, sarà una grande
nottata» snocciolò esaltato.
Hermione si ritrovò di nuovo a
bocca aperta. Si concesse di studiare meglio l’intruso.
Sulla quarantina,
sguardo alla Weasley, capelli alla Harry, accosciato
tra le falde di un lungo soprabito marrone. Nulla del suo aspetto gli conferiva
un’aria da, be’, mago. E pur sembrando inglese, affermava di non aver mai
sentito parlare di Hogwarts.
Stava quasi per
schizzare in piedi e sfoderare la bacchetta, ma far esplodere il caminetto
della sala comune non era proprio la soluzione ideale, specie se...
«Ma non può essere»
esalò. «Trovare una via d’accesso... sarebbe già impossibile per un mago. Lei non
può essere un babbano.»
«Un’altra parola
interessante.»
«No, senta, come...? Chi o cosa...?»
«Fai le domande giuste.»
Lo sconosciuto le rivolse un sorriso che rischiò di far crollare tutte le sue
difese – assomigliava al sorriso del professor Allock,
almeno un pochino. Oh, accidenti.
«Facciamo così, ragazza – cioè – nuova ragazza del caminetto. Io ti racconto la
mia storia, tu mi racconti la tua.»
All’età di dodici anni,
già colpevole di aver volontariamente cominciato a infrangere le regole rischiando
di mandare all’aria una promettente carriera scolastica, Hermione
Granger scoprì che forse dopotutto esistevano mondi
in cui l’essere pragmatica e obiettiva e razionale non l’avrebbe portata da
nessuna parte.
– 1994
Il Dottore era andato
avanti, perché era una delle cose che sapeva fare meglio.
A volte si era imbattuto
di nuovo in un caminetto particolare. All’inizio li aveva cercati lui, ma da un
certo punto in poi avevano preso a spuntare in giro per l’universo come
grappoli di Dalek – sapeva solo che c’entrava un artigiano
londinese di dubbia collocazione temporale, ammesso che la sua opera fosse
intenzionale poi – e quello che si affacciava su Hogwarts
era spuntato più spesso di tanti altri (quasi sempre in una sala comune vuota. Gli
studenti di quell’epoca dovevano essere dei pazzi a tornare a casa per le
vacanze, lasciando tutto il divertimento ai professori!).
Nessuno di loro l’aveva
mai riportato nella Francia del diciottesimo secolo, ma andava bene così. Faceva parte
dell’andare avanti.
E avanti il Dottore aveva visto cose che ora, in una notte di Natale
qualsiasi, lo facevano sorridere di fronte a una Hermione
Granger in lacrime, spettinata nel suo bel vestito
blu, distrutta dalla consapevolezza di essere cresciuta in un mondo in cui
faceva paura crescere... e non solo perché vi circolavano maghi cattivi. Non
che avesse iniziato soltanto quella
sera, per inciso. Solo un anno prima nella sua linea temporale, il Dottore
l’aveva già vista piangere per via di una scopa volante – non suonava granché
in questi termini, ma il punto era che già allora Hermione
Granger cresceva
e lui la stava a guardare incantato.
«Si è comportato come un
idiota.» La voce di Hermione, rotta dai singhiozzi,
echeggiava nella sala di nuovo deserta. Molto probabilmente nessuno dei suoi
compagni era ancora tornato dal ballo. «Voglio dire, si comporta sempre come un idiota, è vero, ma
stasera più del solito. Non capisce che... Insomma, poteva invitarmi per primo.
Non gli avrei detto di no. Forse. Oh, quell’idiota!
E Viktor che ha fatto di tutto per essere gentile...»
Il Dottore la guardava
in silenzio, comodamente appoggiato al camino dalla sua parte di realtà, in un
vecchio municipio abbandonato su un pianeta fumoso e freddo. Non osava
sorridere troppo – non voleva darle l’impressione di sorridere della sua
frustrazione – ma non riusciva a smettere di pensare a quel che aveva visto avanti, alla donna Hermione
Granger che promulgava leggi come avrebbe disciolto
zollette di zucchero nel tè, all’amica senza la quale il Prescelto di turno
forse non avrebbe mai sconfitto la propria eterna nemesi (si dimenticavano
sempre tutti degli amici, tutti quanti, ma chi erano gli eroi senza gli amici?
Nessuno vorrebbe arrivare alla fine dell’universo da solo).
Hermione interruppe il profluvio
rabbioso, tirò su col naso e lo fissò. Aveva quattordici anni e non sapeva
ancora che di lì a poco avrebbe vissuto l’inferno.
«Come fai?» gli domandò
a bruciapelo.
Il Dottore sapeva cosa
intendesse ancor prima che si spiegasse.
«A volte... A volte mi
sembra tutto semplicemente troppo. L’anno
scorso, con la Giratempo, stavo per impazzire. Ma non
è solo la scuola – in realtà, penso che la scuola sia il minimo...» Già,
tipico. «Ho... Ho appena cominciato a farmi domande sulle persone cui voglio
bene, e non riesco a immaginare come possa fare tu.»
Concetti astratti rimasero
a riempire il silenzio del focolare. Lo scorrere del tempo. Persone che non
sarebbero mai potute tornare indietro. L’oblio, muri bianchi e le stelle che si
spegnevano. E le scelte. E poi, per chiunque, la consapevolezza di essere
giunti alla fine di una canzone, di dover fare spazio a una melodia nuova,
sconosciuta, spaventosa, indesiderata.
Il Dottore rimpianse di aver deciso di non passare mai dall’altra parte del
caminetto – non avrebbe mai osato
toccare la sua storia, ma in qualsiasi tempo e in qualsiasi spazio avrebbe
continuato a vivere nella consapevolezza che Hermione
Granger sarebbe stata una compagna di viaggio brillante,
assolutamente fantastica.
Si rese conto di aver
taciuto troppo a lungo quando lei si mosse, a disagio, spezzando un incantesimo
un po’ diverso da quelli che governavano il suo mondo insensato e bellissimo.
«Ehm... È la prima volta
che non dai di matto quando nomino la Giratempo.» Lo
studiò nervosa. «Tutto bene?»
Impaurita e in lacrime,
e preoccupata per lui. Il Dottore sorrise e tese la mano sopra le ceneri
spente, cercando la sua.
«Mi dispiace, è una serataccia
anche per me. Questa... potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo, nuova
ragazza del caminetto.»
Hermione singhiozzò. Il Dottore
ebbe la netta sensazione che stavolta Weasley l’Idiota
non c’entrasse affatto.
«Che vuoi dire?»
«Sto facendo un giro di
saluti.»
«Per andare dove?»
«Ah, Hermione
Granger» sospirò, stringendole forte la mano. «Sempre
la domanda giusta, eh?... Non preoccuparti. Non avrai molto tempo per pensare a
me. E tu, vedi, tu e tutto quello che ti circonda – siete come un gigantesco punto fisso... uno dei
migliori.»
Hermione si accigliò, come
faceva ogni volta che le loro strampalate conversazioni attraversavano una zona
logica e quindi alla sua portata. Le
aveva spiegato tutto dei punti fissi, e lei aveva tirato fuori un commento
molto intelligente circa la morte dei genitori di Harry Potter. Oh, se era
brillante.
«Sappi solo che andrà
tutto bene, alla fine.»
«Quindi... sei venuto a
dirmi addio?»
Da qualche parte a Hogwarts un orologio batté la mezzanotte, ma il Dottore
sentì soltanto undici rintocchi.
– 2017
Una donna correva in una
King’s Cross affollata, il primo di settembre. Troppo
distratta, la folla non l’aveva vista sbucare fuori dal solido muro tra i
binari nove e dieci, al braccio del marito e con un saluto ancora caldo negli
occhi.
Appoggiato a quello
stesso muro, un uomo sorridente si aggiustò il cravattino e la guardò come la
cosa più bella che avesse mai visto. Era sporco di fuliggine dalla testa ai
piedi, e sembrava quasi una cosa voluta.
Spazio dell’autrice
Ho scritto questa cosa esattamente tre
mesi fa. Non posso credere di averci pensato così tanto e di esserne ancora così
insoddisfatta.
In canon è molto
chiaro che il Dottore è un lettore di Harry
Potter, quindi questo crossover è inconsistente – più di altri. Pazienza.
Questa storia nasce per colpa di una fanart adorabile
linkatami da Satomi, alla quale dedico il tardivo
risultato, benché neppure lontanamente degno di un prompt
così incantevole.
Il titolo è una specie di punto d’incontro
tra la quote Awful things happen to wizards who’ve meddled with time,
pronunciata da Hermione in merito alla Giratempo ne Il prigioniero
di Azkaban, e il titolo dell’episodio The
girl in the fireplace della seconda stagione di
DW, diretta premessa di questo incontro. Il Dottore è ancora scosso dall’aver
incrociato la strada di Madame de Pompadour, continua a cincischiare con caminetti
“speciali” come quello (sì, è licenza poetica spudorata, artigiano londinese
incluso) (qui mi piace immaginare un collegamento con l’armadio di Narnia, a proposito) e si ritrova ad affacciarsi su Hogwarts, solo che stavolta si impone di non stravolgere la
vita della “nuova ragazza del caminetto” e perciò, pur continuando a osservare
anche il suo futuro con curiosità, si tiene a una giusta distanza. Ho
immaginato che tornasse a trovare Hermione sempre a
Natale, non so bene perché; le occasioni più adatte erano il 1992 (in cui Hermione è a scuola a finire di preparare la Pozione Polisucco), il 1993 (l’anno in cui Hermione
litiga con Harry e Ron per via della soffiata alla McGranitt sulla Firebolt) e il
1994, con il Ballo del Ceppo, l’ultima occasione in cui Hermione
passa le vacanze al castello: ho ricongiunto quindi quel Natale al saluto che Ten va a rivolgere a tutti gli ex companion
prima di fare spazio a Eleven.
E, non so, non è che mi convinca
moltissimo in realtà. Ho perso la mano con la narrazione in tempo passato e
forse l’angst del Dottore ha appesantito troppo la
reazione di Hermione alla brutta esperienza del
ballo. Però, ehm, non vi nascondo che mi mancava scrivere di Ten – anzi, credo di non essermi mai dilungata tanto prima
d’ora in una narrazione dal suo punto
di vista, e quindi pace, pubblichiamola. X’D
(Ah, che poi ne sto approfittando
bellamente per ufficializzare l’agognata serie di crossover tra DW e qualsiasi
cosa esista al mondo. Sapevo che sarei arrivata a questo punto, prima o poi.)
Aya ~