Questa storia
è
per _Lady di inchiostro_
Che
l’ha
espressamente chiesta come regalo di Natale
Quindi, Buon
Natale!
Manipolazione,
lame sul ghiaccio e abbracci
Era
una fredda mattina di dicembre, l’aria gelida filtrava
dall’esterno sotto forma
di fastidiosi spifferi, che provavano ad infilarsi sotto la coltre di
coperte
avvolte ai due corpi addormentati sul letto. Rufy sbuffò,
continuando a dormire,
e ritirò al caldo il piede che sporgeva da sotto la
trapunta. Non era ancora
abbastanza però: anche nel sonno riusciva a sentire il
fastidio delle dita
gelide e mosse il piede verso la fonte di calore accanto a
sé.
La
fonte di calore altri non era che Trafalgar Law, il quale
trasalì al contatto
dell’alluce freddo di Rufy contro la caviglia, risvegliandosi
di colpo da
quello stato di torpore che lui chiamava sonno, mentre ancora
l’altro ronfava
beatamente.
Rufy
si era del tutto raggomitolato sotto il piumone, con solo una gamba
allungata
verso di lui, e Law l’avrebbe trovato carino in qualsiasi
altro momento, se
quel piede gelido non l’avesse appena svegliato. E Rufy
seguitava a dormire,
con un’espressione da perfetto beota in faccia e la bocca
aperta, ignaro.
Law
gli scivolò accanto, stando ben attento a non far cadere la
coperta dalle
proprie spalle – aveva freddo anche lui! – e si
sporse verso le spalle del
minore, incurvate su se stesse. Dopo aver deciso con precisione
chirurgica, e non per modo di dire, il
punto che gli
interessava, calò a labbra aperte su di esso, chiudendo la
pelle tra i denti.
La
reazione di Rufy fu praticamente immediata: il ragazzo saltò
sul materasso,
sbrogliando il groviglio di membra e lenzuola che era diventato, e la
sua mano
corse a massaggiarsi la spalla interessata. Il tutto sotto il ghigno
sadico di
Law.
«Ma
ti sei impazzito?» esclamò offeso. Si era alzato
sui talloni e nel farlo aveva
tirato con sé tutta la coperta, lasciando Law a petto
scoperto nell’aria
pungente della stanza.
Quello
afferrò un lembo di piumone e se lo sistemò di
nuovo addosso, stavolta
lasciando Rufy senza protezioni. «Colpa tua. Mi hai svegliato
per primo.»
spiegò calmo.
«Non
è vero!» ribatté l’altro,
testardo come sempre. «E ridammi quella coperta!»
aggiunse dopo un secondo, rabbrividendo.
«Hai
provato di nuovo a piazzarmi i tuoi piedi gelidi addosso.» lo
informò Law, per
nulla intenzionato a lasciare quel nido di caldo tessuto che si era
costruito
attorno.
«Avevo
freddo!» si giustificò Rufy, poi si
lanciò contro di lui, per appropriarsi di
un piccolo spazio al calduccio. «E ho freddo anche
ora.»
La
leggera peluria sulle braccia del ragazzo era ritta, e aveva
un’espressione
così tanto imbronciata, che Law contemplò
l’idea di lasciarlo morire di freddo
solo per godersela; decise però di essere generoso, e
tirò un lato di coperta
verso Rufy. Quando entrambi furono nuovamente sotto il piumone, faccia
a
faccia, Rufy gli strisciò più vicino.
«Però di notte diventi sempre bollente.»
gli fece notare, ancora lievemente indispettito, poggiando un palmo
freddissimo
sul braccio dell’altro, tanto caldo da sembrare febbricitante.
«Non
è un buon motivo per usarmi come scaldino, peste.»
Law alzò gli occhi al cielo,
senza riuscire a frenarsi dall’utilizzare
quell’appellativo che svelava il
reale affetto dietro le sue parole.
Rufy
ridacchiò e si strusciò contro di lui, per
rubargli un po’ di quel tepore, e
questa volta Law glielo lasciò fare senza lamentarsi; lo
fissava con un
sopracciglio alzato, ma con un sorrisetto che gli stirava le labbra.
Non
riusciva a rimanere arrabbiato con lui, un po’
perché a Rufy non sembrava
importare, un po’ perché trovava davvero difficile
continuare ad esserlo quando
quel corpicino si strofinava sul proprio.
«Stai
fermo.» gli intimò, senza perdere quel ghigno,
sovrastandolo. Rufy continuò a
ridacchiare, ma accettò parecchio di buon grado i lievi
morsi che Law prese a
dargli sulle clavicole. Presto i morsi divennero baci, e si spostarono
verso il
collo, e ancora dopo sulla bocca. Mentre le mani tatuate del maggiore
scendevano a posizionarsi sui fianchi di Rufy, quest’ultimo
si tirò via dal
bacio con un mugugno. Il suo sguardo non prometteva niente di buono, e
Law
seppe che quello che stava per chiedergli con tutta
probabilità non gli sarebbe
piaciuto.
Rufy,
dal suo canto, aveva ormai brevettato quella tecnica; proporre
attività a Law
in quei frangenti gli assicurava un facile assenso: Law detestava
perdere
tempo, soprattutto quando cercava di fare sesso.
«Questo
pomeriggio andiamo alla pista di pattinaggio?» gli chiese.
Law
riprese a baciargli il mento, massaggiandogli l’addome con i
polpastrelli,
l’altra mano usata per tenersi in equilibrio. «Non
sai pattinare.» puntualizzò,
decisamente contrariato dalla piega che stava prendendo quella
conversazione.
«Voglio
imparare!» Rufy scivolò in alto, per impedirgli di
continuare ciò che stava
facendo e lo fissò.
Law
si passò una mano sul viso. La situazione era parecchio
semplice, a volerla
analizzare: lui aveva un’erezione, e Rufy non aveva
intenzione di demordere
fino a quando non avesse accettato quell’assurda proposta. La
sua parte più
razionale gli diceva di non cedere, di dire “no”,
opporsi alla natura di despota
del ragazzino, che gli avrebbe portato solo rogne. L’altra,
quella annebbiata
dall’improvvisa affluenza di sangue alle proprie parti basse,
lo pregava di
dire “sì” e passare alla parte in cui
scopavano.
Alla
fine, maledicendosi per la sua carne debole, Law si arrese e
annuì in silenzio.
Rufy si lasciò scivolare nuovamente sotto di lui e gli
rivolse un sorriso a
trentadue denti, con quella sua risata da demente. Law gli
tappò la bocca con
un ennesimo bacio, ricambiato con slancio dall’altro, e le
sue mani tornarono
nella posizione di prima, mentre gli sussurrava nell’orecchio
“però i tuoi
fratelli li chiami tu.”
**
Tutto
sommato, Law doveva ammettere che quell’idea non era stata un
completo
disastro. Il tirocinio lo stava uccidendo, e potersi distrarre un
po’ durante i
finesettimana non gli faceva che bene, anche se significava stare due
giorni
interi a stretto contatto con quella piaga del suo ragazzo. Durante la
settimana era difficile che potessero vedersi, e le poche volte che
accadeva,
era Law ad andare da Rufy, beccandosi le occhiate scure dei suoi due
fratelli.
Quindi
non gli dispiaceva il fatto che Rufy passasse il sabato e la domenica a
casa
sua, comunque, pur impegnandosi al massimo per non darlo a vedere; Rufy
lo
sapeva, e quella era la cosa importante.
Aveva
anche trovato parcheggio a soli cinque minuti dalla pista, e adesso
camminava
con le mani affondate nella giacca nera, gli occhi puntanti sulla
figura super
eccitata di Rufy. Il ragazzo saltellava nella neve, precedendolo di
qualche
metro verso l’entrata del palazzetto. Aveva il cappello tutto
pieno delle neve
che, lenta, scendeva vorticando dal cielo bianco.
Rufy
si fermò proprio prima di entrare e si voltò a
guardarlo con il solito sorriso
sgargiante, per fargli cenno di sbrigarsi, mentre scompariva
all’interno della
porta girevole che dava nell’atrio. Law accelerò
il passo, e, una volta dentro,
lo trovò alla coda di una fila di persone, probabilmente a
turno per il ticket.
Si
affiancò al minore e gli lanciò
un’occhiata scocciata, che l’altro
liquidò con
un risolino. «Non vedo l’ora di mettere i
pattini!» stava esclamando a gran
voce, attirando nel frattempo tutto gli sguardi dei presenti.
Law,
suo malgrado, stirò l’angolo della bocca in un
ghigno. «Hai detto di non saper
pattinare.» gli ricordò. Rufy lo fissò
per qualche secondo, poi gli passò un
braccio attorno al busto e rise. «Allora mi insegnerai tu,
Torao.»
«Non
credo proprio.»
Ma
Law aveva di nuovo sottovalutato il potere manipolativo di Rufy e il
proprio
istinto di protezione nei confronti del ragazzo; era caduto
già tre volte, di
sedere, sul ghiaccio duro, e alla fine Law si era staccato dalla
barriera che
limitava la pista e gli si era avvicinato, scivolando piano sulla
lastra. Rufy
gli teneva gli occhi fissi addosso, con un’espressione
invidiosa. «Mi insegni?»
gli chiese di nuovo, una volta in piedi. Le gambe gli tremavano un
po’ ed era
palesemente in precario equilibrio. Law stese un braccio verso di lui,
vacillando giusto un secondo quando quello vi si aggrappò,
solo per ritornare
fermo subito dopo.
«No.»
rispose, diretto verso l’uscita della pista, con Rufy
ancorato al braccio, che
si lasciava trascinare.
«Perché
no?» chiese. Aveva gonfiato le guance, come un bambino
capriccioso, e lo
guardava imbronciato; a volte, Law si chiedeva a cosa fossero serviti
diciannove anni di vita su di lui, e se non fossero effettivamente
andati persi
a causa delle botte che aveva preso a kick-boxing. Per esempio in
momenti come
quello, quando Rufy sembrava regredire all’età di
dieci anni, e pensare che
fino a qualche ora prima ci aveva pure fatto sesso!
«Perché
no.» ribadì.
Rufy
conficcò la punta di metallo dei
pattini nel ghiaccio, provocando il repentino arresto di entrambi.
«Daai!»
cantilenò e gli scosse il braccio. Lo tirò
indietro verso la pista, ma la lama
del pattino graffiò la lastra, perse quel poco attrito che
aveva, e lui cadde
all’indietro.
Non
arrivò mai a toccare terra, perché Law era
riuscito ad afferrarlo per il bavero
del giubbotto giallo. «Tieni le gambe più dritte e
un po’ divaricate. Così sei
più fermo.» gli disse, mentre Rufy si rimetteva
sui propri piedi, con un
sorrisone, facendo quello che gli era stato detto.
«Hai
ragione!» si mise a molleggiare sulle ginocchia, poi
alzò lo sguardo verso il
maggiore, uno sguardo stupito ed esaltato; aveva le guance arrossate e
gli
occhi lucidi, e Law quasi cedette all’istinto di dargli un
bacio sulla punta
del naso, rivolto com’era all’insù e
arrossato anch’esso. Non lo fece, ma gli
concesse un rapido sorriso.
«Per
muoverti, devi spostare il peso da una gamba all’altra. Muovi
i piedi verso
fuori, appena senti meno attri- appena ti senti scivolare, posi
l’altro piede.»
gli spiegò, facendo qualche metro in modo che lo vedesse.
Rufy annuì eccitato e
provò ad imitarlo: buttò tutto il peso sulla
gamba destra, ma appena sembrò
perdere l’equilibrio, si appoggiò completamente
sulla sinistra.
«Piegati
in avanti, per darti meglio lo slancio, e per fermarti fai forza sui
talloni,
non sulle punte.» Rufy eseguì.
Imparava
più in fretta di quanto si aspettasse, e già dopo
pochi minuti, era capace di
seguirlo anche a velocità più sostenuta. Certo,
urtava contro tutti coloro che
gli capitavano a tiro, ma andava bene, se si considerava che non aveva
fatto
altro che cadere fino ad allora. Rideva, contento, e si era messo a
giocare ad
acchiapparella con un gruppo di bambini sulla pista, sotto lo sguardo
esasperato, quanto stranamente intenerito di Law, che nel frattempo era
tornato
alla sua postazione sul bordo della pista.
Non
era tanto male stare lì ad osservare Rufy, e a vederlo
ridere come un bambino,
anche perché Rufy aveva un bel sorriso. Non che se ne fosse
accorto in quel
momento, ma c’erano volte in cui ci faceva caso
più del solito. Mentre giocava
con quei bambini, sembrava nel proprio ambiente naturale tanto quanto
lo
sembrava all’interno del cerchio di combattimento(*), quando
neanche i colpi
più forti riuscivano a scalfire la sua espressione
concentrata e truce.
I
primi tempi, Law aveva quasi pensato che Rufy soffrisse di sbalzi
d’umore, poi
aveva capito che era il suo modo di adattarsi alle situazioni. In
quanto a
classificazione, era proprio un bambino; per lui gioco era gioco,
combattimento
era combattimento, coccole erano coccole e così via. Allo
stesso modo era per
le emozioni: Rufy veniva totalmente investito da esse e passava
dall’una
all’altra con una rapidità che inizialmente lo
confondeva. Gli ci erano volute
settimane per stargli al passo.
Si
chiedeva spesso perché e come una persona come Rufy avesse
finito per
fidanzarsi con lui. Rufy era espansivo, e tendeva a riversare affetto
su chiunque
gli si parasse davanti, ma lui? Law era tutto cinismo e
impassibilità,
l’affetto non era propriamente nelle sue corde, con poche
eccezioni, e l’amore
ancor meno. Eppure, più per effettiva memoria che per
romanticismo (o almeno
così soleva dire a se stesso), ricordava benissimo la prima
volta che si erano
incontrati: era un incontro di kick-boxing, al quale partecipavano i
suoi due
amici Shachi e Penguin. Rufy era della categoria inferiore, quindi ci
era
andato solo per guardare, ma quello non l’aveva dissuaso dal
parlargli e
provare ad essergli amico. L’aveva esasperato talmente tanto,
che Law era
arrivato a promettergli che avrebbe assistito al suo, di scontro, la
settimana
successiva. Nei giorni a seguire aveva deciso di non andarci, ma la sua
coscienza non era d’accordo, e si era ritrovato a fissare
Rufy che menava pugni
e calci con estrema precisione e potenza. La settimana ancora dopo
erano andati
al cinema.
Gli
ci era voluto di più per accettare il fatto che gli piacesse
anche più che come
un amico. Rufy non sembrava porsi problemi di alcun genere; non gli
importava
che Law avesse sette anni in più di lui, né che
non andasse a genio a suoi
fratelli, né che fosse un maschio. A Rufy, Law piaceva, e
tanto bastava.
Per
Law non fu così semplice. Non riusciva a concepire di
essersi preso una sbandata
per un ragazzino iperattivo, spesso infantile ed innegabilmente
demente, però
il proprio comportamento non lasciava dubbi: aspettava i suoi messaggi,
diventava impaziente di vederlo e un paio di volte aveva provato la
voglia di
spingerlo contro la porta di casa e divorargli quelle labbra sempre
atteggiate
a sorriso. La terza l’aveva semplicemente fatto, e Rufy aveva
semplicemente
ricambiato, senza smettere un attimo di sorridere.
Da
allora il loro rapporto si era stretto sempre più, e quella
relazione fatta di
ingenue manipolazioni, impercettibili sorrisi e, sì,
anche parecchio sesso, aveva compiuto quasi un anno. E Law
aveva finalmente capito che Rufy era proprio la ventata di aria fresca
di cui
la sua vita aveva bisogno.
Stirò
di nuovo le labbra, proprio mentre Rufy gli si avvicinava, ancora un
po’
barcollante e non del tutto stabile, e si addossava al bordo della
pista di
fianco a lui.
«Torao?»
disse, per riscuoterlo dallo stato di trance in cui sembrava essere
caduto.
Law
scrollò le spalle e lo mise a fuoco. Rufy lo guardava dal
basso, le ciocche
nere sfuggite al capello di lana rossa che gli coprivano la fronte e
gli occhi.
Alzò il viso verso di lui, avvicinandosi per squadrarlo con
aria curiosa.
«Perché mi stavi fissando?» gli chiese,
le iridi castane che intercettavano
quelle grigie, già pronte a scattare verso l’alto.
Law
era ormai abituato a domande di quel genere; sfoderò il suo
ghigno e affondò
una mano nella tasca del giubbotto. «Non posso
farlo?» assottigliò gli occhi.
Rufy
sembrò pensarci su. «Certo che puoi.»
decretò infine, senza però sembrare tanto
convinto delle proprie parole.
Il
maggiore avvertì un improvviso moto d’affetto
verso di lui e decise di
rispondere senza sarcasmo, per un volta. «Pensavo che mi
piace come ridi.» si
strinse nelle spalle, e si godette l’espressione meravigliata
di Rufy. «Sei
carino.» gli rivelò. A quel punto Rufy produsse,
se possibile, un’espressione
ancora più sconcertata. Law non seppe mai cosa fosse passato
nella testa del
ragazzo in quel momento, ma pochi secondi dopo Rufy gli rivolse il
sorriso più
luminoso che avesse mai visto e gli si lanciò addosso,
poggiando le labbra
sulle sue, in un bacio dato tanto di slancio che i loro denti
cozzarono. E a
Law non restò che registrare le numerose paia di occhi fisse
su di loro, prima
di socchiudere i propri e lasciarsi andare al bacio.
**
Erano
rimasti a pattinare tutto il pomeriggio, o meglio, Rufy aveva
pattinato, mentre
Law aveva passato la maggior parte del tempo ad evitare che
l’altro si
procurasse fratture o lesioni multiple cadendo sul ghiaccio (anche se
il
ragazzo aveva la pelle più dura di quanto non sembrasse).
Law
guardò il proprio orologio da polso, e si stupì
di vedere che erano già le
sette di sera; era il caso che entrambi tornassero a casa e che Rufy
preparasse
il borsone per tornare dai suoi fratelli. I due non erano molto rigidi
sull’orario, ma Law era sicuro che non sarebbero stati
contenti se l’avesse
riportato tardi anche la domenica, cosa molto probabile, considerati i
tempi
del minore.
Si
inoltrò sulla pista, giungendo al fianco di Rufy, che ancora
cercava di
esibirsi nei volteggi aggraziati mostratigli da uno strano uomo con dei
pattini
a forma di cigno. Il ragazzo si stava impegnando, ma non era elegante
nemmeno
la metà dell’uomo-cigno e perdeva
l’equilibrio ogni due per tre.
Law
gli afferrò un braccio, e richiamò la sua
attenzione. «Dobbiamo andare,
Rufy-ya.»
Rufy
sgranò gli occhi e occhieggiò
all’orologio dell’altro. «Di
già!?» si lamentò,
sporgendo all’infuori il labbro inferiore, salvo poi annuire,
rassegnato. Si
liberò dalla presa di Law con uno scatto. «Vado a
salutare Bon-chan!» Law
rabbrividì a quel soprannome, e ringraziò che
Rufy si accontentasse di
chiamarlo Torao, senza suffissi vari ed eventuali.
Pattinando
veloce, Rufy si era avvicinato all’uomo-cigno, e adesso i due
si stavano
abbracciando come se fossero amici di vecchia data; Law poteva giurare
di aver
visto quel tipo tirare fuori dai propri pantaloni un fazzoletto
ricamato che
usò per soffiarsi il naso, per poi baciare Rufy su entrambe
le guance. Si
appuntò mentalmente di costringere il suo ragazzo a farsi
una doccia con del
disinfettante, mentre combatteva la voglia di strapparlo a quello
strano
individuo.
Alla
fine, un po’ abbattuto, Rufy tornò verso di lui, e
gli circondò i fianchi con
un braccio, lasciandosi trascinare a bordo pista; Law, senza pensarci,
passò
invece il proprio braccio sopra le sue spalle sottili e strinse
leggermente.
Non
ci misero molto a togliersi i pattini e rimettersi le scarpe, e
riuscirono anche
a passare dalla caffetteria, dove Rufy prese due enormi panini con
hamburger,
che riuscì comunque a spazzolare in pochi secondi. Law si
chiedeva ancora come diamine
facesse.
La
neve aveva ripreso a cadere lenta dal cielo, quando uscirono, e Law
sfregò le
mani coperte dai guanti tra di loro, soffiò
dell’aria calda tra di esse, e
indossò gli occhiali che schermavano i fiocchi bianchi.
Cominciò a camminare,
con il minore alle calcagna, che blaterava di quanto fosse stata una
bella
giornata, e di quanto però fosse stanco.
«Toraao!»
chiamò. Law si voltò verso di lui. Rufy teneva le
mani affondate nelle tasche,
per mantenerle al caldo e lo stava guardando in modo strano.
Mugugnò,
facendogli capire che stava ascoltando.
Il
minore sorrise, ma c’era qualcosa di troppo
strano in quel sorriso. Era uno dei suoi soliti sorrisi,
certo, tutto denti
e occhi socchiusi, però Law era sicuro che Rufy stesse per
combinarne un’altra
delle sue.
«Torao,
sono stanco.» Ripeté, spostandosi di lato, in modo
che le loro braccia si
toccassero.
L’altro
alzò gli occhi al cielo. «Ti riposerai in
macchina.»
«Ma
io sono stanco ora!» ribatté di nuovo Rufy. Adesso
Law stava cominciando a
capire cosa volesse quella peste. Deglutì e si strinse nelle
spalle, senza
guardarlo.
«Aspettami
qui, allora.» propose, ma sapeva già che il
ragazzo non avrebbe mai accettato.
Infatti, Rufy scosse la testa e gli si parò davanti,
sbarrandogli la strada.
«Mi
porti sulle spalle, Torao?» sbottò infine.
Il
sorriso gli andava da un lato all’altro della faccia e
– dannazione a lui – perché
riusciva a buttare giù tutti i buoni
propositi di Law sull’ignorare le sue assurde richieste, solo
facendogli gli
occhi dolci?
La
palpebra sinistra del maggiore tremò appena, mentre lo
spostava con un braccio
e continuava a camminare. «No.» Quella volta non
l’avrebbe avuta vinta; poteva
ottenere quello che voleva sfruttando la sua incapacità di
ragionare
lucidamente mentre facevano sesso, ma in quel momento aveva il pieno
controllo
su se stesso, e non aveva intenzione di scarrozzarlo fino
all’auto.
Purtroppo,
ragionare in quel modo quando si trattava di Rufy, significava fare
conti senza
l’oste; un peso improvviso lo fece quasi cadere, un paio di
gambe gli si
allacciarono ai fianchi, e delle braccia gli circondarono le spalle e
il collo,
nel quale, a distanza di pochi attimi, affondò un naso
freddissimo.
Law
avvertì un’altra contrazione della palpebra, e
inspirò a fondo per non mandare
Rufy a gambe all’aria nella neve.
Rufy
strofinò la guancia e le labbra sulla pelle esposta del
collo di Law,
riscaldandolo con il proprio respiro. Torao aveva un buon odore, e gli
piaceva
averlo nelle narici. Forse, si disse mentre inalava quel profumo che
sapeva
lievemente di disinfettante, forse gli piaceva quanto quello della
carne.
Si
rilassò contro la schiena del maggiore, sicuro che, volente
o nolente, non l’avrebbe
mai lasciato cadere giù, e sorrise quando sentì
le braccia di Law passare sotto
le proprie ginocchia, per sostenerlo meglio. «Sei
insopportabile.» sussurrò
quello, girando il viso per incrociare il suo sguardo. Cominciarono a
muoversi.
Rufy
ghignò e Law alzò gli occhi al cielo, prima che
l’altro richiamasse la sua
attenzione su di sé. «Però ti piaccio
lo stesso!» esclamò e gli sorrise.
Law
strinse le labbra e le guance gli si colorarono di un lieve rosso.
Sbuffò,
incapace di contraddire il minore, che per enfatizzare le proprie
parole gli si
era stretto addosso di più. «Anche tu mi piaci
tanto, Torao.» borbottò Rufy, la
voce smorzata contro la schiena di Law. «Anzi
io…» iniziò a dire, prima di
bloccarsi nel bel mezzo della frase. Il suo fiato fuoriuscì
dalla bocca ancora
aperta con una nuvoletta bianca.
Law,
strano a dirsi, sentì lo stomaco contrarsi a quelle uniche
due parole, e si
scoprì curioso di sapere cosa Rufy volesse dire.
Rafforzò la presa sotto le
ginocchia del ragazzo, che gli si erano strette sui fianchi, e si
voltò
indietro, verso il viso premuto contro la sua scapola.
Sapeva
benissimo, Law, di non essere una persona romantica. Eppure, in quel
momento,
quando i suoi occhi incrociarono quelli di Rufy, poté
giurare di sapere
perfettamente le parole che lui non era riuscito a pronunciare.
Il
ragazzo mugugnò e distolse lo sguardo, come se avesse capito
cosa stava
passando per la mente di Law. Con il volto nascosto, non
riuscì a vedere il
piccolo sorriso che incurvò le labbra del maggiore, il
quale, tornando a
guardare la strada di fronte a sé, rispose.
«Anch’io,
peste.»
Nonostante
gli strati di stoffa, Law riuscì perfettamente ad avvertire
il sorriso di Rufy
aprirsi.
(*)
Il cerchio di combattimento a kick-boxing
Note della pazza
autrice:
Sì,
come ho già detto, questa storia è per la mia
adorata _Lady
di inchiostro_
(Zaira, per gli amici), che mi ha chiesto di pubblicarla come regalo di
Natale,
e non ho saputo dirle di no. (Psst! Se siete fan della Lawlu, andate a
leggere
le sue storie e sommergetela di recensioni, perché le merita
tutte!)
Andiamo
avanti. Sono perfettamente consapevole del fatto che questa storia sia
un
concentrato di fluff puro e che vi sarà schizzato il diabete
alle stelle, ma
capitemi. Le feste, la gioia, l’anime che si avvicina sempre
più al capitolo
783… insomma!
Sono
consapevole anche del fatto che Law è OOC, ma come ho detto,
non credo lo sia
per tutta la storia, quindi ho evitato di mettere
l’avvertimento, ma se credete
che sia necessario, lo farò senz’altro! A
proposito di questo, la Lawlu per me
è ancora in sperimentazione, quindi se avete consigli da
darmi o critiche da
muovermi, li accetterò sicuramente. Fatemi sapere cosa ne
pensate, ve ne sarei
grata!
La
fanart non è mia, ma appartiene a tinytinyporing che potete trovare su tumblr e su pinterest.
Ultima
cosa: BUON
NATALE A TUTTI E BUONE FESTE!
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