Premessa. Questa storia fa parte della
serie “Io non
ho paura”: una raccolta di one-shots incentrate sul personaggio di Johanna
Mason e su un’ipotetica relazione fra lei e Gale. Questa one-shot in
particolare è ambientata a diversi anni di distanza dalla fine della Rivolta. Gale
e Johanna hanno appunto una relazione e vivono assieme nel Distretto 2, ma nel
racconto sono nel Distretto 4 (nel mio head-canon ci tornano spesso per andare
a trovare Annie e suo figlio Sebastian).
Questa
storia partecipa al Girotondo di Prompt con il prompt “Ascoltami
bene, Hawthorne, perché non te lo dirò più... Grazie” donatomi da Giraffetta
e all’iniziativa del Babbo Sirenetto per il gruppo facebook The
Capitol con il prompt “introspettivo, PoV Johanna [post!Mockingjay e/o
nel periodo in cui è al 13 e gli altri sono partiti]”. Tanti auguri alla
persona che ha richiesto questo prompt nella letterina!
You’ve
begun to feel like home;
“Solo
qualche passo.”
I
suoi piedi temporeggiano a riva, ma qualcosa li attira in avanti: è la stretta
leggera della mano di Gale attorno alla sua.
“Ieri
non è andata” borbotta Johanna, osservando le loro dita intrecciate: il rosa
slavato della sua pelle risulta pallido in maniera patetica, in confronto al
bel colorito olivastro del ragazzo.
“Oggi
non è ieri.”
La
stretta si fa più salda, ma Johanna scuote la testa e distoglie lo sguardo.
“Non
ti facevo così Capitan Ovvio, Hawthorne.”
Fissa
il principio di tramonto all’orizzonte, là dove l’acqua sta incominciando a
tingersi di rosa; il mare del Distretto 4 è un ruffiano dall’aria innocua,
elegante e giocoso ma pieno d’insidie incagliate sotto le creste. Johanna ne è
certa e non ci tiene a superare quel pregiudizio: ciò che le è successo nelle
celle di torture a Capitol City è ancora vivido, inciso nella memoria della sua
pelle e lo rivive ogni volta che è costretta a infilarsi sotto il getto della
doccia.
Il
ricordo doloroso della prigionia per lei non sarà mai acqua passata, ma sempre
e solo acqua. Indispensabile quanto terribile acqua.
Per
questo punta i piedi e s’irrigidisce, quando la presa di Gale si sposta attorno
ai fianchi e la pressione del suo corpo la guida in avanti.
La
spuma di un’onda le lambisce i piedi e Johanna arretra bruscamente,
schiaffeggiando le dita del ragazzo.
La
pelle avvolta dall’acqua brucia come se fosse stata sorpresa da una scarica
elettrica improvvisa: l’acqua per lei è ustionante quanto il fuoco e il bisogno
di evitarla è ormai diventato istintivo.
Gale
non si lascia intimidire dalla sua reazione; le concede qualche istante e poi
torna a condurla, le braccia nuovamente strette attorno ai suoi fianchi.
I
battiti del cuore del ragazzo rimbalzano regolari contro la schiena di Johanna:
il loro rumore è il primo elemento rassicurante che ricorda del suo periodo di
prigionia. La riporta al momento in cui Gale è entrato nella sua cella, spinto
dal solo obbiettivo di riportare Peeta alla sua adorata Ghiandaia.
Invece aveva trovato Johanna; l’aveva riscossa da uno stato di semi-coscienza
governato da incubi e allucinazioni, per trascinarla via dalla cella.
E
da quel momento ha continuato a farlo giorno dopo giorno: spingendola contro
l’incubo per farla scivolare sotto le sbarre della sua prigione d’acqua,
incurante delle sue proteste. Ignorando le reazioni violente, i graffi e gli
strattoni che Johanna distribuisce per sfuggire al pericolo, guidata
dall’istinto.
Un’onda
rincorre la precedente, delicata e pittoresca come sempre; Johanna
rabbrividisce, aggrappandosi alle braccia di Gale.
“Se
mi lasci andare ti ammazzo” intima in tono brusco.
Il
ragazzo rinsalda la presa, un lieve sorriso a smussare la seriosità perenne del
suo sguardo.
“Non
vado da nessuna parte.”
Johanna
borbotta ancora qualcosa fra sé, ma il suo piede sinistro azzarda un passo
verso l’onda in arrivo. L’acqua s’infrange sulla sua pelle e lei stringe i
denti, eppure continua ad avanzare, sorretta dall’abbraccio solido di Gale.
Quando
inizia a tremare e la sfrontatezza del suo sguardo viene meno, il mare le sta
ormai abbracciando le cosce. Cerca di sfuggirgli, divincolandosi per tornare
indietro, ma la cocciutaggine di Gale ha ancora una volta la meglio. Johanna si
divincola, mentre le braccia del ragazzo le circondano le cosce per sollevarla
da terra. Lo colpisce con un calcio e Gale stringe i denti, esibendo una
smorfia di dolore. Tuttavia, la sua presa rimane salda. Quando Johanna si
accorge di non toccare più non le resta altro da fare che aggrapparsi al collo
del ragazzo, consapevole di stringere con forza eccessiva: non le importa più
di tanto, in fondo se lo merita.
Ancora
una volta Gale resiste, deciso a vincere la battaglia; incomincia a camminare,
muovendosi piano per evitare di schizzarla.
Johanna
ha i muscoli contratti e la mascella serrata; rabbrividisce a ogni contatto con
l’acqua e si sforza di spingersi in alto per evitarlo. Tuttavia, con il passare
dei minuti, la sensazione di allarme si assottiglia. Le onde s’infrangono
contro le sue gambe e la pelle brucia meno, il freddo non le impregna più le
ossa e il contatto caldo del corpo di Gale contro il suo la sostiene,
aiutandola a non sprofondare nel terrore dei suoi ricordi.
È
come cadere col paracadute, come osservare un incendio dall’alto. La paura si
assottiglia, o forse si è soltanto spostata e l’abbraccio del ragazzo le fa da
scudo.
Per
la prima volta da tempo Johanna riesce a chiudere gli occhi senza temere che
l’acqua la sommergerà non appena abbasserà la guardia. Sa che le braccia che la
sostengono non lo permetterebbero: non prima di aver lottato.
Il
momento di sicurezza non dura molto; giusto il tempo per permetterle di
allentare un po’ la presa sul collo di Gale e rilassare i muscoli.
Nel
momento in cui ricomincia a mostrarsi tesa, il ragazzo sta già tornando
indietro. Johanna si lascia trasportare sfinita, la guardia abbassata di poco e
il capo appoggiato al suo petto. Le onde sembrano ritirarsi più in fretta
mentre tornano indietro e per un istante si sorprende a schernirsi per quella
paura così stupida. Ma è solo un istante: quando i suoi piedi tornano a
contatto con la sabbia umida, l’istinto torna a prendere controllo del suo
corpo e le sue mani si districano brusche dall’abbraccio di Gale, per
permetterle di allontanarsi dall’acqua.
Gale
la lascia andare senza dire nulla; l’osserva per un po’, come a volersi
assicurare che stia bene, e poi si allontana verso gli scogli, concedendo ad
entrambi qualche minuto di silenzio e quella solitudine che tutti e due temono,
ma che spesso non riescono a fare a meno di cercare.
Anche
Johanna lo osserva; adesso che la minaccia dell’acqua è tornata in profondità
ha tempo per concentrarsi su pensieri diversi.
Guarda
quel ragazzo accovacciato sullo scoglio, studia la sua espressione distante e
la tristezza a che permea il suo volto nei momenti in cui si isola, e scuote la
testa. Si stringe le braccia al petto, forse per difendersi dal freddo, forse
distaccarsi da quello che sta incominciando ad avvertire nel guardarlo. Nel
ripensare alla presa salda con cui l’ha difesa mentre cercava di farla emergere
dalla prigione d’acqua che Capitol City le ha costruito attorno. Nel realizzare
di incominciare a sentirsi a casa anche fra le braccia di un soldato qualunque,
che non odora di pino e carta stampata come gli uomini del Sette, ma ha in sé
la forza e la tenacia della gente del suo Distretto.
Ha
ancora le braccia conserte nel momento in cui lo raggiunge sullo scoglio e si
lascia scivolare al suo fianco. Gli arruffa i capelli in maniera meno brusca
rispetto a quanto aveva pianificato di fare; lui le rivolge un rapido sguardo e
un lieve sorriso, prima di tornare a fissare il sole morente.
Restano
in silenzio per un paio di minuti, prima che Gale provi a spezzarlo.
“Johanna…”
incomincia, voltandosi verso la ragazza; la giovane preme le dita sulla sua
bocca per interromperlo. Le rimuove solo per appoggiarci contro le labbra, attirandolo
per il mento.
Si
accorge subito che c’è qualcosa di diverso in quel bacio, rispetto ai
precedenti che si sono scambiati; c’è un retrogusto di fiducia, di
appartenenza, che non aveva mai permeato i loro gesti prima di quel pomeriggio.
Johanna rabbrividisce quando realizza che quel cambiamento è dovuto a lei: non
è certa di esserne contenta. Fidarsi di qualcuno è pericoloso e può far male,
ma ogni tanto non si hanno scelte.
“Ascoltami
bene, Hawthorne, perché non te lo dirò più…” sussurra infine la donna,
parlandogli contro l’orecchio. “… Grazie.”
Il
ragazzo si scosta da lei per poterla guardare negli occhi. Un sorriso pieno riesce
finalmente a cancellare via parte delle ombre che gli oscuravano lo sguardo. È
sul punto di rispondere, ma Johanna torna a tappargli la bocca.
“Ah!
Non una parola o giuro sul tuo bel culetto sodo che ti butto giù dalla
scogliera.”
Gale
solleva le mani in cenno di resa e si stringe nelle spalle.
“Come
vuoi tu” conclude, limitandosi ad aiutarla ad alzarsi.
Scendono
a riva e riprendono a camminare, questa volta tenendosi a distanza dall’acqua.
Non
c’è più bisogno di sfidare i ricordi, almeno per quella sera: è ora di tornare
a casa.
Note
Finali.
Non
scrivo più Ganna da tempo immemore, quindi spero vivamente di non aver
combinato un pasticcio con questa! Ma devo ammettere che mi mancavano un po’. In
questa fase del loro rapporto la loro relazione non è ancora completamente
consolidata (ma hanno già il piccolo Joel
fra le zampette <3). E niente, se siete un po’ confusi vi rimando alle altre
one-shot della serie che aiutano un po’ a riempire i buchi del mio head-canon
che separano la misera scena Gale/Johanna presente nel terzo libro e questa
storia. Che altro aggiungere? Il titolo della storia è un verso della canzone “Look
after you” dei the Fray, che mi ha ispirato a scrivere.
Grazie
infinite a chiunque sia passato a leggere la one-shot!
Un abbraccio e buone feste in anticipo!
Laura