"Caro Babbo Natale,
Quest’anno non voglio chiederti giocattoli nuovi e fumetti,
ma qualcosa che mi
renderà più felice: potresti riportarmi i miei
nonni? Mi mancano tanto ed è
passato molto tempo dall’ultima volta che sono andato a
mangiare da loro. La
mamma dice sempre che stanno bene e che vegliano sul mio cammino,
standomi
accanto in ogni luogo, ma io non li vedo e non posso più
chiamarli.
Forse non vogliono più vedermi perché ho rotto un
bicchiere l’ultima volta, ma
non l’ho fatto apposta. Caro Babbo, vorrei poter passare il
Natale con loro,
tutti seduti a mangiare in cucina le polpette della nonna e poi, dopo
cena,
giocare a carte con il nonno. Non voglio nessun’altra cosa,
mi raccomando.
Con
affetto, un tuo ammiratore, Andrea."
Ho
trovato, tra le pagine di un quadernone delle elementari, una letterina
che ho
spedito, o almeno così credevo, in Lapponia, a Babbo Natale.
Ricordo benissimo
quel periodo, come se fosse ieri. Per la prima volta, papà
aveva deciso di
preparare l’albero e il presepe a casa nostra, non
più in quella dei nonni, e
la mamma si era messa d’impegno per preparare una cena
all’altezza di quella a
cui eravamo abituati con la nonna. Ero troppo piccolo per voler credere
che i
miei nonni non ci fossero più e chiesi alla persona, che
poteva realizzare
anche il più impossibile dei desideri, di non darmi i soliti
ninnoli, ma di
portare da me i miei nonni. Adoravo passare il tempo da loro, era come
una
seconda casa. Entrambi i miei genitori lavoravano durante la giornata
e, per
non farmi stare solo, mi portavano a casa da loro. Era un giorno come
un altro
per me, ma compresi dopo quanto in realtà stravolgeva la mia
quotidianità.
Sarei dovuto andare, come al solito, a casa dei nonni materni subito
dopo
l’uscita da scuola. Venne a prendermi mamma, al posto della
nonna, e quello
doveva essere già un’ammonizione per me, un
avvertimento, ma quando si è
piccoli, o almeno per me, non si pensa mai negativamente. Il giorno
dopo e
tutti quelli che li seguirono furono come il primo: mia madre che mi
veniva a
prendere e passava il pomeriggio con me, aiutandomi con i miei compiti,
invece
di fare i calcoli in ufficio. Riceveva molte chiamate e correva sempre
in
camera sua. Una volta la seguii e distinsi chiaramente il suono di un
pianto.
Non osai chiederle perché era così triste,
perché sapevo che non avrei potuto
sostenere la verità che mi nascondevano. Il mio
papà era preoccupato per la
salute della mamma, lo vedevo dai suo sguardi. A tavola, invece di
chiacchierare come al solito, accendevamo la televisione e consumavamo
la cena
nel silenzio. Parlavano, anzi, parlottavano tra di loro, come se
complottassero
una fuga da me. Passarono i mesi, quando mi feci coraggio e chiesi a
mamma di
portarmi dai nonni. Lei scoppiò a piangere e mi
abbracciò, dicendomi che adesso
non era possibile. Insistetti, ma fu inutile. Mi interrogavo spesso su
quello
che avevo combinato per adirare così tanto i nonni dal non
volermi più vedere.
Così, ricordai il bicchiere che ruppi, l’ultima
volta che li avevo visti. Quel
giorno vinsi per la prima volta una partita a carte contro mio nonno.
Aveva una
brutta tosse e sembrava molto stanco, ma aveva tanto insistito per
giocare con
me. Quando era giunta l’ora di andare via, abbracciai
entrambi i miei nonni
molto forte, come facevo ogni sera, augurandogli una buona dormita.
Sento
ancora il calore delle loro carezze e del loro affetto, che ancora
adesso mi
commuove. Quando decisero di dirmi la verità mio padre mi
guardò dritto negli
occhi e mi disse che dovevo essere un bravo ometto e poi, mi
raccontò una
bellissima storia. I nonni erano andati a fare una vacanza insieme,
l’ultima
vacanza, in un posto bellissimo e pieno di luce. Rimasi così
affascinato che mi
sentii in colpa di essere stato così egoista nel volerli di
nuovo con me, in
quell’inverno freddo. Con il tempo, mi abituai a quella nuova
situazione; mamma
non andava più a lavoro di pomeriggio e avevamo ripreso a
parlare durante la
cena. Però, in cuor mio sentivo sempre quel vuoto della loro
mancanza. Quando
arrivò la settimana prima di Natale, papà disse
alla mamma che era un bene
mettere l’albero e il presepe e che l’avrebbero
fatto per me. Per la prima
volta, invece di andare tutti a casa dei nonni, sarebbero venuti tutti
da noi.
Quando arrivò la vigilia e non vidi attorno alla tavola i
miei nonni, me la
presi moltissimo con Babbo Natale. Ero profondamente deluso dal mio
mito. Ma, a
mezzanotte, vicino al presepe, vidi i miei nonni, sorridermi e guidare
la mia
mano nel posizionare il bambino Gesù nella grotta. Non so
dire se fosse un
sogno o la realtà, ma fu il più bel regalo di
Natale che io abbia mai ricevuto.
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