Meant to be gods
Disclaimer: Albert
Wesker, Alex Wesker, Excella Gionne, Spencer e tutti gli altri
personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e
a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata
scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine
lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui
descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non
ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia
autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
"They called me a
sinner; I have no need for sainthood.
I'm a god."
- CNS -
Meant
to be gods
She's sticking needles in
her skin, I turn with an ugly grin.
Un prototipo.
L'avanguardia del nuovo mondo, gli alfieri del nuovo dio.
Rapiti, mutilati,
plasmati.
Creati,
studiati, spronati.
Menti assoggettate, obiettivi condivisi, fedeltà imperitura.
"Tutto ciò non giustifica nulla."
"Lo so."
"Avevamo comunque il nostro libero arbitrio."
"Lo era davvero?"
"Sì." Non
voglio credere altrimenti.
"Forse; la verità è che non lo sapremo mai."
"Non ho mai creduto nella stronzata del villain dal triste e tormentato
passato; che basti un trauma a renderli quello che sono, o una parola
sbagliata da mammina cara."
Un sorriso; una piega pericolosa e anomala.
"Ma noi abbiamo
avuto un triste e tormentato passato. Un vecchio folle per
padre, un'infanzia rubata, una vita strappata. In
fondo, siamo proprio l'archetipo del villain perfetto."
Alex si fissa un'unghia scheggiata, alza un sopracciglio.
"E Redfield, allora?"
Il sorriso scivola via, liquefatto.
"Non ha forse anche lui tutti i requisiti per essere il villain
perfetto?"
L'irritazione di Albert le corrode le vene, la sua lo soffoca quasi.
"Eppure è lui
l'eroe della storia."
Un movimento in avanti, lo scatto convulso del predatore messo
all'angolo.
"Eppure è a lui
che vanno gli onori."
Albert snuda i denti, affonda le dita nelle sue spalle.
"Eppure è lui
che ricorderanno."
Quando una scelta non
è una scelta?
Albert stringe,
Alex ride sotto
le sue mani.
Sulla sua bocca la parola villain
non ha più alcun significato.
Oh, she's beautiful, a
little better than a man deserves.
Tutti siamo la storia di qualcuno.
Tutti facciamo parte di almeno un trafiletto di quella che chiamiamo
vita.
Alex si sarebbe accontentata d'impugnarne la penna e poterne scrivere
almeno un pezzo, Albert no.
Albert voleva riscriverla la storia, plasmarla.
Albert voleva prendere il libro del mondo e bruciarlo, vergare
nuovi destini e creare nuovi personaggi.
Albert voleva tutto
e aveva stretto niente.
"Master Alex."
Atteggiamento contrito; professionalità impeccabile.
"Nei laboratori si chiedono che fine abbia fatto."
Sangue secco sotto le unghie, nelle vene.
"Gli esperimenti procedono, ma c'è bisogno della sua
autorizzazione per portarli al livello superiore."
Capelli aggrovigliati, labbra spaccate.
"So che la perdita di suo fratello..."
"No."
Stuart non scappa, non retrocede; ha venduto l'anima a quella donna e
per quella donna morirà.
"Non lo sai." è tutto quello che dice e scivola poi via
dall'angolo in cui si era nascosta, un'ombra così sottile
che solo la porta del bagno che sbatte conferma a Stuart che
c'è veramente
stata.
Stuart storna lo sguardo e fissa il cielo senza sfumature di
Sushestvovanie.
You are not insane,
please tell me she won't change.
"La verità è che siamo già tutti morti
e non lo sappiamo."
Alex china il capo,
affonda insieme all'acqua che le scivola tra le scapole.
"La verità è sempre stata questa."
William mastica una barretta di cioccolato presa da chissà
dove, studia le pareti pallide del bagno.
"Carino come hai arredato qui; un po' troppo nero per i miei gusti, ma
scommetto che Albert ha apprezzato."
Alex si passa la lingua sulle labbra, blandendo un taglio
particolarmente profondo.
"Anche ad Annette piaceva il nero. Non quanto ad Albert, s'intende: per
la miseria, quell'uomo sembrava sempre pronto per un funerale."
Alex inspira; il vapore le rende difficile farlo.
"Il suo, a
giudicare da come si sono poi messe le cose."
"Tu sei morto." mormora Alex "Siete
tutti morti."
"Oh, lo so, mia cara." replica Annette, e Alex chiude di scatto il
miscelatore della doccia "Lo siamo sempre stati."
Incespica nei suoi stessi passi, si aggrappa alla maniglia della porta.
"Non fare così,
Alexandra; non è poi la fine del mondo."
Alex aggrotta le sopracciglia, dilata la pupilla.
"Almeno: non ancora."
Aelita dondola i piedi oltre il bordo della vasca, le sorride come
quella mattina di vent'anni fa.
"Voi siete morti."
sibila di nuovo, ma è un rantolo sfiatato; privo di
convinzione.
"Non è questo il punto." e impallidisce Alex, lo fissa, e stringe
l'asciugamano fino a far sbiancare le nocche.
William si pulisce la camicia da una briciola immaginaria, Annette si
porta l'indice sotto l'occhio e
tira, osservando la ragnatela di rughe che si apre attorno
l'orbita.
"Il punto è che..."
Alex si volta di lato e vomita paura e disperazione.
We were meant to be
together, now die and fucking love me.
È dimagrita; Albert può sentirlo da come la sua
pelle si tende sulle
ossa del bacino.
Nel buio della stanza sono solo due profili pallidi e sovrapposti;
curve che si muovono e
gemono e
vengono con
il disperato abbandono di chi non possiede nulla.
Albert sospira sulla sua bocca, le afferra una coscia e stringe, lasciando
che Alex s'inarchi all'indietro e...
"Non sarebbe dovuto
succedere."
"Lo so."
Non è solo sesso; non è solo amore.
Alex gli ha morso una spalla, ha disegnato figure di sangue e voglia
sulle lenzuola.
Sul cuscino c'è ancora la sua impronta, disinibita; famelica.
Ai suoi fianchi, vicino alla curva morbida delle natiche, i pugni
serrati di Alex; dita che aveva poi intrecciato nei suoi capelli e...
"Raccontami."
"Cosa?"
"Tutto."
Un colpo di reni; un movimento fluido e aggressivo.
Alex aveva ribaltato le posizioni e dio, se gli era
mancata.
È calda tra le gambe e
umida e cedevole.
Le passa il pollice sulle labbra e raccoglie rosso e bianco - sangue e altro.
Alex lo trattiene tra i denti e morde
- ancora.
"Jill Valentine."
"Sì."
"Redfield ti
ucciderà."
"È quello su
cui conto."
I capelli di Alex sanno di olio d'argan.
Albert ci affonda il volto e geme, compiendo movimenti circolari con le
dita sui suoi fianchi.
Il vestito di Alex è una macchia di bianco che ondeggia a
ogni spinta, un velo che Albert dissacra con la stessa soddisfazione di
sempre.
Alex gli pianta i talloni nella schiena, mormora una supplica a mezza
bocca.
Albert le cerca la curva delicata del seno e...
"Spencer non ci ha
creati, Albert; non è nostro padre. Non gli dobbiamo nulla."
"Lo so."
"Allora fermati."
"Non posso."
"Ti prego."
Nell'aria, l'odore appiccicoso dell'amplesso appena concluso; tra di
loro, il sapore di un orgasmo appena vissuto.
Alex ride contro la sua pelle, chiude gli occhi: quasi gli sembra di
sentirla fare le fusa.
"Per quanto?" gli chiede, e Albert sospira.
"Non lo so." Una
settimana, un mese, due mesi, per
sempre.
"Perché?" il respiro rallenta, il cuore si regolarizza: Alex
gli si raggomitola contro il fianco e si addormenta, soddisfatta -
protetta, al sicuro.
Albert tace e ingoia una risposta che non vuole - non può
- concedersi.
She's drowning in herself
again, my god what a lovely sin.
Il vetro di contenimento le esplode in faccia con la forza di una
granata.
Alex si porta le braccia al volto, viene scaraventata qualche metro
più indietro.
Stuart grida, le guardie aprono il fuoco.
Alex scrolla il capo un paio di volte, stordita - le fischiano le
orecchie e in bocca ha il sapore ferroso del sangue.
Deglutisce - una, due, tre volte, da brava; sangue e saliva e fumo.
Il mondo è sfocato agli angoli, orrendamente sbavato al
centro.
Alex inspira, espira; spinge
sulle ginocchia e...
Click.
No.
Il mondo è ora solo una sottile linea rossa e nera.
Lost inside my dirty
head, something tells me I'm the one who's kept.
La bestia il
virus ha chiamato e lui ha
risposto.
Nel silenzio del laboratorio Albert riesce a distinguere il rumore del
sangue che gocciola, il respiro affannato di Alex, lo scricchiolio
fibroso del vetro sotto la suola dei suoi anfibi.
"Sanguini." le dice e Alex lo ignora, le braccia lungo i fianchi, i
piedi nudi e striati di rosso.
Albert annusa l'aria, blandisce la bestia. (oh, ma è
così difficile,
così
sbagliato incatenare
un
mostro di tale forza - di tale bellezza)
Alex inclina la testa di lato, lo fissa con un'espressione curiosa,
assorta.
"Alexandra." la chiama Wesker, e la bestia
il virus uggiola, gratta
contro le pareti della sua stessa gabbia. (costole che si
schiudono
come un fiore a primavera)
Alex stira le labbra, snuda i denti.
"Fratello."
mormora, e il mondo si ferma.
Plic. Plic. Plic. Acqua e sangue. Provette infrante e corpi
sbriciolati.
"Riprendi il controllo." l'ammonisce, ma è tutto
così sbagliato, così...
Crack.
Alex gira la testa di scatto, ringhia.
L'infetto cerca una via di fuga, Alex ride e azzera la
distanza che li
separa, spezzandolo
a metà.
Schiaccia sotto il tallone una parte d'intestino, allunga il mento
verso di lui e sorride,
un bambino alle prese con il suo giocattolo
preferito.
Tira poi,
svuotandogli l'addome in un colpo solo e strappandogli la
testa dal collo con un suono umido e friiiiip, quasi
morbido.
Albert inspira e l'odore del sangue lo colpisce come un pugno al centro
dello stomaco - una contrattura improvvisa nel petto e tra le gambe.
Alex ansima, Wesker si ritrova sgradevolmente
eccitato.
"Alexandra." la chiama e Alex si volta, bellissima e oscena come un
quadro di Dalì.
"Fratello." ripete, e la bestia il virus frantuma ogni
catena, ogni
gabbia.
Sanguina sulla sua bocca Alex, e Albert morde.
È solo desiderio e ossessione, cosce che si
schiudono tra le sue mani e gemiti che non hanno nulla d'umano a
colmare il silenzio.
Dovrebbe vergognarsi di stesso.
Dovrebbe trovare deprecabile questa mancanza di controllo, insultante
una tale debolezza.
Dovrebbe.
La bestia Il virus vibra tra le pareti del
suo cuore, la monta come
se
non esistesse null'altro che questo
- sangue e
sudore e
un'unica mente
che grida la stessa parola (che anela a quel solo, singolo momento in
cui sono davvero liberi)
Alex s'inarca sotto di lui, scivola sul vetro e gocciola rosso e oro.
Albert affonda, quasi volesse divorarla
- le stringe il fianco e preme,
il dolore un sapore metallico giù per la gola e sulla
lingua.
Alex lo cerca con occhi che hanno il suo stesso colore, percorre con la
punta delle dita la curva tesa della carotide, sfiora con il pollice le
labbra socchiuse di Albert.
Wesker soffoca un ansito sul suo seno, la bestia
il virus ruggisce
e
viene senza
alcuna inibizione - senza alcuna morale, indecentemente e
assolutamente
rapito.
Ah.
L'orgasmo di Alex è un grido e poi un mormorio
sommesso, una
corrente umida che spazza via ciò che resta dell'adrenalina
residua - della bestia nei loro cuori.
Plic. Plic. Plic.
"Hai perso il controllo." le dice, e Alex fissa il soffitto senza
davvero vederlo.
"Da che pulpito." replica poi, cominciando a notare i particolari che
la circondano, dagli infetti macellati
come bestie al vetro di
contenimento esploso, fino ad arrivare al corpo di Albert che la
schiaccia sull'impiantito.
Wesker emette un verso a metà tra il grugnito e il borbottio
di disapprovazione, sfregando il volto sul suo addome - denti scoperti
che le sfiorano la pelle in un'innocua minaccia.
"Dovremmo alzarci."
Nessuna risposta.
"Sono completamente sporca."
Un risata a mezza bocca.
"Odio la biochimica dei Tyrant."
"Bugiarda." replica, sovrastandola - ancora "Non eri di
questa opinione
quando..."
Alex intreccia le dita nei suoi capelli e ride come non faceva da
giorni.
She can feel it's right, so she doesn't close her eyes.
L'aria di Sushestvovanie è gelida; un sospiro che increspa
la pelle e i pensieri.
Alex incrocia le braccia al petto, si staglia contro il tramonto come
un riflesso bianchissimo e fugace.
"Per quanto?" ripete, e Albert fruga un orizzonte spoglio e violaceo.
"Non lo so."
"Sono passati tre giorni."
Albert arriccia il labbro, scopre i denti.
"Se questo è un invito, sorella,
non hai che da dirlo."
Alex assottiglia gli occhi, vibra di rabbia repressa - una scudisciata
che raggiunge Albert come un pugno.
"No." mastica, e Albert può sentirla muoversi al suo fianco
"No, fratello,
non è un invito; ma se lo intendi come tale
sentiti pur libero di coglierlo al volo."
Gronda rosso il cielo, il buio che ha già cominciato a
mangiarne gli angoli.
Albert si volta, le regala un'occhiata predatoria e tesa.
"Non ancora." le dice, e Alex alza un sopracciglio "Non posso tornare;
non ancora."
"Problemi con il progetto?" gli chiede, e Albert si annota mentalmente
che non ha mai chiamato in altro modo la sua ricerca - il progetto,
punto.
Un segno di educata disapprovazione.
"No: tutto procede come dovrebbe. Excella si sta prendendo cura delle
questioni logistiche."
Alex si fissa le unghie, annuisce.
"Non. Posso." ripete, immutabile -
immutato.
Alex solleva lo sguardo, cerca una risposta nel mezzo di tutte quelle
menzogne.
"Perché?"
Albert piega le labbra, spezza
ciò che rimane della
verità.
"Non me lo dirai, vero?"
"No."
"E quando sarà troppo tardi?"
Confusione, indecisione.
"Quando sarà troppo tardi; quando non ci sarà
più tempo, allora me lo dirai, Albert?"
"Sì."
Alex sorride, ma non c'è alcuna allegria in quel gesto
stanco.
"Lo immaginavo." e gli sfiora gli zigomi "Lo speravo."
L'arroganza è, in fondo, il coraggio dei poveri.
Oh I need the pain, please tell me she won't change.
Definitemi un mostro.
Trovatemi un termine che sia calzante, la giusta parola
perché sia
ben chiaro a tutti
cosa sia - al di là
di ogni ragionevole dubbio.
Alex osserva Sushestvovanie e muore.
Schiena rigida, gambe tese, occhi ciechi a null'altro che non sia lui.
Chris Redfield ringrazia per una medaglia che, a giudicare dal suo
aspetto, forse
non ha mai voluto.
È dimagrito e sotto la pelle abbronzata s'intravede una
pericolosa sfumatura verdastra. (disagio, nausea, colpa - orrenda e
oscena colpa)
Stringe il leggio con entrambe le mani, deglutisce; ingoia parole e
veleno.
Alex è rossa e
bianca, pallida e
debole e
sanguinante.
Ascolta Redfield, lascia che la sua vittoria sia anche la cronaca della
propria sconfitta.
"Non è proprio andata così."
Le dita di Albert sono tiepide sulla sua pelle, fragili.
"Lo so." replica Alex "Ma è quello che vogliono sentire; il
BSAA e i giornalisti, intendo."
Un mormorio sommesso; una morsa dolce alla nuca e sul cuore.
"Ci sono voluti due missili, non uno. E un fottuto vulcano."
"Melius abundare quam deficere, eh Albert?" ribatte Alex, una piega
stanca all'angolo della bocca.
Una risata, labbra fredde e morte che
lì si posano e
lì chiedono - come
sempre.
"Non dorme di notte, vero?"
Albert annuisce tra i suoi capelli, inspira - ed è come il
crepitio delle foglie secche in autunno.
"È tormentato dagli incubi; da te, da noi."
"Sì."
Alex chiude gli occhi, trattiene le lacrime.
"Tu non sei reale."
"Forse."
"Non ti rivedrò mai più."
"Dipende."
Alex si lascia sfuggire un suono amaro, una risata spezzata.
"Dio,
quanto odio quando fai così."
Chris Redfield scivola fuori dall'inquadratura della telecamera, sfugge
a una realtà che rischia di schiacciarlo da un momento
all'altro.
"Sindrome da stress post traumatico." si compiace Albert, spostandole
una ciocca bionda oltre la spalla e blandendole la pelle nuda con la
punta della lingua "Alla fine la mente del buon vecchio Chris non ha
retto alla tensione."
Alex dondola il capo all'indietro, si lascia accarezzare dalle sue mani
e dal suo corpo. (fantasmi. Null'altro che fantasmi che ancora si
cercano, si
combattono,
si amano)
Sushestvovanie scandisce una delle sue ultime albe,
"Una campagna di
vaccinazioni?"
"Esattamente."
"Allo scopo di...?"
"Il progetto T Phobos
è ormai al suo stadio finale; i tempi
stringono e non posso percorrere le vie normali di sperimentazione. La
popolazione sarà un campione più che adeguato."
Alex piange tra le braccia di un mostro che aveva chiamato in mille
modi -
Rivale. Amico. Collega.
Fratello.
- mai nel
più importante.
Silenzio.
Definitemi ora un mostro.
Chiaritemi cosa significhi essere tale, oltre la morale e la
circostanza.
"La salvezza di mio
fratello è stata nella morte
Cosa, se non solo il lato buio della luna - il riflesso cieco di uno
specchio che ci ostiniamo a ignorare (l'ansito selvaggio del prodigio
che abbiamo imparato a soffocare così bene, oh,
quali brave
persone siamo diventate alla fine della storia)
e presto sarà
anche la mia."
Anni dopo, tra la polvere di vecchie memorie e sentimenti mai sopiti
davvero, Chris guarderà negli occhi Natalia (il mostro, la
bestia, la donna) e si
scoprirà ancora incapace di
rispondere.
Maybe I should let her
go, but only when she loves me.
La verità è una malattia senza nome; una
patologia incurabile e inguaribile.
Alex fissa Claire Redfield da dietro un vetro di contenimento spesso
quindici centimetri e crolla.
Per un attimo, un terribile istante, le viene solo voglia di gridare e
mollare tutto e schiacciarle la testa contro il pavimento fino a quando
splatch, ciao ciao Claire.
Per un momento non sa più dov'è; chi è
e
cosa deve fare.
Nell'ultimo, miserevole, frammento della sua vita Alex vorrebbe solo
raggomitolarsi sul pavimento e
basta - lasciatemi
in pace. Lasciatemi
morire.
"Overseer..."
Alex rialza di scatto la testa, stringe la Metamorfosi al petto.
Claire la cerca con occhi incredibilmente azzurri, così
diversi da quelli del fratello.
TerraSave: dove
c'è il bioterrorismo, ci siamo anche noi;
per le vittime, per chi non può difendersi. Per i
dimenticati dalla giustizia.
La ragazzina di Burton si muove inquieta al suo fianco, sposta il peso
da un piede all'altro.
Non sanno cosa fare; in nessuna storia il villain ha mai temporeggiato
così tanto.
In nessuna favola il mostro ha mai divorato se stesso.
Uroboros: un'idea, un
destino.
Alex sorride, Claire comprende.
No.
La Regina Bianca fa la sua mossa, la Rossa è costretta a
subirla.
Silenzio.
In fondo, non c'era più alcun Re da proteggere.
We were meant to hurt
each other, now die and fucking love me.
I nervi bruciano,
si accartocciano su se stessi.
Alex s'inarca di scatto all'indietro, batte la nuca contro lo spigolo
del tavolo.
Il dolore è un'onda anomala che divora tutto - un cancro
che
ha raggiunto la sua ultima, terribile, forma.
Alex grida,
ed è un suono agonico, un verso che non ha nulla
di umano.
Digrigna i denti, cerca di respirare (ma è polvere e fuoco e
il lezzo rivoltante della carne bruciata quello che le invade le
narici) e dio,
è come se centinaia di formiche impazzite la
stessero mangiando viva,
giù per la gola, nel petto,
ovunque.
Alex allunga le dita verso il bordo della scrivania, prova a chiamare
Stuart, ma la voce è un miagolio strozzato, un pigolio
patetico e senza forma.
Cosa...?
La barriera che li divide si
schianta, il dolore un morso che ha
sventrato la bestia e l'ha poi lasciata lì,
oscenamente
esposta e con le proprie viscere al cielo.
Albert...?
Prodigi del nuovo mondo, miracoli della razza eletta.
Il dolore è diventato un mezzo, la
più forte
forma di comunicazione.
Dove...?
Alex muore
- soffoca in una tomba di lava e rimpianti.
Scivolano sulla sua pelle i mille gradi di un nemico contro il quale
non più lottare, si annichiliscono i pensieri e le speranze.
È finita.
Non ancora.
Il dolore è così forte che respirare è
quasi come ingoiare vetro - di espirare, poi, neppure se ne
parla.
Alex mastica un lamento orrendo - grottesco, inumano
- vomita sangue e
bile e
nero.
Uroboros.
La schiena s'irrigidisce, il mondo esplode.
La testa di Alex si apre come un frutto marcio, si proiettano verso il
muro del laboratorio frammenti d'osso e cervello - non suoi.
Splatch; da
bianche a ora rosse e rosa - poltiglia che si squaglia poi
al suolo.
Alex apre la bocca, la richiude; dietro le palpebre vede solo...
Redfield.
Non sente più nulla; né dolore, né
altro.
Alex fissa il soffitto, anestetizzata.
C'è ancora qualche piccolo spasmo muscolare che le
attraversa le braccia, memoria dello stress fisico appena subito, ma
non c'è
più niente dall'altra parte.
Fruga le ombre, cerca una linea agli altri invisibile.
Nulla. È come
alzare la cornetta del telefono e trovarlo
muto dall'altro capo.
Alex chiude gli occhi, non trova alcun conforto in quella pace
improvvisa.
Le tremano le labbra e quando riesce a pronunciare il nome di Stuart
è una supplica che la disgusta.
La voce di una donna
ferita, umiliata, distrutta.
Si rialza, offrendo a Stuart due pupille asimmetriche - dilatata una,
ridotta a una capocchia di spillo l'altra.
"È successo qualcosa." inizia, e la voce acquista forza
"Alla Tricell, intendo."
Ad Albert. Intendo ad
Albert.
"Riusciamo a metterci in comunicazione con i loro numeri privati?"
chiede, e Stuart si mostra professionale come al solito.
Alex osserva il dito che scorre sullo schermo del cellulare,
l'espressione che cerca di rimanere immutata.
"Potrebbero esserci dei problemi." prova Stuart, titubante "D'altronde,
il lancio dell'Uroboros era previsto per oggi."
Alex piega le labbra in una smorfia, si lascia andare sulla poltrona
vicina.
"Forse." dice, e sa già che è una menzogna - una
farsa disperata "Voglio essere informata subito qualora riuscissi a
stabilire un contatto, intesi?"
Stuart annuisce, si volta verso l'uscita; non abbastanza velocemente
perché Alex non colga la paura nei suoi lineamenti, la
certezza strisciante che sì, qualcosa è andato
decisamente
storto.
È morto e lo
sai. Il suo virus ha parlato per lui - ha
parlato al tuo.
Alex estrae il telefono, se lo rigira un paio di volte tra le mani
parzialmente addormentate.
Prova; cosa ti costa?
Compone il numero, ascolta il silenzio.
Cosa mai puoi chiedere a
un telefono seppellito sotto metri di lava
incandescente?
Suvvia, neppure la Apple
potrebbe garantirlo contro una catastrofe
simile.
Alex chiude gli occhi e cade.
How can I just let her
go? Not until she loves me.
Albert studia
Alex e si chiede quale strano scherzo sia mai questo.
Sotto le sue dita è tiepida, dentro anche di
più;
una crudele metafora del destino che presto lo inghiottirà.
Disegna figure immaginarie sulla sua pelle, cerca un contatto intimo ed
esclusivo - una forma di conforto per lui aliena.
Lo ha notato nei mesi in cui sono stati insieme; nel tempo che sono
riusciti a strappare dalle mani putrescenti di un Crono debole e
malato.
Un giorno è una spalla contro la propria, quello dopo una
stretta al polso.
Può essere una pacca amichevole sulla schiena, oppure un
arrogante morso nell'incavo del collo, ma nulla ne cambia mai la
sostanza; è un contatto.
Che sia di natura violenta, o fragile (a volte persino incerta e
imbarazzata, a suo modo) Alex lo cerca
- sempre.
Ride nei momenti più improbabili, mostra un'innocenza
inaspettata; lo cerca sulla bocca e tra le cosce, nella mente e nel
silenzio di albe pallide e sfocate.
Albert la sente muoversi contro il suo fianco, la osserva
raggomitolarsi sotto il lenzuolo e cercarlo - ancora.
Gli stringe le dita, lo costringe a schiudere il pugno chiuso e a
intrecciarle alle sue.
"Ti sento pensare."
mormora, piegando le labbra in un sorriso "Mi
disturbi."
Albert alza un sopracciglio, interdetto.
"Non è nel mio interesse accomodare il tuo sonno."
Alex ride, gli occhi socchiusi, la bocca sul petto, le sue mani
ovunque.
"Nemmeno nel mio."
Contatto. Un solo,
semplice, contatto.
Albert si chiede se sia questo che gli uomini chiamano amore.
Die and fucking love me,
die and fucking love me.
Una volta Albert gliene aveva parlato.
Le aveva detto sai, ho
un'idea; uno di quei pensieri fissi e assillanti
che non ti lasciano mai in pace.
Alex gli aveva chiesto allora di cosa si trattasse; che doveva essere
qualcosa di veramente importante se rubava il sonno al così
grande e oh,
così potente Albert Wesker.
"Lo è."
replica, gli occhi al cielo e la mente
chissà dove "Raccoon City me ne ha dato solo un assaggio, ma
è stato quando ho combattuto Sergei che ne ho avuto la
conferma definitiva."
"E cosa hai scoperto?"
mormora Alex, una curva pallida
nell'oscurità del laboratorio "Che Lazzaro è
stato solo il primo zombie della storia e che Sergei ha sempre avuto
gusti orribili in fatto d'abbigliamento?" una risata sulla
pelle; dita leggere lungo la piega del collo, sulle spalle, nel cuore.
"No." una parola, un
gesto; Albert s'inclina all'indietro e le artiglia
la nuca, traendola a sé "Qualcosa di completamente diverso."
Alex alza un
sopracciglio, infrange il suo respiro.
"Non stiamo
più scherzando, vero?"
Albert piega le labbra, affonda nel viso di
Alex e sanguina
- un bacio
esigente e pieno di promesse.
"L'abbiamo mai fatto?"
Sushestvovanie tace, morta.
Sotto la pelle - nelle viscere di una donna anche lei morta - brulica
invece una vita oscenamente affamata.
Alex nega a entrambe ogni speranza.
"Condizioni
psicologiche?" ripete Alex, portandosi una ciocca di
capelli dietro l'orecchio "Il virus muta le persone in base alla
condizione psicologica?"
"Non tutte." puntualizza
Wesker, spostandosi gli occhiali con il
pollice e l'indice e massaggiandosi le palpebre "Solo in alcuni,
probabilmente i soggetti già predisposti; un po' come
William, oppure Sergei."
Alex inclina il capo in
un movimento curioso, picchietta con le dita
sul bordo della scrivania.
"È una teoria
un po' azzardata."
Albert avanza di qualche
passo, divora un territorio ancora franco.
"Lo sono tutte,
all'inizio."
"E poi?"
La pupilla si contrae,
l'aria assume una consistenza dolciastra,
metallica - feromoni e adrenalina.
"E poi vengono
verificate."
Un altro passo, un'altra promessa.
"Testate, rielaborate,
modificate, corrette."
Alex socchiude la bocca
- invita -
Albert le tende una mano - accetta.
"Analizzate e scomposte,
fino a quando non rimane null'altro che la
verità: la pura e semplice conclusione scientifica."
"E questo cosa ci rende,
fratello?"
Passi pesanti, gesti
leggeri - eleganti.
"Cosa racconta di
noi?"
Unghie sotto la carne,
denti snudati e che affondano - trovano,
lacerano.
"Tutto."
Non c'è nulla che possa davvero quantificare la perdita.
Si può scriverla su carta, disegnarla nella poesia,
ammantarla di significato ed epica, ma la verità
è che nulla può davvero incastrarla in una mera
parola.
Non esiste numero che possa definirla, non possediamo abbastanza
immaginazione per rappresentarla.
Subiamo la
perdita e basta.
Schiacciati dalla sua forza, piegati dalla sua
inevitabilità, ci arrendiamo a lei senza neppure rendercene
conto.
Alex si raggomitola sotto il mantello, raccoglie ciò che
è rimasto del suo corpo e chiude gli occhi.
Immagina un mondo che non c'è mai stato, una
possibilità che non ha mai avuto.
Si fa piccola piccola, regredisce fino al nucleo putrefatto dalla sua
stessa esistenza.
Lo sfiora con la punta delle dita e scopre che, sorprendentemente,
batte ancora; che quel cuore non ha ancora finito di respirare - di
soffrire.
"Io penso che il virus
enfatizzi solo la nostra natura; che sia il
naturale amplificatore del nostro Es."
L'orizzonte sanguina, cade cenere e pioggia su Sushestvovanie.
Grigio e
rosso e
nero e bianco
- una corona di morti e colori sbavati.
"Che, in qualche modo
contorto, mostri quello che siamo davvero."
Nella sua memoria Albert è ancora un dio d'oro e sangue;
negli occhi degli altri un mostro dall'aspetto incredibilmente
terribilmente umano - troppo.
"Quello che vorremmo
essere e che siamo stati: forse persino quello che
saremo."
Alex cerca teme il proprio riflesso nello specchio e vede quello che ha
sempre pensato di essere; inutile, debole, spezzata
(ossessionata,
spietata, innamorata)
"Tornerai?"
"Sì."
"Lo prometti?"
"Sono un bugiardo patologico, Alexandra; crederesti anche solo a una
delle mie parole?"
"L'ho sempre fatto."
"Allora sì, tornerò. E il mondo sarà
come avrebbe dovuto essere fin dall'inizio."
"Degno?"
"No; nostro."
Le menzogne a volte sono le uniche promesse in cui vogliamo credere.
"You did not look back
you walked away
to be alone with your
demons.
I try to hate you, but
don’t you know?
Darling - my
demons are in love with yours."
- anonimo -
Note dell'autrice:
Albert Wesker e Alex Wesker non
sono fratello e sorella. Non hanno nessun legame di sangue e non sono
stati cresciuti nella stessa famiglia come tali (ne hanno avute due ben
diverse e distinte) per cui non ritengo che questa storia richieda
l'avvertimento incest. Appartengono allo stesso progetto scientifico di
selezione genetica (Project W.) e per questo si definiscono "fratello"
e "sorella" e possiedono lo stesso cognome (in onore del creatore del
progetto), ma nei fatti non lo sono e non hanno mai avuto l'occasione
di comportarsi come tali.
Secondo la legge
italiana non sono né discendenti né ascendenti, e
neppure affini in linea retta, per cui il reato d'incesto non sussiste.
La canzone utilizzata
per intercalare i paragrafi è "Killpop", degli Slipknot.
Qui il mio video da fangirl alla storia.
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