Capitolo 14 - Prompt 031: Alba
NdA: dopo mille mila anni posto l'epilogo di questa
storia.
La pigrizia è una brutta, bruttissima
bestia.
Grazie a chi ha letto e a chi ha lasciato un
commento.
Attesa -
Epilogo
Sono i primissimi raggi del sole
a svegliarla. Filtrano, attraverso la tenda semi-chiusa, penetrando nei recessi
della sua coscienza addormentata. Ma, per una volta, non è infastidita nel
doversi svegliare presto. Per una volta, vuole svegliarsi
presto.
Apre piano gli occhi ed inizia a
guardarsi attorno: la camera da letto, un po’ in disordine, è appena illuminata
dalla luce sempre più forte. Si ferma sui vari dettagli, cercando di rimandare
il più possibile il momento in cui vedrà ciò che vuole vedere. Sposta lo sguardo
sul mucchietto di vestiti dimenticati sul pavimento. Un cappotto, una camicia e
un paio di scarpe da uomo. Del suo uomo. Sorride felice. Finalmente, si volta a
sinistra e lo vede: ancora addormentato, con la mano bendata ad abbracciare il
corpo del loro bambino e, in parte, anche i suoi fianchi. Ne studia il volto,
così bello nella prima luce del mattino, le ciglia ad ombreggiare le guance, un
filo di barba, le labbra sottili e gli zigomi alti. Vede le palpebre nuoversi
veloci: sta sognando. E lei, per la prima volta, è convinta che non ci sarà da
preoccuparsi per il contenuto del sogno che, forse, tutti gli incubi che li
hanno tormentati durante gli anni saranno più facili sa tenere a bada. È stato a
Vukovar, e da Vukovar è tornato. Per lei. E per Joe.
Gli accarezza il viso,
spostandogli un immaginario capello dalla fronte.
Lui apre gli occhi, per
richiuderli immediatamente quando un raggio li colpisce.
“Scusa… non volevo
svegliarti”
“Non c’è problema…”, adora la sua
voce rauca del primo mattino. È lo stesso tono basso che ha quando fanno
l’amore.
“Dormito?”
“Benissimo”
“Posso alzarmi a preparati la
colazione…”, si stupisce da sola per la proposta. Ma non ha potuto evitare di
farla.
Lui sembra sorpreso quanto lei:
“Mi prepari la colazione? Tu? Forse dovrei partire più spesso…”, le fa
l’occhiolino e lei si finge arrabbiata.
“Non provarci… sei solo
fortunato. Non ci fosse Joe qui in mezzo ti prenderei a
cuscinate…”
Lui si allunga e le sfiora un
braccio con la mano ingessata, anch'essa reduce da chissà quale battaglia a
Vukovar. Ma è tranquilla: sa che quando lui sarà pronto, le racconterà come si è
rotto la mano. L'unica cosa importante è che lui sia finalmente a
casa.
“Fa male?”, non può, però,
ignorare le domande basilari. D'altronde, è pur sempre una
dottoressa.
“Non tanto… non credo che potrò
tornare subito al lavoro. Kerry ne sarà felicissima”
“Kerry è l’ultimo dei miei
problemi. L’importante è che tu ti senta meglio”
Si limita a sorriderle. Vukovar,
dopo una notte di sonno, è sempre più un ricordo lontano.
“Comunque, anch’io mi sono
infortunata…”
Questo lo fa svegliare del tutto:
“Cosa? Quando? Ma ti sei fatta male?”, con gli occhi sta cercando sul corpo di
lei i segni dell’offesa subita.
“Tranquillo… ho solo sbattuto il
piede contro il tavolino… non uso nemmeno più le stampelle”
“Ma come hai
fatto?”
“E’ bruciata la lampadina e io ho
provato a camminare al buio e…”
“La lampadina? Quale? Dobbiamo
cambiarla subito!”, sembra volersi alzare, ma lei lo blocca.
“E’ già stata cambiata. E poi tu,
adesso, te ne stai buono a letto”
“Ma ti fa male?”, la guarda con
gli occhi spaventati, preoccupato ed in ansia.
“No, non più”
“Mi dispiace…”
Sta per dirgli che poteva
succedere a chiunque, ma poi si blocca. Si sente in colpa, glielo legge negli
occhi. Non si sta scusando perché ha sbattuto un dito.
“Luka…”
“Me ne sono andato così… e mentre
ero là continuavo a pensare a voi due e a loro e mi sentivo in trappola e ho
avuto paura che…”
Gli stringe la mano. Lo sa di che
cosa ha avuto paura: che Vukovar vincesse. Lui chiude gli occhi e scuote la
testa.
“… continuo a pensare cosa
sarebbe successo se…”
“Lo so. Spaventa anche
me”
“Sei arrabbiata,
vero?”
“Lo sono stata. Ma ho capito che
non ne valeva la pena… sai, Vukovar fa parte di te”
“Avrei voluto chiamarti più
spesso…”
“Eri tu, vero?”
“Quella volta muta? Sì… volevo
dirti tante cose, ma… bloccato”
“Lo so”
“Mi ha fatto piacere, però,
sentire la tua voce”
“Lo immagino. Credo di non aver
parlato mai così tanto senza avere risposta”
“Mi ricordo quello che mi hai
detto, il modo in cui cercavi di consolarmi. È stato bello”
Lei sorride, lieta di essergli
stata utile, lieta di non aver attaccato la cornetta.
“È stato bello anche il mio
rientro stanotte”, Nella mente di Abby riappare il lunghissimo bacio che si sono
scambiati qualche ora prima.
Allarga il sorriso, per nulla
imbarazzata: “La notte che verrà potrebbe essere ancora più bella”, glielo dice
fissandolo negli occhi.
Lui ridacchia, scuotendo la
testa. Si solleva un po’ e le si avvicina. In mezzo a loro, Joe continua a
riposare indisturbato. Luka si sporge in avanti per baciare Abby. È un bacio
piuttosto innocente, ma con un retrogusto erotico.
Le passa una mano dietro le
spalle, riuscendo a spostare Joe sopra la sua pancia. Lei si stringe a lui.
Insieme, guardano fuori dalla finestra.
La luce è cambiata leggermente. È
ancora l’alba, ma sta quasi finendo.
La voce di Luka è ancora bassa,
un sussurro dolce e malinconico: “Un altro giorno… chissà cosa ci
riserverà”
E lei si rende conto che non ha
paura di scoprirlo. La tensione che provava è completamente sparita. È in pace,
adesso. In pace.
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