rrrrrrrr
V e l a t u m, s u b c a r n e
A Jòzsef.
Il mio cuore è ancora spezzato,
così come il tuo collo.
Scende la neve a Kaposvàr.
L'Ungheria è fatta di ghiaccio solido e gratinato, una coperta
di freddo cotone che protegge dall'oscuro avanzare dei demoni. Si
possono vedere, dicono, nella notte di San Nicolò. Mescolandosi
tra le persone normali, vagano liberamente per le strade, a caccia di
bambini, seminando prima ostilità e smarrimento negli occhi di
chi dovrebbe badare a loro.
Non guardarli negli occhi.
Portano sempre quei lunghi mantelli, che strisciano a terra.
Perché sono così lunghi? Che cosa non vogliono che
vediamo?
Se non li guardi negli occhi, non potranno ingannarti.
* * *
Aron piangeva.
Il braccio era tornato a dolere, era come un lungo bastone arroventato
dal fuoco. Se l'era rotto in due punti dopo una tremenda scivolata
sull'asfalto ghiacciato << Stavamo giocando a palle di neve
>> era tutto quello che era riuscito a dire, senza reggere lo
sguardo accusatorio della nonna.
Il gesso al braccio era come la morsa stretta di un mastino, dolorosa e
senza tregua. Proprio come quella del cane dei loro vicini, e del loro
figlio Velkan. Lui e i suoi bastardi compagni di giochi, che se ne
andavano in giro con i cappelli di pelliccia in testa e le guance
arrossate dal gelo, si divertivano a portare quella bestia di cinquanta
chili con loro, a spaventare a morte gli altri bambini del quartiere,
quand'erano intenti a fare un pupazzo di neve in giardino, o a
sistemare le luci colorate attorno alle siepi che delimitavano i
recinti delle case.
Quella volta era toccata ad Aron. Il bambino aveva detto a sua nonna e
al medico di essere scivolato da solo, ma la verità era diversa.
Ed era certo che sua nonna non fosse riuscita a leggergliela negli
occhi, ma suo fratello Jòzsef sì.
Jòzsef aveva tre anni in più di lui e possedeva
l'altezza, il coraggio e la cattiveria che Aron non avrebbe mai avuto.
Jòzsef aveva capito che c'era Velkan, dietro la sciagura
avvenuta a suo fratello, ma non aveva aperto bocca fin dopo cena,
quando il vecchio orologio a pendolo della nonna aveva battuto le
dieci, e loro erano andati a dormire.
Aron singhiozzava. Il braccio in fiamme gli impediva di addormentarsi, e fu semplice per Jòzsef fargli vuotare il sacco.
Era stato Velkan. Lo aveva visto lì, in strada, da solo, e aveva
sorriso. Poi uno dei suoi compagni gli aveva sussurrato qualcosa
all'orecchio, e un attimo dopo lui aveva sganciato il guinzaglio che
tratteneva il mastino.
<< Avresti dovuto gridare. >>
<< L'ho fatto, sono scappati via. >>
<< Allora dovevi dirlo a qualcuno. Sei proprio uno stupido. >>
<< Velkan è passato da
me, in ospedale, prima che mi dimettessero. Si è chinato su di
me e mi ha sussurrato che semmai mi fossi azzardato a fare il suo nome,
qualcosa di brutto sarebbe capitato alla nonna. >>
Jòzsef diede un calcio alle coperte e balzò giù
dal letto. Frugò tra i cassetti della scrivania, procurandosi un
foglio e qualcos'altro che il fratellino, dal letto a castello, non
vide.
Jòzsef si mise in punta di piedi ( non aveva bisogno della
scaletta ), sporgendosi quel tanto che bastava perchè il suo
viso fosse a pochi centimetri da quello di Aron.
<< Ce la fai a scrivere con l'altra mano? >>
<< Perché? >>
<< Per scrivere una lettera. Domani sarà già il 5 dicembre, devi fargliela pagare. >>
<< La lettera a Santa Claus...?
L'ho già scritta. E comunque, a che servirebbe? Non potrei mai
chiedergli di fare qualcosa di brutto, neanche contro Velkan. Santa
Claus porta doni solo ai bravi bambini, quelli cattivi non sono sulla
sua lista. E se mi vendicassi di Velkan, cancellerebbe dalla lista
anche me. >>
<< Infatti la lettera non sarà per Santa Claus. >>
Jòzsef prese la mano sana del fratellino, facendogli un piccolo
taglio sul polpastrello, con la lama di un temperino. Infine, gli
passò il foglio.
Aron strabuzzò gli occhi. Voleva che scrivesse col sangue, una
lettera, alla vigilia di San Nicolò. E lui sapeva bene cosa
significava.
<< Tu vuo-... vuoi che scriva il nome di Velkan, con il mio sangue?
Vuoi evocare il Krampus?!
No, no Jòzsef, lasciamo perdere! >>
<< Andiamo, il Krampus non ti farà del male, lui vuole solo i bambini cattivi, lo sai.
E Velkan ti ha torturato per troppo tempo. Mi stupisce che non sia ancora venuto a prenderselo. >>
<< Sei un pazzo! Sai bene che
cosa fa quello spirito, porta sfortuna attirarlo, c'è un motivo
se le persone lo temono. Lui è l'ombra di Santa Claus! >>
<< È troppo tardi,
ormai. Velkan ne ha avute tante, di possibilità, per redimersi.
Non gli permetterò più di minacciarti e se questo
è l'unico modo per accertarmene, così sia. Ora scrivi
quel nome. >>
* * *
Erano le cinque del pomeriggio, ma il cielo era già nero. In
compenso, cadeva un gentile nevischio, che si posava sulle finestre
addobbate, creando deliziosi ghirigori sui vetri, che incantarono Aron
per lunghi minuti, prima che i suoi occhi si posassero sulla porta
d'ingresso dei Liebert, da cui ne uscì Velkan, imbaccuccato nel
cappotto pesante e nel cappello di pelliccia. Lo vide portarsi due dita
alla bocca e lanciare un fischio stridulo; in meno di tre secondi il
suo cane lo raggiunse dal retro della casa, e insieme scesero in
strada, probabilmente per fare il solito giro e raccattare i suoi amici
bulletti.
Quando Velkan si fermò bruscamente davanti a casa sua, voltando
il capo nella sua direzione, Aron trasalì, tirando le tende
della finestra. L'aveva visto, ne era certo. E per una frazione di
secondo, quando gli occhi glaciali di Velkan si erano scontrati coi
suoi, Aron aveva avvertito qualcosa, come un brivido lungo la schiena,
intensificarsi nel momento in cui una specie di ringhio, proprio alle
sue spalle, lo fece voltare di scatto, terrorizzato.
Ma così com'era sobbalzato, il suo cuore tornò ad un
ritmo regolare quando si rese conto che era stata la legna nel camino a
provocare quel rumore. Un ciocco secco aveva prodotto uno scoppiettio
più forte degli altri, provocando minuscole scintille che erano
saltate ovunque, separandosi dalla grande fiamma del fuoco, per poi
sparire nell'aria l'attimo seguente.
Aron tornò a guardare fuori dalla finestra, meno sereno di prima. Velkan e il suo cane non c'erano più.
Strano, pensò, mentre abbandonava il davanzale su cui fino a
quel momento se n'era stato appollaiato a far niente, per andare a
prendere un altro antidolorifico, credevo veramente di aver sentito una
risata raccapricciante.
Quattro ore passarono, e dopo cena Aron chiese il permesso a sua nonna
per poter uscire in strada. Era il 5 dicembre, dopotutto, e stavano
già passando i carri carichi di paste e caramelle che gli
abitanti mascherati da vescovi col mantello rosso distribuvano ai
bambini. Jòzsef si era volatilizzato senza nemmeno mangiare, per
andare a raggiungere degli amici che lo attendevano dall'altra parte
della città. Era una stupida gara che facevano tutti gli anni,
la corsa dietro ai carri, per vedere chi di loro ce l'avrebbe fatta.
Chi resisteva fino alla fine sarebbe stato incoronato campione e gli
sarebbe spettata una doppia razione di caramelle.
Fuori casa faceva molto freddo. Vista la momentanea invalidità
di Aron, sua nonna aveva passato tutta la giornata a lavorare ai ferri,
fabbricandogli una specie di poncho bianco, ma molto pesante, che
potesse infilare e togliersi con facilità, senza che il braccio
rotto fosse d'intralcio.
I carri purtroppo se li era persi. Avevano lasciato i segni delle ruote di legno lungo le strade innevate.
Tuttavia, c'erano ancora i finti vescovi rimasti a piedi che
distribuivano caramelle ai bambini che li inseguivano, giocando, con le
mani tese, in attesa che fossero riempite di dolcetti.
Aron si guardò intorno, per cercare l'individuo mascherato
più vicino a lui a cui sgraffignare un dolcetto o due, quando
vide la banda di Velkan camminare allegramente verso di lui, le tasche
dei giacconi gonfie di caramelle.
Aron indietreggiò. Non lo avevano ancora visto, faceva in tempo
a correre e rientrare in casa, prima che a Velkan venisse in mente di
liberare di nuovo quel maledetto cane.
Per questo girò su se stesso, ma non potè fare un passo,
perché davanti a lui c'era un individuo dal mantello rosso, con
un cesto carico di caramelle al braccio.
Se ne stava tranquillo, alto, dritto, il cappuccio tirato sulla testa a coprirgli il volto, ma sembrava fissare proprio lui.
Inizialmente Aron pensò che volesse offrirgli qualcosa, essendo
rimasto l'unico bambino a mani vuote, e quasi automaticamente porse una
mano per accettare le caramelle, quando questi si scansò, quasi
con fastidio, allontanandosi da lui.
<< Ma... >> fece per dire lui, offeso, quando vide il
vescovo mascherato andare incontro al gruppetto di Velkan, che lo
fissava con curiosità.
L'individuo mascherato inclinò la testa, come se lo stesse
valutando, poi afferrò una manciata di caramelle dal cesto,
porgendogliele. Sulla brutta faccia di Velkan apparve un grande sorriso
di soddisfazione.
<< Ehi ragazzi! Altri dolci in arrivo! >> esultò,
strappandogli di mano le caramelle con avidità, seguito a ruota
dagli altri bambini, entusiasti.
All'improvviso, il cane di Velkan prese ad abbaiare contro il tizio
mascherato, tirando con forza il guinzaglio. Velkan dovette smettere di
fare il cretino e stringere il guinzaglio con maggior forza, per
impedire che il mastino ringhiante si liberasse.
<< Vi saluto, gente, prima che questo sacco di pulci si mangi
quest'idiota tutto intero! >> sbottò, troppo impegnato a
tenere il cane sotto controllo per accorgersi che " l'idiota " non
sembrava minimamente intimorito dal cane. Non aveva ripreso il
ragazzino per la sua maleducazione, né si era mosso.
Quando il gruppetto si sciolse e Velkan si diresse verso casa sua, Aron
era ancora lì, immobile e incredulo, sforzandosi di dare un
senso alla scena a cui aveva appena assistito, senza sapere cosa
pensare.
<< Ehi, sgorbio! >> la voce di Velkan bloccò i suoi
pensieri e Aron si girò appena in tempo perché una palla
di neve lo centrasse in pieno petto. Poco male, una palla di neve,
pensò stupidamente, un attimo prima di rendersi conto che non si
trattava solo di neve. C'era anche del fango molliccio mischiato, che
ci mise ben poco ad inzaccherargli il poncho, rovinando il bianco
immacolato della lana che sua nonna aveva intrecciato per tutta la
giornata, senza fermarsi un momento, in modo che il nipote avesse
potuto indossarlo quella stessa sera, per non perdersi la sfilata di
San Nicolò.
Velkan scoppiò a ridere, per poi correre in casa col cane.
Quando Aron rientrò in casa, il suo viso era rigato di lacrime.
Si chiuse in camera sua, togliendosi il poncho e nascondendolo sotto il
letto, mentre udiva la voce di sua nonna giungere dalla sala, che lo
avvertiva di non mangiare troppe caramelle.
* * *
Quella stessa sera, verso le undici, iniziarono le grida.
Aron fu svegliato dalla voce dei suoi vicini e si mise a sedere sul
letto, stropicciandosi gli occhi assonnati. Sua nonna entrò
nella stanza, accendendo la luce.
<< Avete mangiato le caramelle? >> chiese ai nipoti,
agitatissima. Sotto le spesse lenti degli occhiali i suoi occhi marroni
erano lucidi ed era paonazza; sembrava stesse per piangere da un
momento all'altro. << Aron? Rispondi! Dove le hai messe? >>
<< Non... non ne ho. >> mormorò lui, confuso.
<< Quante ne avete mangiate? >>
<< Nessuna, nonna... io mi sono perso la sfilata e non ho potuto
mangiarle. >> mormorò, senza guardarla in faccia.
<< Io ho mangiato solo le frittelle al burro del fornaio in
centro >> mugugnò Jòzsef, dal letto di sotto
<< Perché? >>
La nonna trasse un sospiro di sollievo, rispondendo alla domanda solo dopo un minuto buono.
<< Hanno dato l'allarme già quattro famiglie. Pare che...
i loro figli abbiano mangiato delle caramelle che... >> il suo
sguardo volò su Aron e improvvisamente cambiò espressione
<< che li hanno fatti stare molto male. Mi ero preoccupata per
voi, ecco, ma vedo che state bene, quindi rimettetevi a dormire.
>>
Abbandonò in fretta la stanza, nonostante Aron volesse chiederle qualcosa a proposito, spegnendo la luce.
<< Cinque. >>
<< Come? >>
<< La nonna si è
sbagliata. Saranno cinque, non quattro, le famiglie che porteranno i
loro figli all'obitorio, questa notte. >>
<< Che cosa?! >>
<< Il Krampus è venuto
per loro, Aron. Per Velkan, per i suoi quattro amichetti, e per quello
stupido cane. Ha dato loro quelle caramelle e li ha messi sulla sua
lista. >>
Aron ascoltava nel buio, confuso e agitato.
Non capiva le parole del fratello. Il Krampus? Il Krampus aveva dato loro le caramelle? E cosa c'entrava l'obitorio?
<<
Per quale motivo pensavi che ti avesse scartato, quando gli hai chiesto
le caramelle? Te l'ho detto, fratellino. Al Krampus non interessano i
bravi bambini. Lui viene a reclamare l'anima di quelli malvagi. >>
A quel punto Aron comprese, e per un lunghissimo momento il suo cuore smise di battere.
<< Sei stato tu. >> sussurrò così piano, che
perfino lui pensò di essersele solo immaginate, quelle parole.
Eppure Jòzsef le udì. E si arrabbiò.
<< Li hai avvelenati tutti? >>
<< Ho schiacciato delle bacche
di belladonna e ho intinto le caramelle nel succo. Velkan, poi,
è così ingordo! Scommetto che se l'è mangiate
tutte. >>
<< Ma perché l'hai fatto? >>
<< Per avverare il tuo desiderio, fratellino. >>
<< Tu mi hai obbligato a scrivere quel nome sulla lettera! >>
<< Sì, perché
senza di me tu saresti perduto! Spreco il mio tempo a badare a te, a
guardarti le spalle e a tirarti fuori dai guai, e mai una volta mi sono
sentito dire grazie. >>
<< Vuoi che ti ringrazi di aver avvelenato cinque bambini? >>
<< Come ti pare. Se la cosa
proprio ti sconvolge, prega che si salvino. Forse, se riescono a farli
vomitare, magari ce la faranno anche. Così ti potrai preparare a
trascorrere molti futuri Natali con Velkan, ma per quanto mi riguarda,
tu sei morto per me. >>
Quelle furono le ultime parole che si scambiarono, prima che entrambi
spofondassero nel silenzio. Quanto durò? Secondi? Minuti? Dopo
un po' Aron si addormentò. Fece un sonno senza sogni, turbato,
spaventato, e da qualche parte dentro di sè sentiva che l'unica
cosa che desiderava era potersi svegliare.
E, quasi come in un sogno reale, qualcosa parve assecondare la sua disperata richiesta.
Aron si svegliò di soprassalto, frugando con gli occhi nel buio,
senza riuscire a vedere niente. Poi qualcosa attirò la sua
attenzione. Voltò la testa e vide una figura, in piedi, vicino a
lui.
Per poco non gli sfuggì un grido.
<< Jòzsef? >> sibilò, cercando di calmare il respiro << Che stai facendo? >>
Si era rimesso il mantello con il largo cappuccio a coprirgli il volto.
Come se ce ne fosse bisogno, l'intera stanza era avvolta
dall'oscurità.
Perché l'aveva indossato di nuovo?
E perché se ne stava lì, come se dovesse parlargli, non gli aveva detto che per lui Aron non esisteva più?
Queste e mille altre domande gli attraversarono la mente, prima che il
bambino potesse rendersi conto di una cosa, in particolare; qualcosa
che lo avrebbe tormentato per sempre, nei suoi incubi peggiori.
Quell'essere che se ne stava lì, davanti ad Aron, era alto come
Jòzsef, indossava lo stesso mantello di Jòzsef... ma non
era lui.
Quale
misteriosa e ancora troppo sconosciuta creatura è, il Krampus.
Ci sono solo due cose che possiamo fare, per proteggerci da lui.
La prima è non guardarlo mai
negli occhi, poiché, attraverso i nostri, lui toccherà i
nostri pensieri, scoprirà di chi ci fidiamo, e ci si
maschererà dietro...
<< Sei un bravo bambino, Aron. Lo sei sempre stato. >>
Quella era la voce di Jòzsef, ma lui sapeva, sapeva che non
poteva essere lui. Non era lui, ne era sicuro, riusciva a percepirlo,
ogni singola cellula del suo corpo urlava pericolo, doveva smettere di fissarlo negli occhi.
Eppure, nonostante l'oscurità, gli occhi del Krampus brillavano
di luce propria; era un colore indefinibile, ma labile e magnetico, e
malgrado gli sforzi, Aron non riuscì a guardare altrove.
<< Stai tranquillo, sono io. >> insisteva la voce di suo
fratello, facendosi strada nella sua testa. Era così calda e
gentile, che per Aron era impossibile non ascoltarla. << Torna a
dormire. >>
La seconda cosa che non dobbiamo mai fare, invece, è appropriarci, anche per gioco, della sua identità.
* * *
Al cimitero di Kaposvàr, nel lato est, è stato eretto un mausoleo, con sei tombe all'interno.
Tutti e sei bambini, deceduti in circostanze misteriose, la notte del 5 dicembre del 1998.
Cinque di essi
erano stati portati d'urgenza in ospedale in seguito ad
un'intossicazione alimentare, ma con una lavanda gastrica effettuata
per tempo, sembrava che fossero fuori pericolo. Furono trovati senza
vita il mattino seguente.
Il sesto
ragazzo, invece, fu trovato in giardino dai familiari. La finestra
della camera condivisa con il fratello minore era aperta, e il caso era
stato archiviato come suicidio; pareva che si fosse lanciato di sotto,
rompendosi l'osso del collo nella caduta.
L'unica cosa
che tutti e sei avevano in comune, era un piccolo carillon a
scatoletta, trovato accanto ad ognuno dei corpi, che riproduceva il
motivetto natalizio di Jingle Bells in chiave minore.
* * *
L'ho scritta di getto, non so cosa mi è preso, ma ho sempre avuto qualcosa di indisponente verso il Natale,
qualcosa che non me l'ha mai fatto apprezzare al 100%
Oltre a questo, sicuramente ha giocato
un ruolo importante quest'ultimo mese il fatto che il film "Krampus",
che attendevo da quasi un anno,
non verrà proiettato nelle sale
italiane. Per una volta che un film metteva in risalto il lato oscuro
del Natale, ecco che viene censurato... io boh.
Il motivetto nella relativa minore di
Jingle Bells è inquietante ( beh, è fatto apposta ), ma
lo trovo comunque divino, se siete curiosi:
https://www.youtube.com/watch?v=4h_6aRAxcwU
P.S. il titolo è un estratto della nostra Adeste Fideles.
Grazie di aver letto, spero di non aver rovinato l'atmosfera natalizia a nessuno :P
e grazie in anticipo a chi vorrà lasciarmi un parere.
L.L.
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